PD, PDL E GOVERNATORI: INCIUCIO ALL’ULTIMA SPIAGGIA
SPIAGGE, L’ACCORDO GIà€ C’È: NESSUNA VENDITA, CONCESSIONI TRENTENNALI A PREZZI RIDICOLI… LO STATO IN 10 ANNI HA RINUNCIATO A INCASSARE 5 MILIARDI
Le spiagge — o meglio gli spazi di pertinenza economica degli stabilimenti balneari — non verranno vendute (o sdemanializzate, come preferiscono dire i proponenti), però quasi: semplicemente le concessioni in essere verranno prorogate per la bellezza di trent’anni ai ridicoli prezzi attuali.
All’ingrosso quello che voleva fare Giulio Tremonti alla fine della legislatura 2001-2006 e a cui il centrosinistra si oppose levando al cielo alti lai sui beni pubblici.
Questo è l’accordo quasi segreto — raccontano fonti di maggioranza — che Pd, Pdl, Lega e presidenti di regione hanno già trovato in questi giorni: i dieci emendamenti fotocopia — quelli sulla vendita — presentati dai berlusconiani, dai democratici e dal Carroccio servono solo a rendere più digeribile il “compromesso” finale.
Almeno non le abbiamo vendute, potranno giustificarsi nel Pd, il partito che registra il maggior numero di contrari alla proposta.
L’intesa, si diceva, è quasi segreta perchè in realtà l’operazione propagandistica è già iniziata: “Il Pd alzi la voce, le spiagge sono di tutti — gonfia il petto il presidente della Toscana Enrico Rossi —. In realtà il problema delle concessioni degli stabilimenti marittimi si può risolvere con concessioni più lunghe”; “sarebbe politicamente inaccettabile e tecnicamente sbagliato — scandisce il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando —. Un conto è interrogarsi su come evitare che la normativa europea impatti in modo eccessivamente negativo sulle imprese; un altro è pensare di aggirarla svendendo il patrimonio ambientale e paesaggistico”.
Il riferimento è alla direttiva Bolkenstein, che imporrebbe la messa a gara di questo tipo di concessioni.
La soluzione tecnica, peraltro, è già scritta nell’emendamento presentato dalla viareggina Manuela Granaiola (una vera eroina dei concessionari, tanto da partecipare persino ai loro sit in con relativi, accorati discorsi alle “care ragazze e ragazzi del mondo balneare”) e firmato da altri otto senatori del Pd prima di essere ritirato, ieri sera, dopo una giornata di polemiche: oltre alla “sdemanializzazione” degli edifici pertinenziali — per capirci, cose tipo i ristoranti — l’ultimo comma propone proprio una proroga dai venti ai trent’anni delle concessioni in essere sulle spiagge.
Facile fin d’ora prevedere, alla fine, il riavvio della procedura di infrazione Ue che i governi Berlusconi e Monti bloccarono promettendo di far partire le gare.
Ci si potrebbe chiedere: ma qual è il problema?
Questo: lo Stato italiano svende (o concede per decine di anni, che è quasi lo stesso) le spiagge italiane e, per di più, si rifiuta di applicare la legge e incassare quanto sarebbe giusto.
“Quando fu Tremonti a proporre di allungare la concessione intorno ai 50 anni la sinistra, giustamente, si oppose con forza — ricorda Angelo Bonelli, lo scopritore dell’emendamento del Pd — Perchè oggi fa proposte che ricordano quelle di Tremonti?”.
Il fatto è, insiste il leader dei Verdi, “che si trattano le spiagge degli italiani come un fatto privato”: “Le imprese, poi, hanno già avuto quelle concessioni in assenza di qualsiasi gara di evidenza pubblica e sapevano perfettamente che la legge prevedeva (e prevede) che la proprietà sarebbe rimasta allo Stato”.
I “balneari”, però, sono una potenza economica con una provata capacità di influenza sulla politica.
Il risultato è il seguente: l’erario rinuncia a parecchi soldi realizzando di fatto un trasferimento di ricchezza dalla collettività all’imprenditoria privata.
Facciamo due conti: in Italia ci sono circa 32 mila concessioni sul demanio marittimo che nel 2012 hanno fruttato alle casse pubbliche 102 milioni di euro.
In media fa poco più di tremila e cento euro a stabilimento.
Ecco un esempio illustre: il “Twiga” di Flavio Briatore e Daniela Santanchè a Marina di Pietrasanta, per dire, paga 8.000 euro l’anno e a bilancio 2012 registra un fatturato di circa quattro milioni di euro e utili per quasi 400 mila.
Il paradosso è che la legge italiana fin dal 2003 (e con più incisività dal 2006) aveva previsto “l’adeguamento dei canoni demaniali”, cioè il loro aumento: peccato che il relativo decreto attuativo non sia mai arrivato.
“Questo significa che in dieci anni — spiega ancora Bonelli — lo Stato ha rinunciato a incassare circa cinque miliardi di euro, cioè quanto il Pdl prevede di incassare una tantum con la vendita. E la mia è una stima per difetto”.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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