IN UCRAINA È CACCIA AI COLLABORAZIONISTI CHE PASSANO INFORMAZIONI AI RUSSI, INDICANDO LORO GLI OBIETTIVI SENSIBILI: I “TRADITORI” FERMATI SONO 1.500
“LO FANNO PER SOLDI, VANNO ELIMINATI SENZA PIETA’, SONO LA FECCIA DELLA TERRA”
Per i russi gli ucraini disposti a cooperare sono preziosi alleati, specie dopo avere scoperto a loro spese che anche nelle zone occupate gran parte della popolazione resta ostile. Sono loro a indicare gli obbiettivi sensibili da colpire con l’artiglieria e accompagnano i soldati alle case di politici, poliziotti e militari da arrestare per fermare sul nascere qualsiasi resistenza interna.
Ma per gli ucraini restano spie, delatori, insomma collaborazionisti pericolosi da mettere fuori gioco il prima possibile: la logica è quella del «colpirne uno per educarne cento», le punizioni esemplari servono da deterrente, specie in questi giorni incerti in cui il protrarsi dei combattimenti alimenta paure e fragilità collettive.
L’esercito ucraino ha bisogno di eliminare le quinte colonne interne. Non a caso, ieri mattina la polizia di Kramatorsk era ben contenta di diffondere sui social le immagini dei suoi agenti che avevano appena catturato un collaborazionista nella vicinissima Sloviansk, sulla strada utilizzata dalle truppe impegnate nella battaglia cruciale per Severodonetsk. «Pare fosse una spia, un pensionato che passava ai russi le posizioni della nostra artiglieria», dicono i soldati che fanno la spesa nel supermercato sulla piazza principale di Kramatorsk.
Il rombo continuo della battaglia, qui a pochi chilometri dalla periferia orientale, accresce l’urgenza. «Senza dubbio le spie nemiche si annidano tra le famiglie di filorussi, che nel Donbass sono più numerose che altrove. È una situazione nota sin dalla guerra del 2014, quando sapevamo bene che c’erano alcune aree sia rurali che urbane dove i favorevoli a Mosca potevano superare il 60 per cento degli abitanti», spiega Alexey Iakovlenko, medico 47enne e portavoce dell’ospedale militare locale. Il quale tiene però subito a chiarire: «Da allora le cose sono rapidamente mutate, stimiamo che i pro-Putin siano precipitati ormai sotto il 10 per cento anche nelle aree più marginali, senza dubbio la brutalità della guerra scatenata il 24 febbraio ha contribuito alla svolta».
A detta della procuratrice generale dello Stato, Irina Venediktova, sono oltre 700 i casi aperti dalle autorità giudiziarie per «alto tradimento», cui si aggiungono numeri simili per «collaborazionismo».
In tutto circa 1.500 persone che rischiano lunghe pene detentive. Uno dei primi casi fu quello Oleksandr Kharchenko, il 39enne sindaco della municipalità di Dymer, a nord di Kiev, che nei giorni iniziali dell’invasione invitò la popolazione a collaborare con le truppe russe e a non ascoltare le versioni «ostili» dei media nazionali.
Seguì quello di Gennady Matsegora, sindaco di Kupyansk, nella regione meridionale di Kherson, il quale si offrì non solo di cooperare con gli occupanti, ma consegnò loro anche cibo e carburante facilitando l’avanzata verso Odessa, bloccata poi dalla resistenza ucraina presso Mykolaiv. Ma il fenomeno del collaborazionismo è più infido e lacerante.
Ne avemmo la percezione netta ascoltando ai primi di maggio al centro sfollati di Zaporizhzhia il racconto di una trentenne residente in un villaggio preso dai russi a nord di Mariupol, che rischiò di essere fucilata sul posto quando una spia locale rivelò all’intelligence che lei è moglie di un alto ufficiale ucraino (dal quale peraltro divorziò due anni fa) ferito durante la battaglia per Kharkiv.
«Gli informatori sono criminali senza scrupoli, la feccia della Terra. Molti lo fanno per soldi, per impadronirsi dei beni delle loro vittime, o per ottenere privilegi da Mosca. Vanno eliminati senza pietà».
(da agenzie)
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