NESSUNO RICORDA I 45 CIVILI INNOCENTI DI BEIRUT UCCISI IN UN ATTENTATO POCHI GIORNI FA
DA BEIRUT A PARIGI: IN UN MONDO CHE NON SI PREOCCUPA DELLE VITE DEGLI ARABI
Quando, dopo mezzanotte, un amico mi ha detto di controllare le notizie su Parigi, non immaginavo che mi sarei ritrovato di fronte alla cartina di una città che amo dove erano evidenziate le zone che stavano subendo attacchi terroristici contemporaneamente.
Ho zoomato sulla mappa, per guardare più nel dettaglio. Uno dei luoghi colpiti era vicino al posto in cui avevo soggiornato nel 2013, sullo stesso boulevard.
Più leggevo, più aumentava il numero dei morti. Era orribile. Era disumanizzante, una situazione completamente e irrevocabilmente disperata.
Il 2015 finisce nel modo in cui è iniziato, con attentati in Libano e Francia accaduti quasi nello stesso momento e causati da creature folli che diffondono odio, paura e morte ovunque si rechino.
Mi sono reso conto che ci sono due città piegate. I miei amici a Parigi, che solo ieri mi chiedevano cosa stesse accadendo a Beirut, adesso si trovano dall’altra parte. Entrambe le capitali sono state piegate e danneggiate, per noi forse non è una novità … ma per loro si tratta di un territorio mai esplorato prima.
Oggi a Parigi 128 civili innocenti non sono più con noi.
La scorsa settimana, a Beirut, 45 civili innocenti ci hanno lasciato. Il numero dei morti continua a salire, ma sembra che non impariamo mai.
In mezzo al caos, nella tragedia, c’è un pensiero che non mi lascia in pace. È lo stesso pensiero che riecheggia nella mia testa ogni volta che accadono eventi simili, cosa che sta diventando sempre più frequente: non contiamo davvero
Quando la mia gente è stata ridotta a brandelli nelle strade di Beirut, il 12 Novembre, i giornali titolavano: “Esplosione nella roccaforte di Hezbollah”, come se definire il background politico di una zona urbana potesse in qualche modo inserire il terrorismo in un dato contesto.
Quando il 12 novembre la mia gente è morta sulle strade di Beirut, i leader mondiali non hanno parlato di condanna.
Non ci sono state dichiarazioni di solidarietà verso la popolazione libanese. Non c’è stato lo sdegno mondiale per quelle vittime innocenti la cui sola colpa è stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Nessun accenno al fatto che le loro famiglie non dovevano essere lacerate in quel modo, che la setta d’appartenenza o le convinzioni politiche di qualcuno non dovrebbero essere collegate all’orrore per quei corpi bruciati sul cemento.
Obama non ha rilasciato alcuna dichiarazione, non ha detto che quelle morti rappresentano un crimine contro l’umanità .
D’altra parte, cos’è l’umanità se un un termine soggettivo che delinea il valore dell’essere umano indicato con questa parola?
Ci sono state, invece, le dichiarazioni di un aspirante senatore Americano che si è detto felice per la morte della mia gente, per la distruzione della capitale del mio paese, che degli innocenti avessero perso la vita e che tra le vittime ci fossero persone di ogni tipo.
Quando la mia gente è morta, nessun paese si è disturbato ad illuminare i suoi monumenti con i colori della bandiera libanese.
Facebook non ha mosso un dito per assicurarsi che la mia gente potesse “dichiarare di stare bene”, anche in modo così superficiale.
Quando la mia gente è morta, non c’è stato il cordoglio mondiale. La loro morte era solo un puntino irrilevante nel continuo flusso di notizie internazionali, qualcosa che accade… in quelle zone del mondo.
E sapete una cosa, mi va bene così.
Negli ultimi anni, mi sono abituato all’idea di essere tra queste vite che non contano, di cui non importa a nessuno. Sono riuscito ad accettarlo, a conviverci.
Nei prossimi giorni ci sarà un’altra ondata mondiale di Islamofobia.
Aspettatevi articoli su come l’estremismo non abbia a che fare con la religione, su come i membri dell’ISIS non siano dei veri musulmani.
E di certo non lo sono, perchè nessun essere umano con un briciolo di umanità farebbe una cosa simile.
L’ISIS pianifica queste reazioni di odio islamofobo, perchè in questo modo può servirsene per puntare il suo dito infernale e dire ad ogni orecchio suscettibile in ascolto: “Guarda, ti odiano”.
Sono pochi quelli capaci di ignorarli.
Nei prossimi giorni l’Europa dovrà fare i conti con una crescente ondata di odio contro i rifugiati. In molti punteranno il dito contro di loro, li accuseranno di essere responsabili di quanto accaduto a Parigi il 13 novembre.
Se solo l’Europa sapesse che, negli ultimi due anni, tutte le notti della vita di questi rifugiati sono stati come il 13 novembre parigino.
Ma le notti insonni contano solo quando il tuo paese è in grado di far illuminare il mondo intero con i colori della sua bandiera.
L’aspetto più spaventoso delle reazioni agli attentati di Parigi consta del fatto che alcuni arabi e libanesi si sono mostrati molto più preoccupati per quello che stava accadendo in Francia che per quello che è accaduto ieri, o il giorno prima, nella loro patria.
Perfino tra la mia gente serpeggia l’idea che non siamo così importanti, che le nostre vite non hanno valore e che i nostri morti non meritano di essere pianti, che non meritano preghiere.
Una spiegazione è rintracciabile, forse, nell’idea generale di una popolazione libanese che è più propensa a visitare Parigi piuttosto che Dahyeh, che si preoccupa più della prima città che non della seconda.
Quindi a molta gente che conosco, devastata dal caos parigino, non importa nulla di quello che è accaduto in una zona a 15 minuti di distanza dal posto in cui vive, a persone che probabilmente ha incrociato mentre percorreva quelle strade familiari.
Possiamo chiedere al mondo di considerare Beirut importante quanto Parigi, o chiedere a Facebook di aggiungere l’opzione “safety check” quotidianamente. Possiamo chiedere alle persone di preoccuparsi anche per noi.
Ma la verità è che non ci importa di noi stessi, in primis. Diciamo che è una questione di adattamento, ma non è così. Accettiamo che questa sia la “nuova normalità “, ma se questa è la normalità lasciamo pure che vada al diavolo.
In un mondo che non si preoccupa delle vite degli arabi, sono proprio gli arabi a guidare questa tendenza.
Elie Fares
(da “StateOfMind13″)
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