LO SGARBO DI MELONI E MANTOVANO AL CAPITONE: SALTA LA NORMA CHE ESCLUDEREBBE PER TRE ANNI LA SOCIETÀ STRETTO DI MESSINA DALLA SPENDING REVIEW
ELLY SCHLEIN, ANGELO BONELLI E NICOLA FRATOIANNI PRESENTANO UN ESPOSTO IN PROCURA PER L’OPERAZIONE PONTE SULLO STRETTO: “È UNO SPRECO ED È DANNOSO, CHIEDIAMO MASSIMO TRASPARENZA”
Gli incontri prima di far arrivare il decreto in Consiglio dei ministri con il principale imprenditore privato coinvolto nell’opera, ma anche la revisione del progetto più importante in Europa consegnato appena 24 ore dopo la formalizzazione della richiesta da parte del committente statale.
Sono i passaggi fondamentali dell’esposto presentato in procura a Roma da Pd e Alleanza Verdi e Sinistra con le firme dei segretari Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, contro il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini per l’operazione Ponte sullo Stretto. «Il progetto del Ponte è uno spreco ed è dannoso – dice Schlein chiediamo massima trasparenza».
In particolare l’esposto chiede di indagare sull’iter che ha portato a rimettere in piedi la società Stretto di Messina e a far rivivere i contratti della vecchia gara fatta nel 2008 dal governo Berlusconi, ministro Pietro Lunardi, e vinta dal consorzio Eurolink che ha come principale azionista Pietro Salini di Webuild.
Il ministro ha confermato di aver incontrato Lunardi e Salini. «Ma Lunardi ha anche incontrato Alberto Prestininzi, responsabile del comitato scientifico del Ponte sullo Stretto – dice Bonelli – l’ex ministro lo ha definito un amico di famiglia. Insomma, lo Stato decide di far rivivere vecchi contratti preparando prima gli incontri con chi aveva vinto la vecchia gara. E chi valuterà per la Stretto di Messina il nuovo progetto? Un amico di famiglia di Lunardi» .
Nell’esposto si chiede ai magistrati anche di verificare eventuali favori ai privati, che avevano avviato un contenzioso dopo lo stop al progetto voluto dal governo Monti: contenzioso da 700 milioni.
«Adesso il governo Meloni ha deciso che lo Stato rinuncia al contenzioso, non i privati, e per giunta rimette in pista quegli stessi privati impegnando risorse statali per 14,6 miliardi di euro», dice Fratoianni . Dalla Stretto di Messina assicurano che tutto è in regola: «La relazione del progettista è nelle fasi finali di approvazione. Non esistono segreti e l’ad Pietro Ciucci già a giugno aveva dato incarico di rivedere il progetto ».
La combo è casuale, ma sufficiente a complicare i piani di Matteo Salvini per il Ponte sullo Stretto di Messina. Palazzo Chigi ha infatti deciso di fermare la norma che escluderebbe per tre anni Stretto di Messina, la società concessionaria incaricata di realizzare l’opera, da quelle pubbliche a cui si applica la spending review.
La norma bloccata da Chigi, rivelata dal Fatto, è prevista da un emendamento al decreto Milleproroghe in discussione alla Camera. Formalmente è firmato da alcuni deputati leghisti ma è una precisa richiesta di Ciucci scritta direttamente dagli uffici di Salvini. In sostanza fa slittare (per ora) al gennaio 2027 l’inserimento di Stretto di Messina nell’elenco dei soggetti pubblici stilato dall’istat a cui si applica la spending review.
Parliamo di norme che impongono riduzioni di spese anno per anno: consulenze, emolumenti, consumi, gettoni per gli organi collegiali, ma anche disposizioni per la trasparenza dei bilanci e la gestione del debito.
Sdm ha spiegato che la ragione è solo tecnica, visto che la società è tornata operativa solo a giugno scorso grazie al decreto di Salvini che a marzo 2023 ha fatto rinascere il progetto del ponte dopo lo stop voluto dal governo Monti nel 2012.
La portata, però, è molto più ampia, visto che la deroga è per ben tre anni e non prevede eccezioni se non “gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti in materia di finanza pubblica”: tutto il resto dei limiti, insomma, salta, compreso quello agli stipendi per i vertici, Ciucci compreso, che già prendono il massimo possibile (240 mila euro annui) grazie a un’altra deroga voluta da Salvini.
Se passasse l’ultima modifica, in teoria, gli stipendi potranno salire ancora. Grazie a una serie di modifiche parlamentari, Sdm è stata di fatto resa un unicum tra le società pubbliche: niente tetto agli stipendi per dipendenti e consulenti, niente limiti di cumulo tra emolumento e pensione e la possibilità di derogare a tutte le norme per il reclutamento del personale, gli obblighi di trasparenza e gli obiettivi di performance.
Su indicazione di Palazzo Chigi l’emendamento è stato accantonato e ieri non è stato votato. Visti i tempi, solo un intervento del governo (che può presentare modifiche in ogni momento) può salvarlo. La questione, che è ormai uno scontro tra amministrazioni, sarà affrontata nel pre-consiglio dei ministri di giovedì. Già a marzo scorso, su input del Sottosegretario Alfredo Mantovano, braccio destro di Meloni, il decreto di Salvini era stato fermato per diverse settimane.
(da Il Fatto Quotidiano)
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