MATTEO, IL CAVALIERE E IL FANTASMA DEI CENTOUNO
RENZI PREFERISCE BERLUSCONI ALLE DONNE DEL PD
Il sogno delle deputate biancovestite finisce inghiottito dalla trappola muta del voto segreto: con 335 no e soli 227 sì la Camera boccia la proposta trasversale per l’alternanza uomo-donna nelle liste bloccate, e la scoperta di cento franchi tiratori del Pd innesca una rivolta nel partito di Renzi, con le deputate che lasciano l’aula per protesta e si autoconvocano nella sala “Berlinguer” in segno di sfida, alla vigilia del voto finale sulla legge elettorale.
Ed è il Pd, più ancora del partito trasversale delle donne, il vero sconfitto di questa caotica battaglia bianco-rosa.
Dopo aver sfidato Berlusconi alzando la bandiera della parità uomo-donna, il partito di Renzi mette in vetrina la sua lacerante spaccatura, con un voto che fa inevitabilmente tornare in mente i 101 franchi tiratori per Romano Prodi al Quirinale.
Non sono dunque bastate le novanta onorevoli con camicette bianche, tailleur bianchi, dolcevita bianchi, magliette bianche e soprattutto sciarpe bianche a convincere i colleghi maschi a cedere per legge la metà dei posti in lista, con l’alternanza obbligatoria tra un uomo e una donna.
«Non posso negare la mia profonda amarezza perchè una grande opportunità è stata persa» commenta alla fine Laura Boldrini, la donna seduta sullo scranno più alto di Montecitorio.
E’ stata proprio lei, alle otto meno due minuti, a leggere con voce atona il risultato che ha fatto calare il gelo nell’aula: «La Camera respinge».
La presidente della Camera ha annunciato neanche i numeri, che però lampeggiavano sul tabellone alla sua sinistra. Più di cento voti di scarto, tra i contrari e i favorevoli, e dev’essere stato assai amaro per le donne del Pd scoprire che neanche il loro gruppo (293 deputati) aveva appoggiato fino in fondo la battaglia per le quote rosa.
Affondata l’alternanza di genere, è stata bocciata poco dopo anche la proposta di riservare alle candidate almeno il 40 per cento dei posti di capolista — “parità soft”, l’avevano battezzata — una richiesta che Ignazio La Russa aveva liquidato in aula con una battuta alla carta vetrata: «Chi troppo vuole nulla stringe».
Il quaranta per cento, almeno questo speravano di ottenerlo, le deputate in bianco. E invece sono uscite sconfitte da una serie di votazioni senza storia, nelle quali l’unico brivido è arrivato quando la Boldrini ha fatto l’appello dei deputati che avevano chiesto il voto segreto — almeno 40, dice il regolamento— e le defezioni in zona Cesarini del siciliano Romano, di De Mita jr e del presidente Sisto hanno fatto scendere le firme a quota 39.
Ma prima che la presidente potesse disarmare i franchi tiratori, sono arrivati al volo tre nuove firme (Allasia, Caporini e Pizzolante) che hanno spento le speranze dievitare il voto segreto.
E allora addio quote rosa.
Ci avevano sperato, le donne. Di prima mattina, Rosy Bindi aveva avvertito il suo partito con parole taglienti come lame, che mettevano le mani avanti: «La parità di genere è un principio non negoziabile e irrinunciabile. Se non c’è, io mi riservo di non partecipare al voto».
A Montecitorio, solitamente deserto il lunedì, l’attesa della seduta convocata per le undici era riempita da una sola domanda: reggerà , il patto Renzi-Berlusconi, all’emendamento sulla parità uomo-donna?
Il Cavaliere, si sa, è sempre stato contrario: i posti alle donne vuole essere lui a darli, senza che glielo imponga nessuna legge. E Renzi era stretto tra la spinta delle donne del suo partito — alle quali era difficile dire di no, specialmente all’indomani dell’8 marzo — e la paura di veder saltare il patto con Berlusconi sulla legge elettorale.
Per capire l’umore del presidente del Consiglio, di cui non c’era traccia, bastava guardare la faccia scura di Maria Elena Boschi, solissima sui banchi dei ministri, e soprattutto il suo vestito: giacca verde e pantaloni neri. In un’altra giornata nessuno ci avrebbe fatto caso, ma tutti la guardavano, in un’aula affollata da novanta deputate vestite di bianco.
Perchè le donne avevano deciso il colore candido, come simbolo della loro battaglia politica.
E si erano ritrovate in tante, in un’insolita alleanza trasversale che partiva dalla maglietta di seta di Renata Polverini (Fi) e arrivava al completo bianco di Cristina Bargero (Pd), in coraggiosa minigonna su tacco dodici.
E poichè le donne non sono mai banali, quando decidono di fare una cosa, ognuna ha portato la sua bandiera bianca — che qui era tutto il contrario del segnale di resa — come le pareva. Alessandra Moretti s’è presentata in total white. Gabriella Giammanco sfoggiava un dolcevita panna. Michela Vittoria Brambilla un cardigan lungo che arrivava fino al bordo della minigonna. Laura Ravetto — che aveva lanciato l’idea — una maglietta bianca sui pantaloni rosa (perfetta sintesi politica, tenuta insieme da una cintura di perle). Nunzia De Girolamo, fresca capogruppo, sulla sua camicia bianca ha messo un jabot dal sapore ottocentesco, e si aggirava per il transatlantico in coppia con Barbara Saltamartini (stessa camicia ma senza jabot).
Rosy Bindi invece si è sobriamente fermata alla sciarpa di seta, come molte altre.
Una sfida alla quale le amazzoni berlusconiane hanno risposto a tono, con la stessa decisione con cui le senatrici si vestirono di nero, a lutto, il giorno in cui il Senato votò l’espulsione del Cavaliere.
E dunque la Santanchè era in rosa shocking, la Biancofiore in blu scuro, la Carfagna addirittura in nero (anche se con un raffinato merletto beige che usciva sotto la giacca). E di nero si è vestita pure la grillina Lombardi, in dichiarata polemica «contro le vestali delle quote rosa».
A confondere le acque ci si sono messi gli uomini in bianco.
Come il leghista, che prima di andare a firmare la richiesta assassina del voto segreto ha passato il pomeriggio aggirandosi tra l’aula e la buvette con una giacca bianca da cameriere, attirandosi gli sfottò dei colleghi («Scusi, mi porta un piatto di fettuccine?»).
E quello è stato forse l’ultimo sorriso prima della tempesta.
Sebastiano Messina
(da “La Repubblica“)
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