SAVIANO CANDIDA IVAN, IL BRACCIANTE INGEGNERE: “SI E’ BATTUTO PER DIRITTI CHE NON DIFENDIAMO PIU'”
LO SCRITTORE PROPONE COME SINDACO DI CASTELVOLTURNO IL RAGAZZO DEL CAMERUN CHE GUIDO’ LA PROTESTA DEGLI IMMIGRATI: UNO SCIOPERO NEI CAMPI DA CUI E’ NATO IL REATO DI CAPORALATO
L’Italia è il primo produttore al mondo di pomodori. E l’intera filiera è in mano alla criminalità organizzata.
Parte da qui, Roberto Saviano, in “Che tempo che fa del lunedì”.
Dal business dell’agricoltura che frutta alle mafie 50 miliardi ogni anno.
Ma alla denuncia si accompagna la storia: il racconto di una vita e di “un’avventura italiana”.
E’ quella di Ivan Sagnet, bracciante e ingegnere.
Un ragazzo venuto dal Camerun, innamorato dell’Italia dai mondiali del ’90. Arriva grazie a una borsa di studio e al sacrificio dei suoi, Ivan. Per studiare al Politecnico di Torino.
Ma la sua avventura italiana si complica con la crisi. Perde il lavoro di commesso nel weekend, con cui riusciva a mantenersi agli studi.
E finisce, nell’estate 2011, a lavorare in un campo di pomodori a Nardò, in provincia di Lecce. Agli ordini di un caporale ghanese.
Per ogni cassone riempito, il bracciante riceve 3 euro e mezzo. Il primo giorno Ivan riesce a prepararne solo quattro: 14 euro per 12 ore di lavoro.
Poi diventa un po’ più veloce.
Ma i soldi vengono “tassati” dai caporali. E si deve pagare per mangiare, per bere, per uno spazio su un materasso, perfino per farsi portare in ospedale quando ci si sente male. E si viene stipati in 25 su furgoni da 10 persone. Con cinque docce per 500 lavoratori.
La rivolta esplode quando il padrone – l’imprenditore agricolo – chiede che venga modificata la tecnica nei campi: i pomodori devono essere staccati uno a uno.
Il lavoro sarà rallentato, ma la paga – per ogni cassone riempito – resterà la stessa. Parte la contestazione. E Ivan diventa un leader.
Chiede, guidando i suoi compagni, che la paga salga a 6 euro (il caporale – hanno scoperto – ne guadagna 15).
Ed è sciopero, una protesta che blocca la produzione.
La prima risposta è un no. Netto. Poi parte la trattativa: 4,5 euro, è la controproposta dei caporali.
Ma è una questione di diritti, non di denaro. E Ivan dice non ci sta. Braccia incrociate. Arriva l’attenzione della politica, dei sindacati. Ma i guadagni si bloccano, per tutto il comparto. E cominciano i mugugni.
La protesta si affievolisce, il ragazzo camerunense viene contestato dai suoi compagni. Minacciato.
E torna a Torino. Ma è un isolamento che dura poco. Gli altri immigrati gli chiedono di tornare. E di riprendere la lotta.
Da quell’estate di proteste, nelle campagne di Nardò, nasce il reato di caporalato nella nostra legislazione. “Gli immigrati non vengono qui solo a fare lavori che gli italiani rifiutano – dice Saviano – ma anche a battersi per diritti che noi non difendiamo più”. E ancora: “Il consiglio comunale di Castelvolturno è sciolto da mesi per camorra. Territorio difficile, con una presenza enorme di mafia nigeriana. Ma è anche una terra laboratorio. E Ivan sarebbe un ottimo candidato sindaco”.
Ivan parla, chiede più controlli, più legalità , più collaborazione con gli ispettori.
Ma chiede, innanzitutto, che chi nasce nel nostro Paese – figlio di immigrati – possa essere e sentirsi italiano.
(da “La Repubblica”)
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