RENZI SALVA AZZOLLINI MA PROVA A NON LASCIARE IMPRONTE
CAOS NEL PD, ZANDA FURIOSO CON LA SERRACCHIANI
Tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama, l’operazione ‘salvare il soldato Azzollini’ è entrata nel vivo lunedì, a ridosso del voto dell’aula sulla richiesta di arresto della procura di Trani nei confronti del senatore di Ncd.
Operazione gestita dal capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda insieme al sottosegretario Luca Lotti, fidatissimo consigliere di Matteo Renzi.
Insomma, la decisione presa oggi dall’aula del Senato di respingere la richiesta dei pm non è affatto una sorpresa in casa Dem, sebbene sulla carta sia avvenuta all’ombra di due incognite: il voto segreto e la libertà di voto assegnata da Zanda al gruppo Pd. Eppure ora, a voto fatto e arresto respinto, in casa Dem volano gli stracci.
Renzi si mantiene distante. Almeno fino a quando sarà possibile.
Il salvataggio di Azzollini è un ‘non-delitto’ senza lasciare impronte.
O almeno era questo l’intento al quartiere generale Pd.
Si vedrà se è riuscito, visto il caos che si è scatenato nel Pd. Zanda lascia filtrare di non aver deciso tutto da solo, come è logico che sia nei rapporti tra un capogruppo e il suo partito.
I renziani più vicini al premier giurano che su questa storia “il governo non c’entra niente”. Eppure – come anticipato dal Foglio, quotidiano molto vicino a Matteo Renzi – già da ieri si sapeva che Azzollini sarebbe stato salvato e che in aula il Pd avrebbe osservato libertà di voto.
Nessuna indicazione di partito, coscienze libere di rispettare l’indicazione della giunta per le immunità , favorevole all’arresto, oppure di respingerla.
Tanto da spaccarsi, con un rapporto di 40 (favorevoli all’arresto) a 60 (contrari), più o meno, ma del tutto trasversali. In questa storia non c’è la solita trama di scontro tra renziani e non renziani: entrambe le fazioni sono miste. C’è però lo scontro tra favorevoli e contrari.
Ci sono le argomentazioni di Pietro Ichino, rientrato nel Pd proprio per via di Renzi, che si dice “sconcertato” dalla debolezza dell’impianto accusatorio dei giudici.
E ci sono anche quelle di Luigi Manconi, che renziano non è mai stato, che pure spiega il suo no all’arresto sottolineando che sì, contro Azzollini c’è il “fumus persecutionis” e non ci sono ragioni per chiederne l’arresto: “Nulla tra le carte trasmesse lascia intendere che il senatore Azzollini voglia sottrarsi al giudizio, inquinare le prove o commettere nuovamente il reato di cui è accusato”.
Insomma, a dispetto della decisione della giunta, sconfessata oggi dall’aula, sono queste le argomentazioni sulla base delle quali Renzi e i suoi fanno valere le ragioni del no.
Ma l’aspetto mediatico, il rischio ‘gogna’, è un’altra cosa. Ed è questo che spinge Renzi a correre ai ripari.
E’ per questo che subito dopo aver messo in porto l’operazione salvataggio, il vicesegretario Debora Serracchiani si dissocia, dice che avrebbe “votato sì”.
E di fronte ai tre senatori di minoranza Dem (Fornaro, Gatti e Pegorer) che le chiedono perchè “non abbia parlato prima”, rincara: “Su Azzollini non abbiamo fatto una bella figura, dovremmo chiedere scusa”. Panico.
Al Senato si scatena la rabbia contro il vicesegretario. Zanda è furioso.
Tutta la responsabilità cade su di lui, a cascata. E poi: Serracchiani parla a nome di Renzi o in maniera autonoma? E’ la domanda che gira nei corridoi di Palazzo Madama.
Di certo, Serracchiani tende a distinguersi, tra i renziani c’è chi dice stia lavorando ad un suo ‘gruppetto’, simil-corrente.
Ma è altrettanto ovvio, spiegano fonti vicine al premier, che Serracchiani non parla per danneggiare Renzi. Tanto più che chiedendo al Pd di scusarsi, lancia la palla proprio nel campo del segretario.
E non è detto che il leader Dem non accolga. Potrebbe anche parlare di scelta sbagliata del Pd su Azzollini. Potrebbe.
Insomma, un po’ come quando, mesi fa, sull’onda della condanna della Corte di giustizia Ue per le “torture” perpetrate dalla polizia sui noglobal della scuola Diaz di Genova al G8 2001, il presidente del Pd Matteo Orfini chiese le “dimissioni dell’allora capo della polizia Gianni De Gennaro da Finmeccanica”.
Renzi lasciò correre. De Gennaro è ancora lì.
C’è chi lo chiama “gioco delle parti” per resistere alla bufera grillina che naturalmente si sta abbattendo sul Pd.
I più maligni parlano di “diverse parti in commedia”, finchè passa la bufera. Più o meno siamo lì.
I renziani però giurano che non c’è un retroscena politico di questa storia. “Tanto più che su Azzollini Ncd non ha minacciato di far cadere il governo — dice una fonte renziana — Alfano ha scaricato il senatore. Chi invece si è attivato molto in Senato è stato Schifani, che ha chiamato uno per uno i senatori per chiedere il voto contrario all’arresto…”.
Alle possibili ricadute sul governo, nessuno crede nel palazzo. Men che meno ora che Denis Verdini ha annunciato la nascita del suo nuovo gruppo al Senato, scialuppa di salvataggio per il governo.
Però, spiegano fonti Dem renziane, è vero che “ormai Renzi flirta con l’elettorato moderato di centrodestra”.
In vista di possibili alleanze alle amministrative e magari anche in vista di una possibile modifica all’Italicum, che i centristi chiedono da mesi e che per ora Renzi non accoglie, pur conoscendo i limiti della sua legge.
Si vedrà . Resta il ‘pasticciaccio brutto’ del Pd, frantumato anche sul caso Azzollini.
E pensare che, agli inizi di giugno, quando si seppe della richiesta di arresto, il primo istinto dei Dem fu di dire sì.
Tanto che subito cominciarono a ipotizzare possibili sostituti di Azzollini alla presidenza della Commissione Bilancio del Senato.
Orfini fu addirittura esplicito: “Inevitabile che il Pd voti a favore dell’arresto”. Poi, di fronte alla furia di Ncd, corresse: “Vanno prima studiate le carte”.
Da allora è passato più di un mese, Azzollini ha fatto il ‘buon gesto’ di dimettersi dalla presidenza della Bilancio, in giunta hanno studiato le carte e molto hanno arricciato il naso: non convince.
Però poi hanno votato sì. Capitolo chiuso?
(da “Huffingtonpost”)
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