UN GOVERNO PER LA LEGGE ELETTORALE, I PARTITI ALLA RICERCA DEL PRETESTO
NON SOLO SALVINI, ANCHE I RENZIANI ORA CONTESTANO IL ROSATELLUM… A DIFENDERLO E’ RIMASTO IL M5S CHE PIU’ DI TUTTI LO AVEVA COMBATTUTO
Un accordo adesso per non doverne fare mai più in futuro: e se fosse questa, dopo mille tentativi a vuoto di mettere in piedi un governo, l’unica possibile via d’uscita? Ancora non siamo a questo stadio di disperazione; la speranza, anzi, è di non doverci mai arrivare.
Però intanto la crisi si avvita su se stessa. Il tema della legge elettorale che ha fatto fiasco, per cui sarebbe inutile tornare alle urne senza prima averla cambiata, è una suggestione che sintomaticamente ha ripreso a circolare perfino tra la gente comune. Guarda caso Matteo Salvini percepisce gli umori collettivi e va chiedendo elezioni-bis previa correzione del «Rosatellum» (altrimenti, è il sottinteso, correremmo il rischio di peggiorare lo stallo).
Se ne parla sommessamente ad Arcore, nella corte del Cav e, sia pure con finalità opposte, ci stanno ragionando su perfino negli ambienti renziani, in attesa che l’ex segretario Pd superi lo shock del referendum costituzionale fallito.
Ecco il primo paradosso: nei tre principali soggetti che sei mesi fa sostennero il «Rosatellum» sta crescendo la voglia di cambiare sistema di voto per la quinta volta in un quarto di secolo.
Mentre i principali oppositori di quella legge, che fu concepita apposta per far fuori i Cinque stelle, sembrano proprio i grillini.
Di certo non sono stati penalizzati, anzi. Fonti del movimento assicurano che riformare la riforma sarebbe l’ultimissima delle loro priorità .
Subito non si può
Chiunque abbia dimestichezza con le regole del Parlamento sa che, in soli 15 giorni come vorrebbe Salvini, una nuova legge non si può fare. Le Camere sono a braccia conserte in attesa del governo; potranno mettersi a lavorare solo quando saranno definite maggioranza e opposizione, con tutto quanto ne consegue.
L’unica commissione oggi funzionante è quella cosiddetta speciale, solo per le emergenze.
Giorgia Meloni aveva provato a farci infilare dentro pure la legge elettorale, ma tutti l’avevano guardata strano. Per cui siamo al paradosso numero due: per andare al voto con la speranza che qualcuno vinca servirebbe una nuova legge elettorale; ma la legge attuale non si può cambiare senza un governo; e se un governo ci fosse non ci sarebbe bisogno di tornare alle urne.
Dunque un serpente che si morde la coda. Oltretutto, manca l’accordo sul «come» intervenire. «Facile, con un premio di maggioranza», suggerisce Salvini.
Gia, ma a che altezza verrebbe piazzata l’asticella? Se fosse al 37 per cento, con il centrodestra che sta già al 38, tutti gli altri farebbero marameo. Idem sul 40.
E poi: premio al partito o alla coalizione? Anche qui, gli interessi divergono. Un bel ballottaggio risolverebbe il problema, ma la Consulta ha statuito che in un sistema bicamerale ci sarebbe il rischio (anche solo teorico) di due maggioranze diverse.
A Costituzione invariata, insomma, la scappatoia non c’è.
Suggestione francese
Non a caso, la prospettiva che raccoglie più attenzioni passa attraverso una riforma costituzionale. Per arrivare al semi-presidenzialismo francese (proposto da Stefano Ceccanti e da Tommaso Cerno), o accontentandosi di attribuire la fiducia a una Camera sola: in quel caso il sistema con ballottaggio avrebbe senso compiuto.
Ma pochi mesi non basterebbero per compiere l’impresa. Il ministro Carlo Calenda ne ipotizza una dozzina. Potrebbe essere la scusa per un governo-ponte di tregua operosa. O un pretesto per tirare avanti, la classica foglia di fico (con la minuscola però).
(da “La Stampa”)
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