Gennaio 17th, 2013 Riccardo Fucile
“A QUESTO SERVE LA STAMPA LIBERA”: E IL LEADER DI “FERMARE IL DECLINO” SCRIVE DUE RIGHE DI RINGRAZIAMENTO AL “FATTO”
Oscar Giannino legge Il Fatto Quotidiano e lo ringrazia non solo sulle pagine del quotidiano con una lettera pubblica, ma anche durante il “Tg3 Linea Notte”.
Ieri il Fatto ha pubblicato la notizia secondo cui Giosafat Di Trapani, l’imprenditore candidato per la Camera in Sicilia dal movimento di Giannino, “Fermare il declino”, era stato indagato da Giovanni Falcone nel 1992 e condannato a un anno e otto mesi per favoreggiamento di don Vito Ciancimino.
Oggi l’imprenditore è uno dei dirigenti di Confindustria Sicilia, presidente del settore piccola Industria.
Oltre vent’anni fa era amico di Massimo Ciancimino, figlio di Vito, e fece da prestanome intestandosi alcuni libretti di risparmio con poche decine di milioni di vecchie lire.
Soldi che l’ex sindaco mafioso di Palermo voleva mettere al riparo da indagini e sequestri.
La Procura chiese una condanna per intermediazione ricettatoria (l’allora riciclaggio), ma i giudici decisero per il favoreggiamento.
A riguardo, Giannino così scrive sul Fatto: “Desidero ringraziarvi per l’articolo scritto da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizzo, in materia di candidature siciliane. Ieri mi avete fatto passare una brutta mattinata, perchè in materia di legalità e lotta alla mafia la vigilanza da esercitare verso politica, imprese e pubblica amministrazione non è mai abbastanza. A questo serve la stampa libera, oltre che la magistratura, e ve ne sono grato“.
Parole che il leader di “Fermare il declino” ribadisce con forza nel corso del “Tg3 Linea Notte”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 17th, 2013 Riccardo Fucile
IN CAMPO PER IL PROFESSORE UNA SQUADRA DI ESPERTI INTERNAZIONALI… CHI FINANZIA LA CAMPAGNA ELETTORALE
In uno dei documenti che migrano in questi giorni, dagli uffici di Italia Futura di Montezemolo al nuovo media center della campagna elettorale di Mario Monti, compaiono alcuni dei finanziatori della salita in campo del Professore: non ci sono le cifre, ma ci sono i nomi.
È un pezzo di capitalismo italiano che ha creduto nel progetto del presidente della Ferrari, il cui aiuto sta confluendo oggi nelle disponibilità del movimento politico del capo del governo: i settori sono tanti e diversi, dalle costruzioni alla moda, sino alla farmaceutica; fra le persone figurano manager e imprenditori più o mano famosi.
Sembra che nelle casse del movimento siano rimasti al momento 4 milioni di euro: sono ritenuti pochi, almeno da qui alla data del voto.
Per questo a giorni partirà una raccolta di fondi all’americana, con tanto di sottoscrizioni on line e probabilmente anche con la pubblicazione dell’elenco dei finanziatori.
Quelli che hanno già dimostrato un interesse tangibile, nel recente passato, sono parecchi: nell’elenco compare Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Diego Della Valle (Tod’s), Fabrizio Di Amato (Tecnimont), Sergio Dompè (farmaceutica), Lupo Rattazzi, famiglia Agnelli (Exor), Alberto Galassi (ad di Piaggio Aero), Flavio Repetto (gruppo Elah Dufour), Francesco Merloni (termosanitari), Claudio de Eccher (Rizzani de Eccher, ponti e metropolitane), Carlo D’Asaro Biondo (Google, presidente Europa Sud e Africa, country manager per l’Italia), l’imprenditore Paolo Fassa, Pietro Salini (costruzioni), Benito Benedini (ex presidente Assolombarda).
Tutti hanno contribuito ma non tutti hanno gradito la declinazione attuale della «salita in campo» del Professore: alcuni dei finanziatori hanno smorzato l’entusiasmo dopo aver appreso che si formava una coalizione, con l’alleanza a vecchi partiti come Udc e Fli, piuttosto che una lista unica, che avrebbe rappresentato a loro giudizio un’offerta più innovativa e meno legata al passato.
In ogni caso sembra che il target di una rincorsa sia oggi fissato a 10 milioni di euro: nonostante il blasone e la solidità finanziaria di tanti finanziatori evidentemente il livello dei contributi acquisiti non è stato sufficiente.
Del resto nello staff di Monti sono in corso progetti molteplici: si dice che la campagna vera e propria non è ancora partita, ci si affida per una consulenza professionale di alto livello persino a chi annovera Barack Obama nel proprio portafoglio clienti.
Il gruppo internazionale di marketing e comunicazione, Wwp, sede a Londra, quotato in Borsa, una rete di consulenza in tutto il mondo, curatore della campagna on line del presidente americano, è coinvolto attivamente anche in quella del Professore.
Alcune delle società controllate (in tutto sono più di 300) stanno già lavorando per offrire un contributo alla candidatura del premier dimissionario, anche se nella capitale inglese, interpellati, gli uffici della Wwp preferiscono declinare ogni commento ufficiale.
Eppure secondo il sito Dagospia persino il capo del gruppo, sir Martin Sorrell, avrebbe fatto una puntata a Roma, due giorni fa, per definire le modalità di una collaborazione.
Un contributo che potrebbe diventare strutturale: fra i collaboratori di Monti si discute già di Regionali ed Europee del prossimo anno, «oggi siamo un movimento, domani diventeremo un partito all’americana, l’impegno di Monti è diretto alla creazione di un soggetto politico duraturo».
Un impegno di cui il Professore avrebbe parlato ieri con Pier Luigi Bersani: dopo le polemiche dei giorni scorsi sembra si sia riaperto un canale di comunicazione più disteso, anche in vista degli equilibri post-elettorali in Senato.
Marco Galluzzo
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Gennaio 17th, 2013 Riccardo Fucile
PATTO DI NON BELLIGERANZA PER SCONFIGGERE IL CAVALIERE
Il contatto è stato stabilito. Atteso da giorni è diventato realtà .
Bersani e Monti si sono visti ieri mattina, alle 7,30. Il premier avrebbe voluto fare l’incontro in un convento romano,
Bersani, ricordando le polemiche scatenate proprio dal Pd in occasione di un vertice centrista, ha chiesto un’altra sede.
Adesso i due provano a indirizzare la loro campagna elettorale verso un obiettivo comune: l’accordo del dopo voto tra progressisti e moderati.
L’avvicinamento è avvenuto nelle ultime ore attraverso canali diplomatici vicinissimi ai due leader e autorizzati da loro a trattare.
Trattativa riuscita tanto che è stato siglato un patto di non belligeranza per la corsa verso il 24 e 25 febbraio.
Nell’intesa è stato individuato anche un pericolo comune che dai prossimi giorni diventerà il bersaglio principale dei discorsi e dei comizi del segretario del Pd e del leader centrista.
Per tutti e due l’avversario è Berlusconi.
Nel colloquio si è partiti proprio dalla figura del Cavaliere.
Il premier ha affondato il colpo in maniera durissima nelle 48 ore appena trascorse usando le “armi pesanti”. «Pifferaio». «Italia non governata da anni».
Ha scatenato persino l’Europa contro il ritorno di Berlusconi.
Ecco il punto. Monti ha constatato una certa freddezza del Pd nella fase del massimo attacco.
«Mi hanno lasciato solo nella mia battaglia», si è lamentato parlando con i suoi collaboratori. Si aspettava un’azione concentrica, invece il Pd è rimasto alla finestra addirittura compiacendosi di un duello tutto interno all’area del centrodestra, come lo ha definito qualcuno.
Su questo le due “squadre” hanno dovuto, inizialmente, affrontare un chiarimento.
Lo hanno fatto senza ipocrisie ma con parole molto chiare. Bersani e il suo staff hanno accolto i rilievi di Palazzo Chigi.
Non hanno reagito con stizza. Però hanno sottolineato alcuni passaggi della campagna di Monti insostenibili dal loro punto di vista.
In sostanza, la richiesta del Pd è attenuare i toni dei centristi nei confronti della sinistra, dai sindacati a Sel spesso accusati di occupare il fronte conservatore della società italiana.
«Monti mi deve aiutare a gestire il rapporto con Vendola», è la posizione di Bersani. Ma non solo.
Oggi la grande paura del Partito democratico è il lato dello schieramento occupato da Antonio Ingroia.
Un movimento appena nato, che nei sondaggi continua a crescere e in alcune Regioni chiave può essere decisivo per le sorti della coalizione bersaniana.
«Noi non possiamo abbandonare il campo della sinistra all’ex pm, non è possibile lasciare scoperta quell’area».
Il Pd può riuscire nel difficile equilibrismo se Monti ammorbidisce gli argomenti anti-sinistra. E solo così, ragionano a Largo del Nazareno, sarà concreta l’ipotesi di dare vita a un accordo dopo le elezioni.
L’esito di questo confronto è per il momento positivo.
Attorno al timore di una rimonta di Berlusconi, Monti e Bersani hanno trovato un terreno di dialogo.
Arrivando anche a concordare la gestione delle presenze televisive, il punto di forza del Cavaliere.
Duelli tv e trasmissioni alle quali partecipare potrebbero essere d’ora in poi decise in simbiosi dai rispettivi staff. Ci sono alcuni talk per esempio dove i due leader potrebbero declinare l’invito.
Il pensiero corre subito a Servizio Pubblico di Michele Santoro, il programma che senza dubbio ha rilanciato le speranze di Berlusconi.
Nove milioni di spettatori hanno visto lo show dell’ex premier.
Adesso non è escluso che quegli stessi spettatori non vedano mai un’intervista con gli altri principali sfidanti di questa campagna.
Goffredo de Marchis
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Gennaio 17th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO MANTIENE UN PROFILO BASSO DOPO IL SOSTEGNO DELLO SHOWMAN…”HO FATTO TUTTI I LAVORI, DALLA BRMAN DEL PIPER AI BANCHI DI PORTA PORTESE”
Giorgia Meloni?
«Un attimo, sto facendo manovra».
Guida lei?
«Non sono di quelli che girano con cinque macchine di scorta. Io sono multitasking, faccio mille cose insieme».
Ha fatto il ministro e pure la baby sitter…
«Ancora con questa storia di Fiorello? È una cosa abbastanza personale e non mi va di parlarne. E poi non vorrei che a furia di sentirsi tirato per la giacca ci ripensasse».
Sarebbe un peccato, un endorsement del più amato showman italiano non capita tutti i giorni.
«La stima personale che dimostra mi fa piacere, anche perchè io non ho molta visibilità . Fiorello è una persona capacissima, ha un seguito enorme, è considerato molto credibile, la gente lo ascolta…».
E voterà per lei, «perchè è una brava tata».
«Il voto è libero e cosa farà nel segreto dell’urna lo sa solo Fiorello. Ha detto una cosa scanzonata e non so quanto ci si debba costruire sopra, se lo interpretassi come un tentativo di spostare voti per Fratelli d’Italia lo ingigantirei».
È di destra, Fiorello?
«Non ne ho idea. So solo che ci siamo sempre stati simpatici».
Come ci è finita a fare la baby sitter per la figlia Olivia?
«Davo ripetizioni di inglese a una bambina la cui mamma era amica di Fiorello e Susanna, che poi è diventata sua moglie. E così, quando uscivano la sera, cominciarono a chiamarmi. Lo avevo rimosso, e anche lui. D’altronde io non ero nessuno… Doveva essere il ’97, ma non ne sono sicura».
Nel ’97 lei aveva vent’anni.
«Allora è successo prima, ne avrò avuti 18 o giù di lì. Ho fatto tutti i tipi di lavoro, dalla cameriera alla barman del Piper».
Si è fatta molta ironia sui suoi mille mestieri.
«Chi deride, spesso ha alle spalle qualcuno che gli ha risolto i problemi. Io invece dovevo aiutare mia madre. Mio padre non c’era e dovevo guadagnarmi le mie 50 mila lire. Vado assolutamente fiera di tutti i lavori che ho fatto. La domenica stavo pure ai banchi di Porta Portese… Quel che mi ha insegnato fare la cameriera non me lo ha insegnato fare la parlamentare».
Olivia ha vent’anni e lei ne ha compiuti 36 martedì. Rimpianti?
«La gioventù è andata. Ma io sono stata giovane così tanto che invecchiare non mi dispiace per niente, forse ora mi prenderanno finalmente sul serio. Quelle sere con Olivia mi sembrano una vita fa. La pappa, i cartoni, la nanna…».
E la politica.
«Io già militavo, ci stavo dentro fino al collo. Ma con Olivia no, di politica non parlavo! Aveva 4 anni. Giocavamo col Lego, non con le Barbie perchè io le detesto. E poi guardavamo i cartoni».
Cenerentola?
«Orribile, mettitela te la scarpina di vetro! Io odio il rosa, le principesse e tutta quella roba lì. Poi c’era Pocahontas, altra storia diseducativa dove la protagonista si innamora del conquistatore, mentre io sono per l’autodeterminazione dei popoli».
Anche lei a suo modo si è autodeterminata, lasciando il Pdl.
«Una cosa da pazzi visionari, lo so. Ma non voglio più stare in Parlamento per diritto divino. Se prendo i voti ci torno, sennò io in qualche maniera me la cavo».
Può sempre tornare a fare la baby sitter.
«Oppure laurearmi. Visto che tanti mi hanno rimproverato di non averlo fatto».
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 17th, 2013 Riccardo Fucile
PARLANO GLI ALLEVATORI CHE HANNO PAGATO LE MULTE… CHI HA TRUFFATO LO STATO HA GODUTO DI PROTEZIONI POLITICHE
Antonio Beduschi, 42 anni, assieme ai fratelli Carlo e Marco alleva e munge 140 vacche nella sua azienda a Pieve d’Olmi vicino a Cremona.
«Quelli che non pagano le multe per le quote latte? Sono come quelli che passano con il rosso. Li avessi qui davanti direi: sapete che a fare certe cose poi si debbono pagare le conseguenze. Non potete continuare a danneggiare i produttori di latte onesti». L’allevatore cremonese è uno dei quarantamila che, con fatica e sacrifici, si sono messi in regola.
Secondo la Coldiretti, sono invece 2.000 gli allevatori cui è stato intimato il pagamento del prelievo esigibile: circa 800 milioni di euro.
Circa 600 di loro debbono pagare ognuno più di 300mila euro, cioè la gran parte del debito.
«Certo, sono sacrifici», dice Antonio Beduschi.
«Ma anche per noi non è stato facile metterci in regola con la legge. All’inizio io e i mie fratelli producevamo 4.500 quintali di latte e ora ne produciamo 18.000. Anche a noi sono arrivate le multe e le stiamo ancora pagando, a rate. E sempre per non passare con il semaforo rosso, abbiamo comprato le nuove quote che ci hanno portato alla produzione di oggi. Lo ripeto, non è stato affatto facile, anche perchè abbiamo dovuto fare altri investimenti per cambiare le nostre stalle e rispettare le normative sul benessere animale. Tutto questo mentre i prezzi al produttore sono sempre bassi e c’è il grosso problema del latte che arriva sottocosto dall’estero. Ma se vuoi essere un imprenditore vero, devi essere onesto».
Va avanti dal trent’anni, la lotta contro le quote latte.
La multa iniziale, pari a 4.000 milioni di euro, è stata in parte pagata dallo Stato (1.700 milioni) e in parte dagli allevatori.
«Sono pochi, quelli che non vogliono assolutamente mettersi in regola – dice Antonio Beduschi – ma fanno la voce grossa, anche perchè trovano chi li appoggia. E mettono a rischio tutta la comunità degli allevatori».
Il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, ha più volte denunciato i tentativi di salvare gli evasori irriducibili.
«Se lo Stato sospende il pagamento delle rate a chi non si è messo in regola, restituisca allora i soldi ai contadini che hanno pagato».
Non si tratta di briciole: già entro il 2010 gli allevatori avevano versato 2,42 miliardi di euro, dei quali 1,7 miliardi i per l’acquisto quote, 150 milioni per l’affitto, 220 per il versamento del prelievo e 350 per l’adesione alla rateizzazione.
Il regime delle quote finirà nel 2015, ma in questo 2013 c’è il rischio di nuove sanzioni da parte dell’Unione Europea.
Si sta infatti superando la quota di produzione di 10 milioni e 883.000 tonnellate.
A metà campagna, c’è un esubero di 150 mila tonnellate, che porterebbe a una sanzione di 40 milioni di euro.
«E ci sono ancora in giro quelli – dice Antonio Beduschi – che sono passati con il rosso e se ne vantano ».
Jenner Meletti
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 17th, 2013 Riccardo Fucile
DAI LINGOTTI D’ORO AL LETAME MALEODORANTE DI TRUFFA
Dai diamanti e dai lingotti d’oro al letame ahimè senza fiori, maleodorante di truffa e peculato, la Lega Nord segue il percorso inverso di Fabrizio De Andrè.
Maroni nega qualsiasi relazione con le cooperative degli allevatori “splafonatori” delle quote latte, già condannate per aver sottratto all’erario svariate decine di milioni di euro.
Strano perchè l’unica visita effettuata da Umberto Bossi all’arcinemico Monti, l’8 febbraio 2012, ebbe lo scopo di perorare a Palazzo Chigi la causa di queste cooperative fuorilegge, rimaste prive di copertura politica dopo la caduta del governo forzaleghista.
In loro soccorso già si era svenata Credieuronord, la banca del Carroccio poi salvata dal duo Fazio-Fiorani quando era ormai sull’orlo del fallimento.
C’è poco da menare scandalo, dunque, se la Guardia di Finanza fa ritorno nella sede di via Bellerio a nove mesi dalla scoperta delle malversazioni in cui era coinvolto l’intero “cerchio magico” del movimento.
L’odore di stalla è ancora il più lieve, rispetto alle pestilenziali esalazioni dei bilanci leghisti che ammorbano la Lombardia, dai rimborsi a piè di lista del banchetto nuziale fino ai buoni per l’acquisto di elettrodomestici distribuiti al Senato.
Sempre attingendo a fondi pubblici.
La schiera dei don Rodrigo, ciascuno con i suoi famelici bravi, che ha occupato per un ventennio le istituzioni trasformandole in mangiatoia personale, dalla quale elargire favori ai sudditi calpestandone i diritti, ha assunto dimensioni tali da coinvolgere un’intera classe dirigente.
Il saccheggio di risorse pubbliche è stato vissuto come un premio naturale spettante ai vincitori delle elezioni.
Riguarda in proporzioni massicce la Lega e il Pdl, rendendo temeraria la loro pretesa di ricandidarsi al governo della Lombardia e della nazione sbandierando un’inesistente rottura col passato.
Come se a guidarli non fossero leader già protagonisti della stagione finita nel disonore.
Maroni non avrebbe dovuto essere il ministro di polizia chiamato a vigilare sul rispetto della legge, anche da parte dei pubblici amministratori?
E Berlusconi? E Formigoni? Con che faccia si ripresentano?
Grazie alla legge Porcellum sono ancora loro, in questi giorni, a selezionare i candidati da presentare alle elezioni. Berlusconi affiancato da Verdini, Maroni affiancato da Calderoli.
Con Bossi già riconfermato capolista perchè il poverino ignorava le ruberie della sua famiglia.
Pretendono di stabilire i criteri del rinnovamento e della presentabilità , come se non fossero loro stessi i più vecchi e i veri impresentabili. In proporzioni nettamente inferiori, ma non per questo giustificabili, l’uso improprio e la sottrazione di denaro pubblico hanno riguardato pure esponenti di altri partiti, sinistra compresa.
Basti pensare al movimento di Di Pietro, che ne è uscito distrutto.
Eppure nelle ultime settimane pareva diffondersi fra i leader in corsa nella campagna elettorale la speranza che il tema della corruzione potesse venir derubricato. Accantonato per convenienza.
Ecco scattare quindi le solite accuse ipocrite di giustizia ad orologeria, quasi che la magistratura dovesse sospendere i procedimenti in atto garantendo alla classe politica il privilegio di una moratoria.
Il culmine lo si è raggiunto al processo Ruby, dove l’avvocato Ghedini ha chiesto, cito testualmente, un “legittimo impedimento perenne” per il suo assistito impegnato nella propaganda, sempre all’insegna della smemoratezza.
Quasi fosse colpa dei giudici se le indagini rivelano ogni giorno la sistematicità del malaffare, oggi a Parma e domani chissà dove.
Come se i tempi già ritardati dell’applicazione della legge dovessero sospendersi, per impedire ai cittadini di farsi un quadro veritiero sull’operato dei loro amministratori.
L’annosa vicenda delle quote latte, una truffa nei confronti dell’Unione europea e dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, perpetrata alla luce del sole con la copertura dei ministri leghisti, ha testimoniato per anni la rivendicazione pubblica del sistema clientelare.
Ma ora testimonia anche l’impossibilità di protrarla ulteriormente, perchè questo blocco di potere è giunto infine al disfacimento.
In agricoltura così come nella sanità , nel sistema delle discariche, negli appalti e nelle licenze.
Di nuovo la Lombardia si conferma epicentro di una sfida civica per il ripristino di condizioni minime di legalità , senza cui la politica non potrà mai fronteggiare la sofferenza sociale provocata dalla crisi.
Maroni s’illudeva di condurre una campagna elettorale incentrata su inverosimili promesse fiscali, peraltro mai realizzate nei decenni di egemonia nordista.
Il suo scopo era di rimuovere dal dibattito pubblico la piaga della corruzione che ha screditato il suo partito.
Ma la realtà torna ogni giorno a imporsi in tutta la sua evidenza.
E sollecita di fronte ai cittadini la scelta di un presidente della Regione come Umberto Ambrosoli: figura di rottura col cinismo politico, capace di rappresentare come prioritario il bisogno della moralità calpestata da troppi don Rodrigo.
Gad Lerner
(da “la Repubblica“)
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Gennaio 17th, 2013 Riccardo Fucile
TRA CREDIEURONORD, RAGGIRI E FALLIMENTI… QUEL TEMA DI POTERE CHE PORTA DRITTI AL CARROCCIO
Forse dovevano arrivare i tempi delle vacche magre, o forse il sistema di mungitura era già talmente chiaro, lì, da vedere.
Bastava solo mettere insieme dei passaggi, dei pezzi, delle dichiarazioni, e insieme le leggi, le promesse, le regole non rispettate, la resistenza a oltranza degli ultrà del latte.
Febbraio 2012, quasi un anno fa.
Nella sala riunioni siedono Mario Monti, Luca Zaia, Umberto Bossi, il ministro dell’agricoltura Mario Catania, i vertici dell’Agea, l’agenzia alimentare.
Bossi ha una richiesta precisa: l’ennesima proroga che consenta a poche centinaia di allevatori di farla franca, di non pagare la multa del latte.
L’incontro, naturalmente, si conclude con un nulla di fatto. Ma non è questo il punto. Il vero nodo è un altro: perchè un manipolo di splafonatori, inviso a tutti gli allevatori che le multe le hanno pagate, continua a tenere sotto scacco i vertici della Lega?
A costringerli a chiedere addirittura l’intercessione del tanto detestato premier dei tecnici?
Qual è il potere di pressione dei «milk warriors» sui piani alti del Carroccio?
Qual è la loro minaccia nascosta?
Queste domande non sono curiosità di oggi. Sono il cuore di svariate indagini giudiziarie alla ricerca del filo verde che parte dalle stalle padane, passa per i misteriosi traffici di una banca salvata dagli amici di Antonio Fazio, la Credieuronord, e finisce in una miriade di cooperative agricole che nascono, prosperano e falliscono alla velocità della luce.
Secondo i giudici, per nascondere la truffa del latte prodotto in eccesso.
O forse, più legalmente, per creare l’accumulazione primitiva del denaro che servì da carburante ai primi passi del movimento di agricoltori che un giorno sarebbe confluito nel Carroccio.
E’ su quelle cooperative che indagano oggi i giudici di Milano, è sui rapporti con gli uomini di quelle cooperative che sono state interrogate come testimoni le segretarie amministrative della lega di Milano e Torino.
Su quel sistema ha indagato a metà del decennio scorso la procura di Saluzzo. E nel 2009 il tribunale della cittadina piemontese si è pronunciato condannando per truffa una sessantina di allevatori.
Le cooperative sotto processo si chiamavano «Savoia»: nascevano e dopo un po’ morivano.
Si arrivò così a «Savoia 6». Il loro ispiratore era l’europarlamentare leghista Giovanni Robusti, leader dei Cobas del latte prima di andare a Strasburgo.
Si legge nella sentenza di condanna: «Dal momento in cui gli allevatori fatturavano il latte che eccedeva le quote loro assegnate, venivano effettuate (dalla cooperativa ndr) tre registrazioni. La prima estingueva il debito nei confronti del fornitore del latte facendo sorgere contemporaneamente un debito nei confronti degli organi competenti per il superprelievo (la multa ndr)».
In sostanza l’allevatore trasferiva la multa alla cooperativa che gli pagava il latte come se non fosse multato.
«La seconda registrazione – dice la sentenza di Saluzzo – segnalava lo spostamento di denaro dal conto della banca della cooperativa a un conto acceso presso Credieuronord», la banca fondata dai leghisti.
Credieuronord, pochi giorni dopo, restituiva il denaro alla cooperativa.
Così le cooperative e Credieronord facevano da schermo e consentivano agli allevatori di non pagare le multe.
Funzionava così anche per le La Lombarda su cui indaga oggi la procura di Milano? Quali interessi si nascondono dietro i mille tentativi di coprire gli splafonatori?
E’ certo che il Senatur ha sempre difeso i «milk warriors».
Racconta Dario Fruscio, leghista, ex presidente dell’Agea, l’agenzia che doveva controllare il sistema delle quote latte: «Il leader del mio partito voleva che io menassi il can per l’aia sulle multe per le quote latte, mentre io volevo che fossero pagate». Conferma l’ex ministro Paolo De Castro, oggi presidente della commissione agricoltura a Strasburgo: «Da sempre la Lega ha difeso la minoranza di allevatori che non pagano le multe. A danno della maggioranza e dei finanziamenti destinati all’Italia».
Non tutti i leghisti ci stanno a finire sul banco degli imputati.
L’ex ministro Luca Zaia, parlando ieri con i suoi collaboratori, si è difeso: «Sono stato l’unico a fare una legge tombale contro gli splafonatori».
Eppure proprio durante il suo ministero si è verificato l’episodio più curioso di questa storia: l’indagine di un ufficiale dei carabinieri secondo il quale l’Ue aveva sbagliato i conti calcolando come vive mucche di 80 anni, le ottuagenarie del latte.
Un bel regalo, certamente involontario, agli splafonatori che oggi gridano al grande equivoco di Bruxelles e brandiscono la relazione come un tempo i giovani rivoluzionari cinesi facevano con il libretto rosso di Mao.
Paolo Berizzi e Paolo Griseri
(da “la Repubblica”)
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Gennaio 17th, 2013 Riccardo Fucile
NEL “CENTRO DEMOCRATICO”, LA COALIZIONE DI MODERATI ALLEATI CON IL CENTROSINISTRA, ANCHE FLICK, RIVERA E VILLORESI
Centro democratico, la coalizione di moderati che fa capo a Bruno Tabacci e Massimo Donadi, ha presentato le liste per le elezioni politiche.
In prima fila Giovanni Maria Flick, Barbara Contini, l’attrice Pamela Villoresi e l’ex pallone d’oro Gianni Rivera. Non c’è, invece, Francesco Rutelli.
L’ex ministro di Giustizia nonchè presidente emerito della Consulta sarà capolista al Senato nel Lazio e in Piemonte.
La senatrice Contini, già Pdl e poi Fli, verrà schierata in Lombardia, la Villoresi in Toscana.
L’ex “golden boy” Gianni Rivera, dice Tabacci, “ci rappresenterà in più regioni”, sarà infatti capolista alla Camera in Friuli, Emilia Romagna, Umbria.
Ma alla ‘prima’ dei moderati democratici, in conferenza stampa alla Camera, è Contini a sferrare l’attacco più duro.
Destinatario Silvio Berlusconi. “Ha paura delle donne per bene, delle donne credibili e affidabili. Io, che all’estero ho dovuto vergognarmi per le sue dichiarazioni, voglio cancellare questa vergogna”, dice l’ex responsabile azzurri nel mondo, il movimento politico internazionale di Forza Italia.
L’ex governatrice della Regione irachena di Nassirya, che fu candidata al Senato nel 2008 con il Pdl, ha criticato Berlusconi, per la «perdita di credibilità internazionale dell’Italia in questi cinque anni».
Alle elezioni politiche del 2008 è capolista per il Popolo della Libertà al Senato nella regione Campania, risultando quindi eletta senatrice.
Nel luglio 2010 aderì al gruppo parlamentare di Futuro e Libertà per l’Italia.
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Gennaio 17th, 2013 Riccardo Fucile
IL Rà€S AGRIGENTINO DEFINàŒ “CORVI E SCIACALLI” GLI AGENTI CHE DEBELLARONO UN SISTEMA CRIMINALE
Angelo Capodicasa non è un candidato ‘impresentabile’ (ovviamente a parere di chi scrive) qualunque.
Se Mirello Crisafulli e Antonino Papania (già descritti in due rapporti dei Carabinieri pieni di intercettazioni inedite svelati dal Fatto negli ultimi giorni) sono i due pesi massimi del Pd a Enna e Trapani, Capodicasa non è solo il leader di Agrigento.
Il deputato di Joppolo Giancaxio ha trascorso ben 50 dei suoi 63 anni di vita nel partito. Entrato nel Pci a 13 anni, primo ex comunista presidente della Regione nel 1998, viceministro con Prodi nel 2006, oggi terzo in lista alla Camera nel collegio Sicilia 1 grazie alle primarie, Capodicasa è il peso massimo del Pd siciliano.
Una discussione sulla sua candidatura implicherebbe un’analisi seria della storia del partito degli ultimi decenni.
Solo l’ex consigliere comunale di Agrigento, Giuseppe Arnone, continua a inondare la commissione di garanzia del Pd con esposti contro la candidatura di Capodicasa.
Nel penultimo il 15 gennaio segnala persino al segretario Bersani un presunto abuso edilizio su una villa di famiglia a Cattolica Eraclea.
E nell’ultimo, di ieri, Arnone accusa il candidato di avere “violato lo statuto del Partito commemorando nella pubblica piazza l’ex sindaco di Campobello di Licata, rimosso per mafia, Calogero Gueli”.
Il fatto risale al luglio del 2011. Capodicasa quel giorno “nel corso della commemorazione pubblica indetta con tanto di lutto cittadino definiva ‘corvi, sciacalli e iene’ gli uomini delle Forze dell’Ordine e della magistratura e i politici che avevano debellato il sistema criminale ruotante attorno alla famiglia Gueli”.
Gueli perse il posto per lo scioglimento del suo Comune per mafia dopo il suo arresto il 22 giugno del 2006.
Scarcerato e poi condannato a 3 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa in primo grado, Gueli fu assolto in appello.
La sentenza definitiva però condannava per mafia il figlio Vladimiro Gueli e il genero Giancarlo Bugea e descriveva così papà Calogero:
“Ha costituito ‘un centro di potere affaristico imprenditoriale’ sfruttando la posizione di preminenza derivante dalla carica di sindaco (…). Si è certamente acquisita prova di una serie di illegittime ingerenze di Gueli Calogero nelle procedure di aggiudicazione dei lavori nel Comune di Campobello di Licata. Vi è la certezza che il Gueli abbia agito in modo minaccioso nei confronti di altri imprenditori per ottenere contratti di appalto per le imprese di famiglia”.
Perchè allora Gueli fu assolto?
La motivazione avrebbe sconsigliato a Capodicasa la commemorazione: “Può ritenersi che il Gueli abbia posto in essere gli illeciti coinvolgenti la Anaconda Costruzioni e la Sir.Tech per favorire se stesso e i suoi congiunti, Gueli Vladimiro e Giancarlo Bugea, in quanto tali e non quali esponenti mafiosi”.
Il rapporto Gueli-Capodicasa è illuminato dai verbali del pentito Maurizio Di Gati, che però non hanno portato a nessuna conseguenza giudiziaria perchè non riscontrati.
Il primo dicembre del 2006 Di Gati dichiara: “Il capo mafia Giuseppe Falzone, che è stato il mio successore ai vertici di Cosa nostra di Agrigento, mi disse che tramite il sindaco Gueli di Campobello di Licata si poteva arrivare a Capodicasa per avere lavori”.
Al riguardo Capodicasa ha dichiarato: “Non ho mai conosciuto nessuno dei personaggi citati da Di Gati che riporta fatti e circostanze apprese di terza mano e aleatorie”.
E anche Di Gati ammette di non avere mai incontrato Capodicasa nè Gueli. Le dichiarazioni più imbarazzanti per il leader del Pd agrigentino però non sono quelle di un pentito ma di un poliziotto.
L’ex capo della squadra mobile di Agrigento, Attilio Brucato, ha parlato dei rapporti tra Capodicasa e il costruttore di centri commerciali Gaetano Scifo, arrestato nel 2004 e ora sotto processo.
Nell’udienza del 19 marzo del 2011, Brucato spara: “Ci sorprese che dopo l’arresto di Scifo, pendente il processo Alta Mafia, in cui Scifo era imputato per reati aggravati dall’articolo 7, cioè di mafia, i Democratici di sinistra avessero fatto una riunione con lo Scifo medesimo appena scarcerato, riunione perorata, organizzata e promossa da Capodicasa (…), appurammo che i Ds di Capodicasa avevano contatti diretti con Scifo … e che dopo gli incontri tra Scifo e Capodicasa i Ds fecero una presa di posizione sostanzialmente coincidente con quelle assunte da Scifo contro il centro commerciale Moses avversato appunto da Scifo”.
Capodicasa commentò: “Erano riunioni a cui partecipavano numerosi dirigenti e parlamentari della provincia e alcune erano presiedute da componenti della commissione antimafia”.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Bersani, Partito Democratico, PD | Commenta »