MONTEPASCHI, ECCO LE CARTE SEGRETE: “QUANTI BTP ABBIAMO IN PORTAFOGLIO?”, QUEI CONSIGLI DEL MONTE AD ALTA TENSIONE
L’INCHIESTA DELLA PROCURA PUNTA SUI FONDI CHIESTI ALLE BANCHE PER ANTON VENETA
A inizio settembre 2011, travolta dalla crisi del debito sovrano, Mps appare una banca in affanno: sempre meno liquidità , sempre più perdite causate dall’impazzimento dello spread e difficoltà crescenti a gestire la massa enorme di Btp in pancia.
È in quei giorni che i consiglieri di amministrazione prendono coscienza che devono intervenire.
Ma per farlo, prima devono capire che cosa succede davvero nei portafogli della banca, più di quanto non sapessero (o avrebbero dovuto sapere) fino a quel momento. E a poco a poco capiscono che «non è più consentito compensare eventuali inefficienze… con i rischi finanziari», come disse il 24 novembre 2011 il presidente Giuseppe Mussari riassumendo un ragionamento del consigliere Frederic De Courtois, numero uno della francese Axa, socio al 3,7 per cento.
I verbali del consiglio da settembre a dicembre 2011 – quando come segnale per il mercato il direttore generale Antonio Vigni lascerà la banca in anticipo rispetto all’aprile 2012 (quando lasciò Mussari) – mostrano le preoccupazioni per l’impossibilità di gestire un meccanismo intricatissimo di prestiti e titoli dati a garanzia degli stessi finanziamenti, nel quale il Montepaschi sembra avvitarsi.
E poi c’è il timore per il monito dell’Authority europea (Eba), che a fine 2011 impone una ricapitalizzazione da 3 miliardi per coprire le perdite legate alle svalutazioni dei Btp in portafoglio.
Dei derivati «Alexandria», «Santorini», «Nota Italia» e delle altre operazioni oggi sotto la lente della procura di Siena ufficialmente non c’è menzione nei verbali di quel periodo.
Ma dalle domande si intuisce il sospetto dei consiglieri che qualcosa non girasse nel verso giusto.
«Quanti Btp abbiamo in portafoglio?», chiede secco Francesco Gaetano Caltagirone, vicepresidente e azionista con il 4%, al consiglio dell’8 settembre.
Di lì a poco tempo Caltagirone venderà tutte le azioni e lascerà il board.
Il capo del risk management Giovanni Conti, con accanto il direttore finanza Gianluca Baldassarri, spiega che reperire la liquidità diventa sempre più difficile, anche per la «necessità di integrazioni di collaterale in relazione ai pronti contro termine effettuati dalla banca, che hanno come sottostante titoli governativi italiani».
Insomma, si annaspava.
E risponde a Caltagirone: 28 miliardi di titoli governativi, 21,6 dei quali dello Stato italiano, il 40% dei quali «si concentra su scadenza lunghe».
Caltagirone contesta: Il portafoglio è «marcatamente sbilanciato» sia per Paese sia per le scadenze «prolungate».
Baldassarri cerca di difendersi: se avessimo comprato altri Paesi «equipollenti» all’Italia ci saremmo trovati nella stessa situazione; se avessimo comprato Bund tedeschi saremmo stati più protetti, ma i guadagni sarebbero stati «nulli o addirittura negativi».
Insomma, bisogna rischiare.
«La situazione non è ulteriormente sostenibile», è la reazione di Caltagirone, «sia come rischiosità che come conseguenze di conto economico, si devono prendere opportuni provvedimenti per alleggerire queste posizioni».
Mussari prova a rabbonirlo: definisce «ragionevole» la posizione di Caltagirone e propone di non rinnovare i bond che vanno a scadenza o di venderli se il valore si allineasse «a quello facciale».
Caltagirone insiste: ma quanti ne abbiamo, di bond, rispetto alle altre banche?
«Più o meno siamo simili agli altri istituti come percentuale dell’attivo», risponde Baldassarri, ma «Mps ha scadenze medie più protratte nel tempo».
Poi sul tema chiede tempo per poterlo approfondire.
Anche Turiddo Campaini (Unicoop Firenze) storce il naso: «La situazione attuale è il risultato di comportamenti troppo oscillanti in ricerca estrema di risultato economico», invece «c’è bisogno di procedere con maggiore linearità e minore concentrazione del rischio».
A metterci una pezza ci prova Lorenzo Gorgoni (soci pugliesi), chiedendo di non vendere in forte perdita: «L’unica possibilità è aspettare e vedere se ritorna un po’ di sereno».
A quel punto interviene Vigni a cercare di mettere ordine: la tensione nella liquidità dipende «non tanto e non solo dal portafoglio titoli» quanto dall’insieme di raccolta e impieghi, che sono stati fortemente ridotti: «La banca ha superato anche le giornate più critiche in maniera serena».
Il 24 novembre sono ancora liquidità e investimenti al centro del dibattito.
De Courtois torna sul punto: «La dimensione e la composizione del portafoglio hanno un impatto negativo sulla percezione del mercato riguardo alla Banca, con riflessi sul corso del titolo. Serve un’esposizione analitica titolo per titolo».
Per il 16 dicembre il dossier è pronto ma di fatto inutilizzabile: la documentazione «è stata messa a disposizione dei consiglieri solo da poco tempo», attacca Alfredo Monaci (oppositore dell’ex sindaco di Siena Franco Ceccuzzi e ora candidato alla Camera per la lista Scelta Civica di Mario Monti).
Si rinvia a un successivo consiglio.
Ma pochi giorni dopo Vigni si dimetterà .
E il nuovo amministratore delegato Fabrizio Viola avvierà un’altra revisione, più incisiva, ora al vaglio degli inquirenti.
Proprio sulla liquidità si concentrano le indagini della procura e del nucleo valutario della Guardia di Finanza: una liquidità che sarebbe stata difficile da reperire fin dai tempi dell’acquisizione di Antonveneta, in particolare per rimborsare Abn Amro dei 7,9 miliardi di prestiti interbancari concessi alla banca padovana.
Le operazioni di finanziamento sono sotto esame per verificare se siano state esposte correttamente alla Banca d’Italia.
E se per caso qualcuno, nei vari passaggi tortuosi, non vi abbia fatto qualche «cresta».
Fabrizio Massaro
(da “il Corriere della Sera”)
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