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RESPONSABILITA’ CIVILE, ORA GIUDICI E PM RISCHIANO UNA PIOGGIA DI RICUSAZIONI

UN MAGISTRATO PUO’ RITROVARSI A ESSERE CONTROPARTE DEL SUO INDAGATO, MAGARI “ECCELLENTE”, NELLA CAUSA CIVILE… UN CORTO CIRCUITO CHE PORTERA’ A RICHIESTE DI ASTENSIONE DAL PROCEDIMENTO PENALE…L’ALLARME DI DAVIGO… BALLE CHE CE LO CHIEDA L’EUROPA, ALL’ESTERO LE COSE VANNO DIVERSAMENTE

La nuova legge sulla responsabilità  civile dei magistrati nasconde un cortocircuito in grado di condizionare i processi ancor più di quanto lamentino le toghe di ogni colore dopo l’approvazione definitiva della riforma fortemente voluta da Matteo Renzi e dal ministro della Giustizia Andrea Orlando.
Un giudice o un pm potrebbero diventare controparti del loro imputato o indagato in un altro processo, quello civile determinato appunto da una richiesta di risarcimento per responsabilità  civile.
Perchè con la nuova legge sparisce l’udienza “filtro” in tribunale che fino oggi valutava l’ammissibilità  o meno del ricorso.
Così il ricorso si traduce immediatamente in una causa civile, poi come andrà  a finire si vedrà . Ma intanto il cortocircuito sarà  innescato: giudice o pm nell’aula penale, parte in causa chiamata a difendersi dalle pretese dell’imputato nell’aula civile.
ANM: “INCENTIVATO RICORSO A RICUSAZIONI”
Dopo l’approvazione della riforma, molti magistrati hanno puntato il dito contro il rischio di intimidazione, specialmente quando indagati (magari arrestati) o imputati sono particolarmente ricchi e potenti: pezzi grossi della politica, boiardi di Stato, grandi aziende private o pubbliche.
Contro i quali, con la nuova legge che oltre a eliminare il filtro allarga il campo della responsabilità  all’opinabile “travisamento del fatto o delle prove”, qualche toga potrebbe scegliere di procedere con i piedi di piombo.
Ma, appunto, c’è il rischio ancora più concreto che questi personaggi si trovino in mano uno strumento in più per “scegliersi” il proprio giudice.
Il 22 febbraio, l’Associazione nazionale magistrati ha deliberato lo “stato di mobilitazione” contro la riforma, e le ultime due righe del documento contengono un accenno diretto alla questione, quando si chiede di “segnalare al legislatore le gravi ricadute che la normativa attuale potrebbe avere sulle organizzazioni interne, incentivando il ricorso agli strumenti dell’astensione e della ricusazione“.
Piercamillo Davigo, oggi leader della corrente Autonomia e indipendenza, appena staccatasi dalla conservatrice Magistratura indipendente, aveva evocato questo spettro qualche giorno prima sul Corriere della Sera.
E aveva citato una sentenza di Cassazione (la numero 18 del 18 gennaio 1989) che testualmente recita: “Comunque va sottolineato che la previsione del giudizio di ammissibilità  della domanda (il “filtro” cancellato dalla nuova legge, ndr) garantisce adeguatamente il giudice dalla proposizione di azioni manifestamente infondate che possano turbarne la serenità , impedendo, al tempo stesso, di creare con malizia i presupposti per l’astensione e la ricusazione”.
Malizie che si sono viste spesso, da Tangentopoli in poi, nelle aule di giustizia del nostro Paese.
IL PM IN AULA. PER DIFENDERSI DALL’IMPUTATO
Nè la vecchia nè la nuova legge parlano di astensione o ricusazione dei magistrati in caso di azione per responsabilità  civile. Per arrivare all’escamotage, bisogna unire un po’ di puntini.
Il risarcimento è chiesto allo Stato, in particolare alla Presidenza del consiglio dei ministri.
Se poi lo Stato viene condannato, può rivalersi sul magistrato. Con la riforma, la rivalsa “non può superare una somma pari alla metà  di una annualità  dello stipendio” (con la vecchia legge era meno, un terzo dello stipendio).
Ma il magistrato può intervenire nel giudizio civile, per difendersi al meglio e cercare di evitare di dover poi sborsare la somma. In questo modo, diventa parte in causa , e il cortocircuito scatta.
L’indagato o l’imputato possono quanto meno chiedere, e con qualche fondamento, che si astenga dal prendere ulteriori decisioni sul loro conto nel procedimento penale. E certo è minata la “serenità ” del magistrato nel giudizio.
Probabilmente il ministro Orlando aveva in mente anche questo quando si è detto pronto “con grande laicità ” a valutare “l’effetto prima applicazione” della riforma. E “a correggere alcuni punti che sono stati segnalati”. Anche se si è detto convinto “che molti pericoli paventati non hanno riscontro nella realtà ”.
DALLA FRANCIA ALLA GERMANIA, TUTTI I “FILTRI” AI RICORSI
La nuova responsabilità  civile all’italiana ha almeno riscontro nei sistemi dei nostri partner europei?
Scorrendo uno studio della Camera dei deputati datato 16 dicembre 2011 pare proprio di no. In Francia, per esempio, l’azione “deve essere autorizzata preventivamente dal Primo presidente della Corte d’appello”.
Il famoso filtro, insomma. In Germania, ci informa l’Ufficio studi della Camera, la responsabiltà  civile esiste, ma viene tutelato il principio secondo il quale “nell’interesse dell’imparzialità  del giudice, egli non debba temere azioni o ritorsioni per le decisioni assunte”.
E gli atti provvisori, come gli ordini di custodia cautelare, a differenza di quanto accade in Italia sono esclusi da azioni di responsabilità .
Nel Regno Unito, la common law prevede “l’esonero dalla responsabilità  civile del magistrato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni”, poi “temperato” dalla necessità  di adeguarsi alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare sul fronte dell’ingiusta detenzione.
In Spagna, infine, la responsabilità  civile si può esigere solo dopo la conclusione del processo “in cui si presuma sia stato prodotto il danno”.
LO STUDIO DELLA CAMERA: “ATTENTI ALLE AZIONI TEMERARIE”
Nello stesso studio sono riportati i pareri di diversi giuristi che mettono in guardia dal trasformare la responsabilità  civile in una sorta di quarto grado di giudizio, o comunque in uno spauracchio per le toghe.
Laura Frata sottolinea che il numero di ricorsi accettati in Italia con la legge Vassalli del 1988 è stato sì esiguo — un cavallo di battaglia di Orlando per perorare la riforma   — ma bisogna ricordare “che la possibilità  di agire in via risarcitoria a fronte di attività  gravemente negligente del magistrato è stata concepita come rimedio eccezionale, quale extrema ratio“.
Mentre Vincenzo Varano perora la causa del “filtro”, che se da un lato riduce le probabilità  di successo dell’azione di responsabilità , dall’altro fissa “un meccanismo di deterrenza a monte contro azioni temerarie, artificiose, fittizie, di mera turbativa, in una materia delicatissima perchè ha insito il pericolo di compromettere il corretto esercizio della funzione giurisdizionale”.
Quando si tratta di materia penale, le fatiche dei tecnici degli uffici studi parlamentari e ministeriali finiscono spesso per risultare vane, come nel caso della prescrizione e del falso in bilancio.
LA GIURISTA: “RIFORMA BUONA, MA RISCHIO ABUSO C’E’”
Fra i contributi citati nello studio c’è quello di Francesca Bonaccorsi, avvocato e dottore di ricerca all’Università  di Pisa.
Rispetto alla Vassalli, spiega a ilfattoquotidiano.it, “il testo è stato mutato soprattutto sulla valutazione della colpa grave. Prima la responsabilità  c’era solo quando il magistrato affermava un fatto inesistente o ne negava uno accertato nel processo, oppure se emetteva un ordine di custodia senza motivazione o presupposti di legge. La nuova formulazione aggiunge come colpa grave ‘la violazione manifesta della legge nonchè del diritto dell’Unione europea, il travisamento del fatto o delle prove’”.
Bonaccorsi ridimensiona i rischi di condizionamento dei magistrati, perchè “la valutazione dei colleghi sarà  restrittiva” e alla fine “a rispondere è lo Stato”. La giurista dà  una valutazione positiva della riforma, caduta dell’udienza filtro compresa, perchè finora i casi di ricorsi accettati sono stati “davvero troppo pochi”.
Ma ammette: “Che si presti all’abuso è chiaro, un margine ci può essere. Il cittadino potrà  chiedere l’astensione o la ricusazione. Ma la valutazione spetterà  comunque a magistrati”.
Alle preoccupazioni delle toghe, infine, dà  voce Antonio Di Pietro, con la consueta efficacia oratoria: “Se all’epoca di Mani pulite fosse stata in vigore questa legge”, dice all’AdnKronos, “avrei passato il mio tempo a difendermi dalle denunce, invece che a fare le indagini. Ogni persona che avrà  a che fare con la giustizia penserà  a denunciare il magistrato per evitare di essere giudicato, un po’ come fanno gli automobilisti pizzicati dall’autovelox: tutti fanno ricorso”.

Mario Portanova
(da “il Fatto Quotidiano”)

This entry was posted on giovedì, Febbraio 26th, 2015 at 14:52 and is filed under Giustizia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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