Destra di Popolo.net

FOA E’ UN FANTOZZI IN SEDICESIMO, PRIMA LASCIA E MEGLIO E’

Agosto 1st, 2018 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE DELLA RAI HA UN RUOLO DI GARANZIA, NON E’ ESPRESSIONE DEL GOVERNO

Il servizio pubblico è un servizio privato. I partiti hanno sempre utilizzato la televisione di Stato come macchina di propaganda, alloggio per i connessi, piattaforma espositiva delle amicizie influenti. L’informazione fa rima con manipolazione e tutto il mondo è paese. Il potere ha bisogno di indirizzare la comunicazione, orientare l’opinione pubblica, governare, assopire, o anche esaltare.
È storia di questi decenni di come la sinistra abbia gestito insieme alla destra, ed è cifra peculiare di questo Paese che abbia avuto al comando un tycoon dell’industria televisiva.
Queste elementari premesse dovevano consigliare assolutamente a Lega e Cinquestelle di cambiare registro e, almeno sul nome del presidente, ruolo di garanzia e non di governo, offrire al Parlamento la possibilità  di scelta su una rosa minima ma degna.
Invece è successo che i Cinquestelle, incassata la nomina dell’amministratore delegato, l’uomo solo al comando, abbia lasciato alla Lega la facoltà  di esercitare il diritto di proprietà  sulla presidenza. Il nome che è stato imposto, quello di Marcello Foa, aveva unicamente questa funzione: spiegare bene chi comanda e non lasciare agli altri   nemmeno la cortesia dell’offerta, solo l’obbligo dell’approvazione.
Il cambiamento ha la sua forza se è sostenuto da uno stile, da un modo di essere, da una pratica di governo. Se questo proposito è falsificato, resiste la vecchia pratica ad opera di volti nuovi.
Non c’era da scandalizzarsi sapendo chi è Salvini, un po’ più di stupore lo assicurano i grillini.
E ruba un sorriso di compassione la fregola con la quale Foa ha agguantato le chiavi della stanza presidenziale e la poltrona di pelle umana prima ancora che la commissione di Vigilanza concedesse il parere vincolante.
Il presidente non si è accorto di essersi trasformato in un Fantozzi in sedicesimo.
Prima lascia meglio è.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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IL RETROSCENA: CONTRO FOA LA RIVOLTA DI FORZA ITALIA

Agosto 1st, 2018 Riccardo Fucile

MINACCE DI DIMISSIONI DI TAJANI, VERTICI AZZURRI FURIBONDI PER L’ARROGANZA DI SALVINI… E ALLA FINE BERLUSCONI DECIDE PER IL NO

La giornata è di quelle traumatiche. Sia per il centrodestra sia per il governo.
La missione di Matteo Salvini, che di buon mattino è andato all’ospedale San Raffaele per parlare con Silvio Berlusconi, è fallita.
Il leader di Forza Italia, dopo una nottata lunga e complicata, ha respinto la proposta di eleggere Marcello Foa presidente della Rai, che infatti non ha raggiunto il quorum nell’organo di Vigilanza della tv pubblica.
Luigi Di Maio ha cercato una via d’uscita: “Se ci sarà  un’intesa tra le forze politiche su Foa è auspicabile che torni il suo nome, altrimenti sono le forze politiche che siedono in commissione, nella loro interlocuzione, che possono trovare un’alternativa”.
Ma dopo l’arroccamento di Berlusconi sul no, il Carroccio decide di forzare: il consiglio può andare avanti così com’è.
La decisione di Berlusconi è stata sofferta. Fosse stato per il capo degli azzurri sarebbe arrivato il via libera ma Antonio Tajani si è spinto fino a minacciare le dimissioni.
E a nulla è servita una telefonata infuocata con lo stesso Salvini.
Anche Gianni Letta e Fedele Confalonieri avrebbero fatto cambiare idea all’ex Cav. Insomma, la rivolta interna a Forza Italia ha avuto la meglio, così il leader leghista è tornato a Milano Marittima con un pungo di mosche in mano e furioso.
Il braccio di ferro tra Lega e Forza Italia è durissimo, il punto di massima tensione è arrivato a tarda sera quando dal Carroccio si apprende che la Lega andrà  avanti e punterà  ancora sul nome di Foa, che peraltro è consigliere anziano e in questo ruolo può fare le veci del presidente (ma su questo punto la legge non è chiara).
Un cortocircuito senza precedenti.
Una crisi inedita tra il Consiglio di amministrazione e l’organo di controllo, ovvero la Vigilanza, che ha bocciato il nome di Foa poichè solo 23 parlamentari (Lega, M5s, Fdi) hanno ritirato la scheda e votato per lui, mentre Pd, LeU e, soprattutto, Forza Italia non hanno votato e così non è scattato il quorum per l’elezione.
Uno stop clamoroso ad un’operazione che Salvini e Di Maio, soprattutto il primo, hanno considerato scontata.
Il Movimento 5 Stelle, rimasto alla finestra a guardare, è sbalordito dal momento che dall’alleato aveva ricevuto garanzie sul buon esito dell’accordo.
Ora il sospetto, almeno in casa M5s, è che l’ex Cav stia giocando una contropartita: “Vorrà  qualcosa in cambio e solo allora dirà  sì a Foa”, si vocifera tra i pentastellati.
In realtà  ciò che sta più a cuore agli azzurri è non rimanere schiacciati dal peso sempre più consistente di Salvini. Per Forza Italia scombinare i piani del leader leghista e fare la voce grossa in questa fase è un obbligo.
Per i berlusconiani la scelta di Foa è un atto di arroganza politica, un metodo sbagliato che non ha contemplato una condivisione.
Il Pd e LeU hanno invece bocciato il profilo professionale di Foa, “sovranista”, “amico di Putin e Trump”, “collaboratore di siti che producono fakenews”, “offensivo del ruolo del Capo dello Stato.
Forza Italia chiede di ripartire da zero e cercare un nome nuovo. Ma il segretario leghista, per adesso, non intende cedere e immagina di lasciare Foa a presiedere il Cda da consigliere anziano.
Per tutto il giorno il leader della Lega ha lavorato affinchè venisse riproposto in Vigilanza il nome di Foa, questa volta con l’ok di Forza Italia.
Contro questa ipotesi c’è stata un’immediata levata di scudi del Pd, da Renzi a Marcucci passando per Anzaldi e Margiotta: “La Vigilanza non potrà  votare un’altra volta su Marcello Foa. Se il leader della Lega insiste, il Pd è pronto ad assumere qualsiasi iniziativa politica e legale, a tutela della legge”.
Comunque sia il sì di Forza Italia a Foa non c’è. E il Cda è stato rinviato a domani in attesa che arrivino nuove comunicazioni dai partiti di maggioranza e dai berlusconiani.
(da “Huffingtonpost”)

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PERCHE’ L’ITALIA E’ SEMPRE STATA RAZZISTA

Agosto 1st, 2018 Riccardo Fucile

LO STUDIO SCIENTIFICO DI PEW RESEARCH DIMOSTRA CHE TRA I PAESI AVANZATI L’ITALIA E’ IL PIU’ RAZZISTA E INTOLLERANTE VERSO LE MINORANZE

È una cosa che mi spiace molto dover scrivere, ma far finta di niente sarebbe anche peggio. Dopo aver passato gli ultimi tempi a cercare i dati disponibili, devo dire che purtroppo tutta l’evidenza punta nella stessa direzione: fra i paesi avanzati (e da decenni), l’Italia è di gran lunga il più razzista e intollerante verso le minoranze.
Ecco i dettagli (in sintesi — di numeri ce ne sono parecchi altri, ma dicono tutti la stessa cosa e ripetersi non ha molto senso):
1) Già  nel 2002, quando di stranieri nel nostro paese ce n’erano pochissimi, l’Italia era la nazione in cui più persone ritenevano l’immigrazione “un grosso problema”;
2) Ancora più ampia, rispetto agli altri paesi sviluppati, la differenza quando i ricercatori chiedevano se gli immigrati stavano avendo un’influenza negativa;
3) Dal 2002 al 2007 in molte nazioni l’idea di restringere o controllare ancora di più l’immigrazione diventa meno popolare, ma non in Italia (è piuttosto il contrario). Questo atteggiamento precede addirittura il principale flusso migratorio mai arrivato in Italia, dopo l’allargamento a est dell’Europa e l’ingresso della Romania nell’unione, proprio nel 2007;
4) Dal 2009 al 2015, gli italiani sono coloro che dichiarano più spesso di avere un’opinione molto negativa di ebrei, rom e musulmani. Secondo le stime disponibili, in ciascuna delle altre nazioni qui citate, a parte la Spagna, vive un maggior numero di musulmani che in Italia;
5) Nel 2016, i nostri connazionali sono anche il gruppo per cui “essere nati in Italia è molto importante per essere davvero italiani” — più di tutti gli altri;
6) L’anno successivo, oltre metà  degli italiani ritiene che l’immigrazione dovrebbe essere ridotta. Il valore mediano europeo è circa 15 punti minore (dettaglio interessante: i cristiani — praticanti e non — risultano molto meno tolleranti di chi non crede in nessuna religione, in maniera statisticamente significativa e controllando per tutta una serie di altri fattori socio-economici);
7) Di nuovo nel 2017, un indice che sintetizza l’atteggiamento nazionalista, anti-immigrati e anti-minoranze religiose trova l’Italia ampiamente al primo posto in Europa occidentale.
Partendo da questi studi, dunque, non pare ci possa essere altra conclusione: da almeno 15 anni gli italiani sono fra i più razzisti e meno tolleranti nei confronti delle minoranze. Cerchiamo di non descriverli altrimenti perchè, purtroppo, così non è.
(Nota: tutti gli studi citati sono stati condotti da Pew Research. Date un’occhiata ai loro lavori, se vi va, sono un’ottima fonte per capire come la pensano le persone su un sacco di argomenti)

(da “NextQuotidiano”)

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I SETTE ERRORI DEL DECRETO DIGNITA’: ECCO COSA NON FUNZIONA

Agosto 1st, 2018 Riccardo Fucile

DALLE CAUSALI AL “CANNONE” SUL TEMPO DETERMINATO

Per il vicepremier Di Maio è un decreto che consente di evitare che i “giovani vengano abusati” da quelli che chiama “prenditori”, per un fronte vastissimo invece è semplicemente un modo sbagliato per far fronte ad un problema che esiste.
Il lungo dibattito parlamentare che si è svolto sul cosiddetto decreto Dignità  ha messo in luce molteplici crepe e falle, da Pd a Forza Italia a LeU si sono trovati a concordare su errori marchiani e scritture maldestre.
L’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha parlato di “decreto punitivo”; il responsabile del Pd per l’economia Marco Leonardi ha messo in luce “l’eterogenesi dei fini, dove ci sono obiettivi condivisibili affrontati con strumenti sbagliati”.
In inedita sintonia il forzista Brunetta e l’esponente di Liberi e Uguali Epifani si sono accoratamente appellati al governo perchè vengano cambiati alcuni commi dagli effetti devastanti.
Perchè è sbagliato il decreto dignità ? E quali danni potrà  provocare?
Ecco i sette errori messi in luce dal dibattito.

Primo errore: i precari non stanno solo nei contratti a tempo determinato. Con l’intento di combattere l’odiosa condizione del precariato si è sparato con il cannone contro i contratti a tempo determinato. E’ vero che possono andare da pochi giorni fino a 36 mesi e che possono essere rinnovati eludendo la legge cambiando mansioni o inquadramento, ma è anche vero che i contratti a termine non sono il Far West: esistono da sempre, non sono una invenzione della deregulation globalista, rappresentano il 15 per cento del mercato (circa 3 milioni di unità ) e sono dotati di tutte le garanzie (Inps, Inail e indennità  di disoccupazione). Il precariato selvaggio sta più nei voucher (il cui uso è esteso dal decreto), nelle finte partite Iva e nei cococo che non hanno previdenze. Su questi problemi non si è agito, anzi si rischia che i contratti a termine tornino ad essere cococo.
Secondo errore: il problema non è bloccare i contratti a termine ma favorire la transizione al tempo indeterminato. In realta la cifra rilevante ai fini di un sano mercato del lavoro è il coefficiente di trasformazione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Il buon lavoro che si ottiene.
Oggi in Italia il 20 per cento dei contratti determinati transita virtuosamente nel tempo indeterminato: è poco perchè la media europea è del 30 per cento.
Quindi se si vuole prosciugare il bacino del “precariato” bisogna incentivare la trasformazione e non bloccare una delle porte di ingresso nel mondo del lavoro che è costituita dal tempo determinato. Invece il decreto “spara con il cannone”, come dice Marco Leonardi, sul tempo determinato e disincentiva il tempo indeterminato, aumentando i costi per il licenziamento innalzando il numero delle mesilità  per le indennità .
Terzo errore: ci voleva più prudenza e gradualità . Anche ammesso che si volesse scoraggiare il ricorso da parte delle aziende ai contratti a tempo determinato, non era questo il momento giusto. L’economia internazionale ed italiana sta ripiegando (dai dazi alla fine del denaro facile della Bce) dunque le aziende sono più prudenti, si muovono in un orizzonte previsivo più ridotto, e assumere a tempo determinato può essere una alternativa a non assumere per niente.
Quarto errore: cancella posti di lavoro.
Secondo l’Inps di Tito Boeri, sul quale sono caduti gli strali del governo gialloverde, ogni anno saranno distrutti 8.000 posti di lavoro a tempo determinato. Il calcolo è prudenziale perchè concede che sugli 80 mila contratti che superano i 24 mesi (la nuova soglia massima che oggi è di 36 mesi) solo il 10 per cento rimanga disoccupato e il restante 90 per cento o venga confermato oppure trovi un altro lavoro. Non viene calcolato il numero dei contratti sopra i 12 mesi che, con l’introduzione delle causali legate al rinnovo, non avranno una conferma. Secondo alcuni calcoli si arriverebbe almeno al doppio: una perdita di circa 20 mila posti di lavoro.
Quinto errore: i dubbi sul periodo transitorio. Dal 14 luglio, giorno in cui il decreto Di Maio è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, sono cominciati a decorrere gli effetti. Cosa significa? Significa che i contratti che man mano vengono a scedenza se hanno raggiunto i 24 mesi non possono più essere rinnovati (il tetto dei 36 mesi è stato modificato), mentre quelli che hanno superato i 12 mesi possono essere rinnovati solo a condizione che siano indicate le cosiddette causali.
Nell’incertezza molte imprese, soprattutto nell’alimentare, stanno procedendo a non rinnovare i contratti. Si parla di alcune migliaia di contratti sopra i 12 mesi che in questi giorni non vengono rinnovati. Il decreto, spostando al 31 ottobre gli effetti del provvedimento, ha solo congelato molti mancati rinnovi: il problema, sebbene ridotto, si ripresenterà  a novembre.
Sesto errore: la confusione delle clausole. Le clasusole sono delle condizioni che vengono introdotte per rinnovare il contratto dopo i dodici mesi.
Nel decreto ce ne sono tre: l’azienda deve dimostrare di avere esigenze non programmate, temporanee e significative. Secondo quanto si è detto in Parlamento, da più parti politiche, la vaghezza di questi requisiti aprirà  la strada ad un enorme contenzioso tanto più che sono stati elevati i tempi per ricorrere. Soprattutto, come ha sottolineato l’ex segretario della Cgil Guglielmo Epifani, la “significatività  non è misurabile”.
Inoltre, come ha detto Debora Seracchiani del Pd, in un puntuale intervento, la vicenda delle causali è già  regolata dall’80 per cento dalle parti, liberamente, nei contratti di lavoro. Perchè intervenire? Ha ben osservato il Pd Stefano Lepri: “Decreto dirigista e rigidista”. Persino Brunetta ammette. “Faccio il professore di materie lavoristiche da anni e oggi in Parlamento ho imparato cose che non sapevo, spero che il ministro abbia la stessa umiltà , almeno per il bene del paese”.
Settimo errore: un favore alle agenzie che “affittano lavoro”. Sono le grandi multinazionali che Di Maio spesso pretende di combattere, ma scoraggiando il tempo determinato e allargando dal 20 al 30 per cento la possibilità  per le aziende di ricorrere al lavoro in affitto, di fatto ci guadagneranno Manpower e le altre. Così come aumenterà  il ricorso ai voucher o al nero.

(da “La Repubblica”)

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LA BUFALA DI MARCELLO FOA SUGLI ATTENTATI ISIS IN GERMANIA

Agosto 1st, 2018 Riccardo Fucile

QUANDO AL GIORNALE DEL TICINO PUBBLICO’ UNA BUFALA SMASCHERATA DA UN GIORNALE TICINESE… FALSO ANCHE IL NOME DEL GIORNALISTA CHE AVEVA FIRMATO L’ARTICOLO

Uno scoop senza precedenti pubblicato dal Giornale del Ticino che parlava della censura della polizia tedesca sugli attentati dell’ISIS in Germania con tanto di documento intestato al governo di Angela Merkel.
Poi rivelatosi invece un falso grossolano, così come falso (e inesistente) era il nome del giornalista che firmava il servizio sul giornale svizzero.
Oggi che Marcello Foa viene ufficialmente bocciato dalla commissione di Vigilanza Rai (e Lega e M5S non hanno ancora fatto sapere qualche piano B intraprendere), Silvio Buzzanca su Repubblica racconta della figuraccia del Giornale del Ticino, smascherata da Marco Narzisi di Gas, giornale online ticinese:
Foa fece sparire l’articolo dal blog e qualche giorno dopo il direttore responsabile del Corriere del Ticino Fabio Pontiggia chiese scusa per avere pubblicato la notizia.
Ma il web conserva tutto e si può ancora leggere il commento di Foa al falso scoop: «Si è in presenza di un metodo per la creazione di Post Verità  governative o, se preferite, di una manipolazione sistematica delle informazioni».
«Non ci abbiamo messo molto a smontare la bufala», racconta oggi Narzisi. «È bastato controllare con la Bka, la polizia criminale federale tedesca, per appurare che il documento non proveniva da loro».
Era un falso e lo si vedeva anche dai loghi riprodotti ad arte in maniera minuscola. E poi c’era il nome del giornalista, Tomas Muller, un tedesco inesistente.
E alla fine arrivò l’ammissione del direttore Pontiggia: «Il documento oggetto del servizio, che conteneva questa tesi, non ha infatti retto alle ulteriori verifiche di autenticità  effettuate sulla base dei dubbi e delle obiezioni puntuali avanzate nei giorni successivi alla pubblicazione (in particolare con i rilievi tecnici da parte del sito del Gas)».

(da “NextQuotidiano”)

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LA BIADA MEDIATICA PROPINATA DAI MEDIA PER CONVINCERE GLI ITALIANI CHE OCCORRE MAGGIORE SPESA PUBBLICA

Agosto 1st, 2018 Riccardo Fucile

IL SUBCOMANDANTE SAVONA E I SOMARI SOVRANISTI

La quotidiana dose di biada mediatica propalata alle masse telelobotomizzate sostiene che l’unica fonte della crescita economica sia la spesa pubblica.
A furia di propinarla a reti ed edicole unificate la gente ormai è convinta che se Babbo Stato non butta mazzi di soldi dalla slitta trainata da renne volanti, la mitica Domanda (il Sacro Graal delle farneticazioni) ristagna.
E di conseguenza le imprese non vendono, i salari non si pagano e le cavallette si diffondono.
Per capire cosa implicano in pratica queste forme di analfabetismo economico webetizzato, per produrre il miracolo della moltiplicazione del reddito e dell’occupazione basta che un qualsiasi burocrate (padano, romano o di Pomigliano a seconda della stalla televisiva) stacchi un assegno e lo recapiti ai suoi sodali stravaccati su un divano.
E d’incanto si viene teletrasportati nel Nirvana keynesiano.
Verrebbe da chiedersi come mai nonostante la mirabolante scoperta ormai oltre 80 anni fa di tale portento (che nei canili accademici si spaccia per politica economica), non si sia ancora debellata la povertà  nel mondo.
Con un assegno cabriolet garantito dal Di Maio, dal Renzi, dal Putin, dall’Erdogan, dal Maduro o dal Bokassa di turno tutti i mali del mondo verrebero mondati.
In un paese caratterizzato dall’analfabetismo non solo economico, il terreno per far attecchire queste fole è stato concimato da decenni di menzogne politico sindacali, ma questa pagliaccesca fase politica il propalatore à  la page di tale bufala è cotal Savona, un tempo boiardo di sottogoverno, dirigente confindustriale, banchiere e grand commis, riciclatosi come subcomandante nel governo dei descamisados giallo verdi.
Le cronache lo narrano intento a definire il punto esatto dove eserciti di nuovi occupati a libro paga statale scaveranno buche con picco e badile usando i 50 miliardi del surplus di bilancia dei pagamenti.
Poco importa che di quei miliardi siano proprietari cittadini e imprese private e il governo (a meno che non metta in atto un esproprio gigantesco) non possa toccarli. Nella mente del subcomandante sotto inchiesta per usura queste sono iniezie. Se nell’immaginario di sinistra non si interrompe un’emozione, per i nuovi veltronzi non bisogna interropere i sogni al Viagra keynesiano degli ultraottantenni.
Nel magggico mondo di Savona, un governo in cui sul TAV si litiga furiosamente, che aborrisce il consumo di suolo, che detesta gli investimenti in infrastrutture idriche (con la scusa imbecillesca dei beni comuni), che ha fatto dell’arretratezza e della decrescita la sua stella polare, sarebbe in grado di implementare un programma di opere pubbliche nuove di zecca da 50 miliardi di euro.
In un paese nella cui capitale la compagna di merende delle teste di governo non riesce a coprire le buche sulle strade nel frattempo diventate le voragini.
Esattamente come il bilancio dello Stato affidato alla mente malata dei somaristi giallo verdi.

(da “NextQuotidiano“)

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L’ASSESSORE LEGHISTA CHE NON VUOLE CHE I RIFUGIATI CURINO IL VERDE PUBBLICO

Agosto 1st, 2018 Riccardo Fucile

SE NON LAVORANO E’ “PACCHIA”, SE LAVORANO “TOLGONO LAVORO AGLI ITALIANI”… MA SE I COMUNI NON CHIAMANO I “PROFESSIONISTI VIVAISTI” A CUI DEVE FARE LA MARCHETTA LA LEGA, E’ PERCHE’ IL GOVERNO NON GLI DA’ SOLDI A SUFFICIENZA, SI RIVOLGANO A SALVINI

Se non lavorano è ‘pacchia’. Se lavorano tolgono lavoro agli italiani.
Accade nell’Italia penta-leghista: una lettera all’Anci Lombardia per chiedere di non far curare il verde pubblico agli “aspiranti profughi”.
A scriverla   stato l’assessore regionale lombardo all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi, Fabio Rolfi (Lega), che ha inviato la missiva al presidente dell’Associazione dei comuni lombardi Virginio Brivio.
“Devono essere i florovivaisti lombardi a curare il verde pubblico in Lombardia, non gli aspiranti profughi. E per il loro lavoro quotidiano i professionisti devono essere pagati il giusto. Occuparsi dei parchi e delle piante delle nostre città  è una professione, non un passatempo”, scrive Rolfi
“Il settore florovivaistico in Lombardia – aggiunge – vale oltre 200 milioni di euro, il 9% del totale nazionale. Purtroppo il comparto sta affrontando delle difficoltà  che non possono essere ignorate e che anzi gli amministratori pubblici devono aiutare a risolvere. Abbiamo professionisti di assoluto valore che si trovano a combattere in un mercato che per gli appalti pubblici prevede l’assegnazione a chi offre il prezzo migliore e non a chi garantisce un lavoro di qualità . Certo le nostre imprese e i nostri artigiani non possono competere con chi ‘lavora’ gratis e viene strumentalizzato per coprire, almeno pubblicamente, gli effetti negativi della mala gestione del problema immigrazione che ha caratterizzato gli anni scorsi”
L’assessore leghista ha quindi concluso: “Ho ricevuto segnalazioni nelle ultime settimane relative ad alcuni sindaci lombardi che invece preferiscono destinare questi lavori ai richiedenti asilo. L’accoglienza degli immigrati è già  molto onerosa, non possiamo chiedere un ulteriore immotivato sacrificio agli imprenditori e ai lavoratori lombardi del settore florovivaistico”.

(da Globalist)

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ALTRO PESTAGGIO RAZZISTA: “SPORCO NEGRO, VIA DI QUI”. E GIU’ BOTTE

Agosto 1st, 2018 Riccardo Fucile

PUGNI, CALCI, FINO A ROMPERGLI LA MANDIBOLA… LA VITTIMA E’ UN RAGAZZO DI COLORE ADOTTATO DA UNA FAMIGLIA DI AGRIGENTO

Calci e pugni a un ragazzo di colore adottato da una famiglia di San Giovanni Gemini, in provincia di Agrigento.
Calci al volto anche quando era a terra, privo di sensi. E poi le urla. “Sporco negro, torna nel tuo paese. Vattene da qui. Non sei degno di stare con noi”.
La vittima si chiama Davide Mangiapane, pelle scura, nato in Italia e adottato appena nato, è stato pestato a sangue da due giovani, che sono già  stati identificati e denunciati.
Uno di loro è minorenne. Davide, 23 anni professione ballerino, è ricoverato all’ospedale Civico di Palermo dove ha subito un lungo intervento nel reparto di chirurgia maxillo facciale.
Il pestaggio si è verificato a Lercara Friddi, in provincia di Palermo
Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, che conducono l’indagine coordinata dalla procura dei minori e dalla procura ordinaria, il giovane sarebbe andato in un pub di Lercara Friddi. Mentre si trovava al tavolo, sarebbe stato colpito al volto dal fidanzato di una ragazza con cui aveva scambiato due chiacchiere. Un pugno che gli ha fracassato la mandibola.
L’aggressore avrebbe poi pesantemente insultato con frasi razziste il ragazzo. Il padre racconta: “Gli hanno fatto cadere il cappellino e poi lo hanno preso a calci e pugni. Lui è sotto shock. Non avrebbe mai pensato che gli sarebbe accaduta una cosa del genere”.
I concittadini del ballerino hanno realizzato uno spot in segno di solidarietà , dal titolo “Oggi anche io mi sento negro”.

(da Globalist)

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UDINE, IL NUOVO SINDACO LEGHISTA APRE IL CENTRO ALLE AUTO: 3.000 CITTADINI PROTESTANO CON FLASH MOB IN BICI

Agosto 1st, 2018 Riccardo Fucile

LA SOLITA MARCHETTA A FAVORE DEI COMMERCIANTI… LA PROTESTA: “SENZA AUTO CI GUADAGNANO TUTTI”

Il nuovo sindaco di centrodestra riapre il cuore del centro storico alle auto dopo 14 anni di stop.
E 3mila cittadini protestano sfilando per strada in bicicletta, sui pattini e a piedi indossando magliette gialle con la scritta “Senza auto ci guadagnano tutti”.
Succede a Udine, governata per 15 anni da giunte di centrosinistra fino a quando a metà  maggio il leghista Pietro Fontanini è diventato primo cittadino battendo Vincenzo Martines, già  vice di Furio Honsell e sostenuto dal Pd.
La riapertura al traffico di via Mercatovecchio, parte della zona a traffico limitato istituita all’amministrazione comunale nel 2004, è scattata in via sperimentale dalla mezzanotte di martedì e sarà  in vigore fino al 31 gennaio prossimo.
La protesta in bici è stata organizzata da Federazione Italiana Amici della Bicicletta e sostenuta da Italia Nostra, Legambiente e Arci.
Fiab nelle scorse settimane ha lanciato una petizione su change.org per chiedere a Fontanini di “mantenere ed ampliare le aree pedonali del centro”, definendo la riapertura al traffico “decisione che accontenta un piccolo numero di commercianti penalizzando tutto il resto della popolazione e una serie di istanze e principi che a nostro parere meritano invece rispetto”.
Riaprire alle auto “penalizza tutta la popolazione che desidera “vivere” il centro e godere dei suoi marciapiedi, tavolini all’aperto e strade tranquille”, sottolineava la lettera aperta.
“Riaprire alle auto significa portare ovunque rumore, inquinamento chimico e acustico, rischio di incidenti. Riaprire alle auto afferma il principio che sono secondarie e sacrificabili le categorie con bisogni particolari: persone con disabilità , anziani, bambini, animali da compagnia”.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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