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“INCASTRATE QUEL GIUDICE”: I RETROSCENA DELLO SCONTRO ALLA PROCURA DI MILANO

UN DOSSIER FALSO SUL PM ROBLEDO, BASATO SULLE PAROLE DI UN’AMICA DI FORMIGONI… E ARCHIVIATO DAL SUO CAPO SENZA AVVERTIRLO

Nel menù del grande scontro fra magistrati che sta lacerando la procura di Milano, ci mancavano solo le polpette avvelenate dei servizi segreti di Cl.
La Procura di Brescia ha aperto un’inchiesta su una manovra diretta a screditare il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, capo dei pm milanesi anti-corruzione, accusandolo falsamente di spifferare scottanti segreti investigativi ad amici ed estranei.
L’indagine, in corso da mesi, è condotta personalmente dal pm Fabio Salamone, il numero due della procura di Brescia.
Il reato ipotizzato è la calunnia ai danni di Robledo.
È il segno che l’esperto magistrato bresciano ha già  accertato la totale falsità  delle insinuazioni contro il collega, che furono travasate anche in un dossier diffamatorio spuntato a sorpresa negli archivi della stessa procura di Milano.
Ora l’inchiesta continua, per smascherare non solo gli effettivi esecutori, ma anche i possibili mandanti dell’operazione di dossieraggio.
L’inchiesta si sta concentrando su personaggi che in base ad altre indagini sono risultati in stretto contatto con l’ex presidente ciellino della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, pluri-indagato per corruzione proprio dalla procura di Milano.
Alfredo Robledo è l’alto magistrato che, con una iniziativa senza precedenti, ha denunciato il suo procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, accusandolo di averlo escluso da una serie di indagini di sua competenza, per privilegiare altri pm.
Nella lettera-esposto inviata al Csm e alla procura generale (pubblicata integralmente sul sito de “l’Espresso”), Robledo cita apertamente le indagini sulla bancarotta dell’ospedale San Raffaele e sui diversi tronconi del caso Ruby: anche quando sono emersi fatti di corruzione o concussione, che in teoria sarebbero spettati ai pm del suo dipartimento (l’equivalente del vecchio “pool” di Mani Pulite), Bruti Liberati ha deciso di affidarli ad altri gruppi di magistrati, guidati dagli “aggiunti” Ilda Boccassini, Francesco Greco e Pietro Forno, competenti rispettivamente per l’antimafia, i reati economici e gli abusi sessuali.
A differenza di quanto era avvenuto in passato in altre procure, però, in nessuno di questi casi la denuncia ha mai messo in discussione i risultati delle indagini, che hanno portato alla condanna in primo grado dell’ex premier Berlusconi e al rinvio a giudizio di Formigoni per corruzione.
Il problema è solo il presunto aggiramento delle regole generali di assegnazione delle indagini, aggravato dal mancato scambio di atti e informazioni tra pm che non si parlano più.
Malumori, rivalità  e lamentele covavano da mesi, come in molti ambienti di lavoro, ma la denuncia è partita solo quando il pm Robledo ha chiuso l’inchiesta sulla vendita di una quota della Sea, la società  controllata dal Comune di Milano che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa.
Questa indagine era nata da un’intercettazione trasmessa da Firenze a Milano il 25 ottobre 2011, prima che si svolgesse la gara ritenuta truccata, fissata il 16 dicembre.
Il fascicolo però è rimasto nella cassaforte del procuratore capo fino al 16 marzo 2012: Robledo se l’è visto assegnare solo dopo che “l’Espresso” aveva pubblicato le prime indiscrezioni su quell’intercettazione.
Pochi giorni più tardi, Bruti Liberati ha scritto una lettera di scuse a Robledo, assumendosi tutta la colpa di aver «dimenticato» l’inchiesta in cassaforte, ma precisando che lo stesso aggiunto non gliene aveva più accennato.
Lo scontro fra toghe a questo punto verrà  deciso dal Csm.
Potrebbe chiudersi senza vinti nè vincitori, con un impegno per il futuro a collaborare e rispettare i criteri di assegnazione, oppure costare il posto a entrambi: Bruti Liberati, leader della corrente progressista di Md, deve ottenere la riconferma a procuratore e potrebbe essere attaccato dai consiglieri di centrodestra; ma anche Robledo, che non fa parte di alcuna corrente, rischia di trovarsi isolato dalle toghe di centrosinistra e vedersi trasferire anche senza alcuna colpa, per la cosiddetta «oggettiva incompatibilità  ambientale».
Di certo, mentre si avvicinano le elezioni per il nuovo Csm, attorno a questo scontro tra personalità  e impostazioni giudiziarie diverse, si giocano le cariche di vertice di una procura simbolo come Milano.
Non tutte le carte però sono ancora sul tavolo.
Nella sua denuncia il pm Robledo accennava a un’inchiesta in quel momento segreta, quella che solo nei giorni scorsi ha portato agli arresti dei dirigenti formigoniani di Infrastrutture Lombarde, la cabina di regia dei grandi appalti della Regione, coinvolti anche nell’Expo 2015.
Anche qui due gruppi di pm, guidati da Robledo e Boccassini, hanno indagato sulle stesse persone, senza coordinarsi nè scambiarsi informazioni, con il risultato di non poter utilizzare le intercettazioni realizzate all’insaputa dei colleghi.
Ma nelle ultime righe della sua lettera-esposto, Robledo parlava anche di «ulteriori episodi» che avrebbero «turbato» la procura, che sembravano riferirsi solo a casi già  noti come il presunto scontro con Bruti sull’iscrizione tra gli indagati di Guido Podestà , presidente berlusconiano della provincia di Milano, per le firme false presentate a sostegno del listino elettorale di Formigoni. In realtà , tra gli “ulteriori episodi” considerati più gravi, ora spunta la manovra calunniatoria ricostruita nell’inchiesta della procura di Brescia, di cui finora si ignorava l’esistenza.
Tutto parte da una relazione di servizio scritta da un maresciallo della procura, fino a prova contraria in buona fede: come agente di polizia giudiziaria, riferisce tutte le ipotetiche notizie di reato rivelategli da una fonte che è stato chiamato a seguire e che i magistrati non conoscono.
Tra molte dichiarazioni dubbie e tutte da verificare, salta fuori un’accusa diretta a Robledo: il magistrato, giocando a golf in allegria con amici, si lascerebbe scappare segreti investigativi che riguarderebbero perfino le indagini su Berlusconi.
Robledo in effetti, con il collega Fabio De Paquale, ha condotto anche le inchieste (caso Mills e frodi fiscali) che hanno portato alla prima condanna definitiva del leader di Forza Italia.
L’accusa è insidiosa anche perchè la fonte del maresciallo non si presenta come ostile a Robledo: al contrario, sostiene di volerlo avvisare del rischio di fughe di notizie.
La relazione del maresciallo viene consegnata a un pm del dipartimento reati societari, Luigi Orsi, che la trasmette al procuratore Bruti Liberati, senza avvertire Robledo.
Fin qui è tutto normale: tocca al capo valutare l’ipotetica notizia di reato e trasmetterla a Brescia, ovviamente senza mettere in allarme il pm potenzialmente indagabile.
Il fascicolo però resta a Milano.
Secondo quanto ha potuto ricostruire “l’Espresso”, viene archiviato nel cosiddetto “modello 45″, tra i fascicoli che non contengono notizie di reato credibili. E proprio per questo non garantiscono la massima riservatezza.
Qualche mese dopo succede un imprevisto: a Milano finisce sotto inchiesta proprio la fonte, che perde l’anonimato e viene accusata di diffondere notizie e atti falsi.
A quel punto il maresciallo si sfoga con un altro sottufficiale della procura: com’è possibile, protesta, che i superiori lo abbiano incaricato di coltivare i rapporti con quella fonte in realtà  screditata e già  inquisita da altri pm milanesi?
Nel trambusto che ne segue nella polizia giudiziaria, la strana vicenda arriva alle orecchie di Robledo, che solo allora viene a sapere della relazione-trappola.
E va su tutte le furie: tra l’altro, non ha mai giocato a golf, per cui si sente vittima di una falsità  facilmente accertabile.
Probabilmente è proprio per questo che Bruti Liberati l’aveva archiviata sul nascere. Ma Robledo si sente spiato di nascosto: se il capo l’avesse denunciato o almeno informato, lui avrebbe potuto difendersi e sbugiardare la manovra calunniatoria; invece nel modello 45 è rimasta solo la relazione con la falsa accusa, senza alcuna smentita dell’aggiunto ingiustamente denigrato.
L’incidente è aggravato dalla circostanza che il maresciallo ha qualche amico nei servizi segreti (com’è normale tra ex colleghi) e in quei mesi Robledo sta indagando su personaggi che vantano entrature con spioni di Stato ostili alle procure.
Fin qui, sembra andare in scena una specie di commedia degli equivoci tra magistrati che, in un clima di sfiducia, interpretano negativamente ogni mossa dell’altro.
Il vero problema nasce quando le indagini svelano l’identità  della fonte, che si rivela una dottoressa ciellina legatissima a Formigoni, che l’8 ottobre 2011 è stato addirittura suo testimone di nozze: è Maria Vicario, una cardiologa del Niguarda inquisita proprio dalla procura di Milano con l’accusa di aver falsificato lettere di “raccomandazione”, in realtà  inesistenti, da lei attribuite nientemeno che al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e al suo segretario generale.
Con credenziali fasulle del Quirinale è riuscita a contattare persino Giovanni Bazoli e farsi concedere da Banca Intesa mutui per un milione di euro.
Ma per questo è stata denunciata proprio dalla presidenza della Repubblica.
La dottoressa Vicario era già  citata negli atti dell’inchiesta sul San Raffaele come presunta spia delle indagini sulla bancarotta del grande ospedale privato.
Nella seconda metà  del 2011, dopo il clamoroso suicidio del manager Mario Cal, la cardiologa è stata intercettata mentre riferiva i presunti sviluppi dell’inchiesta (allora segretissima) a Mauro Villa, il segretario di Formigoni, che poi girava i messaggi al presidente «con linguaggio criptico».
Un’interferenza costante, documentata da sms espliciti e da 139 contatti con il cellulare di Villa e altri 65 con telefoni fissi della Regione.
Proprio in quei mesi l’inchiesta sul San Raffaele ha portato i magistrati a scoprire i fondi neri utilizzati dal faccendiere ciellino Piero Daccò (ormai condannato in appello) anche per le presunte corruzioni di Formigoni a colpi di benefit da otto milioni di euro.
Allora però restava un mistero come una cardiologa del Niguarda potesse vantarsi di spiare la procura. Mentre ora, dalle indagini sulla calunnia ai danni di Robledo, si scopre che la dottoressa Vicario, strumentalizzando il suo rapporto con la polizia giudiziaria, riusciva davvero a infilarsi nelle segrete stanze della Procura.
E addirittura a partecipare ai brindisi tra magistrati organizzati nell’ufficio del procuratore per festeggiare un collega.
Ora resta solo da capire se le sue bugie contro Robledo avessero qualche suggeritore eccellente.

Paolo Biondani

This entry was posted on venerdì, Marzo 28th, 2014 at 23:59 and is filed under Giustizia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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