Gennaio 15th, 2013 Riccardo Fucile
QUASI TUTTI CI METTONO IL NOME: PER IL POLITOLOGO PASQUINO AIUTA L’ELETTORE
La bacheca del Viminale è strapiena: sono 215 i simboli presentati per questa tornata elettorale del 24 e 25 febbraio.
Un mini-boom del contrassegno pari al più 15 per cento: alle politiche del 2008 erano «solo» 181.
Dopo la scrematura ne furono accettati 153.
Il ministero dell’Interno deciderà chi sarà ammesso, respinto (ma esiste sempre il ricorso in Cassazione) o rimandato: in questo caso il «concorrente» avrà 48 ore di tempo per riproporsi con le modifiche richieste.
Perciò la corsa di molte compagini «tarocche» potrebbe finire qui.
O incagliarsi alla tappa successiva, quella della raccolta delle 30 mila firme, da cui sono esentati i partiti già presenti in Parlamento da inizio legislatura.
Poi domenica 20 e lunedì 21 verranno presentate le liste.
Svelato dunque anche il logo del Pdl, l’unico grosso calibro rimasto misterioso fino all’ultimo.
In realtà sono due, catalogati al numero 196 e 196 bis: in quello per l’estero non c’è il sottotitolo «Berlusconi presidente» ma «Centro destra italiano».
La Lega invece ha ritirato il «Maroni presidente», che sarebbe stato un doppione.
Mossa strategica del Carroccio: «Serviva solo ad evitare liste civetta», ha spiegato Calderoli.
La coalizione di centrodestra, capitanata dal Cavaliere, alla Camera comprende anche Grande Sud e Mpa, Fratelli d’Italia, Pensionati, Intesa popolare, La Destra di Storace, Liberi da Equitalia e il Mir di Samorì.
Al Senato si aggiungono Popolari Italia domani, Basta Tasse, Lista del Popolo e Rinascimento italiano.
Sette i partiti dello schieramento di centrosinistra guidato da Pier Luigi Bersani: oltre al Pd ci sono Sel di Vendola, Centro democratico di Tabacci e Donadi, il Psi, il Megafono di Crocetta, i Moderati di Portas e la Svp. Formazione fissa, vale per Montecitorio, Palazzo Madama e estero.
Al centro, con il Professore, al Senato c’è la lista Monti per l’Italia, alla Camera invece alla Lista civica dell’ex premier si affiancano Fli di Fini e Udc di Casini.
Lo scudo crociato è in pieno revival: compare in altri tre simboli.
Mentre molte piccole liste, da Viva l’Italia a Mondo Anziani, hanno deciso di coalizzarsi dichiarando come loro capo il pubblicitario romano Ottavio Pasqualucci, leader di Forza Roma: in questo modo, se il Viminale ammetterà questi simboli sulle schede, i loro voti si sommeranno.
Detto che il primo logo depositato è stato quello del Maie di Merlo e l’ultimo, il numero 215, quello di Unione popolare, il trend dominante è sicuramente quello autoreferenziale: quasi tutti includono nel simbolo anche il nome del proprio leader.
Tra i big, soltanto il Pd va controcorrente e rinuncia a metterci Bersani. Gli altri invece sono bene in evidenza: Monti, Vendola, Berlusconi, Casini, Storace, Grillo, Ingroia, Fini, Di Pietro, Maroni, Samorì, Mastella, che ritorna con l’Udeur, persino la Staller.
Per il politologo Gianfranco Pasquino «uno può scegliere di adeguarsi o decidere di essere l’unico in controtendenza, come Bersani».
In pratica anche qui vale la regola morettiana del «mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente».
Difficile dire quale sia la mossa che paga in termini di consensi.
«Non so se mettere il proprio nome porti voti o no, di certo consente una migliore identificazione del partito», spiega Pasquino.
«Con tante formazioni politiche che nascono e muoiono in poco tempo, questa è una classica scorciatoia cognitiva. Voto Casini, voto Ingroia, è più semplice».
L’unica eccezione resta il Cavaliere. «In passato è provato che la gente ha votato proprio lui, non il partito. Berlusconi catalizza le preferenze, sarà così anche stavolta».
Però non è scontato che sarebbe il premier. «Non ci credo. Nel caso, improbabile, che vinca il Pdl, fermo restando che sceglie il presidente Napolitano, il capo del governo sarà Berlusconi».
Il sondaggista Nicola Piepoli dice che «non c’è una regola generale. Chiaro che il Pd sta bene com’è, è vincente con o senza la faccia di Bersani. Per altri invece può essere determinante».
La questione più che politica, rivela, è psicologica: «È il comportamento del singolo che conta. Tanto più uno ha fiducia in sè, meno ha bisogno di comparire in prima persona, convinto che il partito possa farcela da solo. Se invece non è sicuro dei suoi, sente di doversi proporre in prima persona, per convincere gli elettori».
Non può valere il contrario, ovvero che Bersani, in fondo, non attira voti? «Guardi, a queste politiche io vorrei essere lui, avrei già vinto».
Giovanna Cavalli
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Gennaio 15th, 2013 Riccardo Fucile
A SAREGO DOVE IL SINDACO HA VINTO CON UNA CAMPAGNA DA 300 EURO
Ritorno a Sarego. 
Prima di Parma e di Pizzarotti, è nel piccolo comune vicentino che, secondo Beppe Grillo, «è nata la Terza Repubblica».
Qui la scorsa primavera è stato eletto il primo sindaco del Movimento 5 Stelle.
Primo in tutta Italia. «Così ho perso la tredicesima», si schernisce Roberto Castiglion.
«Ho deciso di prendere l’aspettativa per dedicarmi a tempo pieno al mio incarico».
Lui, 33enne ingegnere informatico, un lavoro sicuro ce l’aveva già : project manager all’Enel in un gruppo di sviluppo per applicazioni per smartphone e tablet.
«È cambiato tutto», dice accogliendoci nel suo ufficio al primo piano del Comune.
Tra le carte sparse sul tavolo c’è un volantino informativo sui primi sei mesi di amministrazione con illustrato il bilancio comunale.
«Abbiamo il blog, il sito dell’amministrazione e Facebook ma qualche cittadino ci ha chiesto di essere informato con mezzi tradizionali», ammette il sindaco 2.0.
Che ci tiene a sottolineare: «La nostra prima opera è stata installare due impianti fotovoltaici sui tetti della scuola media della frazione Meledo e delle elementari».
Una produzione di circa 26 mila Kwh annuali che, secondo i calcoli, farà risparmiare 118 mila euro in 25 anni.
Ma la giovane giunta (età media 36 anni) deve occuparsi anche di altri conti. «Far quadrare tutto con il patto di stabilità non è facile», spiega Castiglion.
Che ha dovuto confrontarsi anche con le aliquote Imu, nonostante il Movimento non abbia una chiara posizione a riguardo.
«La nostra decisione è stata di lasciare la quota al minimo per prima casa e alzare quelle delle attività produttive e delle banche».
Scelta che ha creato qualche malcontento tra i poco più che sei mila cittadini di Sarego. «Qui tocchiamo punte di un’impresa ogni 10 abitanti», ricorda Luigino Bari, a capo del mandamento locale della Confartigianato.
Eppure, proprio facendo leva sulla piccola media impresa Grillo e i suoi stanno cercando di raccogliere consensi per la campagna elettorale.
Nel suo blog ha definito «uomo dell’anno» il piccolo e medio imprenditore.
Mentre due giorni fa, in Sicilia si è celebrato il Restitution day: i consiglieri regionali hanno restituito la porzione di stipendio eccedente i 5 mila euro a un fondo che finanzierà il microcredito per le attività produttive.
Circa un milione l’anno.
Ma anche i meetup del Nord, Lombardia e Veneto in testa, hanno cominciato a confrontarsi con gli imprenditori locali.
Gente delusa e alle prese con «la seconda peggiore crisi dal dopoguerra», secondo i dati forniti a LaStampa.it dal Centro studi Tolomeo.
Che certificano la flessione delle imprese attive a Nordest (-1 per cento, circa 11 mila 500 capannoni chiusi rispetto al 2011) e la brusca crisi dell’artigianato (- 1,7 per cento, circa 6 mila in meno).
Nella terra del “miracolo economico” aumenta invece la disoccupazione che sale al 6,5 per cento, senza tenere conto dei cassaintegrati.
Dato ancora basso rispetto alla media nazionale (intorno all’11 per cento) ma in netta crescita rispetto al 2011 (era del 4,5), anche per l’aumento dei lavoratori attivi, con un’oggettiva difficoltà per i giovani a trovare un impiego.
«Si sopravvive grazie alla famiglia e ai risparmi», analizza Luigino Bari.
Il membro della Confartigianato vicentina vede grigio: «Ci sono piccoli segnali di ripresa, ma la situazione resta difficile. Pensi che rispetto al 2011, i finanziamenti per investimenti sull’impresa sono diminuiti dell’80 per cento».
Anche per questo l’associazione, prima in Italia come numero di artigiani, ha creato un fondo ad hoc coinvolgendo le banche e nove comuni per fare ottenere liquidità a tassi dimezzati alle imprese.
Tra le amministrazioni che hanno aderito c’è anche Sarego.
«Il sindaco Castiglion è stato una felice sorpresa anche per me – dice il suo concittadino Luigino Bari — lui e la sua giunta sono giovani ma hanno voglia di ascoltare e di capire. A livello locale si stanno comportando bene, la domanda è cosa faranno per il Paese?».
«Guardi io ora voto Movimento 5 Stelle ed ero un militante della Lega Nord», ci dice il titolare del Bar Sport a pochi passi dal municipio di Sarego.
Alla trattoria “Al Brolo”, invece, c’è chi si ricorda dei pranzi del ministro Calderoli.
«Veniva qui prima dei ritrovi a Monticello di Fara».
Sulla collina berica aveva la sede il sedicente parlamento “padano”.
Ora i cancelli della villa “La Favorita” sono chiusi. E su una targa si legge la scritta: «Si organizzano pranzi, matrimoni e convention».
La sensazione è che nei piccoli e medi comuni pedemontani, da sempre il bacino di voto della Lega, il partito di Maroni abbia perso parte del consenso.
E tanti leghisti delusi, circa il 12 per cento come testimoniano le analisi di flusso elettorale (vedi infografica in basso), si sono rivolti al Movimento 5 Stelle.
Però, secondo il politologo Paolo Feltrin, bisogna distinguere tra elezioni amministrative e quelle politiche di febbraio.
La parabola di Sarego, insomma, potrebbe non valere per l’Italia.
«Per le politiche si preferirà il voto utile a quello di protesta. La contrapposizione è tornata ad essere tra centro-destra e centro-sinistra, cui si è aggiunto il terzo polo».
E conclude: «Anche le piccole medie imprese passeranno in secondo piano nel dibattito. Qui il problema è che la nave non affondi. Le domande da farsi su Grillo sono altre: andrà oltre il 10 per cento? E cosa faranno i suoi deputati il giorno dopo le elezioni?».
Davide Lessi
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Gennaio 15th, 2013 Riccardo Fucile
SCOPPIA LA GRANA DEI RADICALI NELLE LISTE DEL PD
«Perchè imbarcano tutti tranne i nostri candidati? Quello cui assistiamo è una chiusura tetragona, per difendere contro l’alternativa radicale i rispettivi regimi, anche nella loro dimensione indigena. Parlo di Lazio e Lombardia, due prepotenti e corruttisime storie di regime» ha attaccato ieri il leader Marco Pannella in un intervento a Radio Radicale.
E proprio il caso Lazio è quello che sta destando, anche su Twitter, maggiore scalpore.
Nicola Zingaretti, candidato del Pd per le Regionali, ha chiesto alla maggioranza che lo sostiene di non ricandidare i consiglieri uscenti, dopo lo scandalo dello sperpero dei fondi pubblici che ha travolto Pdl e Idv, ma ha comunque intaccato anche l’immagine degli altri gruppi.
Sono quindi rimasti fuori dalle liste che sostengono Zingaretti anche Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, i due consiglieri regionali uscenti che proprio con le loro denunce avevano fatto emergere il caso-Fiorito e tutti gli sprechi dei fondi pubblici.
Un gruppo di esponenti del Pd è stato però ricollocato, anzi promosso: Bruno Astorre, Carlo Lucherini, Claudio Moscardelli, Daniela Valentini e Francesco Scalia, non potendo correre per la Pisana, si presentano al Senato, mentre Marco Di Stefano è candidato alla Camera e Esterino Montino sarà candidato sindaco a Fiumicino.
«È una situazione vergognosa, lasciano fuori gli unici che avevano denunciato gli sprechi e gli altri li premiano mandandoli in Parlamento» hanno denunciato i Radicali.
«Ma noi riproporremo Rossodivita e Berardo» ha promesso Pannella.
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 15th, 2013 Riccardo Fucile
COME LE PRIMARIE DEL PD, ANCHE LA PRESENZA DI BERLUSCONI DA SANTORO PUO’ GENERARE SUL MOMENTO UN LEGGERO AUMENTO DEI CONSENSI MA POI CONTA IL TREND SUCCESSIVO
I sondaggi elettorali provocano spesso – soprattutto in questo periodo di evoluzione
continua dell’offerta politica – un largo dibattito.
Così è stato anche per i risultati della ricerca Ispo condotta in questi ultimi giorni sulla Lombardia, pubblicata sul Corriere della Sera.
Alcuni commenti, tuttavia, partono da una impostazione errata e pericolosa.
Vale la pena, dunque, di sottolineare nuovamente come, specie nel corso di una campagna elettorale, i sondaggi non abbiano tutto quel valore previsivo che alcuni attribuiscono loro.
Ma rilevino solamente lo stato delle opinioni in un certo momento, per di più con un margine di approssimazione statistico che in particolare comporta difficoltà nello stimare il seguito dei piccoli partiti.
Occorre considerare che, in un periodo di diffusa indecisione e mobilità potenziale come l’attuale, alcuni eventi possono influenzare l’elettorato, mutandone le intenzioni di voto.
A dicembre, ad esempio, il Pd vide incrementarsi notevolmente i suoi consensi ad effetto delle primarie e il fenomeno fu certificato dai sondaggi.
Poi la crescita si è attenuata.
Ancora, proprio in questi giorni, tutte le ricerche registrano una ripresa del Pdl, anche a seguito della presenza di Berlusconi in televisione, in ultimo da Santoro.
E la stessa sondaggista di riferimento di Berlusconi, Alessandra Ghisleri, avverte che si tratta di una avanzata potenzialmente provvisoria.
Anche per il passato si tende a sostenere che un tale ricercatore avrebbe «azzeccato» il risultato futuro e che un altro avrebbe «sbagliato». Non è necessariamente così.
Dipende dal momento in cui si è effettuata la ricerca e dalla evoluzione successiva della campagna.
In diversi casi, la condotta e le scelte comunicative di un candidato hanno finito col sovvertire l’orientamento a lui o a lei favorevole.
nsomma, i sondaggi descrivono, com’è inevitabile, solo la situazione in un dato momento. Seguono e documentano la campagna elettorale, ma non possono, per loro natura, prevederne gli esiti. Il che suggerisce che le ricerche dovrebbero essere usate come strumento per la campagna, per sollecitare o correggere temi o iniziative, non tanto come previsione.
In definitiva, occorre considerare i sondaggi per quello che sono: fotografie, non vaticini.
Renato Mannheimer
(da “il Corriere della Sera”)
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