Gennaio 25th, 2013 Riccardo Fucile
UN ASSESSORE COINVOLTO NELL’INCHIESTA SUI BOLLI AUTO E UN AMMINISTRATORE DI ALESSANDRIA CONDANNATO DALLA CORTE DEI CONTI
In Piemonte molti sono i politici confluiti dal Pdl a Fratelli d’Italia.
Tra i candidati al Senato troviamo l’assessore regionale al Commercio William Casoni, indagato per concorso in abuso d’ufficio nello scandalo sulla riscossione del bollo auto.
I vertici della Gec, azienda che ottenne l’appalto, lo chiamavano “l’uomo del 10 per cento”, e per gli inquirenti è un riferimento alle tangenti.
Si candida al Senato pure l’assessore ai Trasporti Barbara Bonino: su di lei le cronache giudiziarie non dicono nulla, ma hanno fatto scalpore gli incarichi del fratello Stefano prima nel suo assessorato e poi alla Sitaf, che gestisce il traforo del Frejus e l’autostrada Torino-Bardonecchia.
A proposito di Bardonecchia, per la Camera si presenta il sindaco Roberto Borgis, la cui moglie, Marita Bobbia, dipendente del Comune di Sauze, è al centro di un’inchiesta col sindaco di Sauze Mauro Meneguzzi.
I due sono indagati per truffa aggravata e falso del pubblico ufficiale a danno di un ente pubblico.
Grazie alla complicità di Meneguzzi lei attestava falsamente di essere al lavoro, mentre in realtà era da altrove.
Nelle liste Piemonte 2 per la Camera troviamo Emanuele Locci, condannato dalla Corte dei Conti insieme all’ex sindaco di Alessandria Pier Carlo Fabbio, all’ex giunta e ad altri consiglieri di maggioranza a risarcire un danno erariale di 7,6 milioni di euro per aver approvato un bilancio falsato.
E dire che lunedì, su Twitter, scriveva: “liste @ilpdl così: 20% indagati 20% condannati 20% fighe giovani 20% milf 20% milionari. Per fortuna che c’è #FratellidItaIia!”.
Nella formazione di Crosetto-Meloni-LaRussa c’è anche Emanuele Pozzolo: giovane di Vercelli, in meno di un anno ha lasciato la Lega per il Pdl, da cui è uscito tuonando contro i vecchi partiti e confluendo in FdI, dove ha trovato la candidatura alla Camera.
Ma in “Fratelli d’Italia” ci sono pure due ex di An, Agostino Ghiglia e Massimiliano Motta, il primo candidato alla Camera nella lista Piemonte 1, il secondo aspirante senatore.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 25th, 2013 Riccardo Fucile
A BERNAREGGIO IN BRIANZA IL SINDACO PDL SI IMPONE: O TI DIMETTI O FACCIO CADERE LA GIUNTA”
Si è dimesso dalla carica di vicesindaco il leghista Stefano Tornaghi. 
Dopo tre giorni di braccio di ferro, ha comunicato la sua decisione al primo cittadino di Bernareggio, il pdl Emilio Biella.
All’indomani dell’omicidio di Antonia Stanghellini, l’operaia di 46 anni madre di tre figli uccisa a coltellate dall’ex convivente, il marocchino Mustafà Hashuani, le frasi del vicesindaco avevano scatenato la polemica.
“Se non si vuole finire ammazzati è meglio evitare di farsi una famiglia con un musulmano”, aveva detto il militante del Carroccio, aggiungendo che arrivava a capire “l’avventura”, con un uomo di religione e cultura diversa, ma bollava come “utopia un matrimonio con quella gente”.
Esternazioni da cui aveva subito preso le distanze il sindaco e tutta la giunta di centrodestra della cittadina brianzola.
“Sono stato chiaro da subito. Tornaghi doveva fare un passo indietro, in caso contrario sarei stato disposto a far cadere la giunta — spiega il sindaco — Non si può governare con chi la pensa a quel modo”.
Andrea Spada, assessore ai Servizi sociali, anche lui del Pdl, era stato categorico: “O noi o lui. Non c’è altra possibilità . Bisogna far capire ai cittadini che chi governa il territorio non la pensa a quel modo”.
Le dimissioni arrivano sul filo di lana, quando la giunta di Bernareggio è stata a un passo dal baratro.
Fino all’ultimo Tornaghi non sembrava intenzionato a fare marcia indietro.
Anzi, in più di un’occasione ha ribadito di essersi lasciato andare sui toni, ma ha confermato il suo pensiero.
Anche i vertici locali della Lega erano stati chiari: “Se chiedono la testa del vicesindaco, siamo pronti a togliere la maggioranza alla giunta e mandare a casa tutti”, spiegava fino a poche ore prima Maria Grazia Von Berger, segretario della Lega per la Brianza est.
Ora il cambio di atteggiamento, con Tornaghi pronto anche alle pubbliche scuse (come ha fatto sapere al sindaco prima di congedarsi).
Gabriele Cerega
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Gennaio 25th, 2013 Riccardo Fucile
IN VENETO AVANTI IL PDL, IN CAMPANIA IL PD
Ad un mese dalle elezioni, il sondaggio Demos come la maggior parte di quelli finora pubblicati mostra un netto vantaggio della coalizione guidata da Bersani.
Il distacco si è mantenuto nonostante i tentativi di recupero di Berlusconi con la massiccia campagna mediatica delle ultime settimane.
Se per conquistare la maggioranza alla Camera basta al centrosinistra conservare un margine di vantaggio sul centrodestra, la partita appare molto più complessa e difficile per il Senato.
In questo caso, per vincere la coalizione di Bersani dovrà conquistare i premi di maggioranza nelle principali regioni, soprattutto in quelle che vengono considerate regioni in bilico: Lombardia, Veneto, Sicilia e Campania.
La situazione è in parte diversa nei quattro contesti regionali.
Sulla base dei sondaggi disponibili, il centrodestra e il centrosinistra hanno per ora possibilità di vittoria quasi equivalenti sia in Lombardia che in Sicilia.
In Veneto la coalizione guidata da Berlusconi mantiene un relativo vantaggio: ma il distacco rispetto al centrosinistra non è molto elevato.
In Campania è il centrosinistra ad essere in vantaggio, ma il risultato non è scontato perchè la coalizione di Bersani deve fronteggiare la concorrenza della lista Ingroia che ha molto seguito nella regione.
La partita per ora è aperta in tutte e quattro le regioni.
Come ha mostrato l’analisi del Cise per il Sole 24 ore, per ottenere la maggioranza a Palazzo Madama la coalizione di Bersani può permettersi di perdere solo in Sicilia o in Lombardia, ma non in entrambe le regioni.
Si possono delineare diversi scenari.
Per ottenere 158 seggi al Senato – cioè la maggioranza – la coalizione di Bersani dovrebbe prevalere in tutte le regioni tranne la Sicilia (ottenendo 169 seggi) o in alternativa perdere in Lombardia e vincere nelle altre tre (ottenendo 164 seggi).
Le altre combinazioni non garantirebbero la maggioranza alla coalizione di Bersani: otterrebbe 155 seggi vincendo in Campania e Sicilia ma non in Lombardia e Veneto; 154 vincendo Veneto e Campania ma non in Lombardia e Sicilia, oppure vincendo in Veneto e Sicilia ma non in Lombardia e Campania.
Ancora più ridotta sarebbe naturalmente la quota dei seggi per il centrosinistra se perdesse in tre delle quattro regioni, oppure in tutte.
In questo caso la costruzione di una maggioranza al Senato potrebbe essere molto problematica, e dipenderà dai risultati che otterranno le forze esterne alle due principali coalizioni.
Roberto Biorcio
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Gennaio 25th, 2013 Riccardo Fucile
MAZZETTA DA 500.000 EURO PER I BUS… SI DIMETTE L’AD DI EUR SPA, FEDELISSIMO DI ALEMANNO
C’è un pentito che da un mese parla con il pm Paolo Ielo e rischia di trascinare nel baratro
quella che lui chiama la «lobby Roma».
Il sistema della Capitale.
È l’ultimo colpo di scena in una storia che dalla fine di settembre, quando ci furono le perquisizioni disposte dalla procura di Roma, a oggi, ha agitato il sindaco Alemanno e il suo entourage.
Un sistema in cui gli amici di “Gianni” fanno il buono e il cattivo tempo, indicando i parenti da assumere nelle municipalizzate e facilitando appalti in cambio di mazzette.
È il caso dei 45 filobus da fornire a Roma Metropolitane, un affare che la Breda Menarini voleva a tutti i costi (l’azienda di Bologna era in difficoltà economiche).
E per il quale Riccardo Mancini, amministratore delegato di Eur Spa (ente che gestisce il patrimonio immobiliare del quartiere a sud di Roma) e vicinissimo al sindaco, è finito sotto inchiesta con l’accusa di corruzione e frode fiscale insieme all’amministratore delegato di Breda, Roberto Ceraudo.
Quest’ultimo avrebbe versato al manger romano una mazzetta da 500 mila euro, il prezzo da pagare perchè Mancini si facesse promotore di quell’assegnazione.
Una vicenda che a settembre era ancora poco chiara, ma che ora sembra dipanarsi, tanto che nei giorni scorsi il pm Paolo Ielo ha chiesto e ottenuto l’arresto dell’ad di Breda. Segnale che il cerchio si sta stringendo proprio intorno al sindaco e ai suoi: non sarà un caso che proprio ieri Mancini abbia rassegnato le dimissioni dal vertice di Eur Spa.
Ma nella storia, ora, spunta una figura importante.
Il suo nome è Edoardo D’Incà Levis, ebreo nato a Verona ma residente dalla metà degli anni Settanta a Praga.
È stato lui il facilitatore della mazzetta, l’uomo che, addirittura, ha messo nero su bianco “il sistema Roma”.
“L’aiuto locale” che doveva essere pagato e sul quale non si potevano fare sconti.
Una “lobby” di cui il faccendiere sta, giorno dopo giorno, descrivendo confini e dettagli.
Gli inquirenti lo intercettano nel corso delle indagini: i motori per i filobus sono forniti da Breda, ma la carrozzeria è Skoda, azienda ceca, non a caso.
È lui a curare il business con Ceraudo, a prevedere una ricompensa per i “favori di Roma”.
A dicembre, D’Incà Levis viene arrestato a Praga e a gennaio viene estradato a Roma.
È allora che inizia a raccontare agli inquietanti retroscena del sistema.
Parole che vengono confermate da una mail trovata dai finanzieri del tributario nel suo pc.
È il 10 aprile del 2008: D’Incà Levis riassume all’ad di Breda il costo dell’affare e prevede 7mila euro di mazzetta per ognuno dei 45 mezzi.
Una voce che viene inserita nel budget con una precisazione: su quella cifra non si fanno sconti.
I piani prevedono 315 mila euro di tangente che, però, questo il parere degli investigatori, col passare del tempo lievitano, arrivando a 500/600 mila euro.
E che vengono messi da parte grazie a una serie di false fatturazioni su conti esteri poi “spallonati”, cash, in Italia.
Duecentomila euro vengono trovati, nel giorno delle perquisizioni, nella cassetta di sicurezza di Ceraudo che, tra l’altro, aveva cercato in tutti i modi di far sparire le chiavi.
Che si tratti proprio del contante della mazzetta, è più che un sospetto: i numeri delle banconote sono seriali e consecutivi.
Gli altri 300 mila dovrebbero essere finiti direttamente nelle tasche di chi aveva propiziato l’appalto da Roma: Riccardo Mancini.
Uno del “sistema Roma”, appunto.
Maria Elena Vincenzi
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 25th, 2013 Riccardo Fucile
DA ANNI UNA SPINA NEL FIANCO DELLA ‘NDRANGHETA CALABRESE, COMPONENTE DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA, HA ACCUSATO ITALO BOCCHINO DI AVER FATTO ENTRARE IN GIUNTE LOCALI PERSONAGGI EQUIVOCI…SI E’ OPPOSTA A TUTTO QUESTO E IN FLI, “PARTITO DELLA LEGALITA'”, NON HANNO CACCIATO BOCCHINO, MA LEI
“Sono stata isolata dalla politica e dai partiti”. Lo ha dichiarato ieri sera, la parlamentare calabrese Angela Napoli, intervenendo alla trasmissione di La7 ” Servizio Pubblico”.
La Napoli, intervistata da Santoro, ha ricordato di essere sotto scorta da più di 10 anni per la battaglia condotta contro la ‘ndrangheta e soprattutto contro i connubi tra mafia e politica.
Battaglie che l’hanno condotta ad essere nel mirino delle cosche, ma non all’apprezzamento da parte del suo partito: “mi ha mortificato l’insensibilità della politica rispetto alle battaglie da me condotte”.
Sulle dimissioni da coordinatrice regionale di Fli, spiega: “ho lasciato perchè ho cercato di mettere in pratica l’insegnamento di Paolo Borsellino che sosteneva che non bastava che una persona non fosse toccata dalla Magistratura per qualificarla una persona perbene.Di fronte alle mie posizioni, Italo Bocchino ha ufficialmente fatto entrare nelle giunte rappresentanti molto discussi”.
“La politica — ha proseguito l’ex deputata finiana — deve arrivare prima della Magistratura”.
La Napoli ha ribadito di nuovo il motivo che l’ha portata a lasciare il partito di Fini pur rimanendo da indipendente all’interno del gruppo parlamentare: l’entrata di esponenti di Fli all’interno di giunte dove era stata disposta la commissione d’accesso antimafia”.
La lotta mafia — ha aggiunto la parlamentare — “si fa facendo nomi e cognomi”.
Si definisce “delusa, amareggiata dalla politica”, ma insiste: “io non mi fermo”.
Il commento del ns. direttore
Non è questa la sede per ribadire la solidarietà e la vicinanza umana e politica della comunità genovese (e non solo) che si riconosce nella linea di “destradipopolo” (oltre 400.000 lettori nel 2012)
Quando abbiamo dato una mano a Fli, riconoscendoci nel richiamo alla legalità di Bastia Umbra, non pensavamo che ci saremmo trovati di fronte a fatti sconcertarti, non solo locali.
Ne ricordo solo uno, meno noto: visita istituzionale di Fini a Genova, pomeriggio a disposizione del partito, idee zero da parte dei vertici regionali su come “gestirlo” (se non la solita riunione con gli iscritti).
In quei giorni il presidente della Casa della legalità aveva ricevuto minacce di morte dalla ‘ndrangheta e, lo stesso giorno della visita di Fini, era stato indetto un incontro pubblico di solidarietà con Christian Abbondanza.
Parlo con lui per sapere se avrebbe gradito una visita del presidente della Camera, mi dice subito di si, viene avvisato Fini che, mi viene riferito, e’ “entusiasta della proposta”.
Necessita il programma che è mia cura far pervenire a stretto giro al suo addetto stampa: nel frattempo la voce filtra e la notizia viene riportata dal maggiore quotidiano regionale.
Tutti concordi nel dire che una presenza del genere avrebbe dato un’immagine nuova di Fli, facendolo decollare nell’opinione pubblica locale e rilanciandone la credibilità .
Ricordo aanche le tante firme di solidarietà a Christian di personalità illustri del Paese: unica esponente di Fli fu Angela Napoli, tanti “prudenti” si guardarono bene di apporre la firma.
Noi no.
La vigilia della visita arriva il contrordine: Fini non può partecipare.
Mi riferiranno che qualcuno era intervenuto per dissuaderlo, non era il caso di porgere un saluto di solidarietà a un uomo nel mirino della criminalità organizzata, neanche un telegramma.
Mi fermo qua per carità di patria.
Quel giorno per molti giovani genovesi finì la speranza di vedere interpretata con coerenza la linea politica di Bastia Umbra.
Oggi leggo che qualcuno in Fli critica le parole pronunciate da Angela Napoli da Santoro: sono gli stessi che non hanno mosso un dito quando Fini è stato “sconsigliato” di partecipare a Genova a quell’incontro, sono gli stessi che non hanno certo occupato sedi o fatto casino per protestare quando Angela è stata destituita in Calabria, sono gli stessi che non sono stati capaci di prendere a sberle ogni volta che lo incontravano il mandante di quella operazione o di accoglierlo a pernacchie.
Lo avessero fatto, ora Fli sarebbe diverso, ma guai a rischiare una reprimenda o una poltrona: come ha detto Angela, tutti si riempiono la bocca di legalità salvo non accorgersi che si dovrebbe in primis pretenderla e difenderla a casa propria, costi quel che costi.
Questo è l’insegnamento che ci ha lasciato Paolo Borsellino.
Tutto il resto sono, nella migliore delle ipotesi, inutili chiacchiere.
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Gennaio 25th, 2013 Riccardo Fucile
PARLA IL PADRE DI EMMANUELA, FINITA AI DOMICILIARI: “MIA FIGLIA E’ UNA VITTIMA, E’ TUTTA UNA MONTATURA”
I reati contestati: associazione sovversiva e banda armata. Poi l’antisemitismo,
sbandierato. «Una montatura e non parlo da papà ».
Michele Florino, ex senatore missino, è il padre di Emmanuela, responsabile regionale di CasaPound, da ieri agli arresti domiciliari, considerata la mente, soprannominata dai suoi amici la «ducessa».
Florino, un padre difende sempre sua figlia.
«Certo, io lo farei qualunque fosse l’accusa, ma in questo caso non vale come giustificazione».
Per lei sono tutte accuse infondate?
«Una montatura aberrante da parte degli organi inquirenti».
Anche lei con la storia dei magistrati comunisti?
«Non mi interessa se sono comunisti, certo che è incredibile che nel momento in cui i ragazzi di CasaPound si candidano alle elezioni scattano gli arresti».
Ma i fatti contestati risalgono al 2009.
«Fatti?».
Fatti, episodi, come li vuole chiamare?
«Non mi pare che ci siano stati gli scontri. Quindi parliamo di dimostrazioni sia a Porta di Massa, sia in piazza Carlo III».
Non ci sono stati perchè c’erano le forze dell’ordine.
«Vabbè. Poi, ho letto, si contesta la sistematica occupazione di immobili. Ma non esiste, di solito sono quelli di sinistra che occupano, a Napoli sono 32 gli immobili. I ragazzi di Casapound che occuparono l’ex convento di Materdei c’hanno speso 20 mila euro per ripulirlo e hanno fatto volontariato».
Volontariato con mazze, bombe carta e con l’intenzione di violentare una studentessa perchè ebrea?
«Millanterie di qualche giovane che non appartiene a CasaPound».
Le leggo il testuale delle intercettazioni?
«Chiacchiere stupide, ma chiacchiere. Dicono una cosa di questo tipo: “Te la faresti un’ebrea? No, io no”. Capisco che colpiscano l’opinione pubblica queste frasi, ma sono parole al vento».
Anche quelle di sua figlia?
«Mia figlia è responsabile regionale dell’associazione, quindi per i magistrati sarebbe responsabile degli scontri non avvenuti».
Ci sono stati pestaggi, accoltellamenti.
«E aggressioni, come quello subito da Emmanuela. Traumatizzata da quell’evento. Mia figlia è una vittima, altro che carnefice, dopo quelle aggressioni non frequenta più la Federico II».
Sua figlia al telefono con un altro ragazzo parla della manifestazione nazionale di Casapound. Dice come si devono vestire, il suo interlocutore parla di mazze, lei lo corregge.
«Sono aste, aste delle bandiere. È così da sempre, in gergo si chiamano mazze. E si vestono in un determinato modo come segno identificativo. Sono telefonate estrapolate da un contesto. Una montatura, ripeto, per far scoppiare il caso. Ma che una ragazza di destra non potesse frequentare l’università non se ne è fregato nessuno».
Lei è stato accusato dal pentito Giuseppe Misso di essere il mandante dell’uccisione di tre giovani di estrema sinistra nell’83.
«E i giornali dopo avermi crocifisso, non hanno mai scritto che sono stato prosciolto da Narducci e Amato. Non ho mai avuto giustizia. Sono tre anni che aspetto che la mia denuncia per calunnia vada avanti, ma non se ne sa nulla. Se vuol sapere se penso che la storia si è ripetuta, rispondo che non è così. Il mio è stato un dramma, quella di Emmanuela sarà solo una brutta esperienza, perchè non c’è nulla contro di lei».
E neanche contro Savuto e Tarantino, considerati dai magistrati, i più violenti?
«Tarantino non è di Casapound. Savuto lo conosco da anni, è un pezzo di pane».
Quando parla, però, ci va giù duro.
«Ragazzate, millanterie».
È sicuro?
«Sono sicuro. Se altri sono colpevoli pagheranno, ma in quelle quattrocento pagine ci sono solo pezzi attaccati tra di loro, per creare mostri. Gli orchi di destra, ma, lo scriva, i giovani di destra non si fermeranno. E nemmeno gli anziani».
Simona Brandolini
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Gennaio 25th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO UN ANNO DALLA CESSAZIONE DELLA CARICA DI PREMIER SI PASSA DALLA TUTELA DELL’AISI A QUELLA DEL VIMINALE, MA IL NUMERO DEGLI ADDETTI CON CAMBIA
La scorta all’ex presidente del Consiglio costa alle casse pubbliche 2 milioni e mezzo l’anno. Ma il leader del Pdl, da oltre un anno non più inquilino di Palazzo Chigi, si è lamentato di una riduzione della tutela.
“Avete una sollecitudine maggiore del governo che, apprestandomi io a fare campagna elettorale nelle piazze e nei palazzetti dello sport, ha opportunamente provveduto con sollecitudine a diminuirmi la scorta” ha detto Silvio Berlusconi alla trasmissione radiofonica 28 minuti su Radio 2 replicando alla conduttrice che spiegava le misure di sicurezza adottate dalla trasmissione.
Berlusconi, da sempre sotto scorta in pratica, il 13 dicembre del 2009 era stato ferito dopo un discorso in piazza San Babila a Milano e nei giorni il Cavaliere ha dichiarato che le autorità di sicurezza temono per la sua incolumità e gli hanno vietato le piazze.
Il ministro dell’Interno però smentisce che la scorta dell’ex premier sia stata in alcun modo ridotta.
Sta avvenendo in questi giorni il passaggio dagli 007 dell’Aisi (tra l’altro sottoposti a inchiesta interna dopo il caso del sequestro del ragionier Giuseppe Spinelli, ndr) al Viminale della responsabilità di tutelare Berlusconi.
Il livello di protezione continuerà a essere quello massimo previsto per personalità a “rischio imminente ed elevato”.
La legge prevedeva che Berlusconi potesse avvalersi del servizio di scorta dell’Aisi (una ventina di uomini divisi in diversi turni) fino ad un anno dopo la cessazione della carica di premier.
Fino allo scorso novembre, dunque.
Ma la tutela assicurata dal servizio segreto interno è proseguita anche oltre quel termine, fino a questi giorni, in cui sta avvenendo il passaggio di consegne con il Viminale.
Il passaggio, sempre secondo quanto si apprende, starebbe comportando un ritorno alle amministrazioni di competenza degli uomini dell’Aisi che da anni seguivano l’ex presidente del Consiglio, con conseguente perdita della consistente indennità da ‘007′.
Fatto che avrebbe provocato malumori tra gli storici ‘angeli custodi’ di Berlusconi che adesso andrebbero a guadagnare di meno.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 25th, 2013 Riccardo Fucile
SONDAGGIO PIEPOLI: AL CENTRODESTRA LOMBARDIA, VENETO E SICILIA AL SENATO… BERSANI PER GOVERNARE AVRA’ BISOGNO DI MONTI
Manca esattamente un mese al voto. Il 25 febbraio sapremo chi ha vinto le elezioni. Non
sapremo però, se sarà in grado di governare.
La fotografia scattata a trenta giorni dal voto dall’Istituto Piepoli per La Stampa è chiara: Pd e Sel vincono agevolmente alla Camera dei deputati, ma non al Senato.
Per avere la maggioranza a Palazzo Madama, dovranno allearsi con il centro.
Il sondaggio non si ferma alle percentuali, nè al livello nazionale.
Calato in ogni circoscrizione della Camera e in ogni Regione per il Senato, calcola l’esatto numero di seggi che ogni partito guadagnerà .
Ovviamente manca un mese, quindi i numeri potrebbero cambiare, ma oggi la situazione sembra consolidata.
Ampia maggioranza alla Camera per la coalizione che sostiene Bersani, che però non sarà autosufficiente al Senato.
Una coalizione che oltre a Pd e Sel si apra al centro, invece, avrebbe ampi numeri per governare il Paese.
Ben 181 seggi, contro i 168 che aveva la maggioranza Pdl-Lega nel 2008.
Ma ha ragione Bersani a dire che non lascerebbe Vendola per Monti.
Al Senato una coalizione Pd-Lista Monti avrebbe la maggioranza assoluta, ma per solo un seggio.
Troppo fragile per poter governare.
Come detto il centrosinistra è la coalizione che prende più voti alla Camera.
Vince perciò il premio a livello nazionale: su 617 deputati – al totale di 630 eletti vanno tolti i dodici eletti all’estero e il singolo deputato eletto con un altro sistema elettorale dalla Val d’Aosta – il Pd ne prenderebbe 284, Sel 44, il Psi 10, due per la Sà¼dtiroler Volkspartei.
Totale: 340 seggi.
All’opposizione finirebbero il Pdl con 86 seggi (ne prese 190 in più nel 2008), Lega 30 (la metà del 2008), 10 per Fratelli d’Italia.
Il «Movimento 5 stelle» di Beppe Grillo ottiene 50 seggi, come «Scelta civica con Monti». All’Udc andrebbero 20 deputati, al Fli 5.
Dovrebbe infine riuscire a costituire grupopo autonomo, la «Rivoluzione Civile» di Ingroia che conquisterebbe 20 deputati.
Al Senato il conto è fatto su 308 eletti (esclusi i sei eletti all’estero e il senatore valdostano).
Il centrosinistra vince in tutte le regioni tranne Lombardia, Veneto e Sicilia: si ferma così a 143 seggi (121 per il Pd, 18 per Sel e 4 Svp) su una maggioranza assoluta di 158 (esclusi i senatori a vita).
Non può fare conto sugli eletti all’estero, nè sui 3 senatori che Rivoluzione civile riuscirà a eleggere (due in Campania e uno in Sicilia).
Ecco perchè solo con un accordo con la Lista Monti, che dovrebbe eleggere 38 senatori, supererebbe il quorum.
Il centrodestra prende nel complesso 97 senatori (67 per il Pdl, 25 alla Lega, 5 per gli altri del centrodestra) e il Movimento 5 stelle, 27.
(da “La Stampa“)
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Gennaio 25th, 2013 Riccardo Fucile
“RICONOSCERO’ LORO LA VITTORIA, MA AL QUIRINALE SERVE UN GARANTE COMUNE”
C’è un piano in tre mosse nell’agenda di Silvio Berlusconi.
Un disegno per rimettersi in gioco nella prossima legislatura, riconquistare un ruolo e puntare dritto su una sorta di “salvacondotto giudiziario”.
Un progetto con tre step: scommettere sul pareggio al Senato, provare ad aprire il dialogo con il centrosinistra e tentare di concordare il nuovo presidente della Repubblica.
Obiettivo: un “Grande Patto” che gestisca i prossimi cinque anni.
«Ma — va ripetendo il Cavaliere — dobbiamo trovare un interlocutore nel Pd». Quell’interlocutore in realtà ancora non c’è.
La proposta, però, è ormai sul tavolo al primo piano di Palazzo Grazioli.
La proposta ha un titolo: «Individuare il perno di un nuovo bipolarismo, attraverso il primato della politica e non dei tecnici».
Manca un mese al voto.
La campagna elettorale deve ancora entrare nel vivo, eppure in molti hanno iniziato a muoversi e a ragionare come se le elezioni ci fossero già state.
Come se il quadro politico in qualche modo fosse ormai definito nelle sue linee fondamentali: la vittoria del Partito Democratico, la sconfitta del Pdl.
E il primo a prendere atto di questa situazione è proprio l’ex premier.
Che, dopo aver archiviato la tormentata trattativa sulle sue liste, sta provando a studiare in anticipo le mosse per il dopo 24 febbraio.
Perchè, al di là dei proclami propagandistici, anche Berlusconi ha messo nel conto di ritrovarsi in minoranza nella prossima legislatura.
Accetta quindi di essere opposizione ma non di rimanere fuori dal “grande gioco”.
Nel suo personale negoziato è pronto a riconoscere la vittoria del centrosinistra — nel 2006 non lo fece — ma in cambio pretende il «riconoscimento» del capo dell’opposizione.
La sua tutela e il suo coinvolgimento nel “risiko” per le alte cariche istituzionali — a partire dal Colle — e nei dossier più scottanti dell’“Agenda Italia”.
E soprattutto in un percorso che conduca alla «salvezza» delle sue aziende e ad una via d’uscita dalle inchieste giudiziarie.
Il Cavaliere, allora, ha avviato il suo “communication plan” nel modo più riservato possibile. I contatti sono partiti. I suoi ambasciatori sono stati messi in azione. Tutto ruota sulla successione a Giorgio Napolitano.
«Il nuovo presidente della Repubblica — è il messaggio che l’ex premier sta facendo recapitare — può essere il primo garante di un nuovo assetto. Può essere il fattore che consente il ritorno della politica e l’addio ai tecnici, il tassello che può completare il puzzle di questa infinita transizione».
E per questo il suo obiettivo è riaprire un canale di dialogo.
«Con chi? Con chi si può parlare da quella parte se non con Massimo D’Alema?», si chiede da giorni.
In realtà , l’ex ministro degli Esteri non ha fatto alcun tipo di concessione alle richieste berlusconiane di dialogo.
Anzi, il suo impegno è concentrato sulla vittoria di Bersani e semmai sulla costruzione di una nuova carriera fuori dal Parlamento.
Sta di fatto, però, che le mosse del Cavaliere stanno determinando un nuovo equilibrio tra gli schieramenti.
Con il rischio che due assi trasversali ma contrapposti si confrontino dopo le elezioni: Bersani-Monti versus Berlusconi-D’Alema.
E già , perchè il segretario del Pd non può che essere interessato solo alla costruzione di un governo solido e di una maggioranza compatta.
Con il capo del centrodestra non ha mai avuto un feeling particolare.
La sua segreteria si è profilata sulla contrapposizione al Pdl e sulla caduta del governo Berlusconi. Soprattutto sa che se il suo esecutivo dovesse nascere sotto le insegne di un “salvataggio” del Cavaliere, la legislatura potrebbe essere fortemente penalizzata.
L’attuale presidente del Consiglio, invece, da tempo ha deciso di chiudere i rapporti con Via del Plebiscito.
«Io con Berlusconi — ha ripetuto in questi giorni — non tratterò mai, nemmeno dopo il voto».
Anzi, nello scadenzario del Professore figura persino un nuovo affondo sul capitolo giustizia che certo non potrà piacere al centrodestra.
Posizioni, appunto, che di fatto inducono l’inquilino di Palazzo Grazioli a tentare un’altra via.
«D’Alema — è il suo ragionamento — potrebbe essere invece tentato di dare un nuovo bipolarismo». Non è un caso che ieri, mentre infuriava la polemica sul caso Monte dei Paschi di Siena, Berlusconi abbia smentito la linea del suo partito difendendo a spada tratta l’istituto senese.
Ovviamente tutto dipenderà dal tipo di equilibrio che si creerà in Parlamento. In particolare al Senato.
L’idea di scommettere sul giacimento dalemiano dentro il centrosinistra fa perno sulla «speranza » di ritrovarsi Palazzo Madama senza una maggioranza netta.
Con il centrosinistra alla ricerca di un sostegno esterno alla sua coalizione. E con i voti del Pdl decisivi per la nomina del nuovo capo dello Stato (sul piatto della bilancia ci sono anche i numerosi rappresentanti regionali che sono chiamati a votare per il Colle).
«È chiaro — racconta un ministro in carica — che questo disegno si smonterà se Bersani e Monti, senza interferenze, troveranno un’intesa complessiva ».
Altrimenti lo schema alternativo prenderà corpo quando la “corsa” per il Quirinale entrerà nel vivo.
«Vedrete — pronostica uno tra i più fidati “messi” del Popolo delle libertà — che a un certo punto partirà una lepre nella gara per il Colle. Diranno che sarebbe opportuno eleggere una donna. Una proposta che il Pd non potrà rifiutare».
Il nome che viene sussurrato è quello di Anna Finocchiaro: democratica, donna e vicina a D’Alema.
Il primo passaggio sarebbe l’elezione alla presidenza del Senato. «Magari, andrebbe benissimo» confidava nei giorni scorsi l’attuale inquilino di Palazzo Madama, il pidiellino Renato Schifani.
Una soluzione che nei progetti del centrodestra dovrebbe ricalcare la road map seguita nel 1992 nel patto istituzionale Dc-Pds: Oscar Luigi Scalfaro venne prima eletto presidente della Camera, poi divenne presidente della Repubblica ma il suo posto a Montecitorio non venne preso da un altro democristiano, bensì da Giorgio Napolitano. In questo caso, se l’accordo venisse ratificato, spetterebbe a Berlusconi presiedere l’aula di Palazzo Madama.
Ma questo è solo il primo schema. Una “falsa lepre”, in realtà .
Perchè le candidature «preferite», su cui Berlusconi ha già effettuato i primi sondaggi sono altre.
Nel 2006 aveva formulato una “rosa” con quattro petali: Amato, Dini, Marini e, ironia della sorte, Monti.
Sul foglio A4 che il capo del Pdl sta facendo circolare in questi giorni nello stato maggiore del suo partito, sono rimasti due di quei nomi: Giuliano Amato e Franco Marini.
Le indicazioni «migliori», a suo giudizio, per stringere il “Grande patto”, chiudere con una sorta di pacificazione nazionale il ventennio berlusconiano e «sistematizzare » con la «politica» tutti i dossier più sensibili.
Dalla caselle istituzionali al controllo della Rai, dalle nomine nelle grandi aziende pubbliche alla giustizia.
E già , perchè il suo obiettivo finale è sempre lo stesso: blindare le sue imprese e uscire immune dalle inchieste.
Come l’amnistia di Togliatti del ’46, il leader del centrodestra pensa ad una sorta di “salvacondotto”. Che reclamerebbe una cornice istituzionale specifica: per questo gli “ambasciatori” del Cavaliere stanno ipotizzando per lui la presidenza del Senato o la nomina di senatore a vita.
Cariche che potrebbero essere inserite in una sorta di “scudo per le alte cariche”.
Ma i desideri di Berlusconi si dovranno misurare con la realtà dei risultati elettorali e con le scelte di chi vincerà nelle urne.
E prima ancora con la possibilità che sia lo stesso D’Alema a rovesciare il tavolo.
Claudio Tito
(da “La Repubblica”)
argomento: Berlusconi, Giustizia | Commenta »