Giugno 3rd, 2012 Riccardo Fucile
DUE DECRETI DEL GOVERNO BERLUSCONI FANNO PIOVERE CIFRE DA CAPOGIRO SULLE SOCIETA’ CHE GESTISCONO LE MACCHINETTE DELL’AZZARDO… MASSIMA BENEFICIARIA LA BPLUS DI CORALLO, LATITANTE PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Ci sono 285 milioni di euro che potrebbero essere destinati alla ricostruzione dell’Emilia. Sono lì nelle casse del governo, e potrebbero essere usati per aiutare le popolazioni colpite dal doppio sisma di martedì scorso e del 20 maggio.
E invece il tesoretto sarà distribuito ai concessionari delle slot machine mentre il conto del terremoto sarà pagato dai soliti grazie all’aumento delle accise sui carburanti.
Il primo tesoretto da 62 milioni.
Proprio il giorno dopo la prima scossa in Emilia, l’associazione di categoria delle imprese del settore slot, l’Assotrattenimento, ha emesso un comunicato entusiasta sintetizzato così dalle agenzie di stampa: “I gestori delle slot machine avranno un rimborso da 133 milioni di euro, grazie agli oltre 29,7 miliardi di euro raccolti dalle ‘macchinette’ nel 2011”.
Il decreto anti-crisi del governo Berlusconi del novembre 2008 prevede, infatti, un meccanismo diabolico che riduce l’aliquota delle tasse sugli introiti delle slot machine, quando la raccolta aumenta. Il tesoretto deriva quindi dalla riduzione dell’aliquota dal 12,6 per cento al 12,15 della raccolta grazie al boom del gettito del 2011, più 8,3 miliardi rispetto al dato di riferimento del 2008.
In realtà , secondo i calcoli dell’Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato, il rimborso per i gestori sarebbe pari alla metà . Il direttore dell’Aams, Raffaele Ferrara, è in partenza.
Per lui è pronta la poltrona di amministratore di Fintecna Immobiliare. Ma i tecnici dell’Aams raggiunti dal Fatto in questo clima di smobilitazione, spiegano che “la differenza tra gli acconti versati finora e quella dovuta sulla base dell’aliquota ridotta non è di 133 milioni ma solo di 61 milioni e 922 mila”.
Una montagna di soldi comunque che dovrà essere girata dai concessionari delle slot alle imprese dei gestori che installano le slot nei bar e raccolgono le monetine.
Ma non c’è alcuna ragione logica per attribuire i benefici della crescita delle giocate a chi già ha guadagnato tanto in questi anni grazie al boom del gioco mentre le conseguenze negative sul piano sociale ricadono sulla comunità .
Il secondo tesoretto da 233 milioni di euro. Sempre dall’Aams però fanno notare che ai 62 milioni bisogna aggiungere un secondo tesoretto ben più consistente che sta per essere restituito proprio ai concessionari delle slot: 223 milioni di euro (poco meno dei danni strutturali in Emilia della prima scossa del 20 maggio) che lo Stato pagherà per il raggiungimento dei livelli di servizio da parte dei concessionari .
La somma è attribuita grazie a un decreto del precedente governo Berlusconi del dicembre 2005 che premiava con lo 0,5 per cento della raccolta le concessionarie che investivano sulla rete telematica attraverso la quale devono controllare le slot sparse nei bar della penisola.
Grazie a questa norma, modificata nel 2008, sempre da Berlusconi, in seguito alle rimostranze dell’Unione europea, se le slot sono collegate correttamente alla rete dei concessionari e trasmettono i dati al cervellone della Sogei, cioè se fanno semplicemente il loro dovere rispettando gli obblighi della convenzione con i Monopoli, ai concessionari spetta un premio pari fino allo allo 0,5% della raccolta dell’anno.
Questa somma per l’anno 2011 dovrebbe essere pari a 223 milioni.
Entrambi i tesoretti dovranno essere divisi tra i concessionari pro quota: alla BPlus di Francesco Corallo andrà il 24,3 per cento delle somme; a Lottomatica il 15 per cento; alla Hbg il 9,6 per cento; alla Gamenet il 12,8 per cento; alla Cogetech il 9,6 per cento; alla Snai il 7,1 per cento. Alla Gmatica il 5,3 per cento; a Codere il 2,6 per cento.
La condanna da 2,5 miliardi.
Il paradosso è che la Corte dei conti nel febbraio scorso ha condannato i medesimi concessionari a pagare 2,5 miliardi perchè molte slot non hanno trasmesso i dati alla rete controllata dalla Sogei per mesi, talvolta per anni, impedendo il controllo di legalità sulle giocate dalla fine del 2004 fino al 2006. Il leader del mercato delle slot, la Bplus di Francesco Corallo, inseguito da un mandato di cattura emesso lunedì scorso dal Gip di Milano per associazione a delinquere, è stata condannata in primo grado a pagare 845 milioni di euro. La sentenza è stata impugnata e la sua efficacia è sospesa, ma un’eventuale conferma del verdetto in via definitiva porterebbe probabilmente al dissesto di Bplus e di molti concessionari.
Per la Corte dei conti, Cogetech deve 255 milioni; Sisal 245 milioni; Gamenet 23 milioni; Snai 210 milioni; Hbg 200milioni; Gmatica 150 milioni; Cirsa 120 milioni; Codere 115 milioni e Lottomatica 100 milioni.
Le stesse dieci concessionarie che incasseranno tra breve dall’Aams 223 milioni per l’assolvimento dei livelli di servizio nel 2011 devono ancora pagare — per i giudici contabili di primo grado — una somma dieci volte maggiore per l’inadempimento del periodo 2004-2006.
Per fare un esempio, Bplus ha già incassato un centinaio di milioni di euro per il riconoscimento da parte di Aams dei livelli di servizio negli anni passati (secondo i bilanci, 51 milioni per il 2007-2008 e 37 milioni per il solo 2009) e potrebbe incassare altri 55 milioni di euro per il 2011 mentre — per la Corte dei conti — deve pagare 845 milioni per i suoi inadempimenti passati.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 3rd, 2012 Riccardo Fucile
DA GLAXO A DIAGEO A HEINEKEN, SPOSTANO I FONDI DAI PAESI EUROPEI PIU’ DEBOLI… E OBAMA, INDEBOLITO DALLA MANCATA RIPRESA, ACCUSA GLI EUROPEI
La grande fuga dall’euro è cominciata davvero. 
Non più solo risparmiatori greci e spagnoli che ritirano piccoli depositi dalle loro banche; non più solo capitali speculativi con le loro scommesse ribassiste.
Stavolta si muovono le multinazionali dell’industria, della grande distribuzione, del turismo e dei servizi.
Il deflusso dettato dalla paura coinvolge l’economia reale, non soltanto gli hedge fund e le banche di Wall Street.
L’allarme sale di un livello, contagia multinazionali americane ma anche europee: tutte a preparare “piani A, B e C”, scenari-catastrofe, misure preventive per limitare i danni mettendo i capitali al sicuro.
Nel giorno in cui torna a crescere la disoccupazione americana, mettendo in serie difficoltà Barack Obama, nessuno è più al riparo dal disastro dell’eurozona.
Commentando la frenataccia dell’occupazione Usa, Obama punta un dito accusatore: “La causa sono i problemi dell’Europa”.
Si confermano anche i rallentamenti di Cina e India, provocati in buona dalla stessa causa: la caduta delle esportazioni verso l’Unione europea.
à‰ il Wall Street Journal a rivelare i grossi nomi dell’industria che stanno “tirando i remi in barca”, spostano fondi per non tenere più liquidità in Grecia o altre nazioni considerate a rischio.
C’è il colosso farmaceutico GlaxoSmithKline, c’è il gigante delle bevande Diageo.
Ci sono fior di multinazionali europee come la Heineken olandese, il tour operator tedesco Tui, la catena inglese di supermercati elettronici Dixons.
In media il 20% delle imprese tedesche ammettono di avere in corso una sorta di “piano di evacuazione”.
Alcune società di consulenza come Roland Berger, o grandi studi legali internazionali come Linklaters, fanno gli straordinari per rispondere all’assedio dei clienti, cioè le multinazionali in cerca di aiuto su come smobilitare il più presto possibile dai paesi a rischio dell’eurozona.
O quantomeno ridurre i danni, nell’eventualità peggiore.
Gli scenari contemplati vanno “dalla paralisi dei pagamenti trans-frontalieri, all’anarchia civile in Grecia, fino alla disintegrazione generale dell’Unione monetaria europea”.
Le misure precauzionali prese dai big dell’industria: “Al primo posto mettere in salvo il cash, per non vederselo trasformato in dracme, o congelato da improvvise restrizioni sui movimenti di capitali”.
L’allarme partito dalla Grecia lambisce già la Spagna, soprattutto dopo che la Bce ha bocciato il piano di salvataggio dell’istituto di credito Bankia: la tenuta dell’intero sistema creditizio spagnolo ora è più aleatoria.
Il Wall Street Journal spiega che i piani di evacuazione delle multinazionali dalla zona euro sono “gli stessi che furono messi a punto e collaudati più di un anno fa verso i paesi del Nordafrica coinvolti nella primavera araba”.
Un paragone che certo non depone a favore di Atene e Madrid.
Tra le misure già avviate dalle multinazionali più prudenti: “Esigere dai clienti locali dei pagamenti anticipati al 50%, accorciare l’incasso delle fatture a 15 giorni”.
Lo chiamano “contingency plan” ma assomiglia di più ai preparativi di una ritirata strategica. Nel settore assicurativo, due colossi come Allianz Natixis avrebbero già sospeso le polizze di garanzia sulle esportazioni verso la Grecia, considerando troppo elevato il rischio che gli importatori locali non paghino più la merce, oppuro saldino i debiti in una nuova moneta locale pesantemente svalutata.
Nella grande distribuzione, la catena francese degli ipermercati Carrefour avrebbe ridotto gli approvvigionamenti di beni di largo consumo dei marchi Nestlè, Danone, Procter&Gamble.
E’ una spirale della sfiducia autodistruttiva, che si auto-amplifica: dal fuggi fuggi precauzionale delle multinazionali non può che venire un altro colpo alla fragilissima economia greca, già in caduta del 6,2% nel primo trimestre.
Perfino l’America è colpita in pieno dal ciclone dell’euro-sfiducia, e questo spiega il nuovo pressing di Obama nella teleconferenza di mercoledì sera con Angela Merkel, Franà§ois Hollande e Mario Monti.
Il dato sull’occupazione Usa a maggio è molto deludente: sono stati creati solo 69.000 posti aggiuntivi (al netto dei licenziamenti), meno della metà del previsto.
Una crescita del lavoro così asfittica fa sì che il tasso di disoccupazione torni a risalire, dall’8,1% all’8,2%.
Il dato di maggio è il peggiore dall’inizio dell’anno e il New York Times lo giudica “potenzialmente devastante per Obama”.
Le sue chance di rielezione perdono quota, via via che l’opinione pubblica vede sfumare una ripresa che solo tre mesi fa pareva robusta.
Per Obama questo è il “terzo remake” di un brutto film.
Già nella primavera del 2010 e nella primavera del 2011 accadde lo stesso: un inizio di ripresa Usa, abortito per colpa dei venti di paura venuti dall’eurozona.
Ora vi si aggiunge un effetto circolare: le potenze emergenti Cina, India, Brasile, perdono colpi tutte insieme.
Non c’è una sola locomotiva di crescita nel mondo, che riesca a compensare lo shock depressivo generato dall’eurozona.
Gli unici beneficiari sono i Bund tedeschi che ormai vengono collocati sul mercato a tasso zero.
Ma il credito a buon mercato è un vantaggio modesto per la Germania, se i suoi sbocchi di esportazione si rattrappiscono: è quel che Obama ripete alla Merkel, tentando di far leva sull’interesse nazionale tedesco che pure finirà per pagare dei prezzi.
Federico Rampini
(da “La Repubblica”)
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Giugno 3rd, 2012 Riccardo Fucile
ADINOLFI CHE DOVRENNE SUBENTRARGLI: “PATETICO” … POI ATTACCA BERSANI: “MI ODIA E STA FACENDO DI TUTTO PER NON FARMI ENTRARE ALLA CAMERA”
Pietro Tidei non molla e, anzi, passa al contrattacco, arrivando a insultare quanti lo hanno invitato a dimettersi, in ragione dell’incompatibilità tra l’incarico di sindaco di Civitavecchia e di parlamentare del Pd.
Non solo Mario Adinolfi, il blogger che dovrebbe subentrargli alla Camera, ma anche diversi esponenti di spicco del Pd, che lo hanno sollecitato a fare un passo indietro, nel rispetto della legge e del codice etico del partito.
“Carogne”, ha tuonato contro di loro il neo-sindaco, che, di dimettersi, non ne vuole ancora sapere. “Sto rispettando la legge, attendo la comunicazione ufficiale del presidente della Camera”, fa sapere Tidei, che, più o meno inconsapevolmente, sta creando non poco imbarazzo ai vertici di largo del Nazareno.
Una parte del partito di Bersani (chiamato in causa, il segretario ha sottolineato che della vicenda è stato investito il gruppo parlamentare), si è schierata dalla parte di Adinolfi, l’eterno outsider noto per aver mosso aspre critiche verso la dirigenza del Pd.
Un ruolo che rivendica ancora oggi: “Bersani mi odia e stanno facendo di tutto per non farmi entrare alla Camera”, dice Adinolfi, anche se la direzione del partito ha fatto sapere di non essere intervenuta, nè di avere alcun ruolo nella scelta del sindaco-parlamentare.
Un vero e proprio giallo, alimentato anche dalla promessa fatta da Tidei durante la campagna per le amministrative: “In caso di elezione, mi dimetterò subito da deputato”, aveva garantito. Dimissioni che non sono arrivate.
Inizialmente, per giustificare il rinvio di quello che rimane, comunque, un atto ineludibile, Tidei ha tirato in ballo la vicenda del tribunale di Civitavecchia e la sua possibile chiusura.
“Prima delle elezioni, aveva ricevuto determinate garanzie. Qualcuno ha cambiato le carte in tavola, e adesso, a fronte di una possibile chiusura degli uffici giudiziari, ha chiesto di vederci chiaro. Appena avrà ricevuto rassicurazioni in merito si dimetterà “, aveva fatto sapere il suo portavoce.
A distanza di dieci giorni da queste affermazioni, il parlamentare chiama in causa quelle stesse leggi alle quali si appellano i suoi “avversari”: “Le regole per l’incompatibilità sono chiare e io le sto seguendo pedissequamente. Stiano tutti tranquilli e calmi – ha detto oggi parlando a Radio 24 – Mi dimetterò entro 30 giorni da quando il presidente della Camera mi comunicherà la sussistenza di una causa di incompatibilità e mi inviterà a scegliere. Non starò un minuto in più. Dopo le elezioni, mentre mi bruciavano la macchina e venivo accompagnato dai carabinieri per preservare la mia incolumità , pensi che razza di carogne chiedevano le dimissioni invece di mostrarmi solidarietà “.
Tidei adesso fa anche notare che a Civitavecchia esiste un problema “tecnico”: “In Comune ho trovato un buco da 31 milioni di euro con bilancio in dissesto e se entro il 30 giugno non approvo il bilancio il ministero mi scioglie il Consiglio comunale. Se io mi dimetto oggi dal Parlamento e mi sciolgono dopodomani il Consiglio, non sono nè parlamentare nè sindaco”. Dietro agli attacchi di Adinolfi, dice, ci sarebbe la “smania” di subentrare alla Camera, di una persona definita “intemperante, che si dimostra più adatta ai tavoli da poker, sui quali è giocatore professionista”.
Una presa di posizione che, naturalmente, non è piaciuta al blogger democratico, che definisce “pietosi” gli “attacchi personali” e ribadisce la necessità di rispettare fino in fondo le leggi: “Dobbiamo evitare di mettere in scena uno show tristissimo, tra il vecchio che rivendica 42 anni di redditi da politica, culminati in doppia pensione e privilegi da onorevole, contro il subentrante scalpitante. Non è una rissa Adinolfi-Tidei. C’è una legge sull’incompatibilità e va rispettata. Tidei si appella a procedure che, si sappia, scattano solo perchè lui rifiuta l’evidenza dell’incompatibilità . Il sindaco di Siena eletto nel 2011 si è dimesso il giorno dopo. Nel Pd la regola è questa, in ossequio alla legge e alla sentenza confermativa della Consulta”.
Sono molte le voci che si sono levate in difesa di Adinolfi, a cominciare da Debora Serracchiani (“le dimissioni di Tidei da deputato sono un atto dovuto per lo Statuto Pd e per la legge. Rinviarle non è accettabile per nessun motivo” ha scritto su Twitter) e Andrea Sarubbi, che ha messo in guardia il Pd dalle conseguenze delle mancate dimissioni: “Ogni minuto che passa è un voto in più a Grillo. 60 all’ora, 1440 al giorno. Se passano 2 mesi, sono quasi 90 mila”.
Esplicita anche un’altra collega di partito, Pina Picierno: “Questa storia delle non dimissioni di Tidei è scandalosa. Le regole non si piegano a interessi personali. Mai”.
Posizione condivisa da Salvatore Vassallo (deputato Pd): “Adinolfi può piacere o non piacere, ma il sindaco-deputato Tidei si deve dimettere da uno dei due incarichi subito”.
Il senatore democratico Lucio D’Ubaldo, in un post, parla di una “manganellata” da parte di Tidei nei confronti di Adinolfi, e invita il segretario regionale, Enrico Gasbarra, a prendere posizione: “Nel Partito democratico sopravvive una mentalità sbagliata. Alcuni pensano, nel solco di prassi autoritarie, di manganellare l’interlocutore scomodo con formule inappellabili e decisamente offensive. Gasbarra, uscendo dal riserbo di questi giorni, dovrebbe intervenire a difesa di Mario Adinolfi. Tidei lo accusa di intemperanza e, rintuzzandone le pressioni come primo dei non eletti, lo giudica ‘più adatto ai tavoli da poker, sui quali è giocatore professionista a livello internazionale, che non al ruolo di onorevole a cui ambisce con tanto fervore’. Non è un linguaggio appropriato”.
Ne approfitta, ovviamente, il Pdl: “Le mancate dimissioni del neosindaco di Civitavecchia, Pietro Tidei, dimostrano come Nicola Zingaretti ed il Pd siano abituati a predicare bene e razzolare male. Non è possibile, nè tollerabile, fare i paladini delle regole a corrente alternata”, dice il parlamentare e coordinatore del partito a Roma, Gianni Sammarco.
Alla Camera, intanto, la Giunta per le elezioni ha avviato le procedure sull’incompatibilità di Tidei (Leoluca Orlando, altro sindaco-deputato, ha fatto sapere di aver già inviato una raccomandata, in cui rende nota la scelta di voler rinunciare all’incarico di parlamentare).
Il regolamento prevede 30 giorni di tempo per concludere la procedura.
Adinolfi, però, sembra scettico anche su questa scadenza: “Spero che il Pd non stia puntando a far raggiungere a Tidei la pausa estiva, che lo terrebbe in Parlamento almeno fino a ottobre”.
Marco Pasqua
(da “La Repubblica”)
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Giugno 3rd, 2012 Riccardo Fucile
ASCOLTATO DAI MAGISTRATI L’EX ASSESSORE BUSCEMI… HA VISTO IL SUOCERO DACCO’ E SIMONE NEL CARCERE DI OPERA… IL FACCENDIERE STA COLLABORANDO CON GLI INQUIRENTI
Virano sempre più verso il Pirellone, le indagini della procura di Milano sui fondi neri
delle cliniche Maugeri.
Lo dimostrano gli interrogatori: oltre ai dirigenti della fondazione, nei giorni scorsi è stato sentito, in gran segreto, un funzionario della Regione.
A Palazzo di Giustizia, inoltre, ieri si è affacciato Massimo Buscemi, ex assessore – prima con delega alle Reti e poi ai Servizi di pubblica utilità – nelle giunte Formigoni, per parlare “spontaneamente” con Laura Pedio, uno dei pm che segue le indagini insieme ai colleghi Antonio Pastore, Luigi Orsi e Gaetano Ruta e al procuratore aggiunto Francesco Greco.
Non è la prima apparizione in procura di Buscemi, che a marzo aveva chiesto di parlare con l’aggiunto Alfredo Robledo, titolare dell’inchiesta per corruzione a carico dell’ex presidente del consiglio regionale il leghista Davide Boni.
“Non ho mai preso soldi in vita mia”, disse, in quell’occasione, Buscemi.
Questa volta parla di “visita di cortesia” e fa sapere di “essere sempre a disposizione” dei magistrati qualora volessero sentirlo.
Buscemi non è indagato. Il suo nome, però, è finito nelle carte dell’indagine sulla fondazione per un motivo: è il genero di Pierangelo Daccò, il faccendiere vicino a Comunione e Liberazione che ha ospitato, nei suoi viaggi di piacere il presidente della Regione Roberto Formigoni.
Il consigliere regionale del Pdl, infatti, ha sposato Erika Daccò, la stessa che, con la sua società , la Limes srl, ha venduto per tre milioni di euro una villa in Sardegna ad Alberto Perego, amico e coinquilino di Formigoni il quale, a sua volta, sembrerebbe aver contribuito all’acquisto con un milione di euro.
Agli atti dell’inchiesta, inoltre, c’è un’informativa nella quale gli investigatori notano un altro episodio che per loro prova lo stretto legame tra Daccò e Antonio Simone, l’ex assessore regionale Dc – amico di Formigoni e membro di Cl – arrestato per aver ricevuto una buona parte dei 70 milioni di euro che Daccò avrebbe sottratto alla Maugeri.
“Nelle scorse settimane – scrivono il vice questore aggiunto della polizia Mario Ciacci e il maggiore della Guardia di finanza Ernesto Carile – l’assessore Massimo Buscemi si è recato in carcere a Opera per incontrare il suocero Daccò e, subito dopo aver terminato il colloquio, ha incontrato Simone”.
L’annotazione è di gennaio: in quel momento Simone non è ancora stato arrestato. Come mai Buscemi lo va a trovare subito dopo aver parlato con Daccò? ”
Niente di strano – assicura a Repubblica Buscemi – io sono amico di Simone e quando era in libertà lo frequentavo. Entrambi siamo imprenditori nell’editoria, lui nel settimanale Tempi, io come presidente di una concessionaria pubblicitaria, Pensiero Italia”.
Ma i detective, nella loro informativa, sembrano attribuire a Buscemi un ruolo diverso: “Il fatto che Daccò sia in carcere – scrivono – alla luce dell’incontro che Buscemi ha avuto con Simone subito dopo aver incontrato il suocero, portano a ritenere che Simone possa essere l’uomo più adeguato a supplire l’assenza del proprio “socio in affari” e proseguire quindi nelle attività intraprese”.
Davide Carlucci
(da “La Repubblica”)
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