ORA LA CASTA SPERA NELLA CASSAZIONE: POLITICI, AMMINISTRATORI, IMPRENDITORI IMPUTATI O CONDANNATI PER CONCORSO ESTERNO
DA SCHIFANI A ROMANO, DA COSENTINO A DECINE DI POLITICI, TUTTI SPERANO NELL’ABOLIZIONE DEL REATO DI “CONCORSO ESTERNO” IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA
Potenti o non potenti, questo è il dilemma.
Tutti aggrappati alle parole del Pg della Cassazione Francesco Iacoviello.
Tutti sperano nell’abolizione del reato.
Se il concorso esterno pende come una spada di Damocle su illustri inquisiti, come il presidente del Senato Renato Schifani, l’ex ministro Saverio Romano e l’editore Mario Ciancio (oltre ovviamente a Marcello Dell’Utri che, dopo l’annullamento della Cassazione, resta condannato in primo grado a 9 anni), lo scontro politico è garantito. Se invece va a colpire illustri sconosciuti, politici locali, piccoli amministratori, professionisti ignoti alle cronache nazionali, nessuno ci trova da ridire e fioccano le condanne .
È successo per i Dc Franz Gorgone ed Enzo Inzerillo, per l’ex assessore Udc Mimmo Miceli, per il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, l’ex sindaco di Villabate Vincenzo Carandino, l’architetto Rocco Aluzzo, il medico Salvatore Aragona.
Tutti bollati come “concorrenti esterni”, alcuni con tanto di sigillo della Cassazione , per aver fornito un “contributo effettivo agli scopi dell’organizzazione mafiosa”.
Chi si ricorda di loro?
Quale insigne giurista o parlamentare è intervenuto per difendere uno solo di questi oscuri fiancheggiatori di mafia dal reato al quale, come ha sentenziato il pg Francesco Iacoviello, “non crede più nessuno”?
Illustri inquisiti o illustri sconosciuti, la questione è tutta qui.
Lo ha detto chiaro e tondo il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia: “Il problema non è il reato. Ma l’imputato. Certi tipi di imputati. Quando si toccano i potenti, le polemiche tornano incandescenti”.
Una regola che vale per i “sommersi”, così come per i “salvati” del 110 e 416 bis.
E la cronaca dell’ultimo ventennio lo dimostra.
Per difendere Corrado Carnevale, “l’ammazzasentenze” della Cassazione, processato e assolto dal concorso esterno, la polemica infuocò tra ovattati saloni romani e segreterie palermitane, ma chi si ricorda del giudice Giuseppe Prinzivalli, assolto dallo stesso reato senza il beneficio delle prime pagine nazionali?
Per l’avvocato Francesco Musotto, ex parlamentare di FI, arrestato, processato e infine assolto per concorso esterno alla mafia, l’intera classe forense palermitana si sollevò: i penalisti fecero sit-in di protesta, con forti echi nazionali e politici.
Anche per Giovanni Mercadante, ex deputato siciliano di FI, condannato a 10 anni per concorso esterno, assolto in secondo grado, e oggi (dopo il rinvio della Cassazione) in attesa del secondo appello, si registrò una grande mobilitazione politica, con una raffica di interventi di solidarietà sui giornali e sul web.
Ancora più roventi le vicende processuali dello 007 Bruno Contrada e dell’investigatore Ignazio D’Antone, le cui condanne a 10 anni per concorso esterno, divenute poi definitive, hanno diviso le tifoserie politico-giudiziarie tra innocentisti e colpevolisti, riaprendo l’eterno dibattito sulla diabolica “doppietta” del 110 e 416 bis. Così come per Calogero Mannino, un altro dei miracolati del concorso esterno, la cui assoluzione in Cassazione ormai fa giurisprudenza.
Oggi, Mannino, di nuovo indagato a Palermo per la trattativa, si dice vittima di una “menzogna organizzata”.
Certo, nessuno è arrivato all’iperbole di Nicola Cosentino, altro vip del Pdl sotto inchiesta per concorso esterno (non alla mafia, ma alla camorra): “Il concorso esterno non esiste più”.
Tutti, in casa Pdl, hanno gridato in coro alla persecuzione giudiziaria. Berlusconi ha sparato contro la “gogna mediatica”.
E i suoi fedelissimi, da Alfano a Bondi, hanno fatto quadrato attorno al senatore, definito vittima del “partito dei pm” e di quel monstrum giuridico che, secondo Falcone e Borsellino, è invece l’unica arma in grado di colpire il ventre molle della borghesia mafiosa.
Il colmo è stato sentire Renato Schifani, che proprio per quel reato è indagato a Palermo, disquisire con terzietà sul “concorso esterno”: “È il momento — ha detto — che il Parlamento tipicizzi questo reato, che non è scritto nel nostro codice”.
Dulcis in fundo, ecco l’Unione Camere Penali: “Questa vicenda — dicono i penalisti — dimostra che il tema della riforma della giustizia non è un’ubbia degli avvocati”.
No, appunto. È ubbia di potenti.
Contro l’imputazione dei potenti.
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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