“LISTE LOCALI GREMITE DI GENTE INDEGNA” DENUNCIA L’ANTIMAFIA: ECCO ALCUNI NOMI CHE HANNO GIA’ FATTO DISCUTERE
IN ATTESA DEGLI ELENCHI UFFICIALI, PISANU “SEGRETA” LA LISTA NERA, MA MOLTI NOMI SONO NOTI PER COLLUSIONI MAFIOSE E TANGENTI… “MARONI NON CI AIUTA, MOLTI PREFETTI NEGANO I DATI”: 5 PREFETTURE NEANCHE RISPONDONO, 25 TRASMETTONO DATI INCOMPLETI….GRANATA: “PER AVERE DENUNCIATO LA STESSA COSA AL SENATO SONO STATO MESSO IN CROCE”
La lista nera, di nomi “indegni” ne contiene almeno un centinaio.
Consiglieri e assessori regionali, comunali, provinciali.
Colletti bianchi invischiati in affari sporchi, alcuni considerati vicini alle organizzazioni criminali, altri perfino parenti di uomini delle cosche.
Nei casi meno gravi accusati o condannati per reati di corruzione e concussione.
Dalla Calabria alla Lombardia.
Ma a fronte di quei cento “sospettati”, dei quali circolano i nomi (e i reati) in via informale a Palazzo San Macuto, nella cassaforte della presidenza dell’Antimafia di fascicoli ne giacciono meno di dieci.
I conti non tornano al presidente Beppe Pisanu, qualcosa non quadra, “qualcuno non sta facendo il proprio dovere”.
Pochi, troppo pochi i nomi trasmessi dalle prefetture, in qualche caso solo i condannati in via definitiva, nessun cenno a inchieste in corso, a parentele di un certo peso.
Cinque prefetture cerchiate in rosso: sono quelle che non hanno nemmeno risposto all’Antimafia. Mantova, Messina, Agrigento, Bolzano, Catania.
Altre 25, stando alle informazioni in possesso della commissione, hanno fornito appunto dei dati parziali o incompleti, comunque insoddisfacenti.
Si tratta di Milano, Latina (competenza su Fondi, per esempio), Viterbo, Bergamo, Isernia, Savona, Terni, Enna, tra le altre.
È successo infatti che prima di inviare i loro dossier, i prefetti abbiano chiesto chiarimenti al Viminale.
Il ministro Roberto Maroni ha risposto con una circolare, sembra non abbastanza vincolante, come conferma indirettamente la nota ufficiale con la quale l’associazione dei prefetti ieri sera ha risposto all’Antimafia.
Pisanu non ha gradito quei ritardi, quei buchi neri, ha chiesto chiarimenti al suo successore al Viminale.
È valso poco o nulla.
La sensazione di fondo, a Palazzo San Macuto, è che i vertici di una commissione pur dotata di poteri di inchiesta siano stati lasciati “soli a combattere questa battaglia per la legalità e la trasparenza nella politica”.
Già per approvare il codice etico, i promotori avevano dovuto scavare trincee e aprire una lunga mediazione col Pdl che opponeva resistenza.
Angela Napoli (finiana), in prima linea contro le infiltrazioni, confessa la “profonda insoddisfazione: solo io di nomi di politici collusi ne posso indicare a decine nella mia Calabria, invece ci ritroviamo con una lista di una manciata di consiglieri”.
Granata chiama in causa i ritardi di prefetture importanti, “a cominciare da Milano, guidata da quel Valerio Lombardi che all’insediamento, a gennaio, aveva sostenuto che la mafia lì non esiste, peccato che da lì ad alcune settimane con una maxi retata sono finiti all’arresto trecento ndranghetisti tra la Calabria e la Lombardia”.
Quel prefetto napoletano molto gradito dal ministro leghista Maroni finisce anche nel mirino del Pd: “tra Viminale e prefetture è stato eretto un “muro di gomma”, è l’accusa.
I nomi dei candidati impresentabili non si divulgano: Pisanu ha preteso che i suoi commissari garantissero con la loro parola d’onore.
Si vuole attendere che tutti i prefetti collaborino in modo da rendere il quadro completo.
Ma i casi più delicati in parte sono noti agli addetti ai lavori.
In Piemonte è stato candidato dal Pdl l’ex assessore uscente al Bilancio, Angelo Burzi, rinviato a giudizio per una vicenda di tangenti nel settore sanitario.
Sempre in Pemonte c’èil caso di Luigi Sergio Ricca del Pd, condannato per finanziamento illecito.
A Pavia fu candidata Rosanna Gariboldi(Pdl), condannata per corruzione.
A Prato il capoista del Pdl era Alfredo Magnolfi, arrestato anni fa per aver intascato una tangente e che aveva patteggiato una condanna.
In Toscana il Pd ha candidato Gianluca Parrini, indagato per una serie di appalti.
Nel Lazio c’è il caso di Storace, sotto processo per violazione della legge elettorale, per aver inserito firme false nella llista di una sua concorrente (la Mussolini).
Cosimo Mele, candidato per Noi Sud, era stato coinvolto, quando era ancora Udc, in uno scandalo a base di droga ed escort.
Luigi Scaglione, capolista dei Popolari in Basilicata, è ancora indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Sandra Lonardo, moglie di Mastella, è sotto processo per tentata concussione.
Roberto Conte appoggiava Caldoro alle ultime regionali pur essendo inquisito per concorso in associazione mafiosa.
In Puglia il centrodestra ha candidato Fabrizio Camilli, imprenditore con condanna per truffa.
A Caserta Luigi Cassandra (Udc) ha avuto una diffida dai carabinieri per frequentazioni camorristiche.
Ricordiamo che il Codice di Autoregolametazione vieta le candidature non solo dei condannati in via definitiva, ma anche a quelli in primo grado per reati di mafia e collegati (estorsione, usura e riciclaggio).
Ora Pisanu ha intenzione di adottare la linea dura: “se entro una settimana non arrivano i dati dalle prefetture mancanti, vorrà dire che dovranno venire i prefetti in persona a spiegarci il motivo della loro mancata risposta”.
Ricorda Fabio Granata (Fli): “per aver fatto un’analoga denuncia ad agosto in Senato sono stato messo in croce all’interno del Pdl. Ora i nomi saranno comunicati al Parlamento e all’opinione pubblica”.
Sono in molti ora a non dormire sonni tranquilli: qualcuno sta facendo le cose sul serio, caso raro in Italia.
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