RIVOLTA IN FORZA ITALIA: IN 37 PER IL SENATO ELETTIVO, OLTRE META’ DEL GRUPPO CONTRO IL PATTO DEL NAZARENO
LA DOPPIA FRONDA SULLE RIFORME, NEL PD ESCONO ALLO SCOPERTO 19 DISSIDENTI, ALLARME PREFERENZE
Forza Italia sulle riforme mette a repentaglio il patto del Nazareno. Il big bang matura nella riunione di gruppo a Palazzo Madama, che sfugge al controllo di Berlusconi.
La maggioranza dei senatori, 37 su 59, firma emendamenti per chiedere l’elezione diretta del Senato. L’esatto contrario di quanto prevede il pacchetto Renzi, pur blindato da Verdini e Romani.
Alla base c’è il panico da rielezione di molti parlamentari.
Ma ha funzionato da miccia l’incontro in streaming del premier coi Cinque stelle e quell’apertura alle preferenze nella legge elettorale che a parecchi forzisti proprio non va giù: «Se passano, facciamo saltare tutto » è la minaccia che nel centrodestra sta prendendo corpo.
Al Senato ma anche alla Camera, dove il capogruppo berlusconiano Brunetta chiama in gran segreto i colleghi nemici del “patto delle riforme” e con loro invoca e ottiene una riunione plenaria per la prossima settimana, alla presenza dell’ex Cavaliere.
All’assemblea del gruppo a Palazzo Madama invece ieri mattina Berlusconi non si è presentato. Verdini e Romani lo avevano raggiunto a Grazioli con Giovanni Toti e Maria Rosaria Rossi prima di chiamare a rapporto i senatori, rassicurandolo sulla tenuta.
E invece salta tutto.
Verdini e Romani puntano a chiudere in poche battute la riunione: «Dunque, la riforma va approvata così com’è, al più con qualche modifica, ma il patto deve reggere su tutto, altrimenti rischiamo di veder saltare anche l’Italicum », mette in guardia coi consueti metodi spicci il senatore toscano, gran tessitore dell’intesa.
Toti e la Rossi nemmeno parlano. Ma a quel punto si scatenano i senatori.
Parte Augusto Minzolini, e a seguire Razzi, Caliendo, Zuffada e altri ancora.
Tutti a favore del Senato elettivo e dunque intenzionati (con una quarantina di emendamenti) a stravolgere il testo del governo.
L’ex direttore del Tg1 è il più agguerrito, primo firmatario delle proposte di modifica. «Io non voto questa riforma. Non cadiamo nel tranello di Renzi – alza i toni – Lui minaccia il voto ma non può fare nulla, non andrebbe mai alle elezioni col “Consultellum”. I senatori devono essere eletti dal popolo».
Dopo, è un coro. Altri come Cinzia Bonfrisco stanno per intervenire per rincarare. Al punto che Verdini e Romani sono costretti a sospendere i lavori e rinviare tutto a martedì prossimo.
A Silvio Berlusconi toccherà presentarsi di persona per far rientrare i “ribelli”, se ne avrà ancora il potere e la forza.
È un leader dimezzato, fiaccato e in attesa di una nuova pesante sentenza. Già , proprio la sentenza Ruby in appello, che segue la condanna in primo grado a sette anni per prostituzione minorile.
A partire dal 18 luglio è atteso il pronunciamento del secondo grado di giudizio.
Ed è qui che l’ennesima vicenda giudiziaria di Berlusconi si intreccia con l’agenda delle riforme. Il Pd punta ad accelerare e non poco.
Da lunedì iniziano le votazioni in commissione sul testo Boschi. Il capogruppo Zanda e i dem vorrebbero chiudere nel giro di una settimana per approdare in aula il prima possibile per strappare il primo “ok” alla riforma proprio entro la data fatidica del 18.
«Fino a quel giorno, il capo forzista manterrà i toni bassi, dopo, tutto potrebbe succedere» è il tam tam nel Pd.
Sul Senato elettivo del resto cresce la fronda anche tra i democratici.
Ieri scadeva il termine per presentare i sub-emendamenti e 19 senatori pd, guidati da Chiti, Casson, Tocci hanno firmato proposte in favore dell’elezione diretta e del mantenimento a certe condizioni dell’immunità .
Con loro, anche il popolare Mario Mauro, i sette di Sel capeggiati da Loredana De Petris e i 14 fuoriusciti dal M5s.
L’ex ministro Mauro parla di «deriva autoritaria» nella strategia delle riforme. Come se non bastasse, è stato depositato un emendamento pd con una cinquantina di firme per ridurre il numero dei deputati.
Fibrillazioni che tuttavia al Nazareno vengono minimizzate. Che il premier sia intenzionato ad andare dritto per la sua strada lo si capisce dalla sortita del vicesegretario dem Lorenzo Guerini: «Il percorso procederà secondo la direzione e i tempi previsti».
Convinti che anche le mine interne a Forza Italia saranno disinnescate da qui a qualche giorno. In ogni caso, un conto sarà la partita con numeri più risicati – anche se ormai blindati dal Pd – che si giocherà da lunedì in commissione Affari costituzionali, altra cosa in aula.
Se pure il Carroccio e il M5s dovessero schierarsi con il “partito del Senato elettivo”, l’asticella si fermerebbe più o meno intorno ai 134 senatori.
Mentre la maggioranza pro-riforme è compresa in una forbice variabile tra i 163 e i 186.
Il premier resta convinto di poter andare anche oltre.
Non si raggiungeranno comunque i due terzi necessari per evitare il referendum confermativo, ma questo ormai Renzi lo ha messo nel conto.
Casadio e Lopapa
(da “La Repubblica“)
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