LA FOTO FAKE DEL PORTAVOCE DI ORBAN: ILARIA SALIS IN CARCERE IN MANETTE. HA PARLATO IL PROTETTORE DEI RADUNI NAZISTI, NONCHE’ SERVO DI PUTIN
ILARIA REPLICA: “BUDAPEST DEMOCRAZIA ILLIBERALE, PER LORO NON DOVREI PARLARE”
Un paio di manette legate ai polsi, le mani sulle sbarre, una tuta arancione da carcerata e il volto di Ilaria Salis. È l’ultimo fotomontaggio postato su X da Zoltan Kovacs, il portavoce di Viktor Orbán, l’ultimo attacco del governo magiaro alla militante antifascista italiana, ora europarlmentare di Avs accusata dall’Ungheria di aver partecipato due anni fa al pestaggio di tre neonazisti durante il Giorno dell’Onore che a Budapest, l’11 febbraio, riunisce nostalgici delle SS da tutta Europa.
“Dovresti essere qui, non in una televisione”, ha scritto Kovacs sotto l’immagine tarocca, mentre Salis era in onda sul Nove nella trasmissione Che tempo che fa, intervistata da Fabio Fazio per l’uscita, proprio l’11 febbraio, due anni dopo il suo arresto, del libro Vipera (edito da Feltrinelli) che racconta il fermo, la lunga carcerazione, il processo fino alla riconquistata (e chissà se provvisoria) libertà con la candidatura europea.
“Tale signore, in preda a un’evidente frustrazione, si esprime in questi termini nei confronti di una cittadina italiana ed europea, di una deputata del Parlamento europeo”, replica a stretto giro Salis dopo aver visto il fotomontaggio. “In un vero Stato di diritto – sostiene – nessuno può essere dichiarato colpevole prima di un verdetto della magistratura. Ma in Ungheria, come ampiamente dimostrato, questo principio elementare appare del tutto estraneo al governo. C’è però qualcosa di ancora più inquietante: nella democrazia illiberale di Orban, gli oppositori politici non devono avere diritto di parola. Secondo il signor Kovacs, infatti, io non dovrei poter parlare in televisione ma stare in prigione”, commenta Salis. “La stessa in cui ho passato 15 mesi in via cautelare. Rinchiusa e trattata come un animale. Gli oppositori politici devono essere ridotti al silenzio, con la forza o, quando non è possibile esercitarla, con la minaccia”, aggiunge.
Al Parlamento europeo il governo ungherese ha chiesto, a ottobre scorso, la revoca dell’immunità parlamentare di Salis. Sarà l’assemblea a decidere. E un voto contro l’antifascista appare probabile. Michele Barcaiuolo, capogruppo di Fdi in Commissione Affari esteri e Difesa al Senato, dice ad esempio: “Ci auguriamo che non si ceda alla narrazione di chi, dopo aver partecipato a scontri violenti, cerca di passare per vittima. Fratelli d’italia continuerà a denunciare ogni tentativo di riscrivere la storia a uso e consumo della propaganda politica della sinistra”.
Salis resterebbe deputata ma il suo processo nel tribunale di Budapest, dove veniva condotta legata mani e piedi e trasportata con un guinzaglio, dovrebbe a quel punto riprendere. Salis rischia una condanna fino a 24 anni di carcere. Chiede che il processo possa svolgersi in modo giusto ed equo, senza condizionamenti politici il cui timore è rafforzato dalle uscite del governo ungherese. E chiede di non venir rimandata a Budapest.
Uno spiraglio, per gli antifascisti indagati a livello europeo per i violenti blitz anti-nazi in Ungheria, è arrivato dalla decisione dell’Alta corte tedesca su un’altra militante accusata degli stessi reati di Salis, fermata e trasferita nella notte dalla Germania all’Ungheria nel giugno scorso, pochi minuti prima che la Corte costituzionale federale pronunciasse il suo divieto temporaneo all’estradizione.
I giudici dell’Alta corte hanno scritto che l’estradizione di Maja T. non era fondata giuridicamente. E che quindi Maja non dovesse essere consegnata agli ungheresi. Così come aveva deciso la quinta Corte d’Appello di Milano negando l’estradizione di Gabriele Marchesi, altro italiano accusato dei pestaggi nel Giorno dell’Onore. E come potrebbe orientarsi anche la magistratura francese che sta attendendo dall’Ungheria rassicurazioni e garanzie sul trattamento dei detenuti, criticato dai prigionieri e da relazioni di associazioni e organizzazioni dei diritti umani, prima di decidere sull’estradizione di Rexhino Abazaj, detto Gino, un ragazzo albanese cresciuto in Italia senza cittadinanza e arrestato a Parigi, pure lui accusato di aver preso parte agli scontri tra antifascisti e neofascisti durante le manifestazioni del 2023 in Ungheria. Anche in questo caso i suoi avvocati chiedono sia processato in Francia e sconti lì l’eventuale pena. Lo stesso trattamento che reclamano dei cittadini tedeschi che erano ricercati e si sono spontaneamente consegnati in Germania.
(da agenzie)
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