“SENZA ABUSI D’UFFICIO SOPRUSI NON PUNIBILI”: IL CSM AVVERTE IL GOVERNO
DAL SINDACO “VENDICATIVO” AL DIRIGENTE CHE ASSUME LA NIPOTE: I CASI VERI
Il sindaco che non rinnova l’incarico a un funzionario “per fini ritorsivi e discriminatori“. Quello che requisisce l’immobile oggetto di una causa civile a cui è personalmente interessato. Quello che nega un’autorizzazione perché “il marito della richiedente non gli aveva fornito adeguato sostegno in occasione delle precedenti consultazioni elettorali”. O quello che ordina “la revoca dell’incarico dirigenziale ricoperto da un dipendente candidatosi in una lista contrapposta“. Sono tutti esempi recenti di pubblici amministratori condannati in via definitiva per abuso d’ufficio, cioè per aver violato la legge allo scopo di favorire qualcuno danneggiando qualcun altro. Domani, quando il reato non esisterà più, quelle condotte non saranno più punibili, e le condanne irrevocabili già emesse (3.623 dal 1997 al 2022, in media 140 all’anno) saranno cancellate con effetto retroattivo. A ricordarlo è il Consiglio superiore della magistratura nella bozza di parere sul ddl Nordio, il progetto di riforma che abolisce la fattispecie penale più odiata dai primi cittadini, approvato nei giorni scorsi dal Senato e ora all’esame della Camera per il via libera definitivo. Nel documento licenziato all’unanimità dalla Sesta Commissione – oggi all’esame del plenum, l’organo al completo – i consiglieri di palazzo dei Marescialli inseriscono una rassegna di casi concreti tratti dalla giurisprudenza della Cassazione, per mettere in guardia il Parlamento sulle conseguenze dell’abrogazione: ne viene fuori, scrivono, “un quadro alquanto variegato delle condotte di abuso di vantaggio (profittatorio) o di danno (vessatorio, discriminatorio, ritorsivo o prevaricatorio)” che con la nuova legge non costituiranno più reato. Salvando i sindaci disonesti, certo, ma non solo loro.
I soprusi per cui la Suprema Corte ha confermato le condanne negli ultimi anni, infatti, sono stati commessi dalle figure più varie. C’è “un dipendente comunale che (…) aveva intenzionalmente procurato a sé e ai propri familiari un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nell’affidamento diretto alla società di cui essi erano parte di numerosi incarichi per lavori per un importo di svariate migliaia di euro” (sentenza n. 10067 del 25/02/2021); “un dirigente comunale del settore politiche sociali che (…) omettendo di astenersi dal predisporre il bando di gara e dal presiedere la relativa commissione esaminatrice (…), ha, con affermazioni generiche e non verificabili, dichiarato vincitrice del concorso sua nipote, assumendola e stipulando personalmente il contratto di collaborazione” (sentenza n. 33240 del 16/02/2021); “un assessore che aveva autorizzato una lavoratrice contrattista, moglie del sindaco, a svolgere prestazioni lavorative aggiuntive rispetto a quelle previste dal contratto, pur in assenza dei presupposti di legge” (sentenza n. 37517 del 02/10/2020). Ma anche il direttore di un ente di gestione di un’area protetta che conferisce alla compagna “un incarico retribuito per lo svolgimento di un’attività lavorativa che avrebbe potuto essere svolta da dipendenti dell’ente” (sentenza n. 7972 del 06/02/2020); o ancora il “responsabile comunale della Polizia municipale che, in violazione di legge, aveva affidato a una società, con procedura diretta e senza alcuna preventiva determinazione della giunta municipale, il servizio di misurazione elettronica della velocità media dei veicoli” (sentenza n. 8057 del 28/01/2021).
Nella proposta di parere, i consiglieri della Sesta Commissione – presieduta dal giudice genovese Marcello Basilico, della corrente progressista di Area – esordiscono ricordando che “la decisione di rinunciare a qualsiasi forma di presidio penale (…) contro abusi compiuti dall’amministrazione e non riconducibili” a reati più gravi rappresenta una novità assoluta nel nostro ordinamento, almeno dal 1930 a oggi. “Si tratta di una soluzione”, si legge, “che richiederà una valutazione approfondita ed effettiva dei suoi effetti concreti, onde evitare il rischio che l’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio – norma che assolve ad una funzione di chiusura del sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione – determini un depotenziamento del microsistema penale dedicato alla lotta contro la corruzione“. Il documento, seppur tra molti equilibrismi lessicali (è stato votato anche dai consiglieri di area centrodestra) contesta anche l’argomento principe dei fautori dell’abolizione, basata sul numero irrisorio di condanne rispetto ai procedimenti aperti: “Un approccio fondato sul mero dato quantitativo rischia di restituire una visione parziale“, scrivono i membri del Csm, ricordando peraltro che “l’alto tasso di archiviazioni si innesta in un contesto generale in cui la percentuale delle archiviazioni dei procedimenti penali si attesta intorno al 62%” e che “il divario tra iscrizioni e condanne rivela la capacità della giurisprudenza di svolgere, sin dalla fase delle indagini preliminari, la necessaria opera di filtro degli abusi penalmente rilevanti”.
Secondo la commissione del Csm, cancellare l’abuso d’ufficio potrebbe non servire nemmeno a liberare i sindaci dalla famigerata “paura della firma“, “non essendo rari” – si legge – “i casi in cui l’abuso d’ufficio è contestato al pubblico amministratore in concorso con altri reati, anche più gravi, quali il delitto di falso o di truffa o le contravvenzioni in materia edilizia”. Il documento all’esame del plenum si sofferma inoltre sui “vincoli derivanti dagli obblighi internazionali” sottoscritti dall’Italia in questa materia: in primis la Convenzione Onu di Mérida contro la corruzione, che “caldeggia” agli Stati membri di prevedere dell’abuso d’ufficio come reato, “nella consapevolezza che la sanzionabilità della condotta (…) rappresenta un tassello importante nella costruzione di un efficace sistema di contrasto ai fenomeni corruttivi“. Ma anche la proposta di direttiva elaborata dalla Commissione europea dopo lo scandalo Qatargate, che impone “di prevedere sanzioni penali” agli amministratori pubblici che abusano dei propri poteri a fini privati. “Laddove la proposta, attualmente all’esame del Consiglio dell’Unione in prima lettura, dovesse essere approvata”, segnala la bozza di parere, “potrebbe prospettarsi un problema di compatibilità tra la soluzione abrogativa e il diritto eurounitario”, con il conseguente rischio dell’apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia. Peraltro, una volta approvato il ddl Nordio, il nostro diventerà l’unico Paese dell’Unione in cui la condotta attualmente prevista dall’abuso d’ufficio non costituirà reato. Che stiano sbagliando tutti gli altri?
(da ilfattoquotidiano.it)
Leave a Reply