Gennaio 13th, 2013 Riccardo Fucile
LE BOLLICINE DEL PRIMO GIORNO SONO GIA’ EVAPORATE…I SONDAGGISTI ORA CONCORDANO: “SERVIZIO PUBBLICO NON GLI HA PORTATO UN VOTO”
Più che una resurrezione, una curva di Gauss: la trasmissione di Michele Santoro ha sì galvanizzato gli elettori del Pdl ma, a freddo, di voti ne avrebbe spostati ben pochi. L’effetto, insomma, si sarebbe presto normalizzato, almeno stando all’opinione dei sondaggisti, che hanno visto nella puntata di Servizio Pubblico uno spettacolo dagli scarsi risvolti elettorali.
Perchè il confronto di una sera — per quanto abbia registrato il record assoluto di ascolti nella storia de La7 — non basta a riaprire la corsa alle urne.
Nemmeno Alessandra Ghisleri, fedelissima sondaggista di Silvio Berlusconi, pensa che il Cavaliere abbia davvero recuperato terreno: “A caldo c’è sempre molto entusiasmo, quello che rinforza i cuori. Poi evidentemente il fenomeno rientra, proprio come è accaduto con le primarie del Pd”.
Un grande successo mediatico — sostiene Ghisleri — non ha effetti automatici sulle scelte degli elettori: “Qualche voto rimane, ma la gente decide per lo più in base allo sviluppo degli eventi. Il popolo di centrodestra ha ritrovato il suo leader, ma il gap con il Pd non è piccolo”.
Il sociologo Renato Mannheimer, che guida l’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione, si dice “scettico sull’impatto che la puntata di Servizio Pubblico ha avuto nell’incrementare i voti del Pdl”.
Anche perchè, sostiene, l’opinione dell’elettore si crea “per sedimentazioni successive e graduali: come per l’amore, non basta un colpo di fulmine”.
Nessuna svolta, dunque?
“Il partito è sul 20 per cento: il divario col Pd è difficile da colmare. E poi, quel che conta è l’insieme della campagna elettorale: non si può prescindere dal passato e pesa quello che Berlusconi farà nel prossimo mese”.
Per Nicola Piepoli, presidente dell’omonimo istituto di ricerca — tra i pochi sondaggisti ad aver azzeccato il risultato delle Amministrative nella primavera del 2011 — la puntata “non ha spostato granchè: forse un punto percentuale”.
Ma un punto inutile, sostiene il professore: “La partita delle Politiche è chiusa e in 40 giorni non verrà certo ribaltata. Il Pd ha già vinto e per cambiare questo fatto ci vorrebbe la mano del gigante, che sinceramente non si può individuare in una prima serata tv. Solo una modifica delle alleanze può mutare un esito altrimenti certo”.
Il sondaggista è critico nei confronti dei quotidiani che ieri hanno titolato sul miracolo santoriano, che avrebbe rilanciato il Cavaliere invertendo il trend elettorale del Pdl: “Capisco che i giornali debbano vendere, ma non è ancora stato fatto un singolo sondaggio per valutare l’impatto della puntata. Tutti, me compreso, esprimono solo opinioni : parlare di voti guadagnati è pura speculazione”.
Anche per Antonio Valente, amministratore delegato di Lorien Consulting, la performance di Berlusconi ha rimotivato i suoi elettori e convinto tutti che il Cavaliere non è affatto (politicamente) morto.
Un impatto “sia quantitativo, per via dello share, che qualitativo: ma attecchirà ?”, si chiede Valente.
Le potenzialità ci sono, dato che “il 40 per cento degli indecisi sono ex elettori del Pdl, quindi recuperabili”.
Ma chi sostiene che Berlusconi abbia conquistato tre, quattro, persino cinque punti percentuali in una sola serata “si fa prendere dall’emotività . Bisogna vedere cosa poi si sedimenta”.
Beatrice Borromeo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DE “IL FOGLIO” BACCHETTA IL CAVALIERE: “TROPPO TARDI PER RESUSCITARE CON UNA COALIZIONE MESSA INSIEME CON LO SPUTO”….E RICONOSCE I MERITI DI MONTI
Day-after-after. Dopo due giorni si parla solo di lui. Di quel Berlusconi che ha vinto il “triello” contro Santoro e Travaglio.
Tutti, anche a sinistra, hanno riconosciuto la vittoria netta del Cav nello scontro televisivo.
Tutti, tranne poche eccezioni.
Una è quella di Giuliano Ferrara. La più rumorosa.
Nel suo editoriale l’Elefantino ha sì riconosciuto la supremazia scenica e mediatica di Silvio ma lo bacchetta sul lato politico.
Quello che conta di più.
Sul Foglio Ferrara racconta di un Cavaliere che dallo scontro “è uscito tonificato, facendo subire ai suoi avversari una lezione di energia, di vitalità , di passione, di allegria, di strafottenza e di sapienza tetarale”.
Ma subito avvisa: “Forse è troppo tardi”.
Secondo Ferrara il Cav “lascia impregiudicata la questione maggiore, la questione politica”.
Berlusconi secondo il dierttore de Il Foglio nonostante lo show non ha mostrato consapevolezza del suo programma politico.
Ferrara sostiene che la performance di Servizio Pubblico non regge al cospetto “di delusioni strategiche, di promesse, di promesse mancate, di una coalizione messa su con lo sputo, rabberciata all’ultimo su posizioni leghiste”.
Poi arriva l’affondo al Cav e una carezza al Prof: “I risultati della cura Monti-Draghi-Merkel, diciamo la verità , un pò si vedono. L’imprenditrice allucinata di Santoro, diceva l’altra sera con sinistra soavità che nel Veneto vivono in macchina e si suicidano in massa. Nello spirito apocalittico e nell’attacco rognoso a Monti c’era una convergenza netta e neutrale, ma può essere questa caricatura macabra la base di una forte affermazione di un berlusconismo resuscitato?”.
Tradotto il Cav da Santoro avrà pure vinto il match in tv, ma per Ferrara ha comunque perso quello politico.
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Gennaio 13th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO DI MILANO REPLICA ALLE ACCUSE DEL “GOVERNATORE GIRAVOLTA”…”CON ME I MODERATI AVREBBERO VINTO SENZA PROBLEMI E SENZA RACCONTARE FANDONIE”
“Non mi inquieti troppo perchè posso fare dichiarazioni che lo metterebbero a terra e lui sa di cosa sto parlando”.
E’ l’ ‘avvertimento’ lanciato da Gabriele Albertini, in corsa per la presidenza della Regione Lombardia, al governatore Roberto Formigoni che lo ha accusato di puntare a poltrone che si aggiungerebbero a quella di eurodeputato.
Lanciando l’ ‘avvertimento’ a Formigoni, l’ex sindaco ha sottolineato: “I colloqui che hanno riguardato alcuni argomenti molto vicini a lui sono avvenuti nel mio ufficio e sappiamo di cosa sto parlando. Non parliamo di poltrone perchè non credo abbia argomenti apprezzabili da rappresentare”.
Albertini ha aggiunto che “per il resto non ho altri motivi di conflitto con lui. Ha fatto la scelta sbagliata di abbandonare il campo e di ‘rientro’ per ragioni, a mio avviso, di potere e non di obiettivi, valori e proiezione futura. E’ un politico di professione, non so perchè si è offeso quando ho detto la verità “.
Albertini ha poi parlato delle sue prospettive nella corsa al Pirellone. “Sto facendo i salti di gioia, mi sento un gigante” ha detto commentando un sondaggio che nella corsa per la poltrona di presidente della Regione gli dà il 10-11 per cento dei consensi elettorali.
“Se da solo – ha aggiunto – un Albertini qualsiasi, senza partiti e senza altro che le modeste energie di cui dispone, è già in queste condizioni prima ancora di aver cominciato la campagna elettorale, devo dire che mi sento un gigante”.
L’ex sindaco, oltre a ricordare di non essere nè ministro uscente, nè segretario di partito, ha detto di essere rimasto “colpito dal fatto che sembrerebbe che io abbia più voti dalla sinistra moderata che dalla destra”.
Per il candidato al Pirellone e in corsa al Parlamento nella lista Monti “questo indica che colossale errore abbia fatto il mondo dei moderati”, con l’asse Pdl-Lega anche in Lombardia, “perchè con il sottoscritto, avremmo potuto vincere senza problemi e senza dividerci, connotando il Pdl per quello che dovrebbe essere: un partito europeista, veramente moderato, che non racconti fandonie e non sviluppi demagogia ma che creda nella responsabilità di dire il vero”.
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Gennaio 13th, 2013 Riccardo Fucile
ALBERTINI DRENA VOTI PIU’ DA PD E SEL CHE DA PDL E LEGA
Lo hanno sottolineato tutti gli analisti e gli osservatori che cercano, in questi giorni, di prefigurare i possibili esiti delle prossime elezioni politiche di fine febbraio.
Il quadro finale dipenderà in larga misura, forse in modo determinante, dal risultato delle consultazioni della Regione Lombardia per il Senato.
A causa, come si sa, delle astruse regole imposte dalla legge elettorale attualmente in vigore, il mai troppo deprecato «Porcellum».
Che prevede un unico premio di maggioranza nazionale per la Camera dei Deputati (la coalizione che prenderà più voti otterrà automaticamente il 55 per cento dei seggi) e, viceversa, tanti premi di maggioranza per ciascuna regione, con esclusione di Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige e Molise.
In altre parole, sarà la gran parte delle singole regioni ad assegnare per il Senato i seggi premio di maggioranza alle coalizioni che prevarranno in ognuna di esse.
Per questo la Lombardia (che determina nel complesso 49 seggi senatoriali su 315 in totale) è così rilevante, tanto che l’esito potrà condizionare l’esistenza o meno di una maggioranza governativa in Senato per la coalizione di centrosinistra.
Per quel che riguarda la Camera, infatti, secondo tutti i sondaggi, la maggioranza sarà conquistata (a meno di mutamenti legati allo sviluppo della campagna elettorale) dalla coalizione guidata da Bersani.
Ma non è detto che quest’ultima ottenga la prevalenza dei voti per la competizione del Senato in tutte le singole regioni, garantendosi così la gran parte dei seggi senatoriali.
LA RIMONTA
Proprio il risultato della Lombardia – che, data la numerosità della sua popolazione, assegna molti seggi–sembrerebbe uno di quelli maggiormente in bilico.
Anche se, allo stato attuale, la prevalenza dei voti–e, dunque, l’assegnazione del premio di maggioranza– appare appannaggio della coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi, che appare aver effettuato una notevole rimonta rispetto a quanto emerso da sondaggi precedenti (ad esempio, D’Alimonte sul Sole 24 ore dell’8 gennaio, che assegnava al centrodestra il 32,5 per cento a fronte del 35,7 per cento da noi rilevato).
La distanza dalla coalizione di centrosinistra risulta oggi attorno al 3,5 per cento nel sondaggio Ispo-Corriere della Sera.
Si tratta di un divario teoricamente colmabile (ma, ovviamente, anche allargabile) nelle prossime settimane, con lo sviluppo della campagna elettorale e la formazione della scelta da parte dei cittadini attualmente indecisi o tentati dall’astensione (21 per cento).
Bersani può dunque ancora aspirare alla conquista per sè del premio di maggioranza in Lombardia (e, di conseguenza, ad una maggiore probabilità che la sua coalizione prevalga anche in Senato, consentendogli di formare da solo un governo, senza legarsi, ad esempio, a Monti), ma deve riuscire a persuadere numerosi elettori. Berlusconi d’altra parte può contare in questo momento sul risultato lombardo come un’importante arma di contrasto al centrosinistra.
QUATTRO FORZE OLTRE LA SOGLIA
Sulla base dei dati rilevati, dunque, la coalizione di centrodestra otterrebbe 27 seggi (comprensivi del premio di maggioranza), mentre i seggi restanti verrebbero suddivisi tra le altre liste che superano la soglia dell’8 per cento: la coalizione di centrosinistra (12 seggi), la Lista Monti per l’Italia che si avvicina al 15 per cento e conquista 6 seggi e il Movimento 5 Stelle che si colloca attorno all’11 per cento e ottiene 4 seggi.
IL TESTA A TESTA PER IL PIRELLONE
Sin qui lo scenario relativo alla consultazione per il Senato.
Ma, secondo molti osservatori, quest’ultima potrebbe essere influenzata (e, a sua volta, potrebbe però influenzare) dalla elezione per il presidente e per il Consiglio regionale, che si terrà lo stesso giorno.
Per quest’ultima l’esito appare in questo momento ancora più indeterminato.
Sulla base delle rilevazioni più recenti, il candidato del centrodestra, Maroni, otterrebbe oggi la maggioranza dei consensi (pari a quasi il 41 per cento).
Tuttavia lo scarto rispetto al più vicino inseguitore, il candidato della coalizione del centrosinistra, Ambrosoli (cui viene assegnato sin qui il 38 per cento), è inferiore ai 3 punti percentuali.
La differenza rilevata tra i due candidati è dunque vicina al margine di approssimazione insito nei sondaggi, per cui si può affermare di trovarsi di fronte ad un testa a testa più che ad una prevalenza certa di uno dei due.
A costoro si affiancano Albertini (10-11 per cento) e Silvana Carcano, la candidata grillina che ottiene quasi il 10 per cento.
IL «FATTORE ALBERTINI»
I due contendenti principali si distinguono anche in relazione ai caratteri prevalenti del loro elettorato: Maroni vede infatti un’accentuazione tra i meno giovani e coloro che detengono titoli di studio più bassi, mentre Ambrosoli ottiene proporzionalmente più consensi tra gli under 40 e i laureati.
Naturalmente, se non ci fosse il «terzo incomodo» Albertini, Maroni avrebbe già la sicurezza della vittoria.
Ma l’ex sindaco di Milano drena un po’ di voti dagli elettori di centrodestra e impedisce la prevalenza netta di quest’ultima coalizione.
Anche se, ad un calcolo più approfondito, si nota che racimola (in termini relativi) più voti da ex elettori di Penati che da ex elettori di Formigoni (8,4 contro 6,7%).
I FORMIGONI «DISPERSI»
A suo tempo, nel 2010, Formigoni ebbe vita più facile.
Ma molto del suo elettorato si è disperso. In particolare, solo il 61 per cento di quanti lo avevano votato allora dichiarano di confermare la propria opzione per Maroni. Diversi scelgono Albertini, qualcuno Ambrosoli o, forse spinti dalla delusione, addirittura il candidato del M5S: ma buona parte (22 per cento) si dichiara tutt’ora indeciso o tentato dall’astensione.
L’elettorato di centrosinistra appare invece più «fedele»: più del 70 per cento dei votanti per Penati nel 2010 conferma infatti il proprio voto, scegliendo Ambrosoli.
Ed è inferiore la quota (13 per cento) di chi non ha ancora delineato la propria scelta. In definitiva, entrambe le consultazioni in Lombardia (politiche e regionali) appaiono aperte ad ogni risultato, benchè in tutte e due il centrodestra risulta sin qui prevalere (ma in misura diversa e di poco alle regionali).
Questi dati danno ragione a chi ha definito la Lombardia come «l’Ohio italiano».
Sarà la campagna elettorale a determinare l’esito finale-
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Gennaio 13th, 2013 Riccardo Fucile
“AI DEMOCRATICI CONVIENE L’INTESA CON NOI, NON CON MONTI”
Ormai ci ha preso gusto. E quella che poteva sembrare niente più che una provocazione impossibile, dopo il successo a Servizio Pubblico è diventata una tentazione: il Quirinale.
Vero sogno proibito di Silvio Berlusconi.
Venerdì mattina, ricevendo a Palazzo Grazioli alcuni boss del Pdl venuti a congratularsi per la “sfida” con Santoro, il Cavaliere si è lasciato andare a una battuta rivelatrice.
«Nessuno di voi credeva che sarebbe stato possibile vincere. Ma, se ce la faccio, stavolta voi mi fate fare un giro al Quirinale eh?».
I presenti si sono guardati in faccia e, terminato l’incontro, hanno tutti convenuto che Berlusconi non stesse affatto scherzando.
«Era uno dei suoi soliti test – osserva uno dei testimoni della “rivelazione” – per vedere l’effetto che fa».
Del resto Alessandra Ghisleri, con i suoi sondaggi, gliel’ha confermato: al Senato ci sono tre, forse anche quattro, regioni contendibili.
E tra queste la Lombardia, con il suo bottino di 27 senatori per il vincente, il Veneto, la Sicilia (dove il Pdl si presenta alleato con Miccichè e Lombardo), magari la Campania.
Se al Pdl riuscisse il colpo di vincere in tutte e quattro, Palazzo Madama sarebbe espugnato.
E al Pd non basterebbe a quel punto nemmeno l’alleanza con i centristi per riuscire a governare senza l’ansia di restare appeso al voto di un Turigliatto qualsiasi.
«A Bersani conviene fare un accordo con noi – ha osservato di recente il leader del Pdl in una riunione riservata – piuttosto che consegnarsi ai ricatti di Monti e Casini. Con il rischio che Monti gli soffi il posto a palazzo Chigi». Nella testa del Cavaliere l’accordo post-elettorale tra «i due grandi partiti», questa versione immaginaria di Grande Coalizione, non può che passare per la conquista del Colle più alto.
Grazie a un’intesa contro natura con «la sinistra» che sbarri a Monti la strada verso la presidenza della Repubblica.
Su questo punto, nelle ultime ore, si è registrata in effetti una curiosa coincidenza di vedute tra Berlusconi e Bersani.
Il primo ha detto che «assolutamente » Monti ormai non potrebbe essere eletto capo dello Stato, avendo perso la sua caratura bipartisan. Un’ipotesi, quella di Monti al Colle, «meno probabile» anche per il segretario del Pd.
A Berlusconi quello che interessa, spiega uno dei suoi collaboratori, «è stabilire la fine di questo strano apartheid per cui uno della nostra area non sarebbe degno del Quirinale».
Intervistato dall’Adnkronos, due giorni fa, il Cavaliere è rimasto abbottonato sull’argomento, lasciando intendere di pensare ancora a Gianni Letta.
«Ho dentro di me un mio candidato, come si dice “in pectore”, che brucerei se ne facessi il nome. Credo che ci sia la speranza di non avere un quarto presidente consecutivo di sinistra».
Questa dei presidenti della Repubblica di sinistra è una vera ossessione per Berlusconi, fin dai tempi di Oscar Luigi Scalfaro (insultato ancora giovedì sera durante la puntata con Santoro).
Si è persuaso che solo dal Quirinale sia possibile governare davvero l’Italia, «non avendo il presidente del Consiglio altro potere che quello di fissare l’ordine del giorno delle riunioni del governo».
E forse non è un caso che abbia preso di recente a paragonarsi a Luigi Einaudi.
Ma soprattutto ha constatato quanto sia impenetrabile il Quirinale anche per la magistratura più ostinata.
È la questione dell’improcedibilità del capo dello Stato per i reati non riferibili all’esercizio del suo mandato.
Una questione dibattuta a lungo dai costituzionalisti, di recente con il caso Napolitano ma in passato anche per Scalfaro, e mai risolta definitivamente.
Ma al Cavaliere, scottato dalla bocciatura costituzionale del Lodo Alfano, non interessano le sottigliezze giuridiche.
Sogna uno scudo finale, quello che potrebbe metterlo per sette anni – cioè, politicamente, per sempre – al riparo dalle inchieste della procura milanese.
Con tre processi in corso – Ruby, Fassino-Consorte, diritti tv – e poche speranze di cavarsela, il portone del Quirinale sembra l’unico abbastanza robusto per reggere i colpi d’ariete dei pm.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL COORDINATORE REGIONALE ACCUSATO DI TRUFFA E PECULATO PER LA BONIFICA DELLA LAGUNA DI GRADO… ALLA FINE RINUNCIA ALLA CANDIDATURA
Bufera in Friuli Venezia Giulia all’interno di Futuro e libertà .
Si stanno dimettendo i massimi esponenti del partito nella regione come protesta per la presenza nella lista per la Camera di Paolo Ciani, coordinatore regionale di Fli, indagato per truffa e peculato con altre 13 persone nell’ambito della maxi-inchiesta delle procure di Udine e Roma sulla decennale bonifica della laguna di Grado e Marano, costata oltre 90 milioni di euro e che si sta avviando alla sua conclusione con una probabile richiesta di rinvio a giudizio.
Ciani tuttavia ha comunicato che rinuncerà alla propria candidatura.
I coordinatori provinciali di Udine e di Pordenone, nonchè componenti il coordinamento regionale di Fli, rispettivamente Andrea Pertoldeo, assessore comunale a Rivignano del Friuli (Udine) e Gerlando Sorce, consigliere comunale a Sacile hanno rassegnato le loro dimissioni dagli incarichi di partito secondo quanto annunciato in una nota.
Anche il coordinatore comunale di Udine, Marco Specia, ha inviato analoga lettera di dimissioni ai vertici di Fli e in queste ore si stanno via via dimettendo gran parte dei componenti dei coordinamenti provinciali delle due città .
Nei giorni scorsi si erano dimessi anche il coordinatore provinciale di Gorizia, Alessandro Marega e quello comunale, Raffaella Fratepietro, anche se il motivo erano divergenze di scelte politiche per l’appoggio a Monti da parte del partito.
“Avremmo voluto che Fli fosse più specchiato della moglie di Cesare e che desse una lezione di legalità , moralità e trasparenza. Nessuno di noi ha cercato un posto al sole, il nostro gesto è un gesto di assoluta trasparenza e coerenza” hanno detto i dimissionari.
Successivamente Paolo Ciani ha diffuso una nota con la quale ha annunciato di rinunciare alla candidatura “per non dar adito a strumentalizzazioni, ribadendo di non essere rinviato a giudizio, ma di aver unicamente ricevuto un avviso di garanzia”.
I coordinatori provinciali dimissionari, inoltre, sottolineano come “nessuna risposta è arrivata da Gianfranco Fini ad alcune lettere nelle quali si chiedeva di ripensare alle candidature sia di Paolo Ciani che di Alessandro Zanusso, consigliere provinciale a Pordenone, ex Lega Nord, pure lui indagato
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 13th, 2013 Riccardo Fucile
QUALCHE MALUMORE PER LE PRETESE UDC… PREOCCUPAZIONE IN FLI PER LO SFALDARSI DELLA PROPRIA STRUTTURA TERRITORIALE
Dopo le elezioni, chiunque ne esca vincitore, dovrà raccogliere i riformisti presenti nei diversi partiti e farli lavorare insieme per portare a termine quelle riforme ostacolate dagli opposti conservatorismi.
Mario Monti parla da Orvieto, davanti a una platea amica, quella dei liberal del Pd riuniti sotto l’insegna Libertà Eguale.
E dalla cittadina umbra sembra rispondere indirettamente a Nichi Vendola che solo ieri lo aveva messo `fuori’ da un eventuale governo a guida Bersani.
Di più: il presidente del consiglio cita il leader di Sel e sembra volerlo mettere tra i cattivi, ovvero quei conservatori che si annidano, non meno dei riformisti buoni, nelle fila di ogni formazione politica.
Ma Vendola non era presente in Parlamento e Monti lo sottolinea per dire che ogni giudizio è sospeso.
Non è sospeso il giudizio su Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, che sebbene non sia deputato ha saputo ostacolare il cammino delle riforme del governo Monti.
Il professore, anche in questo caso, sembra pronto a citare l’esponete del Pd tra i conservatori, salvo poi `scoprire’ che «Fassina non è deputato. Davvero non è onorevole? Non mi stupisce che abbia comunque fatto sentire la sua voce: i bocconiani riescono a dire la loro anche lì dove non sono presenti», ironizza Monti per poi ridere di gusto.
Da Orvieto a Roma, dalle grane con gli altri partiti a quelle interne alla propria coalizione.
A Montecitorio, prima di chiudere definitivamente le liste con i nomi dei candidati di Camera e Senato, si è dovuto ripetere il rito del vertice con Casini e Fini a cui si è aggiunto questa volta anche il ministro Andrea Riccardi.
Una presenza che ha fatto circolare la voce, all’interno di Fli e Udc soprattutto, di un ripensamento del fondatore della comunità di Sant’Egidio che, stando ai rumors, sarebbe stato prossimo a candidarsi.
Voci smentite dai cattolici dello schieramento montiano.
La presenza di Riccardi, riferiscono le stesse fonti, si sarebbe resa necessaria per mediare tra i centristi e i `civici’, indispettiti per quelle che chiamano `pretese’ da parte del leader dell’Udc.
Oltre al fatto di aver voluto essere candidato in più regioni al Senato, infatti, si rimprovera a Casini di aver voluto `sistemare’ i suoi in posti chiave, come il collegio Campania 1, di fatto `blindandoli’.
Malcontento anche tra le fila di Futuro e Libertà dove si rimprovera a Casini un atteggiamento poco collaborativo: l’ultimo episodio aveva riguardato le liste per le circoscrizioni estero della Camera, dove l’Udc, oltre a presentare propri candidati in lista unica con Monti, ne esprimerà anche all’interno della lista Maie di Riccardo Merlo, fortissima nella circoscrizione Sud America.
Un malcontento quello dei finiani che, stando a quanto riferiscono fonti parlamentari, sarebbe acuito anche dalla consapevolezza che, a urne chiuse, il risultato che si otterrà sarà molto al di sotto delle aspettative: «Sta venendo meno la struttura nei territori», lamenta un esponente di Fli sottolineando come siano ormai in molti gli esponenti locali ad essersi dimessi da incarichi importanti.
Il timore di fare un buco nell’acqua è vivo anche tra le fila di Udc e di Italia Futura che vedono concreto il pericolo di una emorragia di consensi derivante dall’aver concesso troppo alla componente politica.
Per quesa ragione il coro che chiede a Monti una maggiore presenza fisica sul territorio in campagna elettorale si fa di giorno in giorno più forte.
(da “La Stampa“)
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Gennaio 13th, 2013 Riccardo Fucile
I PIRATI CHE HANNO BATTUTO SUL TEMPO GLI ALTRI PARTITI, DEPOSITANDO SIMBOLI SIMILI A QUELLI DI GRILLO E DI INGROIA
“Beppe Grillo ci ha scippato il simbolo creato da noi nel 2007, lo abbiamo ripagato con la stessa moneta”. Questa la versione di Andrea Massimiliano Danilo Foti, il 36enne di Catania che ha battuto sul tempo gli attivisti del Movimento 5 stelle consegnando per primo al Viminale il logo “farlocco” del tutto simile a quello del M5S.
Ad aiutarlo sono stati dei maghi delle “liste civetta”, gli uomini di votapirata.it in coda anche loro per presentare altri due contrassegni simili a quelli di partiti in lizza per le politiche del 24 e 25 febbraio.
Oltre infatti al logo a cinque stelle (rispetto all’originale manca solo la scritta “beppegrillo.it“), depositato da Foti, gli altri due pirati — Massimiliano Loda e Marco Manuel Marsili — registrano, il primo, un simbolo con il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo con la scritta “Rivoluzione civile” (molto simile a quello del partito appena fondato da Antonio Ingroia); il secondo invece presenta il logo dei pirati con teschio e faccia di Johnny Depp.
Quella di Foti, spiega lui stesso, non è una vendetta ma una “battaglia di verità ”: “Alcuni anni fa, quando Grillo si limitava a certificare la bontà delle liste civiche, noi creammo l’idea delle 5 stelle come simbolo di qualità e pensammo di rappresentarla graficamente nel marchio che tutti conoscono. Grillo se n’è appropriato e abbiamo aspettato il momento giusto per far scoppiare il caso”.
Alla richiesta di fornire maggiori spiegazioni, Foti taglia corto: “Abbiamo un atto costitutivo, la documentazione e lo statuto sono stati registrati all’agenzia delle Entrate nel 2007”.
Ma chi è l’altro “pirata” che ha clonato il simbolo di Ingroia?
Si tratta di Max Loda, dirigente del “Partito pirata”: “Noi abbiamo favorito politicamente questa operazione, perchè riteniamo che dai meetup sia nato un patrimonio umano inestimabile — spiega Loda — Quando abbiamo notato la volontà di Grillo e Casaleggio di mollare tutto, abbiamo deciso di tendere una mano agli attivisti del comico genovese e di proporci come loro futura dimora”.
Ma questa mossa non mette a rischio le decine di migliaia di firme raccolte dai “cittadini con l’elmetto”?
Infatti, se il simbolo fasullo venisse riconosciuto valido, l’M5s dovrebbe presentarne uno nuovo corredato da nuove sottoscrizioni.
Una possibilità che lo stesso Grillo non ha neppure preso in considerazione: “Se ci saranno loghi simili che creano confusione, il Movimento 5 stelle non si presenterà alle elezioni”, ha detto il comico sottolineando che bisognerà attendere fino al 15 gennaio per sapere l’esito del ricorso presentato dai legali del M5S.
“Secondo noi — continua il dirigente pirata — i cofondatori del Movimento non hanno intenzione di fare politica per davvero, ma solo soldi. Temiamo che venga mandato ‘tutto in vacca’ e si perda la carica rivoluzionaria”.
In realtà , può sembrare che si tratti più di una ripicca dei pirati nei confronti di Grillo: “Quando si sono accorti della nostra pericolosità si sono appropriati del nostro nome. Ora, visto che entrambe le nostre formazioni sono in guerra contro il sistema, mi sembra stupido che fra rivoluzionari ci si faccia i dispetti”.
Ma chi sono e cosa hanno fatto finora i sedicenti pirati?
I corsari capitanati da Marco Manuel Marsili sono nati nel 2011, togliendo il nome all’Associazione partito pirata, fondata nel 2006 con presidente Athos Gualazzi, quelli di Liquidfeedback che si riconoscono nel sito www.partito-pirata.it, gli “originali” insomma.
Poi ci sono i dirigenti.
Max Loda, dopo un amore per la Lega Nord nei primi del 2000, un aiuto alla campagna elettorale Dc di Milano, è uscito dall’anonimato con la lista civica “Immigrati basta” del 2006, dove nel “santino” alla faccia minacciosa sommava un manganello fra le mani.
Non solo, nel 2008 si è presentato con “Lista del Grillo No Euro”, alleata della “Lega Padana” di Enzo Rabellino (il “guru” delle liste taroccate nella politica torinese), condannato in primo grado a 2 anni dal tribunale di Torino per aver falsificato le firme di appoggio alla proprie liste nel 2010.
Poi c’è Marsili. Si autodefinisce “futurologo innovatore, libero pensatore, maà®tre à penser, rivoluzionario”.
Ha iniziato a far politica nei Verdi nel 2000, rimanendo con loro fino al 2003. Quell’anno è passato ai Liberaldemocratici di Mario Segni, ai quali rimane fedele per altri 36 mesi.
Poi ha vissuto una breve esperienza nell’Italia dei Valori, ma già nel 2007 non pago, ha fondato “Per il bene comune” e infine il suo Partito pirata.
Nicolò Sapellani
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Gennaio 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL “RIBELLE” CAPOLISTA IN EMILIA DI “RIVOLUZIONE CIVILE”
Fine di un’epoca e inizio di una nuova avventura.
Il dado è tratto: Giovanni Favia, espulso da Beppe Grillo un mese fa, accetta la corte di Antonio Ingroia e si candida per «Rivoluzione civile»: sarà capolista alla Camera in Emilia Romagna e sfiderà quei candidati Cinque Stelle che lui stesso aveva presentato e supportato all’ultima semestrale dei grillini a Bologna lo scorso 5 dicembre.
L’ex dissidente ha annunciato la propria scelta con una lunga nota, pubblicata anche su Facebook.
«Ho letto i 10 punti costitutivi della lista Rivoluzione civile e li ho ritenuti in linea con le battaglie fino ad oggi svolte in nome e per conto del M5S – spiega il consigliere regionale –. Sotto il profilo politico mi è stata garantita massima indipendenza e nessun bisogno di tesserarmi a partiti o movimenti, cosa che non farò».
E precisa: «Cambiano mio malgrado i percorsi, non gli obiettivi, e soprattutto non i principi».
C’è spazio anche per una velata polemica con Grillo (che solo qualche ora prima aveva dichiarato: «Noi abbiamo il limite delle due candidature. Capisco che c’è chi l’ha fatto bene, scalpita e forse vuole continuare da qualche altra parte»), quando Favia ribadisce la sua volontà a rimanere in politica per «massimo dieci anni» e definisce la sua espulsione «una scelta arbitraria e irrazionale».
E sul suo futuro l’ex grillino – contestato da un gruppo di ingroiani, attivisti di «Cambiare si può» a Bologna (dove il suo annuncio è stato accompagnato da un grido: «Vergogna») – sostiene: «Nel caso in cui non venissi eletto in Parlamento, portata a termine la mia attuale attività , alla prossima relazione semestrale presenterò ai cittadini dell’Emilia Romagna che mi hanno sostenuto e votato, le mie dimissioni irrevocabili, ridando al movimento la possibilità di avere due rappresentanti abilitati pienamente a rappresentarlo».
«Sarà una sfida difficile ma se avessi voluto una poltrona comoda avrei accettato i seggi sicuri che mi hanno offerto. L’obiettivo è superare il quorum e ce la faremo», ha dichiarato Favia ai cronisti a Bologna.
«Me l’aspettavo… me le aspettavo tutte e non ho altro da dire»: così Grillo liquida la notizia.
Il Movimento 5 Stelle Genova, con un tweet a firma di Andrea Boccaccio, attacca: «Ciao, ciao traditore».
Ingroia, invece, tiene a precisare che «la candidatura di Giovanni Favia non è un segno di ostilità verso il Movimento Cinque Stelle, anzi, è un modo per accogliere le stesse battaglie con un giovane molto combattivo e battagliero».
«Gli amici non si giudicano. A volte non si capiscono, sempre si comprendono», commenta su Facebook il compagno di gruppo e di tante battaglie in Regione Andrea De Franceschi.
Solidale anche Federica Salsi. «Anch’io me lo aspettavo. Ma ciò non ha una valenza negativa. Giovanni non ha mai nascosto la sua passione per la politica – afferma la consigliera comunale bolognese –. È una scelta che desta perplessità perchè fornisce un assist ai suoi detrattori, ma non vedo nel cambio di casacca un cambio di contenuti, casomai solo un cambio di contenitore».
E sull’ipotesi della nascita di un nuovo partito che raggruppi ex ribelli e delusi grillini Salsi è pragmatica: «Per quanto mi riguarda è prematuro pensare a un’altra formazione politica, sono concentrata sul mio lavoro in Comune. In futuro vediamo cosa succede».
Intanto, sulla Rete, la scelta di Favia diventa un caso.
In poche ore il post su Facebook riceve quasi 800 commenti, spaccando di fatto la base tra favorevoli e critici.
Una partecipazione comunque incredibile, paragonabile come volume a quella del blog di Grillo.
Emanuele Buzzi
(da “il Corriere della Sera“)
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