VAGHE STELLE DEL GRILLISMO
L’ALTALENA E’ UN GIOCO INFANTILE: PRIMA O POI BISOGNA SCENDERE E CRESCERE
Ci ha pensato la voce barbuta di Beppe Grillo a suggellare i negoziati con Matteo Renzi e il Partito democratico sulla riforma della legge elettorale.
Quelli che, fino a ieri, erano interlocutori affidabili («Noi parliamo solo con Renzi») sono diventati, di colpo, avversari biechi e autoritari («Renzi è un ebetino, anzi un ebetone», «criminalità organizzata di stampo democratico», «una dittatura a norma di legge», «sbruffoni della democrazia», «vigliacchi, ipocriti e falsi»: il tutto in 1 minuto e 18 secondi).
Finale melodrammatico, ma istruttivo.
Il Movimento 5 Stelle, per adesso, funziona così. Alterna toni concilianti e insulti, proposte ragionevoli e accuse scomposte. Il pretesto di quest’ultimo scontro non è importante. Se basta un disaccordo sulle preferenze o una lettera non spedita per scatenare tanta furia, non si va lontano. Serve poco che Luigi Di Maio, poi, tenti di incollare i cocci: «Beppe ha il diritto di arrabbiarsi. Ma la proposta di dialogo è sempre aperta».
Certi toni, per quanto sgradevoli, possono servire finchè si tratta di intercettare il malumore (in Italia ce n’è tanto, e giustificato).
Ma non aiutano a costruire un’opposizione, quindi un’alternativa, di cui c’è bisogno. Lo dimostra il voto di maggio.
Il 41% raccolto dal Pd – nessuno dei 186 partiti in lizza alle Europee ha fatto meglio, ricorda il Financial Times – è certo un’apertura di credito verso il governo e una prova di fiducia verso Renzi. Ma è anche una prova di sfiducia verso i suoi avversari, nessuno escluso.
Beppe Grillo, finalmente uscito dalla fase catatonica post elettorale, deve rendersene conto, e informare il suo stato maggiore.
Chi, ogni tanto, sa stupire, affascina; chi stupisce ogni giorno irrita e stanca. L’elenco delle capriole pentastellate è lungo, e non riguarda solo i rapporti con il Pd, partiti male fin dall’arrogante streaming con uno stremato Bersani.
Ci limitiamo alle più spettacolari.
Il 10 luglio 2013 Grillo (accompagnato da Casaleggio e dai capigruppo alla Camera e al Senato) incontrava Giorgio Napolitano al Quirinale.
Uscendo parlava di un «incontro molto piacevole», in cui «la situazione è stata condivisa dal presidente».
Il 30 gennaio 2014 il M5S chiedeva l’impeachment del capo dello Stato per il reato di attentato alla Costituzione. Lo scorso 4 luglio Debora Billi, responsabile web (!) dei Cinquestelle a Montecitorio, twittava: «Se ne è andato Giorgio. Quello sbagliato. #faletti». Poi si scusava su Facebook.
Il 13 maggio Beppe Grillo tuonava contro Expo: «Va fermata, è un’associazione a delinquere!». Ieri, 7 luglio, il gruppo lombardo del M5S ha incontrato il commissario di Expo, Giuseppe Sala, «per avere aggiornamenti dal diretto responsabile in merito allo stato attuale di avanzamento dei lavori, del numero di occupati e della contrattualistica dei volontari».
Potremmo continuare, ma è chiaro. Quello di Grillo è un movimento in altalena: spinte eccessive e frenate improvvise spaventano gli attivisti (di qui le scomuniche e le espulsioni), confondono i simpatizzanti, esasperano gli avversari politici.
Ma l’altalena, per quanto eccitante, resta un gioco infantile.
Prima o poi bisogna scendere, e crescere.
Beppe Severgnini
(da “il Corriere della Sera“)
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