“RICOSTRUIAMO QUA”. GLI ESPERTI: SI PUO’ FARE, BASTA ERRORI”
SERVONO CASE PROVVISORIE PER MASSIMO DUE ANNI, COME IN FRIULI E IN EMILIA
Case a pezzi su esistenze che non si arrendono. Vorrebbero ricrescere sulle macerie come se i mattoni fossero erba, tornare a sorgere uguali ma più forti, in grado di dondolare e vibrare senza accartocciarsi su se stesse, senza uccidere.
“Ho dovuto far demolire un pezzo di municipio per recuperare due persone di Arquata finite sotto la loro casa” che si trovava proprio lì, attaccata, dice Aleandro Petrucci sindaco di Arquata del Tronto. Ha dovuto togliere un altro pezzo alla sua città per liberare una delle case cadute giù col terremoto del 24 agosto.
Sono 46 i morti del comune che contava 1178 abitanti della provincia di Ascoli Piceno nelle Marche. Fino a ieri era noto per la rocca medioevale e per il vino Pecorino. Oggi lo è per il sisma che ha raso al suolo quel comune d’Europa racchiuso tra il Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, a sud, e il Parco nazionale dei Monti Sibillini a nord.
“I nostri paesi d’inverno sono quasi totalmente disabitati, d’estate almeno triplicano il numero degli abitanti”, spiega il primo cittadino.
“Mi ha telefonato il premier Renzi ieri sera, non me lo aspettavo – racconta il sindaco – mi ha sostenuto e spronato, mi ha assicurato che oggi il Consiglio dei ministri si sarebbe riunito. Mi ha detto ‘tieni forte’. Presidente siamo nelle sue mani, ho risposto io, e se volete che il comune rinasca servono interventi massicci. Renzi mi ha assicurato che già nel Consiglio dei Ministri di oggi ci saranno gli interventi straordinari”. Lo stanziamento dei primi 50 milioni per l’emergenza.
“Il problema – continua Petrucci – non è la prima accoglienza; speriamo che non ci abbandonino, altrimenti è finita, è desolante stare qui, tutte le case sono lesionate. Gli anziani non vogliono andare nelle tendopoli ma questo potrà durare per pochi giorni”.
Gli anziani non si spostano, sopravvivono dove hanno messo radici, a fondo, nella propria terra. Sono fieri del paese dove passò san Francesco nel 1215 e pernottò Garibaldi nel 1849, sulla strada per Roma. “Che alcuno non se parta della terra d’Arquata e suo contado con animo de non ritornare a detta terra”, si legge nello Statuto d’Arquata del 1574, una delle frasi più note legate a questo comune.
“La gente vuole che le case vengano ricostruite dove erano” dice il sindaco, “tutti pensano già al futuro. Mi hanno chiesto di ricostruire dove già erano le case. Arquata è un monumento storico con la Rocca, che dovrà essere il simbolo della rinascita, e le case del Cinquecento. Anche Pescara ha una sua storia. La gente vuole restare qua”. E anche ad Amatrice sindaco e cittadini vogliono che la città rinasca dov’è ora. L’obiettivo per il primo cittadino, Sergio Pirozzi, è di ricostruire dov’è ora “più simile possibile a prima”.
E chi ha dormito nelle tende, si sveglia dopo poche ore di sonno. Torna tra le macerie. “La notte è andata bene e abbiamo riposato ma siamo senza niente” dice Emidia, ospite del campo di Pescara del Tronto.
“Devo tornare in casa – aggiunge – per recuperare medicine e documenti. Mio marito non ha voluto abbandonare casa”. Come molti altri. Così, da stasera, una seconda tendopoli oltre quella di Pescara, sarà pronta a ospitare chi vuole restare il più vicino possibile alle proprie abitazioni. Allestita dalla Protezione civile, si trova nel campo sportivo a ridosso del centro di Arquata.
Federico Oliva, condirettore della Rivista Urbanistica e professore di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, è ottimista. “Le polemiche non servono. All’Aquila uno dei problemi fu la grandezza del centro storico. E ci furono scelte sbagliate, dalle quali però abbiamo imparato.
L’approccio delle New Town è stato un errore. Quelle 19 città che Berlusconi fece sorgere in luoghi disponibili, con una scelta del tutto casuale e che non durarono, perchè erano fatte male. Quello che è davvero importante per la ricostruzione è agire per gradi”. Con metodo giusto.
“Superata l’emergenza delle tendopoli, che sorgono subito dopo il terremoto – continua Oliva – si fanno le costruzioni temporanee. Map, i Moduli abitativi provvisori della Protezione civile.
Ma questa parte temporanea deve davvero essere temporanea, durare due, tre anni, poi deve essere smontata.
Così si fece in Friuli, dopo il terremoto del ’76, che distrusse Gemona dove questo metodo ha funzionato.
Negli anni della ricostruzione in molti si spostarono nelle campagne vicine per non restare in case provvisorie. Ma alla fine tornarono a ‘casa’. E così è stato anche dopo il sisma del ’97 in Umbria e nelle Marche del 1992 come nel 2012, nel terremoto in Emilia”, spiega. “Il sindaco di Arquata ha ragione, bisogna ricostruire, ci vorrà tempo. Ma si può fare, lì come ad Amatrice e Accumoli. Si faranno case nello stesso punto, magari non nello stesso modo. Saranno abitazioni dal punto di vista energetico più confortevoli, più adatte a famiglie di questo secolo. Se si affronta la ricostruzione con quello che abbiamo imparato, se si aspetta, si può fare”.
D’accordo il ministro dei beni Culturali Dario Franceschini: “Ricostruire i borghi è una grande sfida inedita che il paese dovrà condurre, ma che l’Italia deve a quelle comunità locali straziate che vogliono avere nella loro prospettiva poter tornare a vivere nei loro borghi così come erano. Le possibilità ci sono. È un percorso più difficile e più lungo, ma che credo che si deve condurre. L’Appennino ha già il problema di borghi abbandonati, di una bellezza straordinaria”.
Arquata è crollata, collassata su stessa. Mentre Norcia, distante pochi chilometri, è ammaccata ma ancora in piedi. “Siamo fortunati ma questa nostra fortuna è stata aiutata da scelte politiche importanti: dopo il terremoto del 1979 è stata messa in atto una ristrutturazione di Norcia e di tutte le frazioni, non è stato semplice, ci sono voluti anni, ma abbiamo voluto ricostruire tutto rispettando le norme antisismiche, visto che siamo una zona sismica ad alto rischio”, racconta l’assessore del Comune di Norcia, Giuseppina Perla. “Dopo aver preso quella decisione – dice -, abbiamo ristrutturato secondo la normativa antisismica, per cui, dopo le scosse di ieri, le lesioni e i crolli più importanti li abbiamo avuti solo negli edifici vecchi non ristrutturati. Certo, questo non vuol dire che le case costruite con criteri antisismici non abbiano subito lesioni, ma sono lesioni contenute, che hanno salvato tante vite umane. Quindi aver speso quei soldi in più per una ricostruzione che tenesse conto dei criteri antisismici, ha dato i suoi frutti”.
Si può fare.
Ricostruire. La gente già ci pensa, si aggrappa all’idea di una casa anche se è ancora troppo presto, ci sono le macerie, i dispersi, le tende sono nuove. “Stiamo già lavorando a una serie di cose – spiega una fonte dell’Esecutivo -. Adesso c’è la gestione dell’emergenza. Poi c’è da progettare l’intervento di ricostruzione ma visto che il problema del rischio sismico è più generale, una delle ipotesi è quella di lavorare a un programma integrale”. Un piano che potrebbe mettere insieme fondi pubblici, agevolazioni ai privati e risorse europee.
Nel Lazio, al termine della Giunta regionale convocata in seduta straordinaria, il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, sui tempi non si sbilancia: “Valuteremo presto con il governo i costi della ricostruzione che faremo con i sindaci di Amatrice e Accumoli”.
Per le aree colpite dal terremoto serve “un piano”, con “fondi, finanziamenti e aiuti” e la politica deve dimostrare senso di unità “, afferma la presidente della Camera Laura Boldrini che ha visitato la nuova tendopoli di Arquata del Tronto, “le persone preferiscono dormire in macchina pur di non lasciare il loro posto e noi dobbiamo tenere conto di questo. Anche perchè abbiamo visto in passato che allontanare le persone in via definitiva è molto negativo, non funziona”. “Dobbiamo evitare – conclude Boldrini – per quanto possibile, le New Town”.
New Town. Città nuove col nome da cartone animato che fanno immaginare tetti rossi e finestrelle verdi. Troppo lontane dalla nostra storia. E non compromettere la “bella articolazione urbana” dei centri colpiti dal terremoto “con l’edificazione di New Town, come è stato fatto a L’Aquila”, è quanto sostiene anche Vittorio Sgarbi, che è anche assessore alla Rivoluzione al Comune di Urbino e ricorda il buon modello del Friuli e di Nocera.
Il critico parla di Arquata che, insieme a Amatrice e Accumoli, è “un centro importante”. C’è la chiesa di San Francesco che custodisce una copia della Sindone di Torino, rinvenuta nel corso del restauro nel 1600. Il telo si trovava piegato e racchiuso in un’urna dorata, nascosta dentro la nicchia di un altare. Nessuno vuole lasciare le proprie case a pezzi, ricostruire è possibile, case di pietra, che il vento non sposti e che il fuoco non distrugga.
Per il post-terremoto, con un provvedimento previsto dall’ultima legge di Stabilità e attuato con una delibera pubblicata in Gazzetta Ufficiale proprio venti giorni fa, afferma Confedilizia, il governo “ha varato un sistema di gestione delle calamità naturali che permette a cittadini e imprenditori danneggiati di ottenere considerevoli aiuti per la riparazione o ricostruzione delle case e per il ripristino delle attività produttive. Confidiamo che le relative risorse siano incrementate, a beneficio delle popolazioni colpite dal sisma che ha colpito Lazio e Marche”.
Censimento del costruito, agevolazioni per aiutare i privati a sostenere i costi di eventuali interventi, polizza assicurativa obbligatoria per ridurre le spese che lo Stato si trova a dover affrontare per la ricostruzione.
Ci sono cose da fare per ridurre i mille pezzi che un terremoto sbriciola. Paolo Clemente, ingegnere civile e responsabile del laboratorio prevenzione rischi naturali e mitigazione effetti dell’Enea, parla di prevenzione. “Per gli edifici di nuova costruzione sappiamo cosa va fatto: dalla scelta di un sito adeguato ai materiali che vanno utilizzati, al modo in cui va realizzato. Il problema – dice – sono gli edifici già esistenti”.
“In Italia la classificazione sismica si è evoluta lentamente. Fino al terremoto dell’Irpinia nel 1981, solo il 25% del territorio nazionale era classificato sismico. Oggi circa il 70% del costruito non risponde ai requisiti attuali”. Gli edifici di oggi risalgono quasi tuti a prima degli anni Settanta. “Si dovrebbero raccogliere i dati di ogni edificio, analizzarli e operare una prima classificazione tra gli edifici che sono in regola e quelli che invece presentano criticità e per questi ultimi effettuare ulteriori approfondimenti per capire come intervenire”.
Oggi però la gente guarda le case a pezzi, non le lascia, le aspetta, le immagina di nuovo in piedi. E si cominicia a progettare. Tutte le 13 chiese di Arquata del Tronto e delle sue diverse frazioni, che si estendono su un area montuosa di 93 chilometri quadrati, sono semidistrutte o inagibili. Il vescovo di Ascoli Piceno mons. Giovanni D’Ercole sta pensando di costruire chiese in legno. “Il recupero potrebbe essere molto lungo – dice D’Ercole – bisogna farle in legno, è la via più praticabile”, la più veloce. Le pietre cadute devono aspettare, ma torneranno in piedi.
(da “La Repubblica”)
Leave a Reply