Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
LA RIPARTIZIONE DEI SEGGI: PD 285, PDL 92, M5S 65, SCELTA CIVICA 34, LEGA NORD 28, RIVOLUZIONE CIVILE 24, SEL 42, UDC , FRATELLI D’ITALIA 10, FLI 5, CENTRO DEMOCRATICO 9
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
SENZA CHANCE DI RIELEZIONE DOPO I CAMBI DI CASACCA E LE LITI FURIBONDE
Luca Barbareschi, Franco Barbato, Daniela Melchiorre, Antonio Razzi, Domenico Scilipoti, Italo Tanoni: in ordine alfabetico, perchè stilare l’ordine di merito è da ingrati.
Senza di loro, la legislatura calante non sarebbe stata la stessa e la prossima rischia seriamente di non trovare sostituiti di livello.
Tre del gruppo (Barbato, Razzi, Scilipoti) li dobbiamo al fiuto – così devastante da poliziotto e poi da pm, così costipato da leader politico – di Antonio Di Pietro.
Sebbene lui si difenda: che dubbi si potevano nutrire a proposito del presidente della Federazione emigrati abruzzesi in Svizzera (Razzi), poi sospettato dagli affiliati, forse malignamente, di essersi ingoiato i fondi per i terremotati?
E quali a proposito di un ginecologo, ostetrico e agopuntore, professore convitato all’Università del Paranà (Scilipoti)?
Furono invece loro due a mollare l’Italia dei Valori per fondare i Responsabili e salvare Silvio Berlusconi dal putsch di Gianfranco Fini, dicembre 2010.
E fu proprio Barbato a vendicare l’onore del partito filmando di nascosto Razzi mentre illustrava le ragioni non strettamente ideali del cambio di casacca: «Io avevo già deciso da un mese prima (di votare la fiducia, ndr). Mica avevo deciso, figurati, tre giorni prima».
E l’altro: «Ma come? Tre giorni prima hai detto male di Berlusconi».
E Razzi: «L’ho detto apposta. Dieci giorni mi mancavano. E per dieci giorni mi inc… Perchè se si votava dal 28 marzo come era in programma io per dieci giorni non pigliavo la pensione».
Non è bastata nemmeno la generosa inclinazione all’horror di Vittorio Sgarbi, che presentò alla Camera il libro autobiografico di Razzi, a restituire un calibro al deputato.
A quella presentazione arrivò un tizio uguale sputato a Scilipoti, il quale poi sostenne, con una certa immaginazione, di essere dotato di molti sosia, essendo altrettanti e di più gli impegni.
Purtroppo non gli era consentito di impiegare le controfigure in aula, dove rientrava trotterelloso, lui così alla Danny De Vito, per il perenne ritardo al voto; e se prendeva parola, a ogni pausa gli ex amici dell’Idv intonavano in coro: «Munnezzaaaa».
E lui, che è un fenomeno, faceva le pausa apposta sinchè al tremillesimo «munnezzaaaa» i dipietristi se ne annoiarono.
Era questa la Camera a cui andiamo a dire addio.
La Camera dello stesso Barbato, che per la missione di spiare tutti con la telecamerina, e dare il filmato alle tv, finì con l’essere detestato anche dai suoi: «Non so se è peggio lui o Scilipoti», disse Gabriele Cimadoro, cognato di Tonino.
Ci resteranno, di questo ex socialista della Prima repubblica, le soluzioni al problema-Fiorito («Quelli come lui in Cina li uccidono o li torturano»), i capelli alla chitarrista di piano bar, le giacche a scacchi arrotolate sulle braccia, una certa interpretazione del mandato parlamentare culminata con arcane dimissioni, e con il ritorno in aula pochi mesi dopo a formulare il giudizio sul governo: «Avete rotto i c…».
L’ultimo giorno espresse un saluto all’altezza: «Cari deputati, andate tutti a quel paese».
Adesso ha da occuparsi di un’inchiesta a suo carico per tentato millantato credito: i superpoteri di parlamentare in cambio di ventimila euro.
Nel misto, attiguo ai Responsabili – dopo aver cominciato la legislatura nel Pdl e averla proseguita nel Fli – finì anche Barbareschi, ritornato in pagina per i modi istintivi adottati contro quei gran rompitasche delle Jene.
Ha litigato più o meno con tutti.
«Scusate, se è in politica è colpa mia», disse Ignazio La Russa, in genere refrattario all’autocritica.
Un giorno l’onorevole attore arrivò al pranzo del mercoledì dei finiani, nello studio di Italo Bocchino, e metà di loro si alzò e se ne andò.
Barbareschi valutò sè e i camerati: «Mi hanno emarginato. E quando non ho più contribuito alla strategia s’è visto il risultato: Fli era al 9 per cento, ora è all’uno».
Impegnato nella strategia, firmò sbadatamente una proposta di legge che aumentava gli emolumenti ai partiti («un banale errore») e si astenne sul caso Ruby («No no, io ho votato con Fli, ci sarà stato un contatto»).
Vicino a lui sedeva l’ex magistrato Daniela Melchiorre, a nostro giudizio la campionessa assoluta.
Bisogna apprezzare la biografia politica (tutta insieme col fido Tanoni), che attraversa questa e la scorsa legislatura: presidente della Margherita di Milano, passa con Lamberto Dini, fonda i Liberal Democratici, diventa sottosegretario di Clemente Mastella nel governo Prodi, si candida nel 2008 col Pdl, fonda i Liberal Democratici Riformisti, esce dal centrodestra e passa al misto, dal misto passa all’opposizione, presenta alle Europee del 2009 i Liberal Democratici Riformisti insieme col Movimento Associativo Italiani all’Estero e con l’appoggio del Movimento Europeo Diversabili Associati e del Fronte Verde Ecologisti Indipendenti, prende lo 0,23 per cento (è la lista meno votata), alle Regionali del 2010 è con l’Udc, partecipa alla fondazione del Polo della Nazione con Fli e Udc, esce dal Polo della Nazione, torna nel centrodestra, diventa sottosegretario allo Sviluppo Economico, si dimette dall’incarico, torna fra i centristi che ora non la candidano più, nè lei nè Tanoni.
Però, caruccia e dolce, cancellò da Facebook le centinaia di vili insulti ricevuti in una delle occasioni sopra elencate; ebbe cura di lasciare l’annuncio dell’uscita della «splendida compilation» di canzoni dedicate alla mamma, da Anna Oxa a Beniamino Gigli.
Ci piace ricordarla così.
Mattia Feltri
(da “La Stampa“)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
STAMANE IL CAVALIERE LA DEFINISCE UNA “DICHIARAZIONE IMPROVVIDA” E POI SI SMENTISCE DA SOLO “MAI PROPOSTO DRAGHI COME PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA”
Silvio Berlusconi, ospite di Omnibus, scherza e “picchia” con il cartellone di polistirolo che riassume i suoi mirabolanti risultati di governo il giornalista de “l’Espresso” Marco Damilano.
Ma le tegole in testa arrivano a lui, E che tegole.
Il Cavaliere infatti svela il mistero sul suo candidato al Quirinale e fa il nome di Mario Draghi.
Spiegando che lui non ci pensa nemmeno alla carica di presidente della Repubblica. Ma da Francoforte, il presidente della Bce fa sapere che la cosa non gli interessa e che vuole restare al suo posto fino al 2019.
La seconda botta fa ancor più male e arriva da Strasburgo e la piazza il francese Joseph Daul che di professione fa il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo.
Che dice il signor Daul parlando delle elezioni italiane?
«Il candidato del Ppe è il signor Monti. Ma, come sempre in Italia, la situazione è molto complicata, perchè abbiamo anche l’Udc ed il partito di Berlusconi. Che sono tutti membri del Ppe».
Un ragionamento complesso che parte dalla premessa di non volersi ingerire nella vita politica italiana.
Una posizione che non prelude alla “cacciata” del Cavaliere dal gruppo dei popolari e conservatori europei.
«Parliamo di un partito e di un uomo. Faremo la sintesi dopo le elezioni. Un partito è un partito, non un uomo », si affretta a spiegare Daul.
Il capogruppo popolare però dice di non avere alcuna intenzione d recedere dalla posizione espressa nello scorso dicembre quando criticò il Pdl per avere costretto Monti alle dimissioni.
«Non ci possiamo permettere una politica spettacolo – disse allora – serve una politica rigorosa. Il Ppe combatterà tutti i populismi in Italia come in Francia o in Germania ».
Quelle parole, dice adesso «non erano a caso e voglio mantenere la stessa opzione, lotterò sempre contro il populismo». Ma, conclude, «non lo attaccherò tutti i giorni per non regalare il 2-3 per cento al populismo».
Brutta tegola a cui i “fedelissimi” cercano di mettere una pezza con una batteria di accuse di ingerenza a Daul.
Ma il timore che dopo il voto il Pdl possa essere “cacciato” dal Ppe serpeggia.
E un “vecchio” uomo politico come Ciriaco De Mita, oggi eurodeputato udc, fiuta l’aria. «Berlusconi – dice l’ex leader della Dc – o se ne va, o lo cacciano perchè con i popolari europei è incompatibile».
Le parole di Daul non sarebbero piaciute però neanche al diretto interessato.
Mario Monti, infatti, «non è contento» delle dichiarazioni di Daul perchè non vuole essere il candidato di una sola parte.
Una collocazione che cozza con il suo intento di superare destra e sinistra e riunire tutti i riformismi.
Un malumore che il premier avrebbe espresso allo stesso Daul in una telefonata. Circostanza però smentita a Strasburgo, dove il capogruppo popolare durante una riunione dove avrebbe «minimizzato» le sue dichiarazioni.
Le notizie che arrivano da Strasburgo e Francoforte sono comunque pessime per Berlusconi.
A maggior ragione dopo che ieri mattina aveva detto: «Io sono l’europeista più convinto che c’è nella politica italiana».
Affermazione condita dall’assicurazione: «In Europa io ero temuto, non irriso. Io ho imposto Draghi a capo della Bce. Anche Barroso, in accordo con Tony Blair, l’ho messo lì io».
“Una dichiarazione improvvida che non rappresenta le posizioni del Ppe”: così Silvio Berlusconi, stamane a Radio Anch’io, commenta le parole del capogruppo al Parlamento europeo del Ppe Joseph Daul, che a nome dei popolari europei ha fatto ieri un endorsement a favore di Mario Monti.
Il Cavaliere per l’ennesima volta ha poi smentito se stesso, negando di averproposto il presidente della Bce per la successione di Giorgio Napolitano al Quirinale.
“Una mia candidatura di Draghi non c’è mai stata. Io ho una candidatura in pectore ma resta lì perchè altrimenti si brucia”, sottolinea.
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
ECCO COME FUNZIONANO LE REGOLE EUROPEE
Come nasce il problema dei «contingenti» sul latte?
Le quote latte sono dei limiti alla produzione, negoziati Paese per Paese dell’ambito dell’Unione europea, per evitare che il mercato venga invaso da un’offerta troppo abbondante e che la remunerazione degli allevatori crolli. I produttori che vogliono sforare i tetti non violano nessuna legge e possono regolarsi come credono, ma poi si vedono costretti a pagare un extra, una tassa che li disincentiva.
Le quote non sono una violazione del libero mercato?
Sì, sono apertamente un’intrusione delle autorità pubbliche nel gioco della domanda e dell’offerta. Sono state decise a livello politico perchè i produttori in questo settore sono esposti a fluttuazioni di reddito molti forti; il sistema delle quote latte stabilizza i redditi degli allevatori ed è stato individuato (a torto o a ragione) come il male minore rispetto ad alternative come lasciar fallire i produttori quando i prezzi crollano per eccesso di offerta oppure sovvenzionarli con fondi pubblici in modo che sopravvivano alle crisi ricorrenti.
Qual è il contingente assegnato all’Italia?
Il regime è stato introdotto nel 1984 (poi più volte modificato) e in quell’occasione si è presa come riferimento la produzione nazionale italiana dell’anno precedente, pari a 8.823 migliaia di tonnellate.
L’ultima modifica è del novembre 2009 quando la quota italiana è stata aumentata del 5%.
Da notare che la grandezza usata per misurare il latte all’ingrosso è il peso e non la capacità , quindi la tassa viene pagata non su ogni litro ma su ogni chilo di latte extra.
Materialmente, come avviene il prelievo della tassa sull’extra quota?
Gli acquirenti di latte all’ingrosso (latterie, caseifici eccetera) fungono da sostituti d’imposta: devono tenere un registro delle consegne di latte dei produttori e nel momento in cui costoro superano la quota latte gli acquirenti devono trattenere il prelievo stabilito dalle norme comunitarie, sottraendolo dai pagamenti che fanno periodicamente per il latte comprato.
Lo sforamento delle quote latte è costato molto al sistema Italia?
Il prezzo è davvero alto. Nei giorni scorsi è stato calcolato che finora l’Italia ha pagato più di 4 miliardi di euro (per i primi anni ovviamente si è trattato di lire) a seguito di multe per non aver rispettato i contingenti di produzione.
Perchè molti allevatori continuano a sforare le quote, se costa così caro?
In passato le multe per i contingenti violati sono state spesso pagate da Pantalone, cioè dallo Stato. La Cia (Confederazione italiana agricoltori) calcola che le casse pubbliche si siano fatte carico negli anni di almeno 1,7 miliardi di euro. Molti produttori continuano a produrre e a vendere di più contando sul fatto che non pagheranno alcun extra visto che interverrà a sostenerli la mano pubblica.
Come mai le quote latte sono diventate un problema politico?
L’Unione europea non tollera più che le multe vengano pagate dalle casse pubbliche perchè questo equivale a una sovvenzione statale agli allevatori e perchè in tale maniera tutto il sistema delle quote di produzione viene vanificato.
Luigi Grassia
(da “La Stampa“)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
COLPEVOLE DI UNA FRODE AL FISCO DI 203 MILIONI DI EURO, COINVOLTE DIVERSE COOP DEL CUNEESE… MA LA REGIONE PIEMONTE DI COTA SI ERA DIMENTICATA DI COSTITUIRSI PARTE CIVILE
La richiesta di risarcimento è arrivata poco più di un mese fa.
E riguarda una cifra alta: 203 milioni di euro, vale a dire il totale delle multe per le quote latte non versate allo Stato dalle Cooperative Savoia dal 1996 al 2001.
Un danno allo Stato e all’Unione europea che la Procura regionale della Corte dei Conti ha chiesto a Giovanni Robusti, ex europarlamentare della Lega Nord, portavoce dei Cobas del latte e amministratore delle Coop Savoia, e ad altri trentatrè amministratori di queste diverse cooperative del Cuneese.
Un risarcimento elevatissimo, quantificato dal procuratore regionale Piero Floreani insieme alla Guardia di Finanza pari all’importo della truffa e al risparmio che i produttori di latte – associati in un complesso sistema – avrebbero ottenuto non versando le sanzioni per l’eccessiva produzione all’Agea (Agenzia per le erogazioni all’agricoltura) e quindi all’Unione europea.
Il sostituto procuratore Ivano Malpesi ha ricordato la definizione data dai magistrati penali a quest’ organizzazione, un “sistema fraudolento a danno dell’Ue e dello Stato italiano” e un “sistema illecito finalizzato ad eludere il sistema delle quote latte”.
Per queste ragioni nell’estate 2011 la Corte di appello di Torino aveva condannato Robusti e i soci per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e ad altri reati.
Ma in quella sentenza mancava qualcosa: la Regione Piemonte non si era costituita parte civile, ovvero non aveva chiesto un risarcimento dei danni.
Non lo aveva fatto per evidenti ragioni politiche.
Da una parte Cota non voleva inimicarsi un compagno di partito, dall’altra l’assessore all’agricoltura Claudio Sacchetto, leghista di Saluzzo (dove avevano sede le Coop Savoia), aveva detto: “Noi non ci mettiamo contro i nostri agricoltori”.
Ora si aspetta solo la sentenza della Cassazione, motivo per cui ieri gli avvocati Elisa Roasio e Anna Barbero hanno chiesto di rinviare l’udienza.
Una richiesta cassata dalla Corte presieduta da Salvatore Sfrecola, che ha portato avanti il processo.
Le difese hanno spiegato a lungo i motivi per cui i giudici contabili non avrebbero il potere di giudicare la materia e poi hanno tentato di ridurre l’entità del danno alle casse dello Stato..
Nell’arco dei prossimi due mesi la corte preparerà la sentenza e potrebbe anche stabilire un risarcimento più basso o confermare
Andrea Giambartolomei
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA E’ SULLE IRREGOLARITA’ DELLA FATTURAZIONI DEI BOVARI PADAGNI…IMPEDITA LA PERQUISIZIONE DI ALCUNI UFFICI DA MARONI, QUELLO CHE VOLEVA FARE PULIZIA CON LA SCOPA IN MANO… VERIFICHE ANCHE IN ABITAZIONI DI SEGRETARIE DEL CARROCCIO
La Guardia di Finanza di Milano, su ordine del pm Maurizio Ascione, ha perquisito fino a tarda sera le sedi di Milano e Torino della Lega Nord nell’ambito dell’inchiesta per bancarotta e corruzione con al centro presunte irregolarità sulle quote latte.
A quanto si è appreso, anche Umberto Bossi e Roberto Maroni erano presenti in via Bellerio durante le verifiche dei finanzieri.
Con loro anche Roberto Calderoli.
Sulle documentazioni in alcuni uffici i rappresentanti del Carroccio avrebbe sollevato la questione dell’immunità parlamentare “perchè di pertinenza di leghisti eletti”.
I finanzieri hanno portato via materiale cartaceo e informatico nell’ambito dell’inchiesta partita, nei mesi scorsi, dal crack della cooperativa milanese ‘La Lombarda’, travolta da un ‘buco’ di 80 milioni.
Oltre alla bancarotta, gli inquirenti ipotizzano anche la corruzione perchè, da quanto si è saputo, si sospetta di presunti versamenti di mazzette a funzionari pubblici e politici per interventi, sia ministeriali che legislativi, a favore degli agricoltori per ritardare i pagamenti sulle quote latte da versare all’Unione Europea.
In contemporanea alle perquisizioni il pm Ascione ha ascoltato a verbale come persone informate sui fatti, ieri sera, la segretaria amministrativa di via Bellerio, Daniela Cantamessa, e la segretaria della sede torinese, Loredana Zola.
Perquisite anche le abitazioni delle due donne.
L’inchiesta era partita dalla bancarotta della cooperativa di agricoltori milanesi e poi si è arrivato a indagare anche in Piemonte.
In passato sono stati sentiti a verbale dal pm anche gli ex ministri dell’Agricoltura Galan e Zaia, oltre all’ex presidente dell’Agenzia per le erogazioni per l’agricoltura, Dario Fruscio e all’ex capo di gabinetto del ministero delle Politiche Agricole, Ambrosio.
Gli inquirenti stanno indagando in particolare sui rapporti commerciali tra ‘La Lombarda’ e altre società .
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
E BERLUSCONI CHIEDE DIECI POSTI BLINDATI PER “ESPONENTI DELLA SOCIETA’ CIVILE”
Di sicuro sulle liste del Pdl ci sono due cose: «Che Berlusconi è candidato, e che litigheremo fino all’ultimo minuto utile, come per noi è tradizione…».
E’ uno dei pochi sorrisi che si strappano in via dell’Umiltà , dove ormai da giorni e giorni sono barricati i vertici di un partito nel quale si stanno combattendo decisive guerre di potere.
Mentre si tenta di porre freni alla sfilata dei tanti deputati e senatori che cercano la ricandidatura (nei giorni scorsi il buon alibi era che «stiamo lavorando agli apparentamenti», ora il filtro è più difficile), Alfano, Verdini, in tavoli allargati a Lupi, Fitto, Matteoli, Casero, Fontana e ieri ai vari coordinatori regionali, lavorano a griglie ristrette con una consapevolezza: degli oltre 240 deputati uscenti del partito, meno della metà saranno ricandidati.
E questo perchè si calcola in «110-115» il numero degli eletti certi, basandosi su un Pdl attestato alla fine sul 22-23%, risultato che ieri Berlusconi ha assicurato ai suoi che «abbiamo già raggiunto» lasciando più d’uno perplesso
Saranno dunque decisivi i criteri di selezione (dal pagamento dei contributi al partito, al numero di legislature che non deve superare le tre complete all’età non oltre i 65-70 anni) e il numero di deroghe che verranno concesse, tenendo conto che per quasi tutti i ministri, oltre che per i capigruppo, la ricandidatura dovrebbe essere certa.
Ma il vero nodo che sta spaccando il partito in queste ore è quello delle candidature degli inquisiti.
Perchè, per capire anche i pesi che avranno le varie anime del Pdl, bisognerà vedere chi vincerà il braccio di ferro tra i sostenitori della linea «giustizialista» portata avanti da Alfano, che ieri ha avvertito come «sulle liste abbiamo gli occhi di tutti addosso», e quelli della linea «garantista», capeggiata da Verdini, sostenuta dai falchi come la Santanchè («Tutti gli inquisiti vanno ricandidati, le liste non le fanno i magistrati»), in quello che è diventato un ruvido scontro di potere dei due uomini forti del Pdl.
A decidere la sorte di Dell’Utri, Cosentino, ma anche di Milanese, Papa, Cesaro sarà una «commissione di nostri parlamentari avvocati» ha annunciato ieri il Cavaliere, che in mattinata con i suoi erano stato molto cauto: «Dobbiamo essere capaci di decisioni difficili, perchè non possiamo esporci a critiche».
La sensazione è che Cosentino alla fine sarà candidato in Campania, forse anche Cesaro, mentre le porte resteranno chiuse per Milanese e Papa e anche per Dell’Utri, che potrebbe essere ripescato al Senato in Sicilia da Miccichè anche se i posti sicuri per Grande Sud in Sicilia sarebbero già appaltati (dei 4, tre andrebbero a Lombardo e Romano).
Si torna dunque al numero esiguo di candidature certe, a un partito in subbuglio sul territorio che rifiuta «i paracadutati» e di nuovo allo scontro di anime nel Pdl.
Quella dei fedelissimi berlusconiani, per dire, vuol farla pagare a chi – da Sacconi a Quagliariello, da Roccella ad Alemanno – ha flirtato troppo con Monti: se e in quale posizione di lista saranno ricandidati uomini vicini ad Alfano è una delle battaglie delle prossime ore.
E mentre cercano di farsi spazio nelle liste Pdl dalla Polverini (dirottata però su Grande Sud) a Lotito, mentre Mastella tratta in Campania per il Senato, mentre Scajola insiste che lui ci sarà mentre dal partito avvertono che «sulla casa ha ancora un’inchiesta…», mentre monta l’ostilità su Formigoni che non sarà ai primi posti al Senato, Berlusconi batte cassa: «Vi chiedo almeno dieci posti blindati per candidati della società civile che hanno accettato di correre con noi», ha avvertito ieri. Provocando un brivido sulla schiena, stavolta unitario, nei vertici del Pdl.
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
LA SOGLIA MAGICA CHE INSEGUE IL CENTRO PER ESSERE DETERMINANTI E’ VICINA
Tra i due litiganti è il terzo che decide (e si gioca) tutto alle elezioni, è sul risultato di Monti che sono infatti concentrate le attenzioni di Berlusconi e Bersani, convinti – numeri alla mano – che il Professore sarà determinante nella prossima legislatura soltanto se supererà la soglia del 15 per cento.
Il derby d’Italia sarà pur tornato a farsi appassionante, ora che il Cavaliere – dopo l’exploit televisivo da Santoro – ha guadagnato in un solo colpo il 2,6% nei sondaggi.
E mentre il fondatore del Pdl fa mostra di credere in un’improbabile rimonta, il leader del Pd si mostra determinato a consolidare il vantaggio sul rivale.
Ma la sfida tra le due coalizioni non esaurisce la contesa per il governo del Paese, ora che l'(ex) arbitro è entrato in campo.
Già non è facile districarsi tra i numeri dei rilevamenti demoscopici, che – com’era accaduto nel 2006 – divergono a seconda degli istituti di ricerca.
Perchè se è vero che ieri il sondaggio di Emg (commissionato dal tg de La7) evidenziava uno scarto di nove punti e mezzo tra centrosinistra e centrodestra, è altrettanto vero che l’ultimo report di Euromedia research (in possesso di Berlusconi) riduce la forbice a soli quattro punti e mezzo.
A parte la macroscopica differenza tra i due test, comunque questi numeri non basterebbero a prefigurare il vincitore delle prossime elezioni, dato che sul risultato finale pesa l’incognita del Senato, dove i dati nazionali andranno disaggregati su base regionale per l’assegnazione dei relativi premi di maggioranza.
E non c’è dubbio che la governabilità dipenderà dalla composizione di palazzo Madama, è chiaro che l’obiettivo minimo del Cavaliere è conquistare la Sicilia e il Lombardo-Veneto per impedire al segretario del Pd di avere la maggioranza nei due rami del Parlamento.
Ma il vero snodo elettorale e politico passa dalla performance della coalizione guidata da Monti, che non sembra in grado di vincere il derby e tuttavia potrebbe ritagliarsi un pezzo di scudetto la sera del 24 febbraio, qualora ottenesse il 15% dei consensi.
Lo sanno Berlusconi e Bersani, lo dicono gli stessi alleati del Professore: sopra «quota 15», Monti avrebbe la possibilità di condizionare se non addirittura determinare gli equilibri di governo; sotto «quota 15» si ritaglierebbe invece un ruolo minore, di interdizione, rischiando addirittura la marginalità .
Ecco spiegato il motivo per cui i leader di centrodestra e centrosinistra sono così interessati ai rilevamenti sull’area di centro.
Ma i dati dei rilevamenti non sono omogenei.
C’è una netta discrepanza, per esempio, tra l’ultimo sondaggio di Euromedia e quello di Ipsos: mentre l’agenzia della Ghisleri alla Camera quota la coalizione di Monti all’11% (6% Scelta civica, 4% Udc, 1% Fli), la società di Pagnoncelli accredita quasi sei punti in più al «partito» del Professore.
Al Senato invece Euromedia attribuisce alla lista unica montiana un dato più alto (12-15%) rispetto all’ultimo rilevamento di Ipsos (11-12%).
Sono numeri che fanno fluttuare Monti tra la zona scudetto e la zona retrocessione, e che inducono Berlusconi a sperare di essere determinante al Senato per la maggioranza di governo.
Basta un niente d’altronde per ribaltare il risultato.
Ecco perchè il Cavaliere è arrivato perfino a commissionare un focus sulle candidature del Professore, dal quale risulta che l’elettorato montiano non ha gradito l’inserimento in lista di personaggi come l’olimpionica Vezzali e la cantante Minetti.
Ieri però – analizzando gli ultimi dati – non ha potuto fare a meno di riscontrare un «piccolo salto in avanti» del premier.
Perciò, al vertice di partito, ha sottolineato la necessità di fare molta attenzione ai candidati: «Siamo al 23,4%.
E se non faremo errori nella composizione delle liste arriveremo di sicuro al 25%.
Lo scarto dal Pd è di un milione e ottocentomila voti. Questo dato non ci deve spaventare, si può recuperare, perchè si tratta di elettori che erano già nostri».
È stato un modo per lasciare intuire ai dirigenti locali ciò che aveva anticipato ai dirigenti nazionali: «Nelle regioni in bilico deciderò tutto io. Non voglio candidati che portano il volto della sconfitta».
Berlusconi vuole depotenziare il terzo incomodo, assorbendo quella fascia di «ex votanti del Pdl» che oggi sono annoverati tra i «delusi».
E non è detto che la nuova stagione dei processi sia nociva alla rimonta, visto che il leader del Pdl punta a bipolarizzare il voto gridando all’accanimento giudiziario.
E per studiare meglio l’area degli astensionisti ha preso in esame una ricerca sulla proiezione del dato di affluenza, che al momento si aggira tra il 70-71%, ben al di sotto quindi della media elettorale, calcolata tra il 79-83%.
È lì – secondo il capo del centrodestra – che vanno recuperati i consensi, per la maggior parte considerati ex berlusconiani.
Ma non solo lì.
I report sul movimento di Grillo segnalano non solo un arretramento di M5S ma anche una certa «volatilità » in quanti ancora oggi dicono di voler votare per quella forza.
Ecco il motivo del lavorio ai fianchi, speculare a quello del segretario del Pd, che sta cercando di prosciugare quanto più possibile il fronte sinistro di Ingroia, in nome del «voto utile».
Così i due litiganti mirano a fare il pieno, con una differenza di non poco conto: Berlusconi punta a rendere irrilevante Monti, Bersani lavora per ridimensionarlo.
Altrimenti al Senato rischia di dover scendere a patti con il Cavaliere.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
I VINCOLI DELL’EUROPA: FASSINA E BERSANI PARLANO SUL FINANCIAL TIME E SUL WASHINGTON POST
Tranquilli, tra il Pd e Mario Monti non c’è praticamente alcuna differenza.
Il Partito democratico sta dividendo le sue energie tra cercare la vittoria in Italia promettendo rivoluzioni e rassicurare il mondo sul fatto che con Pier Luigi Bersani a palazzo Chigi cambierà poco.
Ieri il segretario democratico interveniva con un’intervista al Washington Post, mentre il responsabile economico del partito, Stefano Fassina rispondeva al Financial Times.
Bersani spiega che si limiterà a fare “fine tuning” delle riforme di Monti, cioè a correggere qualche minuzia.
E sottolinea che l’azione di un eventuale governo di centrosinistra, a parte attutire le conseguenze sociali della riforma delle pensioni, si concentrerà sui diritti civili (unioni gay, cittadinanza agli immigrati e così via).
E quando parla di “politiche per la crescita” non spiega come pensa di finanziarle.
Sul Financial Times Fassina è ancora più esplicito: “Non rinegozieremo il fiscal compact o la modifica che introduce il pareggio di bilancio in Costituzione. Se agissimo unilateralmente, danneggeremmo il progetto europeo. Vogliamo avere spazio per una politica fiscale anti-ciclica, ma a livello europeo”.
Mario Monti sottoscriverebbe, parola per parola.
à‰ stata esattamente questa la politica europea e di bilancio del governo dei tecnici in questo anno.
La traduzione in politica economica di quello che dice Fassina è che il Pd perseguirà il pareggio di bilancio nel 2013 e la riduzione del debito secondo i vincoli europei, cercando di mantenere un avanzo primario (entrate meno spese, prima di aggiungere gli interessi sul debito) del 5 per cento all’anno.
Come rispettare questi obiettivi se la crescita resta sotto le stime e se la ripresa non arriva (la produzione industriale a novembre crolla del 7,6 per cento sul 2011)?
Con una manovra correttiva?
L’unica alternativa è rinviare il rispetto dei vincoli europei o provare a rinegoziarli. Ma Fassina e Bersani stanno promettendo ai giornali anglosassoni, e agli investitori che li leggono, che non è affatto questa la loro intenzione.
Fassina suggerisce la soluzione di attuare politiche anti-cicliche a livello europeo — debito pubblico comunitario, investimenti per la crescita — ma al momento non ci sono le condizioni politiche.
Anzi, si sta discutendo di tagliare il bilancio per gli anni 2014-2020. E il growth pact da 120 miliardi deliberato a giugno (riprogrammazione di fondi già stanziati) non decolla. E quindi? Bersani e Fassina rimandano le risposte definitive a dopo il voto.
Stefano Feltri
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »