IL GOVERNO E’ UN RING: DAGLI EXTRAPROFITTI AL VENETO, E’ RISSA CONTINUA TRA TAJANI E SALVINI. LA MELONI FRENA IL FORZISTA: “BASTA UMILIARE MATTEO PERCHÉ È CAPACE DI FAR SALTARE TUTTO”
TAJANI MORDE IL CAPITONE: “TEME VANNACCI, HA PAURA CHE GLI SFILI IL PARTITO”- E SUL VENETO E’ MURO CONTRO MURO: TAJANI CONTINUA A PUNTARE SU TOSI, L’ARCINEMICO DI SALVINI – IL PRESSING DEL “CAPITONE” SULL’ABBASSAMENTO DEL CANONE RAI (CHE ANDREBBE A DETRIMENTO DI MEDIASET) E I SOSPETTI DI MELONI SU PIER SILVIO
Il duello tra Antonio Tajani e Matteo Salvini, un ring quotidiano, a tratti livoroso, a sempre più alta intensità
Allo striscione di Pontida: «Tajani scafista», alla sorpresa in Forza Italia, e alle scuse di Salvini. Prima che il giorno dopo – cioè ieri – tutto riprendesse come sempre: Andrea Crippa, l’uomo che parla per conto di Salvini, che rilancia l’avvertimento dal palco del segretario sulle tasse ai banchieri, e Maurizio Gasparri, capogruppo dei senatori di Forza Italia, che replica: «Facile prendere gli applausi criticando le banche».
La storia di come si è arrivati fin qui la racconteremo tra poco, dopo aver svelato cosa pensano e dicono l’uno dell’altro Tajani e Salvini, secondo fonti azzurre e leghiste che hanno parlato con loro in questi giorni. Ma c’è anche una terza protagonista che va tenuta in conto: Giorgia Meloni, coinvolta dalla saga dei battibecchi tra i due vicepremier.
Sabato pomeriggio, a Milano, Tajani si muove orgoglioso tra iscritti ed eletti di Forza Italia che riempiono l’auditorium, dove ha appena presentato ufficialmente il testo sulla nuova cittadinanza agli stranieri. Gli girano l’agenzia che riporta gli insulti dei giovani della Lega dal pratone di Pontida.
La frase gli strappa un mezzo sorriso, raccontano. Subito dopo, però, invia dei messaggi amari a Salvini. Mentre a chi gli sta intorno confida: «È preoccupato da Vannacci – dice riferendosi al generale eletto in Europa con la Lega –. Comincia a temere che gli sfili il partito al congresso».
L’indomani Salvini, completamente indifferente alle lamentele dell’alleato, mette nel mirino le banche, sapendo benissimo che l’unico rimasto nella maggioranza a difendere gli istituti di credito è il successore di Silvio Berlusconi. Ai lati di Salvini ci sono l’olandese Geert Wilders, il portoghese André Ventura e, soprattutto, il premier ungherese Viktor Orban. È la prima fila dell’Europa nera, i Patrioti del neonato gruppo dell’ultradestra che pretendono che Bruxelles non sia madre, ma ancella delle nazioni.
Tajani ha fatto pubblicare su tutti i canali social di Forza Italia l’omaggio del presidente dei Popolari europei Manfred Weber: «Tajani è il volto europeista dell’Italia». Il leader azzurro si considera l’artefice dell’avvicinamento di Meloni alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, e dunque del conseguente allontanamento dei conservatori di Ecr dalla galassia degli ultranazionalisti di Salvini&Co. Il giudizio sul collega vicepremier è molto influenzato dalla bassa considerazione di cui gode il leghista negli ambienti di Bruxelles e dei popolari: «Lo trattano come un appestato», ha detto più volte ai collaboratori.
Epiteti che sono impronunciabili pubblicamente. Però a volte la tentazione c’è. Tajani si ferma sempre un attimo prima di sfogarsi, fedele a quello che gli ha chiesto Meloni, quando è andato a lamentarsi con lei, a chiederle un riconoscimento formale del sorpasso compiuto sulla Lega: «Non umiliarlo, perché è capace di far saltare tutto».
Meloni vuole un candidato di Fratelli d’Italia, mentre Tajani continua a puntare maliziosamente su Flavio Tosi, l’arcinemico di Salvini e dell’amatissimo governatore Luca Zaia. Il Veneto sarà il campo della resa dei conti del Carroccio. Lo pensano a Palazzo Chigi e dentro FI. Lo temono nella Lega. L’idea che la destra possa dividersi non è così remota, spiegavano ieri a La Stampa fonti vicine a Zaia. Se la Lega andasse da sola, con magari un fedelissimo del presidente uscente, la coalizione ne uscirebbe a pezzi.
A Meloni serve un accordo, come ha fatto per la Liguria. Ma deve arrivarci senza troppi strappi. Quando si parlano – ed è di frequente – lo fanno a tre, in chat. Tajani e Salvini raramente da soli: entrambi non sembrano orientati a smettere di punzecchiarsi. Ed è evidente che qualcosa non se la sono perdonata.
Per esempio, Salvini non ha mai digerito come Tajani ha gestito e sfruttato a proprio favore il clamoroso endorsement di Bossi a favore di Forza Italia, alla vigilia delle elezioni europee. Tajani invece va più indietro e ricorda come Fi sia stata svantaggiata dalla spartizione dei collegi uninominali che, nel 2022, ha enormemente favorito la Lega in Parlamento. Più di recente, ha notato una certa intenzionalità nel caricare la proposta di tagliare il canone alla Rai, con conseguenze a svantaggio di Mediaset, il polo privato di casa Berlusconi, ancora padroni economici di Forza Italia.
Il rapporto con i figli del fondatore, la pressione – più di Pier Silvio che di Marina – hanno progressivamente raffreddato il legame più confidenziale che aveva con Meloni, che lo ha voluto come vicepremier dopo le insistenze di Salvini per la stessa poltrona, già occupata ai tempi del governo Conte.
Ma la premier, in questo ultimo anno, si è fatta sempre più sospettosa verso i Berlusconi e i piani politici del secondogenito amministratore delegato del gruppo tv. E ha notato che da luglio – proprio dopo le sollecitazioni di Pier Silvio – Tajani ci ha preso gusto a fare il leader. A dare forma a una pulsione interna che prescinde da lui, ma che sta assecondando e accarezzando. L’eterna competizione al centro, il mercato dei voti moderati, la domanda di diritti e il desiderio di un partito di destra liberale sono fattori di una maturazione e, insieme, di una dialettica tra alleati che può diventare destabilizzante. Separarsi, però, è difficile a destra. Si litiga, si litiga ma non si rompe mai.
(da La Stampa)
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