MENO SOLDI PER LE VITTIME SUL LAVORO, ALTRO CHE GOVERNO DEL POPOLO
NON SOLO HANNO RIDOTTO DEL 30% I PREMI ASSICURATIVI, MA CON IL COMMA 1126 HANNO CANCELLATO IL DIRITTO AL RISARCIMENTO GIUDIZIARIO
Non solo subappalti liberi, anche meno soldi per le vittime sul lavoro.
Un binomio micidiale per un Paese che conta una media di tre morti bianche al giorno.*
Il “liberi tutti” arrivato qualche giorno fa con lo sblocca cantieri ha avuto un lungo e sostanzioso prologo nella legge di bilancio licenziata a dicembre.
In quella legge si è pensato di ridurre del 30% i premi assicurativi contro gli infortuni che le imprese hanno l’obbligo di pagare all’Inail, sempre in nome dei minori costi sul lavoro (a danno dei deboli).
E non contenti di questo, si è aggiunto anche un altro velenoso (e pericoloso) codicillo.
Si tratta del comma 1126, che con un tratto di penna cancella il diritto al risarcimento in caso di infortunio.
In che modo? Semplice: si stabilisce che se c’è un indennizzo Inail che equivale al risarcimento stabilito dal giudice, quest’ultimo si azzera. E non solo.
Se l’indennizzo Inail è superiore al risarcimento stabilito dal giudice, addirittura la vittima è chiamata al rimborso! Un vero mostro giuridico, e, diciamolo, anche civile.
La norma in buona sostanza confonde l’indennizzo con il risarcimento.
Il primo, quello liquidato dall’Inail, segue una logica assicurativa e si basa su specifiche griglie di applicazione.
Il secondo, invece, riguarda il danno ulteriore subito dalla vittima o dai suoi familiari come conseguenza del danno subito, e viene stabilito da un giudice in una causa civile.
Si tratta di due canali che la giurisprudenza tiene ben distinti. Lo ha confermato la stessa Corte di Cassazione in una sentenza dell’aprile scorso (n.9112).
“La differenza strutturale e funzionale tra l’erogazione Inail (…) e il risarcimento del danno secondo criteri civilistici — scrivono i giudici dell’Alta Corte — preclude di poter ritenere che le somme eventualmente a tale titolo versate dall’Istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno in capo al soggetto infortunato o ammalato”.
Insomma, in poche parole, un conto è la liquidazione Inail, altro conto è il danno civile: non si possono sommare capre e cavoli. Invece qui si detraggono soldi, e per di più alla parte più debole di tutti: i lavoratori infortunati e le loro famiglie.
Ma i giudici aggiungono anche che “l’assicurazione Inail non copre tutto il danno biologico conseguente all’infortunio o alla malattia professionale — si legge ancora nella sentenza — e ammettere il carattere assorbente della prestazione indennitaria implicherebbe una riduzione secca del livello protettivo”.
Più chiaro di così.
I sindacati sono sul piede di guerra. Pesa il taglio del 30% dei premi, pesa anche un’altra disposizione (sempre della finanziaria) che riconosce alle aziende la possibilità di ridurre la liquidazione degli oneri per gli infortunati se solo dimostrano di aver introdotto qualche misura preventiva.
Ma la ciliegina è quella di far ripagare alle vittime i soldi versati dall’Inail se il giudice dovesse decidere che il danno è inferiore all’indennizzo.
“Così si abbassa la guardia sulla sicurezza sul lavoro — dicono al patronato Inca Cgil — e si cancella di fatto tutto il risarcimento per il danno non patrimoniale che si può subire a seguito di un incidente sul lavoro”.
Ma c’è un’arma che già si sta profilando all’orizzonte: quella del ricorso alla Corte Costituzionale. È la stessa Cassazione a indicare la strada.
Nella sentenza citata i giudici sottolineano, infatti, che l’indennizzo trova il suo fondamento giuridico nei principi di solidarietà sociale stabiliti nell’articolo 38 della Carta, mentre il risarcimento del danno lo trova nei valori della persona garantiti dall’articolo 32.
Tutta l’impalcatura disegnata nella Finanziaria potrebbe saltare. Ma prima che si arrivi a una sentenza, a pagare saranno i più deboli. Altro che governo del popolo.
(da agenzie)
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