Gennaio 27th, 2013 Riccardo Fucile
IL TENTATIVO DI BUTTARSI A CAPOFITTO SULL’AREA DEL NON VOTO… IL NUOVO CONTRATTO CON GLI ITALIANI: “SE FALLISCO MI RITIRO”
Altro che rettore della Bocconi, Mario Monti è un «professorino » capace solo di guardare l’economia «dal buco della serratura della sua aula».
Silvio Berlusconi prosegue nella campagna di demolizione della figura del premier e stavolta sceglie di colpirlo negli affetti, prendendo di mira i trascorsi accademici di cui il presidente del Consiglio è sempre andato fiero.
Con il cosiddetto «centrino» di Monti il Cavaliere non vuole avere nulla a che fare, nè considera possibile collaborare con «personaggi come Fini e Casini».
Il giorno dopo l’avvio ufficiale della campagna elettorale, Berlusconi torna ad occupare la tv.
Il lieve malore di due giorni fa e gli antibiotici alterano la voce dell’ex premier al Tg1. Il repertorio è quello solito.
Monti non è giudicato neanche in grado di investire un’eventuale vincita di «cinquanta mila euro al Totocalcio», mentre Pierluigi Bersani è ridotto al rango di «politico di mestiere».
A Nichi Vendola, invece, Berlusconi augura un viaggio di solo andata in terra di «comunismo ortodosso: mi piacerebbe mandarlo nel paradiso comunista della Corea».
Ma è con Monti che è ormai conflitto aperto.
Berlusconi non ha gradito le avances rivolte dal premier a un Pdl deberlusconizzato, l’ha considerato un affronto personale.
Ma in privato ha anche sottolineato l’atteggiamento ondivago dell’ala moderata del Pdl: «Volevano diventare montiani, oggi sembrano più berlusconiani di me…
«.Il Cavaliere è costretto ad alzare i toni, sa che i sondaggi sono inchiodati ormai da giorni e non accennano a migliorare. Nelle prime settimane di campagna ha recuperato un po’ di terreno, ma nessun istituto demoscopico segnala un nuovo sprint. Il 20% è considerato già un traguardo difficile da superare, così gli ha spiegato la sondaggista di fiducia.
Eppure l’ex premier continua a sperare: «Abbiamo recuperato 10 punti in meno di un mese». Ora la mission diventa buttarsi a capofitto sull’area del non voto, perchè «quasi il 50% sono elettori che nel 2008 ci avevano dato il loro voto».
A Palazzo Grazioli le tentano tutte pur di accompagnare lo sforzo del leader. Accettano qualsiasi intervista, si propongono a moltissime trasmissioni.
La prossima settimana, ad esempio, Berlusconi sarà ospite di Bianca Berlinguer durante il Tg3 e si offrirà agli ascoltatori del programma radiofonico “Un giorno da pecora”.
Gli ambasciatori berlusconiani stanno anche ragionando con Ballarò e Lucia Annunziata in vista di una possibile incursione del Capo.
Il vero nodo resta invece la sfida con i leader delle altre coalizioni.
«Noi accettiamo tutto – spiega Paolo Bonaiuti – mentre da quanto so Bersani non vuole il confronto a due».
Una cosa è il forcing mediatico, altra la volontà di girare l’Italia per tenere comizi nei palazzetti.
La promessa di venti incontri pubblici nelle venti Regioni resterà solo una promessa. Berlusconi si concentrerà soprattutto sulle cinque circoscrizioni senatoriali in bilico, a partire dalla Lombardia.
E proprio in un palasport di Milano si chiuderà la campagna elettorale.
Il tour si concentrerà comunque nella settimana di Sanremo, dal 12 al 16 febbraio, quando l’audience sarà monopolizzata soprattutto dal festival.
Per tirare la faticosa volata elettorale Berlusconi intende far fruttare al meglio anche il nuovo “Contratto con gli italiani”.
Scartata l’ipotesi di tornare negli studi di Bruno Vespa – avrebbe il sapore del ritorno all’antico – si sta ora valutando la location migliore.
Sarà comunque un evento pubblico, cucito su misura.
E non è detto che sia in uno studio televisivo.
Nel testo è prevista anche una clausola finale, con la quale Berlusconi prometterà che, in caso di fallimento, si ritirerà dalla scena pubblica.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 27th, 2013 Riccardo Fucile
SPARITI 150.000 EURO IN UN GIRO DI FATTURE FALSE
Fatture false pagate su conti esteri e capitali fatti rientrare in Italia in contanti.
Passa attraverso una triangolazione con gli Stati Uniti la tangente da 600 mila euro che sarebbe stata pagata per la fornitura di 45 filobus della Breda Menarini al Comune di Roma.
Soldi che secondo Edoardo D’Incà Levis, il mediatore incaricato di accantonare la provvista «in nero» poi diventato testimone chiave dell’inchiesta, sarebbero finiti «alla segreteria di Alemanno».
Sono gli atti processuali depositati dopo il suo arresto a ricostruire il percorso del denaro.
Rivelando un particolare che non appare affatto superfluo e sul quale sono stati disposti nuovi accertamenti: dal conto finale sono spariti almeno 150 mila euro. D’Incà Levis aveva infatti messo da parte 600 mila euro, ma poi gli fu detto che servivano altri fondi «per la politica» e la cifra effettivamente fatturata è pari a 850 mila euro, dai quali bisogna togliere la sua «provvigione» di 100 mila euro.
Chi ha preso la differenza?
La domanda sarà girata a Riccardo Mancini, fedelissimo del sindaco di Roma che giovedì scorso si è dimesso da amministratore delegato di Ente Eur e viene indicato come uno dei destinatari della «mazzetta».
E a Roberto Ceraudo, l’amministratore delegato di Breda finito in carcere la scorsa settimana proprio perchè accusato di aver fatto da «collettore» per la tangente.
In una cassetta di sicurezza a lui intestata aperta presso il Banco di Napoli sono state trovate banconote fascettate che potrebbero far parte del «tesoretto» nascosto.
E proprio su questo il pubblico ministero Paolo Ielo, titolare dell’indagine, ha già ordinato ulteriori verifiche.
Consulenze negli Stati Uniti
Siamo nel luglio 2008. Nelle stanze del Campidoglio si parla evidentemente dell’acquisto dei filobus, ma non c’è nulla di ufficiale.
Eppure i manager sono già allertati.
Due relazioni della Guardia di Finanza allegate agli atti documentano come «gli accordi contrattuali relativi al rapporto di consulenza sono stati formalizzati in Italia addirittura prima dell’emanazione del bando da parte di “Roma Metropolitane”».
Gli investigatori hanno rintracciato alcune mail spedite da Ceraudo a D’Incà Levis «nelle quali si parla esplicitamente di un’attività definita “Lobby Rome”».
I due decidono di far ricorso ad un sistema semplice e consolidato: utilizzare una società estera «per procacciare fatture per operazioni inesistenti finalizzate alla costituzione della provvista da utilizzare per attività illecite connesse all’appalto». Viene scelta la «Systematic Enterprise LLC». In un «addendum» ai contratti già siglati, sottoscritto il 16 settembre 2008, viene fissata anche la percentuale, pari al 2,69 per cento».
Per l’accusa le date sono fondamentali.
L’appalto viene infatti assegnato al consorzio di imprese di cui entrerà a far parte Breda, soltanto due mesi dopo, esattamente il 20 novembre 2008, eppure tutto è già stato predisposto.
Le cinque fatture contraffatte
Nell’ordinanza di arresto di D’Incà Levis è ricostruito il percorso dei soldi.
Il 5 marzo 2009 la «Systematic Enterprise LLC» emette la prima fattura da 264.153 euro a Breda che però non la contabilizza.
Lo stesso procedimento viene utilizzato il 3 luglio dello stesso anno per un importo di 226.967 euro e il 24 settembre successivo per un cifra pari a 358.600 euro.
Tutti i soldi vengono bonificati su un conto aperto presso una filiale Barclays Bank di Londra.
Il «nero» è dunque accantonato, ma evidentemente ancora non basta.
Nel novembre e nel dicembre 2011 vengono infatti emesse altre due fatture per un totale di 356.497 che però non risultano ancora pagate.
È che potrebbero rappresentare il veicolo per accantonare un’ulteriore «mazzetta» da utilizzare in futuro.
Di certo c’è che i primi 750 mila euro sono già stati distribuiti, come ha raccontato nel suo verbale di interrogatorio dell’8 gennaio scorso proprio il mediatore.
Da Londra li ha spostati su un conto in Svizzera «e poi li ho consegnati in tre tranche a Ceraudo.
Le prime due volte ho dato disposizioni alla banca di consegnare i soldi a una persona che mi aveva indicato un amico che ha provveduto a farli arrivare a Ceraudo.
La terza parte l’ho bonificata su un conto BSI SA Lugano che mi aveva indicato lo stesso Ceraudo». E proprio Ceraudo «nel corso di una conversazione avvenuta via Skype, fece riferimento alla “segreteria di Alemanno” come destinataria delle risorse finanziarie».
Le banconote nel forziere
La richiesta di rogatoria per controllare la movimentazione dei conti esteri è già partita ma, come anticipa il suo legale Alessandro Diddi, «il signor D’Incà Levis – che si trova attualmente in libertà – ha già fornito documentazione inconfutabile e altra ne consegnerà nei prossimi giorni proprio per mettere a tacere tutte le illazioni riguardanti possibili strumentalizzazioni politiche».
Una risposta diretta ad Alemanno che aveva parlato di «falsità a fini elettorali».
E in attesa delle nuove carte, la Finanza è al lavoro per scoprire l’origine dei contanti trovati nella cassetta di sicurezza di Ceraudo.
I soldi sono stati trovati durante una perquisizione effettuata il primo ottobre scorso. Si tratta di 397 banconote del valore di 500 euro ciascuna per un totale di 198.500 euro avvolte in una busta bianca cautelata con elastici.
Sono in corso specifici approfondimenti volti a ricostruire la tracciabilità delle banconote, essendo già emerso che le stesse – da un preliminare esame dei numeri di matricola – risultano essere in parte consecutive e tutte provenienti dall’estero essendo state immesse sul mercato dalle banche centrali di Austria e Germania».
E tanto basta per verificare se possano essere il provento di altri affari illeciti.
Fiorenza Sarzanini
(da “il “Corriere della Sera“)
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Gennaio 27th, 2013 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DELLA PROCURA PUNTA SUI FONDI CHIESTI ALLE BANCHE PER ANTON VENETA
A inizio settembre 2011, travolta dalla crisi del debito sovrano, Mps appare una banca in affanno: sempre meno liquidità , sempre più perdite causate dall’impazzimento dello spread e difficoltà crescenti a gestire la massa enorme di Btp in pancia.
È in quei giorni che i consiglieri di amministrazione prendono coscienza che devono intervenire.
Ma per farlo, prima devono capire che cosa succede davvero nei portafogli della banca, più di quanto non sapessero (o avrebbero dovuto sapere) fino a quel momento. E a poco a poco capiscono che «non è più consentito compensare eventuali inefficienze… con i rischi finanziari», come disse il 24 novembre 2011 il presidente Giuseppe Mussari riassumendo un ragionamento del consigliere Frederic De Courtois, numero uno della francese Axa, socio al 3,7 per cento.
I verbali del consiglio da settembre a dicembre 2011 – quando come segnale per il mercato il direttore generale Antonio Vigni lascerà la banca in anticipo rispetto all’aprile 2012 (quando lasciò Mussari) – mostrano le preoccupazioni per l’impossibilità di gestire un meccanismo intricatissimo di prestiti e titoli dati a garanzia degli stessi finanziamenti, nel quale il Montepaschi sembra avvitarsi.
E poi c’è il timore per il monito dell’Authority europea (Eba), che a fine 2011 impone una ricapitalizzazione da 3 miliardi per coprire le perdite legate alle svalutazioni dei Btp in portafoglio.
Dei derivati «Alexandria», «Santorini», «Nota Italia» e delle altre operazioni oggi sotto la lente della procura di Siena ufficialmente non c’è menzione nei verbali di quel periodo.
Ma dalle domande si intuisce il sospetto dei consiglieri che qualcosa non girasse nel verso giusto.
«Quanti Btp abbiamo in portafoglio?», chiede secco Francesco Gaetano Caltagirone, vicepresidente e azionista con il 4%, al consiglio dell’8 settembre.
Di lì a poco tempo Caltagirone venderà tutte le azioni e lascerà il board.
Il capo del risk management Giovanni Conti, con accanto il direttore finanza Gianluca Baldassarri, spiega che reperire la liquidità diventa sempre più difficile, anche per la «necessità di integrazioni di collaterale in relazione ai pronti contro termine effettuati dalla banca, che hanno come sottostante titoli governativi italiani».
Insomma, si annaspava.
E risponde a Caltagirone: 28 miliardi di titoli governativi, 21,6 dei quali dello Stato italiano, il 40% dei quali «si concentra su scadenza lunghe».
Caltagirone contesta: Il portafoglio è «marcatamente sbilanciato» sia per Paese sia per le scadenze «prolungate».
Baldassarri cerca di difendersi: se avessimo comprato altri Paesi «equipollenti» all’Italia ci saremmo trovati nella stessa situazione; se avessimo comprato Bund tedeschi saremmo stati più protetti, ma i guadagni sarebbero stati «nulli o addirittura negativi».
Insomma, bisogna rischiare.
«La situazione non è ulteriormente sostenibile», è la reazione di Caltagirone, «sia come rischiosità che come conseguenze di conto economico, si devono prendere opportuni provvedimenti per alleggerire queste posizioni».
Mussari prova a rabbonirlo: definisce «ragionevole» la posizione di Caltagirone e propone di non rinnovare i bond che vanno a scadenza o di venderli se il valore si allineasse «a quello facciale».
Caltagirone insiste: ma quanti ne abbiamo, di bond, rispetto alle altre banche?
«Più o meno siamo simili agli altri istituti come percentuale dell’attivo», risponde Baldassarri, ma «Mps ha scadenze medie più protratte nel tempo».
Poi sul tema chiede tempo per poterlo approfondire.
Anche Turiddo Campaini (Unicoop Firenze) storce il naso: «La situazione attuale è il risultato di comportamenti troppo oscillanti in ricerca estrema di risultato economico», invece «c’è bisogno di procedere con maggiore linearità e minore concentrazione del rischio».
A metterci una pezza ci prova Lorenzo Gorgoni (soci pugliesi), chiedendo di non vendere in forte perdita: «L’unica possibilità è aspettare e vedere se ritorna un po’ di sereno».
A quel punto interviene Vigni a cercare di mettere ordine: la tensione nella liquidità dipende «non tanto e non solo dal portafoglio titoli» quanto dall’insieme di raccolta e impieghi, che sono stati fortemente ridotti: «La banca ha superato anche le giornate più critiche in maniera serena».
Il 24 novembre sono ancora liquidità e investimenti al centro del dibattito.
De Courtois torna sul punto: «La dimensione e la composizione del portafoglio hanno un impatto negativo sulla percezione del mercato riguardo alla Banca, con riflessi sul corso del titolo. Serve un’esposizione analitica titolo per titolo».
Per il 16 dicembre il dossier è pronto ma di fatto inutilizzabile: la documentazione «è stata messa a disposizione dei consiglieri solo da poco tempo», attacca Alfredo Monaci (oppositore dell’ex sindaco di Siena Franco Ceccuzzi e ora candidato alla Camera per la lista Scelta Civica di Mario Monti).
Si rinvia a un successivo consiglio.
Ma pochi giorni dopo Vigni si dimetterà .
E il nuovo amministratore delegato Fabrizio Viola avvierà un’altra revisione, più incisiva, ora al vaglio degli inquirenti.
Proprio sulla liquidità si concentrano le indagini della procura e del nucleo valutario della Guardia di Finanza: una liquidità che sarebbe stata difficile da reperire fin dai tempi dell’acquisizione di Antonveneta, in particolare per rimborsare Abn Amro dei 7,9 miliardi di prestiti interbancari concessi alla banca padovana.
Le operazioni di finanziamento sono sotto esame per verificare se siano state esposte correttamente alla Banca d’Italia.
E se per caso qualcuno, nei vari passaggi tortuosi, non vi abbia fatto qualche «cresta».
Fabrizio Massaro
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 27th, 2013 Riccardo Fucile
IL MAGISTRATO MILANESE, FAMOSO PER INCHIESTE SU TERRORISMO E MAFIA: “IL COMPORTAMENTO DI GRASSO? INAPPUNTABILE”
Ingroia? «Prima doveva finire il processo». Grasso? «Inappuntabile». Toghe in politica? «Sì, ma disciplinare il dopo». «E regole pure per gli avvocati».
Parla così Armando Spataro, pm famoso per le sue inchieste su terrorismo e mafia a Milano.
Si è mai sentito un «salvatore del mondo»?
«Sarebbe ridicolo sentirsi salvatori anche solo del proprio condominio. Qualsiasi indagine, indipendentemente dal suo rilievo, va portata avanti con determinazione, ma sempre avendo coscienza dei limiti e degli scopi del nostro lavoro».
Vede suoi colleghi che si sentono investiti di una missione?
«Diciamo che vedo eccessi di retorica spesso determinati da un’errata visione del ruolo del magistrato. Non siamo i moralizzatori del sistema. Il compito dei pm è cercare con ostinazione le prove delle responsabilità degli indagati per specifici reati. Se le troviamo, sarà un giudice a valutarne la sufficienza ai fini di una condanna. Diversamente, il nostro compito è finito».
Ormai spunta un’inchiesta al giorno sul nesso perverso politica-corruzione. Alla fin fine il ruolo di salvifica supplenza della magistratura non ci starebbe?
«È una vecchia questione, a mio avviso mal posta. Non è l’inerzia di certa politica la ragione del nostro agire: lo è solo l’obbligatorietà dell’azione penale. È la Costituzione a prevedere, a garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, che ogni notizia di reato obbliga il pm a indagare ».
Berlusconi non è premier e le toghe si dilaniano sull’ingresso in politica. Uno di voi può candidarsi?
«È un diritto incoercibile, come per qualunque cittadino. Non c’è alcun limite nella Costituzione. È vero piuttosto che in certe situazioni si può parlare di inopportunità , ma ciò vale anche per altre funzioni pubbliche come quelle di prefetto o questore».
Serve una legge per mettere paletti rigidi?
«Al di là delle norme già esistenti, penso che andrebbe disciplinata per legge la fase successiva alla fine dell’impegno politico. Il tema è delicato, ma si può forse convenire sulla necessità di una legge che consenta al magistrato, reduce “dall’essersi schierato” politicamente, di essere destinato a funzioni pubbliche differenti ma dello stesso rilievo di quelle prima esercitate».
Il Pg Ciani è stato durissimo sul rapporto pm mediaticamente sovraesposto e successiva candidatura. C’è l’aveva con Ingroia. Come giudica il suo ingresso in politica?
«Sarebbe inaccettabile che un magistrato prepari il suo futuro politico attraverso una preordinata esposizione mediatica mentre ancora esercita il suo lavoro. Non intendo giudicare le scelte di Ingroia, se non per dire, come cittadino, che avrei preferito vederlo prima portare a termine il delicato processo in cui era impegnato».
Meglio Grasso che ha dato l’addio alla toga?
«Lui ha deciso di mettere la sua esperienza a disposizione della politica e ha coerentemente lasciato la magistratura. Non vedo proprio che rimprovero possa essergli mosso».
Non è che tra di voi alligna una malcelata gelosia per la visibilità mediatica di Ingroia?
«Gelosie e invidie allignano in qualsiasi corpo sociale. Spero proprio, specie in questo caso, che non ne sia afflitta la magistratura, anche se, nel bene e nel male, noi non siamo altro che lo specchio del Paese».
Non servirebbero regole più stringenti pure per gli avvocati? Che vietino di fare leggi sulle cause che uno sta trattando, tipo Ghedini o Longo su Berlusconi?
«In effetti, il problema si pone anche per alcune professioni private. Per quanto riguarda gli avvocati non mi pare accettabile lo spettacolo della “navetta” di alcuni professionisti tra aule di giustizia e Parlamento fino alla approvazione di leggi o risoluzioni a sostegno delle proprie tesi difensive. Avvenne già nel 2001 con la legge sulle rogatorie. Giusto pensare anche alla sospensione dell’esercizio di certe professioni private finchè dura il mandato parlamentare ».
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 27th, 2013 Riccardo Fucile
DUE NUOVE IPOTESI DI REATO PER MUSSARI: FALSO IN BILANCIO E TURBATIVA DI NERCATO…AGLI ATTI ANCHE OTTO BONIFICI
Chi sta vicino a Mussari confida che l’ex presidente della Montepaschi di Siena ed ex presidente dell Abi “divora” ogni riga dei giornali che parlano dell’inchiesta sull’acquisto di Antonveneta (che complessivamente è costata tra controvalore e debiti 17 miliardi di euro), dei “derivati” e su tante altre operazioni che ora dopo ora, sono sempre di più sotto i riflettori dei magistrati della Procura di Siena e del valutario della Guardia di Finanza.
All’accusa sinora mossa all’ex numero uno della banca più antica del mondo – “ostacolo alla vigilanza” – stanno per aggiungersi anche quelle di “falso in bilancio e turbativa di mercato”.
Chi indaga insomma avanza l’ipotesi che Giuseppe Mussari abbia ripetutamente truccato i conti della banca senese e, con spericolate operazioni di maquillage finanziario accuratamente mascherate, abbia indotto i risparmiatori a credere che la solidità dell’istituto di credito fosse diversa da quella reale.
Accuse particolarmente gravi, che potrebbero segnare una decisa accelerazione dell’intera vicenda giudiziaria che sta radiografando in particolare gli ultimi 5 anni della sua attività e che potrebbero nascondere altri scomodi segreti.
E il “segreto” che gli investigatori vorrebbero scoprire dietro l’ufficialità dei conti della banca è puntato soprattutto sull’acquisto dell’Antonveneta che è costata ben 17 miliardi.
Segreti che potrebbero essere “svelati” dal personal computer di Mussari sequestrato dagli inquirenti, dal quale sarebbero state cancellate email che i tecnici informatici incaricati dalla Procura stanno tentando di recuperare e che potrebbero nascondere molte sorprese.
Agli atti dell’inchiesta dei pm di Siena Antonino Nastasi, Giuseppe Grosso e Aldo Natalini, sono finiti anche otto bonifici partiti dal Montepaschi ed effettuati nel periodo compreso tra il 30 maggio del 2008 ed il 30 aprile del 2009.
Il primo bonifico, di 9 miliardi e 267 milioni, corrisponde all’acquisto vero e proprio ed è diretto ad Amsterdam, alla Abn Amro (gruppo Santander, che ha venduto Antonveneta).
Con gli altri sette Mps si accolla i debiti: cinque vanno direttamente al Banco Santander per un totale di circa 5,1 miliardi di euro.
Altri due bonifici sono invece diretti alla Abbey National Treasury Service di Londra (collegata al Banco Santander) per un totale di oltre 2,6 miliardi.
Perchè questi ultimi due seguono un percorso obliquo?
Nell’interrogatorio del giugno scorso, gli investigatori fanno questa domanda a Mussari e l’ex presidente della banca senese si esibisce in una serie di risposte del tipo “non so, non ricordo”.
L’improvvisa perdita di memoria insospettisce ulteriormente la procura, inducendola a sequestrare il suo pc e a cercare nella memoria tracce di quella improvvisamente perduta dal presidente.
L’operazione di ricerca riguarda anche l’abitazione di Mussari e quella di Gabriello Mancini, presidente della Fondazione.
Ebbene, setacciando il computer di Mussari, gli inquirenti scoprono che sono state cancellate tutte le email inviate e ricevute nel periodo compreso tra giugno e ottobre del 2007, periodo coincidente con la trattativa per l’acquisto della Antonveneta.
Gli stessi investigatori si imbattono infine in un forte afflusso di capitali “scudati” da Londra.
E a questo punto i sospetti si infittiscono ancora di più.
Insomma l’inchiesta si sta allargando.
E proprio ieri la procura ha acquisito anche le sette ore di registrazione dell’assemblea Mps di venerdì perchè vogliono verificare se dagli interventi dei soci possano venire fuori notizie interessanti per l’indagine.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 27th, 2013 Riccardo Fucile
MILIONATE DI EURO AGLI ENTI LOCALI, MANCE AD ASSOCIAZIONI E AMICI I: SOLDI SPREMUTI DALLA BANCA ELARGITI DALLA FONDAZIONE
Il legame tra la sinistra e la banca senese è concreto e tangibile: i politici locali scelgono i vertici della Fondazione, che poi distribuisce sul territorio i dividendi provenienti da Mps.
Per raccogliere voti e consenso. Ma ora i soldi sono finiti.
Milioni a Provincia e Regione, migliaia di euro per gli apneisti, per la notte della taranta e per il Festival del cinema coreano
Anni di utili spremuti dalla banca ed elargiti dall’ente benefico
E gli esponenti del Pd che diventano funzionari dell’istituto devono fare — secondo il regolamento — un versamento al partito. Bankitalia: via libera ai Monti bond.
Avete presente quando si dice “finanziamenti a pioggia”?
Ecco, la Fondazione Mps, se avesse una gestione più oculata, avrebbe già da tempo registrato il brevetto.
Palazzo Sansedoni, la più elegante facciata su piazza del Campo, produce una vera pioggia di denaro. Pioggerellina fine, ma insistente. Si infila dappertutto.
Il contribuente, scontento per i 3,9 miliardi di euro che lo Stato ha dovuto prestare al Monte dei Paschi di Siena per evitare la bancarotta, potrà consolarsi scoprendo che molti soldi che mancano all’appello non sono stati rubati ma regalati.
Avana, Brasile e Guatemala
Tanto per dire: nel 2011, 20 mila euro sono stati dati all’Arci per diffondere valori culturali all’Avana; 10 mila euro li ha presi l’arcivescovo di Siena per costruire un centro di recupero per tossicodipendenti in Brasile; 45 mila euro sono finiti in Guatemala, ma non tutti insieme, non sia mai detto, bensì divisi tra tre enti della generosità planetaria quali l’associazione “Amici del Guatemala” di Siena, l’associazione “Mani amiche” di Sarteano e la diocesi di Monte Oliveto Maggiore.
E che dire dell’Associazione per l’assistenza spirituale alle Forze armate?
Poteva la Fondazione Mps, nella sua generosità e sensibilità , negare quel contributo di mille euro per il “sostegno al 186esimo reggimento paracadustisti Folgore”?
E non vuoi dare mille euro al gruppo sportivo di podismo della Polizia di Stato di Siena? Dati .
E se un ente caritatevole come il ministero degli Esteri, sì, proprio il ministero degli Esteri, abbisogna di 25 mila euro per restaurare il suo patrimonio artistico, perchè fare i micragnosi? Pronto il bonifico.
E ancora: dopo che il Monte dei Paschi ha comprato — e mal gliene incolse — la Banca 121 nella nobile terra di Puglia, come non dare 20 mila euro al festival itinerante “La notte della taranta”? Dati.
La taranta vi sembra troppo popolare come investimento culturale?
Niente paura: ecco pronti 5 mila euro per il festival del cinema coreano organizzato a Firenze dall’associazione Taegukgi.
E poi, perchè negare mille euro al “gruppo apneisti senesi”?
Meglio incoraggiare la nobile disciplina in una città sempre più spesso senza fiato quando scopre come è stata gestita la sua banca.
Soldi di nessuno
Così, un soldino sopra l’altro, la Fondazione Mps continua a spendere i miliardi di euro del suo patrimonio.
E consultando quella specie di elenco telefonico che è la lista delle cosiddette erogazioni, un migliaio di voci nel solo 2011, si capisce perchè i politici ci tengono tanto alle Fondazioni e al loro controllo.
Pensate a quanti amici si possono fare decidendo ogni giorno a chi dare e a chi no, quale iniziativa benefica approvare e quale no, quale associazione potrà sopravvivere e quale chiuderà .
La Fondazione di Siena ora è sotto la luce dei riflettori, ma è solo un pezzo di un fenomeno enorme.
Nel 2011 le 88 fondazioni bancarie hanno irrorato l’Italia con erogazioni benefiche pari a un miliardo e 92 milioni di euro.
Siena, da sola, con i suoi 126 milioni di euro, rappresenta l’11 per cento di tanta generosità .
Ma di chi sono questi soldi? Qui sta il punto.
Secondo la legge le fondazioni sono enti privati, costituiti come tali nel 1992 da Giuliano Amato che ha conferito loro la proprietà delle banche fino ad allora pubbliche.
Sono enti privati ma senza proprietari, perchè le fondazioni sono per definizione di se stesse.
Quindi sono di chi le gestisce, e le gestiscono organi di governo nominati dalla politica. A Siena i 16 membri della deputazione generale sono nominati così: 8 li sceglie il sindaco di Siena, 5 il presidente della Provincia, uno la Regione Toscana, uno l’Università di Siena, uno il vescovo di Siena.
Dice lo statuto che devono essere scelte persone non necessariamente in grado di governare la terza banca italiana, ma con “comprovate esperienze e competenze atte ad assicurare la rappresentanza del territorio”.
Direbbe Antonio Di Pietro: “Capisci a me!”.
Mance politiche, ma discrete
E quindi tutto torna. Il governo taglia i fondi per le scuole?
La Fondazione dà 3.000 euro per il laboratorio multimediale della scuola di Bagno a Ripoli.
Tagli alla ricerca ? Niente paura: ecco pronti 10 mila euro per una ricerca sulle cellule staminali del San Camillo di Roma.
Ed ecco le erogazioni per il Comune di Siena (di fatto padrone della Fondazione), per la Provincia, per l’Università , per la regione.
E per associazioni di ogni tipo, amici, amici degli amici, mostre d’arte, bande di paese, oppure centri di rianimazione o assistenza ai disabili.
Il punto è che non tutte queste spese sono assurde o clientelari, anzi, per la maggior parte sembrano soldi spesi per scopi nobili.
Il punto è che sono miliardi che i politici hanno trovato il modo di spendere privatamente nella più totale discrezionalità , fuori dai bilanci pubblici sottoposti allo scrutinio delle assemblee elettive e dei cittadini.
Come classificare il milione e 400 mila euro dato da Fondazione Mps all’Università di Siena per le borse di studio dei dottorati di ricerca?
Non ci dovrebbe pensare il ministero competente?
Dai bilanci di palazzo Sansedoni si capiscono così molte cose.
Nel 2008, anno in cui il Monte dei Paschi scassò i suoi conti per pagare 10 miliardi la Banca Antonveneta che ne valeva due, e fu comprata di corsa, come un’auto rubata, senza neppure una perizia sul valore effettivo, la Fondazione toccò l’apice del suo fulgore, erogando 376 milioni di euro.
Dal 1995 ha distribuito oltre 2 miliardi di euro.
Adesso che il Monte non dà più dividendi la festa è finita.
Ma finchè è durata era il core business della politica senese e non solo senese.
Altro che gestione dei manager.
(d a “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 27th, 2013 Riccardo Fucile
DAI FINANZIAMENTI CHE HANNO ACCOMPAGNATO IL CAVALIERE AGLI ESORDI IMPRENDITORIALI FINO AI DUE MISTERIOSI BONIFICI A DELL’UTRI POCHI MESI FA, AI FAVORI DI MPS A VERDINI
C’è un filo che lega il Monte dei Paschi al Pdl di Silvio Berlusconi e DenisVerdini.
Il leader e il coordinatore del Pdl hanno più interessi e legami finanziari personali nella banca senese del segretario Pd Pier Luigi Bersani.
Almeno stando a quel che si sa finora.
Infatti il Pdl, che dovrebbe cavalcare lo scandalo senese, lo sta facendo poco.
à‰ difficile per Berlusconi puntare il dito su quel Monte dei Paschi di Siena che lo ha accompagnato dai primi passi con Marcello Dell’Utri nei cantieri milanesi fino agli ultimi bonifici misteriosi, sempre a Dell’Utri, alla vigilia della condanna dell’amico siciliano di sempre.
“Grazie a Mps — ha ammesso il Cavaliere — potei costruire Milano 2 e Milano 3, era l’unica banca che concedeva mutui premiando la puntualità dei pagamenti”.
Erano due le banche (Bnl e Mps, entrambe con presenze della massoneria nei vertici) che finanziavano in quegli anni generosamente il Cavaliere.
Forse troppo.
Nell’inchiesta del sindacato ispettivo del Monte dei Paschi del 9 ottobre 1981 si legge: “La posizione di rischio verso il gruppo Berlusconi ha dimensioni e caratteristiche del tutto eccezionali e dimostrano l’esistenza di un comportamento preferenziale accentuato”.
Mps, nella sua filiale di Milano 2, ha custodito per 40 anni i segreti del Cavaliere.
Un muro di riservatezza nel quale ogni tanto si apre una finestra solo grazie alle indagini milanesi. Come è successo di recente con i bonifici con causale prestito infruttifero alle Olgettine del ragionier Spinelli.
O a metà degli anni Novanta, quando i finanzieri scoprirono alla solita filiale del Monte libretti al portatore per circa 28 miliardi di lire per i quali Berlusconi poi affrontò un processo per falso in bilancio (annientato da una legge ad personam).
Anche Verdini non può criticare troppo l’ex presidente Mps, Giuseppe Mussari, per gli accordi con la banca Nomura nascosti in cassaforte per truccare il bilancio del 2009.
Proprio in quel periodo Mussari finanziava generosamente gli amici di Verdini. Il 15 gennaio 2010 la Procura di Siena registra due chiamate di Verdini a Mussari. “Senti, ti posso disturbare due minuti?”. E poi: “à‰ un favore, eh, quello che ti chiedo”.
La questione è quella del prestito da 150 milioni di euro garantito da un pool di banche nell’ottobre 2008 all’amico Riccardo Fusi in quei giorni alla ricerca disperata di liquidità .
Verdini anticipa a voce una mail che inizia così: “Carissimo Giuseppe, con riferimento alla conversazione telefonica odierna ti illustro i motivi della mia chiamata”.
Verdini chiede a Mussari di concedere a Fusi 10 milioni in più, oltre ai 60 già accordati da Mps, sui 150 totali.
Il Monte doveva sostituirsi nel pool di finanziatori proprio al Credito Cooperativo Fiorentino di Verdini, poi commissariato.
A Verdini che chiede lumi sul prestito da 10 milioni, Mussari replica: “Sto aspettando un riscontro”.
Verdini insiste: “Ti prego, dammi una mano”. Mussari resiste: “Ci proviamo, non è l’esercizio più semplice del mondo, come potrai capire”.
Verdini non si arrende: “Mi devi dare una mano, via, se te la chiedo”. Solo allora Mussari capitola: “Va bene, d’accordo, proviamo”.
Alla fine il finanziamento di 10 milioni non passa.
Due settimane dopo partono le perquisizioni per l’inchiesta G8 che non favoriscono i contatti con Verdini, allora indagato per quelle questioni.
Ma Verdini, da quell’operazione fallimentare per il Monte dei Paschi di Siena, avrà comunque un utile.
Gli avvocati che seguono il finanziamento da 150 milioni sono i due Olivetti Rason, il padre Gian Paolo e il figlio Pier Ettore. E Niccolò Pisaneschi, fratello di Andrea, allora membro del cda di Mps e presidente di Antonveneta. Più Marzio Agnoloni.
A parte la questione tra i due fratelli Pisaneschi, (Andrea pagato come consigliere di chi presta, Nicola consulente di chi li prende), lo studio Olivetti Rason e Marzio Angnoloni si appoggiano a Verdini.
Lo studio Olivetti Rason paga false fatture (per l’accusa) a Verdini per 260 mila euro e Agnoloni versa in più tranche altri 157 mila euro.
Interessante l’esito delle indagini su Pier Ettore Olivetti Rason.
Nella camera da letto di questo avvocato di 39 anni i Carabinieri trovano una lettera di Licio Gelli, il maestro della loggia P2. Nel verbale del sequestro si legge: “Busta gialla avente mittente conte Licio Gell, Santa Maria delle Grazie 14, Villa Wanda, Arezzo, destinatario l’Avv. Pier Ettore Olivetti Rason, contenente libro dal titolo “L’abito del dolore”, scritto da Licio Gelli riportante dedica manoscritta dell’autore”.
Lo stesso Olivetti Rason che è stato intercettato mentre parlava di affari (il salvataggio della Sasch di Prato) con Nicolò Querci, manager del gruppo Mediaset e segretario di Berlusconi, nonchè figlio di Carlo Querci, fino a pochi anni fa consigliere del Monte dei Paschi.
Arcore e Siena non sono poi così lontane.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 27th, 2013 Riccardo Fucile
“E’ STATO A SUO TEMPO IL PARLAMENTO AD APPROVARE IL PRESTITO ALLA BANCA SENESE A FRONTE DI OBBLIGAZIONI”… MONTI: “PRESTITO A TASSO ELEVATO”
Il direttorio della Banca d’Italia, riunitosi oggi, ha espresso parere favorevole all’emissione dei Nuovi Strumenti finanziari (Monti Bond da 3,9 miliardi di euro ) da parte di Mps secondo l’iter previsto dalla legge.
E’ quanto si legge in una nota dell’istituto centrale. I Monti Bond saranno poi sottoscritti dal Tesoro.
In precedenza, lo stesso Monti aveva sottolineato il carattere temporaneo del prestito e le sue caratteristiche. “Se il prestito ci sarà sarà a tasso molto elevato”.
Monti ha ripercorso i passaggi che hanno portato il governo a decidere del finanziamento a Mps: “Ricordo che il governo ha proposto e il Parlamento ha approvato il finanziamento fino a 3,9 miliardi di euro per il Monte dei Paschi. Questo avverrà , se avverrà – Monti ha utilizzato più volte la formula ipotetica – a fronte di emissione di obbligazioni che il ministero dell’Economia acquisterà .
“E’ stato previsto dai nostri tecnici questo finanziamento con obbligazioni – ha spiegato Monti – con un tasso di interesse molto elevato, su richiesta delle autorità europee, perchè altrimenti sarebbe stato considerato un aiuto di Stato che distorce la concorrenza”.
Questo tasso, ha aggiunto il premier, “è molto più alto dei cosiddetti Tremonti Bond. In più rispetto a quei Bond, nel caso la banca trovandosi in situazione di difficoltà non riuscisse a pagare interessi al Tesoro, dovrebbe dare azioni al Tesoro stesso. In quel caso sarebbe una sorta di nazionalizzazione di risulta. Questo è l’unico aspetto – ha detto – che spetta a me spiegare sul Monte Paschi”.
Il premier ha poi parlato dell’equazione “gettito Imu=prestito Mps”.
“Siccome l’Imu ha garantito un gettito di 4 miliardi, si dice che il governo ha messo l’Imu per pagare Mps. Se ci sarà questa operazione, sarà comunque un prestito, mentre l’Imu è una tassa e non torna indietro”.
Ed anche sulle elezioni e le eventuali influenze della vicenda Monte Paschi di Siena, Monti è stato categorico: “Non ho idea, nè tocca a me dire” che peso avrà , se influenzerà le elezioni politiche frenando alcuni partiti.
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 27th, 2013 Riccardo Fucile
L’ESBORSO DEL MONTE DEI PASCHI PARI A 10,1 MILIARDI SAREBBE STATO APPESANTITO DA UNA MAZZETTA… IL PAGAMENTO DIVISO SU DUE CONTI CORRENTI: VIA ALLE ROGATORIE PER ACCERTARE LA VERITA’
Il “peccato originale” fu l’acquisto di Antonveneta dicevano gli analisti finanziari e ora sembrano essersene sempre più convinti gli inquirenti di Siena.
Ma a quel peccato, commesso ormai cinque anni fa da Monte dei Paschi per l’acquisto dell’istituto veneto già al centro di un caso giudiziario, potrebbe essere gravato anche da un altro reato: la corruzione.
Ovvero il pagamento di un maxi tangente, tra uno e i due miliardi di euro perchè l’”affare” tra Mps e Santander, che vendeva, andasse a buon fine.
L’esborso di Mps, ben 10,1 miliardi come da bilancio, sarebbe stato, come riportano il Sole24ore e la Repubblica, appesantito da una mazzetta.
Il pagamento, stranamente, fu diviso su due conti correnti: 7 miliardi su uno, due miliardi su un altro.
Soldi che potrebbero essere passati dall’Inghilterra per arrivare in Brasile. E forse rientrare, in parte in Italia, attraverso lo scudo fiscale.
Tra le risposte che gli investigatori della Finanza cercano, e alcune rogatorie sarebbero state portate a termine in Spagna, Brasile e Regno Unito, anche il motivo della cessione di Interbanca (la banca d’affari braccio operativo della popolare padovana) poi riacquistata dalla banca spagnola e ceduta a GeCapital.
Se Mps non avesse pagato così tanto l’istituto veneto, forse non avrebbe dovuto giocare la rischiosissima carta dei derivati per coprire i buchi causati dagli strumenti strutturati Alexandria e Santorini.
Il pasticciaccio brutto dei derivati ha quindi riportato d’attualità l’inchiesta della primavera dell’anno scorso, e che aveva subito un’accelerata in autunno, sull’anomala acquisizione. Nell’inchiesta ci sono quattro indagati, tra cui tre componenti dell’ex collegio sindacale, cui viene contestato di aver esposto false informazioni alla Banca d’Italia) che chiedeva delucidazioni sulla ”compatibilità della complessiva operazione di rafforzamento patrimoniale da 1 miliardo di euro nel core capital”) e ostacolo all’organo di vigilanza.
Un’altra ipotesi di reato, questa contro ignoti, riguardava la possibilità di una manipolazione del mercato sul titolo del Monte nei mesi precedenti ovvero l’aggiotaggio.
A questa si potrebbe aggiungere ora la corruzione.
Intanto per ora l’inchiesta sembra, come sostiene il Corriere della Sera, anche allargarsi su presunti maxi premi ai manager dell’affarre.
Ora forse in finale di partita si aggiunge anche la più classica delle prerogative italiane negli scandali: una tangente.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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