TUTTI I BUCHI DELLE COPERTURE: COSTI 40 MILIARDI, COPERTURE FRAGILI SOLO 23 MILIARDI
ANCORA STANNO CERCANDO LE COPERTURE PERCHE’ IN REALTA’ NON CI SONO
“Ci saranno”. Chissà se il verbo al futuro utilizzato da palazzo Chigi nel comunicato stampa con cui ha annunciato il perimetro della manovra contemplava la consapevolezza che per trovare le coperture alle misure la strada è impervia e soprattutto ancora lunga.
Ma al di là del possibile lapsus e leggendo le 123 pagine della Nota di aggiornamento al Def, un dato emerge in modo incontrovertibile: la caccia per finanziare la legge di bilancio è lontana dalla meta finale.
Le coperture sono ancora piene di buchi. Non solo.
Quello che è stato raccolto fino ad ora o si vuole raccogliere entro dieci giorni – quando la legge di bilancio dovrà essere pronta – ha il carattere della fragilità ed è foriera di malumori.
Calando i numeri dentro questo quadro occorre partire dal costo della manovra.
Sarà una legge di bilancio molto gonfia, che rischia di arrivare a 40 miliardi.
La composizione della lista della spesa prevede: 10 miliardi per il pacchetto del reddito di cittadinanza, 7 miliardi per la quota 100, 2 miliardi per la flat tax, 1,5 miliardi per i risparmiatori che hanno avuto perdite per colpa del fallimento delle banche, 1 miliardo per le assunzioni straordinarie nelle forze dell’ordine.
Il totale, fin qui ammonta a 21,5 miliardi. Bisogna poi aggiungere il costo del disinnesco della clausole di salvaguardia per impedire che l’Iva aumenti dal 2019: servono altri 12,5 miliardi.
Ci sono poi le spese indifferibili (2,5 miliardi) mentre circa 3-4 miliardi servono per micro-misure e per rilanciare gli investimenti.
La torta vale tra i 36,5 e i 40 miliardi.
L’importo è più che consistente e qui entrano in gioco le coperture, cioè quei soldi che servono per fare sì che le misure entrino in vigore.
Il governo gialloverde ha a disposizione solo una parte e questa parte, si diceva, è fragile.
I miliardi che si recuperano dall’extra-deficit, portato al 2,4% nel 2019, seguendo lo schema indicato dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ammontano a circa 19,5 miliardi: 12,5 serviranno per disinnescare le clausole, 3,5 per gli investimenti.
Ne restano appena 3,5 miliardi.
Questo a fronte di una trattativa con la Commissione europea per l’ottenimento di una maxi-flessibilità che è partita più che in salita visti i toni aspri con cui Bruxelles ha accolto la prima architettura della Nota al Def, poi rivista, che prevedeva il deficit al 2,4% per tre anni.
La distanza tra le risorse a disposizione e l’ammontare delle misure resta ancora ampia.
Nella Nota di aggiornamento al Def emerge che 3,6 miliardi si ricaveranno da tagli pari allo 0,2% dei Pil.
Saranno tagli che interesseranno i ministeri e un’altra parte di spesa. Altro non è che la spending review, che negli ultimi anni ha garantito incassi molto inferiori rispetto alle attese, senza tralasciare il fatto che i tagli ai ministeri aprono la strada a lunghe diatribe interne al governo durante l’iter parlamentare della manovra, quando ci sarà l’assalto della politica attraverso gli emendamenti.
Scorrendo nell’elenco delle soluzioni individuate a oggi per le coperture c’è la stretta sugli interessi passivi delle banche e il taglio delle tax expenditures, cioè le agevolazioni fiscali.
Fronti dolorosi: il mondo bancario, attraverso l’Abi, ha già messo in luce tutta la sua contrarietà per le misure che impatteranno sugli istituti di credito.
Quello delle agevolazioni fiscali è un cantiere precario. Al Tesoro si lavora in modo frenetico per cercare di recuperare quante più risorse possibili, ma c’è anche la consapevolezza che più di tanto non si riuscirà a tirare fuori a meno che non si decida di intervenire in ambiti delicatissimi dal punto di vista del consenso, come ad esempio scuola e famiglia.
Non è un caso che quest’ultima parte dell’elenco non abbia, ad oggi, una stima del gettito d’incasso previsto: nella Nota di aggiornamento non c’è e si rimanda a espressioni generiche come “ulteriori”.
Ragionamento che vale, ad esempio, anche per l’Iri, l’imposta sul reddito imprenditoriale, che sarà abolita.
Altri bacini da cui il governo spera di attingere risorse sono quello della pace fiscale e dell’extragettito, pari a 6,5 miliardi, dell’asta sulle frequenze 5G.
Ma sono risorse una tantum, cioè estemporanee. La pace fiscale, nello specifico, non è in grado di assicurare un gettito stimabile a priori, se non con previsioni ad ampissimo raggio: si parla di una cifra che potrebbe arrivare a 3 miliardi.
Altra copertura – e questa è già collocata nel pacchetto reddito di cittadinanza – arriverà dal Rei: circa 3 miliardi, cioè, si otterranno abolendo la misura di contrasto alla povertà del governo Gentiloni.
Serviranno a coprire, però, solo un terzo dei 9 miliardi che servono per le pensioni di cittadinanza e per l’erogazione del reddito vero e proprio.
I conti, alla fine, dicono che di coperture certe, ad oggi, ci sono 23,1 miliardi, mentre qualche altro miliardo è legato alle ragioni fragili di cui si diceva sopra.
La coperta per i costi, che vanno da 36,5 a 40 miliardi, è ancora troppo corta.
(da “Huffingtonpost“)
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