Marzo 14th, 2012 Riccardo Fucile
DA SCHIFANI A ROMANO, DA COSENTINO A DECINE DI POLITICI, TUTTI SPERANO NELL’ABOLIZIONE DEL REATO DI “CONCORSO ESTERNO” IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA
Potenti o non potenti, questo è il dilemma.
Tutti aggrappati alle parole del Pg della Cassazione Francesco Iacoviello.
Tutti sperano nell’abolizione del reato.
Se il concorso esterno pende come una spada di Damocle su illustri inquisiti, come il presidente del Senato Renato Schifani, l’ex ministro Saverio Romano e l’editore Mario Ciancio (oltre ovviamente a Marcello Dell’Utri che, dopo l’annullamento della Cassazione, resta condannato in primo grado a 9 anni), lo scontro politico è garantito. Se invece va a colpire illustri sconosciuti, politici locali, piccoli amministratori, professionisti ignoti alle cronache nazionali, nessuno ci trova da ridire e fioccano le condanne .
È successo per i Dc Franz Gorgone ed Enzo Inzerillo, per l’ex assessore Udc Mimmo Miceli, per il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, l’ex sindaco di Villabate Vincenzo Carandino, l’architetto Rocco Aluzzo, il medico Salvatore Aragona.
Tutti bollati come “concorrenti esterni”, alcuni con tanto di sigillo della Cassazione , per aver fornito un “contributo effettivo agli scopi dell’organizzazione mafiosa”.
Chi si ricorda di loro?
Quale insigne giurista o parlamentare è intervenuto per difendere uno solo di questi oscuri fiancheggiatori di mafia dal reato al quale, come ha sentenziato il pg Francesco Iacoviello, “non crede più nessuno”?
Illustri inquisiti o illustri sconosciuti, la questione è tutta qui.
Lo ha detto chiaro e tondo il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia: “Il problema non è il reato. Ma l’imputato. Certi tipi di imputati. Quando si toccano i potenti, le polemiche tornano incandescenti”.
Una regola che vale per i “sommersi”, così come per i “salvati” del 110 e 416 bis.
E la cronaca dell’ultimo ventennio lo dimostra.
Per difendere Corrado Carnevale, “l’ammazzasentenze” della Cassazione, processato e assolto dal concorso esterno, la polemica infuocò tra ovattati saloni romani e segreterie palermitane, ma chi si ricorda del giudice Giuseppe Prinzivalli, assolto dallo stesso reato senza il beneficio delle prime pagine nazionali?
Per l’avvocato Francesco Musotto, ex parlamentare di FI, arrestato, processato e infine assolto per concorso esterno alla mafia, l’intera classe forense palermitana si sollevò: i penalisti fecero sit-in di protesta, con forti echi nazionali e politici.
Anche per Giovanni Mercadante, ex deputato siciliano di FI, condannato a 10 anni per concorso esterno, assolto in secondo grado, e oggi (dopo il rinvio della Cassazione) in attesa del secondo appello, si registrò una grande mobilitazione politica, con una raffica di interventi di solidarietà sui giornali e sul web.
Ancora più roventi le vicende processuali dello 007 Bruno Contrada e dell’investigatore Ignazio D’Antone, le cui condanne a 10 anni per concorso esterno, divenute poi definitive, hanno diviso le tifoserie politico-giudiziarie tra innocentisti e colpevolisti, riaprendo l’eterno dibattito sulla diabolica “doppietta” del 110 e 416 bis. Così come per Calogero Mannino, un altro dei miracolati del concorso esterno, la cui assoluzione in Cassazione ormai fa giurisprudenza.
Oggi, Mannino, di nuovo indagato a Palermo per la trattativa, si dice vittima di una “menzogna organizzata”.
Certo, nessuno è arrivato all’iperbole di Nicola Cosentino, altro vip del Pdl sotto inchiesta per concorso esterno (non alla mafia, ma alla camorra): “Il concorso esterno non esiste più”.
Tutti, in casa Pdl, hanno gridato in coro alla persecuzione giudiziaria. Berlusconi ha sparato contro la “gogna mediatica”.
E i suoi fedelissimi, da Alfano a Bondi, hanno fatto quadrato attorno al senatore, definito vittima del “partito dei pm” e di quel monstrum giuridico che, secondo Falcone e Borsellino, è invece l’unica arma in grado di colpire il ventre molle della borghesia mafiosa.
Il colmo è stato sentire Renato Schifani, che proprio per quel reato è indagato a Palermo, disquisire con terzietà sul “concorso esterno”: “È il momento — ha detto — che il Parlamento tipicizzi questo reato, che non è scritto nel nostro codice”.
Dulcis in fundo, ecco l’Unione Camere Penali: “Questa vicenda — dicono i penalisti — dimostra che il tema della riforma della giustizia non è un’ubbia degli avvocati”.
No, appunto. È ubbia di potenti.
Contro l’imputazione dei potenti.
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 14th, 2012 Riccardo Fucile
E’ SEMPRE GUERRA INTERNA NEL CARROCCIO, I MARONIANI PREVALGONO NEI NUMERI INTERNI MA MANCA UNA STRATEGIA E UN CAPO CREDIBILE… E I RISULTATI ELETTORALI POTREBBERO DETERMINARE NUOVI EQUILIBRI INTERNI
Nel Carroccio è ancora guerra aperta tra bossiani e maroniani e non rientra lo scontro sulla lista civica di Tosi.
Dal partito di Arcore, intanto, continuano i tentativi di dialogo in vista delle prossime amministrative ma dal fortino di via Bellerio la chiusura rimane totale “Ce ne faremo una ragione, siamo convinti che i cittadini ci ripagheranno e puniranno la Lega”, stuzzica Maurizio Lupi.
“Berlusconi mi fa pena” è l’affettuosità più recente di Umberto Bossi nei confronti dell’ex alleato.
Che gentilmente ricambia a mezzo stampa, dedicando la prima pagina de Il Giornale di famiglia con un cordiale “Bossi suicida la Lega” vergato da Vittorio Feltri.
Il dialogo tra Arcore e via Bellerio è a questi livelli.
Il Carroccio ha ben altri problemi da affrontare e l’unica cosa certa sembra essere proprio la volontà di correre da soli.
La guerra interna tra i Barbari Sognanti di Maroni e i cerchisti integralisti bossiani è ormai deflagrata a ogni latitudine della Padania e la resa dei conti si avrà ai congressi nazionali, che in gergo leghista sono regionali.
Si salva solo il Piemonte, dove ieri è stato riconfermato segretario Roberto Cota, per il resto, dalla Lombardia all’Emilia, giorno dopo giorno si contano le “truppe” elette ai congressi e l’esercito più consistente è quello dei maroniani.
A Bergamo il rapporto dei delegati è 65 a 5 per i seguaci di Bobo, in Valtellina addirittura 26 a zero.
Anche a Como, città dove si rinnoverà Provincia e Comune (entrambi oggi a guida leghista) il risultato è impietoso per i bossiani: 27 a 1.
Infine Milano, dove ieri è stato nominato segretario Igor Iezzi, la partita è finita 16 a 5. Un rapporto di forza impietoso a favore dei Barbari Sognanti.
Ma i congressi si terranno solo a giugno, prima ci sono le amministrative.
Per tentare di riequilibrare i rapporti di forza il Cerchio Magico ha in mente di far candidare sindaco tutti i parlamentari maroniani espressione del territorio in cui si vota, così da lasciarli fuori dalle politiche del 2013.
A partire da Nicola Molteni, a Cantù.
Ma la sorta dovrebbe toccare anche ad alcuni uomini forti del cerchio, come Marco Desiderati, infaticabile braccio operativo di Marco Reguzzoni (nemico di Maroni che educatamente ricambia) e sindaco di Lesmo.
C’è poi un problema di precedenti: come introdurre l’incompatibilità tra l’incarico di sindaco e quello di parlamentare finora non prevista?
Certo, il segretario federale è Bossi e quello che decide lui è (ancora) per tutti legge.
Ma la mossa sarebbe una palese ritorsione contro i “dissidenti” e inasprirebbe ulteriormente gli animi scatenando nuove contestazioni al Capo.
La figura del Senatùr è già stagliata sul tramonto.
Il problema per Bossi non è dunque il Pdl, ma la sua stessa sopravvivenza politica.
O almeno questo è il quadro che gli prospettano i soliti cerchisti, a partire da Rosi Mauro che, per quanto le sia stato revocato il ruolo di legato (così i leghisti chiamano il commissario politico), rimane la fidata ombra del Capo su ordine della moglie, Manuela Marrone.
Il braccio di ferro con Flavio Tosi a Verona sulla lista civica del sindaco uscente, finora miseramente fallito, è stato suggerito come prova di forza indispensabile per fermare l’avanzata dei maroniani.
Che in realtà tutto vogliono tranne che “eliminare” Bossi. Tutt’altro.
A Verona la partita è cruciale.
Tosi rischia di vincere a mani basse al primo turno, la sua lista civica è data al 30%.
E qui si assiste in anteprima a quello che saranno le prossime amministrative in buona parte del Nord: per tentare di limitare i danni il Pdl ha sperimentato una alleanza con Futuro e Libertà e Udc proprio per sbarrare il passo alla Lega. Testa d’ariete in riva all’Adige è Luigi Castelletti, 57 anni, avvocato, ex presidente di Veronafiere e vicepresidente vicario di Unicredit.
Maroni spinge per il dialogo. “Bossi ha anche detto che si troverà una soluzione quindi sono certo che così sarà ”, ha detto.
La parola chiave è trattativa.
Ma, Verona a parte, la Lega rischia un tonfo elettroale al nord di non poco conto, sia in termini di voti che di sindaci.
A quel punto ereditare un partito sfasciato non gioverebbe a nessuno.
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Marzo 14th, 2012 Riccardo Fucile
MASSIMO FINI: “GLI USA MASSACRANO E NOI SIAMO ANCORA LI'”
Ora basta. Fino a quando gli italiani riterranno di dover rimanere complici dell’infamia che si consuma da più di dieci anni in Afghanistan?
Alleati fedeli come cani, ma sleali perchè noi i talebani li paghiamo perchè non ci attacchino e, in alcuni casi, addirittura ci proteggano (il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ci quereli pure, ma gli consigliamo di farsi ragguagliare dai colleghi francesi che nel 2008 a Sorobi, dopo aver sostituito gli italiani nel controllo della regione fin lì tranquilla, furono vittime di un devastante agguato talebano perchè non erano stati informati dai comandi italiani di questi poco onorevoli patteggiamenti).
Il massacro dell’altra notte nei due villaggi di Alokozai e Najeeban, vicini a Kandahar (16 civili uccisi nel sonno, nove bambini, tre donne, il resto eran vecchi perchè gli uomini validi sono a combattere) compiuto da un sergente americano in preda a una crisi di nervi secondo le opportunistiche ricostruzioni del Pentagono, da un gruppo di soldati ubriachi di whisky e di paura secondo fonti locali (altro che “il carattere eccezionale dei nostri militari” richiamato, nell’occasione, da Obama), per quanto grave non è che una goccia nel mare dei 60 mila civili afghani uccisi a causa della presenza della Nato in Afghanistan.
Direttamente dai dissennati raid aerei, sui villaggi, sparando nel mucchio nella speranza di colpire qualche guerrigliero.
E sono la maggioranza secondo un rapporto dell’Onu: “I raid aerei sono la principale causa delle vittime civili in Afghanistan”.
E indirettamente perchè se non ci fosse la presenza delle truppe straniere non ci sarebbe nemmeno la reazione della guerriglia.
Ed è questo il punto cruciale, non la strage dell’altro ieri.
Che cosa ci stanno a fare gli occidentali in Afghanistan? Bin Laden?
Il califfo saudita è scomparso fra il 2004 e il 2005, anche se gli americani lo hanno “fatto morire”, per dei loro motivi, soltanto l’anno scorso.
Al Qaeda? Ammesso che esista, non sta certo in Afghanistan.
E allora? La guerra all’Afghanistan, fatta la tara del business della ricostruzione e del traffico degli stupefacenti cui anche i contingenti occidentali partecipano, è una guerra squisitamente ideologica.
Se lo è lasciato sfuggire Sarkozy quando nel gennaio del 2011 tre militari francesi furono uccisi: “La missione della Francia in Afghanistan è stata decisa per una giusta lotta contro le forze dell’oscurantismo , della barbarie e del ritorno al Medioevo”. Insomma l’Illuminismo contro l’Oscurantismo.
Solo che, nel frattempo, gli oscurantisti, gli intolleranti, i totalitari sono diventati quelli che si dicono illuministi che pretendono la reductio ad unum dell’intero esistente al proprio modello, valoriale, economico, sociale, istituzionale.
Ma i popoli hanno perso anche il diritto di filarsi da sè la propria storia e di preferire la loro alla nostra?
Viene negato anche l’elementare diritto di un popolo a resistere all’occupazione dello straniero, comunque motivata.
I Talebani non sono dei terroristi, come ancora qualcuno li definisce, è gente che è insorta contro un’occupazione odiosa, corruttrice, violenta, prepotente, arrogante e intorno ai Talebani si è via via raggruppato l’intero popolo afghano, a parte quella frangia che è stata comprata con i dollari americani, a cominciare dal fantoccio Karzai che ora, nel gioco delle parti, fa la voce grossa, ma è alle dirette dipendenze del Dipartimento di Stato.
La guerra all’Afghanistan è la più vile, la più codarda, la più sconcia della guerre, che gli occidentali combattono, si fa per dire, quasi esclusivamente con l’aviazione e, sempre più spesso, con i droni, aerei senza equipaggio, teleguidati da diecimila chilometri di distanza.
È una guerra senza legittimità e senza dignità .
Una guerra che disonora chi la fa. Possibile che nel civile Occidente, nell’umanitario Occidente non si levi una sola voce contro questa guerra?
Dove sono finite le folle di pacifisti che manifestavano quasi ogni giorno contro la guerra in Vietnam? Sparite.
E si capisce facilmente il perchè.
All’epoca della guerra in Vietnam esisteva ancora l’Unione Sovietica e l’intellighentia di sinistra sosteneva la lotta dei vietcong.
Ma gli afghani non sono comunisti, non sono liberali, non sono arabi, non sono cristiani, non sono ebrei, sono solo un antico popolo attaccato alle proprie tradizioni. Come scrisse in una straordinaria lettera l’alpino Matteo Miotto due mesi prima di essere ucciso in battaglia: “Questi popoli hanno saputo conservare le proprie radici, dopo che i migliori eserciti, le più grosse armate hanno marciato sulle loro case, invano. L’essenza del popolo afghano è viva… È gente che nasce, vive e muore per amore delle proprie radici, della propria terra e di essa si nutre. E allora capisci che questo strano popolo ha qualcosa da insegnare anche a noi”.
E invece non abbiamo imparato nulla.
Persino i sovietici, dopo dieci anni, capirono che non potevano piegare un popolo che, come scopre tardivamente l’iperoccidentale Guido Olimpio, “non è stato mai domato”. E se ne andarono.
Noi invece siamo ancora lì, a pisciare sul Corano, a pisciare la nostra arroganza, la nostra violenza, la nostra supponenza, la nostra ignoranza e, soprattutto, la nostra vigliaccheria e la nostra abietta paura.
Massimo Fini blog
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Marzo 14th, 2012 Riccardo Fucile
PASSATO AL SETACCIO IL PATRIMONIO DI CARMELO PATTI: SAREBBE EMERSA “UNA INQUIETANTE SPEREQUAZIONE TRA REDDITI E INVESTIMENTI”… CHIESTO IL SEQUESTRO DI BENI
Si preannuncia già uno dei processi più movimentati degli ultimi anni, perchè la posta in gioco è altissima, quasi da record: cinque miliardi di euro, a tanto ammonta il patrimonio che il direttore della Direzione investigativa antimafia chiede di sequestrare.
È l’impero economico di Carmelo Patti, il settantottenne imprenditore di Castelvetrano che dal 1998 è il patron di Valtur, la più famosa azienda italiana del turismo.
Le indagini della Dia di Palermo muovono un’accusa pesantissima nei confronti di Patti: essere referente e prestanome del superlatitante Matteo Messina Denaro, di Castelvetrano pure lui.
La prima udienza del processo è fissata per il 20 aprile, davanti alla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani.
Si può già immaginare un confronto serrato fra la Procura, da poco guidata da Marcello Viola, e il pool di avvocati difensori.
Ci sono tre collaboratori di giustizia a chiamare in causa il patron di Valtur per presunti rapporti con esponenti mafiosi del Trapanese: Nino Giuffrè, l’ex fidato di Bernardo Provenzano; Angelo Siino, che negli anni Ottanta era il “ministro dei Lavori pubblici” di Cosa nostra; e Giovanni Ingrasciotta, conoscitore di molti segreti del clan di Messina Denaro.
Siino sarebbe stato addirittura testimone di un incontro fra il cavaliere Patti e Francesco Messina Denaro, il padre di Matteo.
Negli ultimi mesi gli investigatori della Dia di Palermo hanno passato al setaccio il patrimonio dell’imprenditore siciliano: secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbe emersa “una inquietante sperequazione fra redditi e investimenti”.
La Dia aveva sollecitato il sequestro immediato dei beni di Patti, ma il Tribunale non ha accolto la richiesta, ritenendo necessario fissare l’inizio di un procedimento in camera di consiglio.
Per Patti ci sono guai giudiziari anche a Palermo: l’imprenditore risulta indagato dai pm Paolo Guido e Marzia Sabella per favoreggiamento aggravato nei confronti di Messina Denaro. All’indomani del blitz “Golem 2”, nel 2010, subì anche una perquisizione.
C’era un elemento, più di tutti, che incuriosiva i magistrati: uno dei collaboratori più stretti di Patti era il fratello della compagna di Messina Denaro, Michele Alagna.
L’impero che la Dia chiede adesso di sequestrare è costituito dalla maggioranza di alcune società che gestiscono una ventina di villaggi turistici della Valtur, ma anche da abitazioni, terreni nella provincia di Trapani e a Robbio, in provincia di Pavia, dove Patti risiede ormai da anni.
Da qualche mese la Valtur è in amministrazione straordinaria: è stata la famiglia Patti a chiederlo al ministro dello Sviluppo economico per far fronte a un pesante indebitamento di 303,6 milioni l’anno, a fronte di un fatturato di circa 200 milioni.
Così al timone dell’azienda sono arrivati tre commissari straordinari.
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica“)
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