MELONI SI SENTE AL DI SOPRA DELLA LEGGE
ORMAI PARLA LA LINGUA DI BERLUSCONI NEL SUO DELIRIO CONTRO I MAGISTRATI CHE APPLICANO LA LEGGE
Il cerchio è chiuso: quando Giorgia Meloni e i suoi attaccano in batteria i magistrati risuonano le parole del padre politico, che iniziava la sua campagna contro le toghe 30 anni fa. In tre decadi la destra italiana è cambiata poco.
Certo, nelle invettive di Silvio Berlusconi contro pm e giudici c’era un surplus di violenza verbale. Ha definito la “magistratura ideologizzata una metastasi della democrazia” (2008), e i magistrati “antropologicamente diversi dal resto della razza umana” (2009), ha declamato per tutta la sua carriera di essere vittima di una “persecuzione giudiziaria” e che i processi siano stati utilizzati contro di lui come “strumento di lotta politica”. E ancora: “I giudici di Mani Pulite vanno arrestati, sono un’associazione a delinquere con licenza di uccidere che mira al sovvertimento dell’ordine democratico” (1994); “Pochi giudici si sono fatti braccio armato della sinistra per spianare a questa la conquista del potere” (1999); “La magistratura è una malattia della nostra democrazia, dobbiamo assolutamente cambiare l’ordine giudiziario” (2006); “Il pubblico accusatore dovrebbe essere sottoposto periodicamente ad esami che ne attestino la sanità mentale” (2008); “L’anomalia non è Silvio Berlusconi, sono i pm e i giudici comunisti di Milano. Da quando sono sceso in politica e ho sottratto il potere ai comunisti, ho subito 103 processi” (2009); “Serve l’immediata istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta, i giudici mi vogliono eliminare dalla vita politica” (2010); “La Corte Costituzionale è un organismo politico della sinistra” (2014).
C’è un concetto in particolare, tanto caro a Berlusconi, che ritorna sinistramente nelle parole dei meloniani: la superiorità della politica e della volontà popolare sulle leggi e chi le fa osservare. “Esprimerò tutta la mia indignazione e la mia volontà di non vedere sovvertita la democrazia da chi si è infiltrato nella magistratura e la usa per sovvertire la volontà popolare”, diceva B. nel 2008. Lo ripetono con sfumature appena diverse, oggi, i suoi nipotini.
Rileggiamo le parole di Meloni dopo la bocciatura del suo piano albanese da parte del tribunale di Roma. “Non credo sia competenza della magistratura definire quali sono Paesi sicuri e quali no”, ha dichiarato la premier. “È competenza del governo, quindi credo che il governo debba chiarire meglio cosa si intende per Paese sicuro”. Al di là della prudenza di facciata nella scelta delle parole, il senso è chiaro: la politica è al di sopra dei giudici (e delle leggi).
Se la presidente del Consiglio ha mantenuto una forma di continenza verbale, quelli che hanno parlato dopo di lei non hanno avuto nemmeno questa premura. Spiccano le parole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio: “Se la magistratura esonda dai propri poteri attribuendosi delle prerogative che non può avere deve intervenire la politica che esprime la volontà popolare”. Rieccoci, berlusconismo in purezza: “Noi rispondiamo al popolo, se il popolo non è d’accordo con quello che facciano noi andiamo a casa. La magistratura, che è autonoma e indipendente, non risponde a nessuno e quindi proprio per questo non può assumersi prerogative che sono squisitamente ed essenzialmente politiche”.
Ancora più netto Adolfo Urso, ministro dell’Impresa: “Ogni qual volta la destra ha il consenso degli elettori per governare, si costituiscono altri contro poteri che pensano di avere un giudizio superiore a quello che esprimono nelle democrazie i cittadini italiani. Se parlo della magistratura? Sì”.
Tra i molteplici attacchi arrivati da destra, è significativo quello del forzista Maurizio Gasparri. Il richiamo alla lezione di Berlusconi è esplicito: “Da anni le toghe sono uscite dal loro ruolo per la pretesa di dettare la linea al Paese. È la stessa vicenda che registriamo nella persecuzione di un attacco giudiziario a leader come Berlusconi, anche dopo la sua scomparsa, con inchieste basate sul nulla”. E poi c’è Matteo Salvini. Anche lui ha citato il “padre” usando le stesse parole sui “magistrati comunisti” e sul “processo politico” ai suoi danni, sui “giudici che usano il tribunale come un centro sociale”. E ha convocato il partito per protestare nel giorno della sua udienza, proprio come fece Berlusconi nel 2013, con la scena madre del Pdl al tribunale di Milano ai tempi di Ruby.
(da Il Fatto Quotidiano)
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