Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
CON L’11,2% CHE I SONDAGGI GLI ATTRIBUISCONOIN CAMPANIA POSSONO IMPEDIRE LA VITTORIA DI PD-SEL
Sondaggio elezioni politiche in Campania: la discesa in campo degli ‘arancioni’ di Antonio Ingroia-Luigi De Magistris potrebbe fare lo sgambetto a Bersani consegnando la vittoria, a sorpresa, alla coalizione di centrodestra e penalizzando la sinistra nel raggiungimento della maggioranza al Senato.
E a beneficiarne potrebbe essere proprio Mario Monti che, così, potrebbe rappresentare l’ago della bilancia a palazzo Madama.
E’ quanto emerge dal sondaggio Ipsos per il Sole 24 Ore.
Secondo Ipsos la Campania, da sempre considerata una regione sicura per il centrosinistra, potrebbe essere la vera sorpresa delle prossime elezioni e condizionare gli equilibri in Senato, dove il centrosinistra, pur vincendo le elezioni, potrebbe comunque non arrivare ad avere la maggioranza.
La stima Ipsos delle intenzioni di voto per gli “arancioni” è infatti all’11,2%.
Un ottimo risultato che toglie però più voti alla sinistra che alla destra.
La coalizione di Bersani è infatti data al 30,5% e quella di Berlusconi al 28,5%.
Se queste stime dovessero essere confermate dalle urne, gli arancioni potrebbero favorire la vittoria di Berlusconi in Regione e impedire alla coalizione di Bersani di avere la maggioranza in Senato.
La Campania inoltre è una Regione cruciale, che al Senato pesa molto.
Dopo la Lombardia è quella che pesa di più con 29 seggi totali di cui 16 vanno al vincente e 13 ai perdenti che qui saranno relativamente tanti.
E a beneficiarne potrebbe essere proprio Monti, i cui seggi del “partito di Monti” diventerebbero decisivi al Senato per fare il governo sulla base di una alleanza con la coalizione di centrosinistra.
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Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
IL PATTO CON SILVIO L’ULTIMA GOCCIA… NELLA NUOVA FORMAZIONE DI IMPORTAZIONE GRECA “C’E’ LA LEGA DELLE ORIGINI”
Dice che «la Lega è passata ad altro da tempo. Adesso poi, di nuovo con Berlusconi, non ne parliamo. Quello che una volta era il mio movimento, oggi è invotabile ». L’ultima fuoriuscita – da leghista a dorata – si chiama Cinzia Iacopini, 46 anni, due figli, scrittrice ed ex consigliere comunale (eletta nel ’92) del Carroccio a Buss
A tal punto da decidere di passare, come altri militanti stanno facendo in Emilia e anche in Lombardia, ad Alba Dorata Italia.
Il movimento nato sull’esperienza degli omologhi greci entrati in Parlamento col passo dell’oca e facendo proseliti con le aggressioni xenofobe.
«Sono gli unici oggi che hanno a cuore le sorti del popolo – dice Iacopini –. Che propongono un senso di appartenenza, quella visione identitaria che c’era nella Lega dei primi anni ma che poi è scomparsa. Dove è finita l’attenzione leghista al sociale? La base della Lega si sta spaccando, la gente non si sente più rappresentata e in tanti stanno uscendo».
Perchè proprio con destinazione Alba Dorata?
Semplice: perchè gli emuli italiani del partito greco – ma il segretario nazionale Alessandro Gardossi tiene a precisare che «noi siamo contrari alla violenza » e «non discriminiamo nessuno » – propongono un programma a forte impronta federalista. A partire dalla Lombardia, la culla del leghismo.
«Promuoveremo un referendum per la creazione di una nuova forma giurisdizionale indipendente chiamata Cantone Lombardia – si legge nella road map del movimento che ha per simbolo il meandro greco -. Il Kosovo è un precedente nel diritto internazionale. Quindi la Lombardia voterà come la Catalogna in attesa di un referendum votato a cambiare l’assetto istituzionale dello Stato».
Altro punto: «Il Cantone riconoscerà una moneta complementare e ne sarà garante».
A proposito di moneta.
Marco Galuppi era il revisore dei conti della Lega Nord a Rimini.
Era. Perchè adesso anche lui, dopo una militanza ventennale nel Carroccio, ha cambiato casacca.
Via la camicia verde e, oplà , ecco quella di Alba Dorata, che in 50 giorni ha già aperto una decina di sedi, da Potenza a Torino.
«Basta, troppe delusioni, troppo distacco dalla gente. Vedere che sono finiti ancora sotto Berlusconi, lo stesso che ha fatto andare a gambe per aria il federalismo, è imbarazzante. Il futuro della difesa del territorio è Alba Dorata».
Arrivano dalle regioni del Nord i neo-dorati delusi dal Carroccio. Milano, Piacenza, Torino, Pordenone, Trieste, Crema. Proprio a Crema, sabato, è in programma un incontro dei dirigenti di Alba Dorata aperto a iscritti e simpatizzanti
Il responsabile locale si chiama Giuseppe Pollini, titolare del ristorante “La Villa”, anche lui ha votato Lega per anni.
Oggi, dice, «non riesco più». Gli è scesa la catena.
Come ad Andrea Greco, 47 anni, libero professionista piacentino che dall’ex balena verde è passato al movimento ispirato ai duri della Grecia.
«Si sono rotte le acque, anzi, si sono aperte», gongola Gardossi. Il segretario nazionale che fa su e giù per l’Italia per raccogliere le 30 mila firme necessarie per la corsa verso Montecitorio. Un tempo, prima di passare a Forza Nuova e poi lasciarla, era leghista pure lui.
«La Lega non è più credibile. Per questo molti stanno venendo con noi».
Paolo Berizzi
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Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
NENCINI: “NON FACCIAMO GLI OSPITI A CASA DI NESSUNO, MANCA UNA RAPPRESENTANZA EQUILIBRATA SUL TERRITORIO”… TENSIONE ANCHE IN SARDEGNA: IL PRESIDENTE DEL GRUPPO PD SI DIMETTE: “NON RISPETTATO IL RISULTATO DELLE PRIMARIE”
“Noi non facciamo gli ospiti in casa di nessuno. L’ipotesi di una lista Pd-Psi, nel nome del socialismo europeo, era supportata da un orizzonte politico condiviso e da una rappresentanza equilibrata nei territori. Se vengono meno questi presupposti, e non per colpa nostra, ognuno per conto proprio”.
Lo afferma il segretario del Psi, Riccardo Nencini, che ha convocato d’urgenza la segreteria nazionale e i segretari regionali del partito.
Si deciderà se iniziare la raccolta firme per presentare le liste.
Secondo quanto si apprende, il partito guidato da Nencini aveva stretto un accordo con il Pd che prevedeva – spiegano dal Psi – una decina di parlamentari eletti. Viceversa, dalla composizione delle liste, i posti riservati alla quota socialista sarebbero soltanto tre.
Per questo Nencini e il Psi starebbero valutando l’ipotesi – non agile, nè facile, dicono ancora al partito – di presentare le firme.
Tensione in Sardegna.
Polemiche anche in Sardegna dove il presidente del gruppo del Partito democratico nel Consiglio regionale, Giampaolo Diana, ha annunciato le proprie dimissioni in segno di protesta contro le decisioni della Direzione nazionale sulla composizione delle liste per le elezioni politiche alla Camera e al Senato: “Nelle prossime ore comunicherò al Gruppo consiliare le mie dimissioni da capogruppo Pd – ha detto -. Il voto delle primarie non è stato rispettato e credo che la Sardegna debba cercare, anche in queste ore di modificare quella decisione”.
Da Roma sono stati infatti indicati alcuni nomi nella lista sarda e in questo schema resterebbero fuori dalla possibilità di ottenere un seggio nell’isola altri aspiranti che avevano superato la prova delle primarie.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO QUELLA DI ANGELA NAPOLI, UN ALTRO ABBANDONO ECCELLENTE NEL PARTITO DI FINI.. “IN CALABRIA FLI E’ FINITO NEL MOMENTO IN CUI HA MESSO ANGELA NAPOLI NELLE CONDIZIONI DI ANDARSENE”
Il nuovo terremoto che scuote dalle fondamenta Futuro e libertà questa volta ha come epicentro la provincia di Cosenza.
E rischia di provocare seri danni a un partito che già nelle scorse settimane ha dovuto fare i conti con l’abbandono della parlamentare Angela Napoli.
A lasciare il partito di Gianfranco Fini è il coordinatore provinciale cosentino Fabrizio Falvo.
«I vertici romani — spiega l’avvocato da sempre schierato politicamente a destra — non rispettano il nostro territorio. Aveva ragione la Napoli. Mi dispiace per quanti, come me, avevano creduto in Fli sin dalla sua nascita, ma devo prendere atto di non potere restare in un partito che non ha regole e che non considera i dirigenti sul territorio calabrese».
La scelta di Falvo è stata subito condivisa dai massimi rappresentanti del partito di Cosenza e Rende ma ad horas potrebbero arrivare altre defezioni dalla provincia.
Sul piede di guerra ci sarebbero i circoli di San Giovanni in Fiore, Scigliano, Bisignano, Acri e Torano Castello.
Se le indiscrezioni dovessero trovare conferma, per Fini, Bocchino e soci sarebbe davvero una brutta notizia, soprattutto perchè arriva a pochi giorni dalla presentazione delle liste per le elezioni.
Che in Calabria dovrebbero vedere come capolista alla Camera l’attuale presidente dell’assemblea di Montecitorio.
Alle sue spalle, al numero due della lista Fli, è pressochè certa la presenza del dirigente lametino Francesco Grandinetti.
Poi, forse, a seguire gli altri coordinatori provinciali tra cui quello di Crotone Salvatore Cosimo.
Sbaglia, comunque, chi pensa che l’addio di Falvo possa essere legato a una mancata candidatura: «Le mie aspirazioni non contano nulla in questa fase. Nell’ultima riunione con gli altri rappresentanti calabresi del partito ho solo provato a far valere le ragioni della mia provincia, che è la più grande della Calabria».
Su una cosa, tuttavia, non ci sono dubbi per Falvo: «Fli è finito in questa regione nel momento in cui ha lasciato andare via Angela Napoli».
(da “Corriere della Calabria“)
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Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
CONTRARI ALLA CANDIDATURA DELLA PERINA, QUATTRO PRESIDENTI DI CIRCOLO HANNO LASCIATO IL PARTITO… ANCHE IL CONSIGLIERE REGIONALE USCENTE PASQUALI MOLLA E VA CON TREMONTI
Dimissioni in massa per dire no alla candidatura nella Circoscrizione Lazio 1 di Flavia Perina al numero 2 della lista e dopo Fini.
Identica posizione anche in Toscana.
Ed è fuga dal Fli, dove il rapporto con Monti e con L’Udc, almeno a Roma, sembra scricchiolare
Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, il partito del presidente della Camera starebbe vivendo momenti difficili.
Anzi, difficilissimi e tutti causati dalla battaglia interna per trovare un posto tra Camera e Senato.
Insomma, l’oggetto del contendere sarebbe il paracadute e le cosiddette deroghe alla candidabilità che hanno incastrato i futuristi in un vicolo cieco.
“Forti” dell’1 per cento di consensi attribuiti dal cocktail sondaggi+elezioni locali, per 4 posti disponibili sarebbero in lizza Italo Bocchino, Roberto Menia, Carmelo Briguglio, Flavia Perina, Chiara Moroni ed Enzo Raisi.
A loro si aggiungerebbero Claudio Barbaro e Cosimo Proietti.
Decisamente troppi e così sarebbe scattata una faida interna culminata con le dimissioni di Renato Di Tomasi, Roberto Lovari, Gianmaria Tognon e Domenico Brocato, tutti membri del coordinamento romano.
Sia chiaro, si tratta di seconde linee, che però durante le elezioni rappresentano i circoli territoriali che hanno il compito di costruire contatti e consenso.
Proprio la “morìa” dei circoli romani nascerebbe dall’intensa attività di Flavia Perina, da giorni al telefono per la raccolta delle firme necessarie alla presentazione della lista e che avrebbe ricevuto invece una risposta negativa, culminata con le dimissioni. Defezioni, queste, che si aggiungono a quelle più antiche di Paola Guerci, Gianfranco Bafundi e, infine del consigliere regionale Francesco Pasquali passato con Tremonti. Insomma, il caso Perina fa tremare i futuristi per i quali sembra anche in bilico, almeno a livello locale, l’accordo con Monti e l’Udc.
C’è il rischio che si debba ripartire da zero e che le consultazioni si trasformino in una specie di roulette russa.
(da “Affari Italiani”)
Commento del ns. direttore
Riteniamo doveroso precisare, per quanto riguarda il “caso Perina” e le presunte dimissioni di dirigenti di Fli che la notizia ci è stata direttamente smentita da Flavia.
Un dimissionario invece ci ha comunicato che il suo addio non dipende dalla Perina ma dal fatto che Fli si è allontanato dal percorso tracciato a Bastia Umbra.
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Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
TRA I CANDIDATI ANCHE LA VEZZALI, ILARIA BORLETTI, LUIGI MARINO E MARIO SECHI… FLI CHIEDE 5 SENATORI: BOCCHINO, DELLA VEDOVA, BONGIORNO, CONSOLO E MENIA E BLOCCA ALLA CAMERA LA LISTA DEGLI EX PDL PER VALERSI DEL BONUS DEL MIGLIOR PERDENTE
L’intenzione era quella di annunciare in blocco i nomi della squadra parlamentare ma, alla fine, anche il professor Mario Monti si è adeguato al metodo Bersani che per settimane ha proposto un candidato di rilievo al giorno.
Così anche il capo della coalizione di centro ha ufficializzato i primi nomi della società civile inseriti nelle due liste montiane che verranno presentate al Senato e alla Camera.
Eccoli, i primi candidati selezionati: il dirigente di Confindustria Alberto Bombassei, l’olimpionica di scherma Valentina Vezzali, il direttore de «Il Tempo» Mario Sechi, il presidente del Fai Ilaria Borletti Buitoni, il presidente della Confcooperative Luigi Marino
La squadra di Monti, dunque, inizia a prendere forma anche se la trattativa interna alla coalizione di centro non è ancora chiusa.
Il vertice notturno tra Monti, Fini e Casini non ha dato gli esiti sperati e quindi ancora ballano i delicati equilibri per la lista comune che montiani e centristi condividono al Senato.
Il ministro Andrea Riccardi, che ha il compito ingrato in queste ore di tenere i contatti con i candidati in quota Monti, minimizza: «I rapporti con Fli e Udc sono ottimi».
E anche Casini convoca i cronisti per negare che l’altra notte si sia vista alla Camera una trattativa dura fra i tre azionisti della lista Monti: «Non ci sono trattative, il clima è ottimo. Noi dell’Udc avremo zero senatori, al Senato faremo il gruppo unico».
E questo il leader dell’Udc lo dice per tagliare le gambe a chi va dicendo che lui vuole una pattuglia di 10-15 senatori fedelissimi con la prospettiva di crearsi un gruppo autonomo a Palazzo Madama.
Al centro tutti minimizzano i contrasti.
Ma la squadra al completo non esce allo scoperto perchè ci sono ancora posizioni da limare.
In Toscana, per il Senato verrebbe candidato come capolista il costituzionalista Stefano Ceccanti (parlamentare in carica del Pd che non ha partecipato alle primarie, escluso da Bersani dal listino) che però andrebbe a pestare i piedi al candidato di Italia Futura (l’associazione di Luca di Montezemolo).
In Emilia, poi, per Palazzo Madama ci sarebbero ai primi posti Luigi Marino (Confcooperative con grandi simpatie per l’Udc) e Mauro Libè parlamentare uscente della squadra di Casini.
E ieri sera alla Camera si poteva incontrare l’economista Giuliano Cazzola (ex Pdl) che osservava con aria sconsolata: «Non ho notizie che mi riguardano….».
In Lombardia invece – dove il professor Roberto D’Alimonte accredita 6 senatori per la coalizione di centro – ci sono in testa di lista l’economista Pietro Ichino e l’imprenditore Santo Versace.
Franco Frattini, poi, pur avendo detto che tornerà al Consiglio di Stato, avrebbe chiesto un posto in lista a Roma o in Veneto.
Resta da vedere se dalla selezione affidata da Monti al commissario Enrico Bondi riusciranno a passare Alfredo Mantovano e Beppe Pisanu (che è in parlamento da più di tre legislature).
Ci sono anche i 10 parlamentari che per seguire Monti hanno realmente abbandonato il Pdl.
Guidano il gruppo di Italia libera Isabella Bertolini e Giorgio Stracquadanio, che tengono rapporti quotidiani con il ministro Riccardi: «Lui continua a darci notizie rassicuranti», dice Stracquadanio lasciando intendere però che loro non sono affatto tranquilli.
Perchè il tempo passa e la struttura territoriale degli ex Pdl, mobilitata per la raccolta delle firme, si sta sfibrando nell’incertezza.
E poi, aggiungono gli ex pidiellini, «hanno impedito la formazione di una lista di Italia libera alla Camera perchè c’è stato il veto di Fini».
Il meccanismo del miglior perdente di ogni coalizione, infatti, premia un solo partito e quel «bonus» previsto dal Porcellum probabilmente dovrà essere utilizzato alla Camera da Fli se la lista non supererà il 2% a livello nazionale.
Oggi si apre la giornata decisiva per la lista unica di centro prevista al Senato.
Fli chiede 5 senatori sicuri (Della Vedova, Bongiorno, Bocchino, Consolo, Menia), mentre l’Udc (che porta al Senato Buttiglione, Cesa e Casini, con l’aspettativa, si dice, di quest’ultimo di contendere la presidenza di Palazzo Madama ad Anna Finocchiaro del Pd) ritiene di meritarne almeno 15.
Ma con questi calcoli quanti senatori rimarrebbero per la quota Monti che, tra l’altro, deve prendersi in carico «società civile» ed ex Pdl?
Dino Martirano
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
CHE SI VINCA O CHE SI PERDA PER BOBO SARA’ SEMPRE L’ADDIO ALLA SEGRETERIA… SE VINCE SARA’ ACCASATO IN REGIONE, SE PERDE I VENETI CON TOSI PRENDERANNO LA SEGRETERIA
Adesso sono tutti in coda a dire che non si poteva fare diversamente, che l’accordo tra Pdl e Lega era davvero inevitabile e che, insomma, ora l’unica cosa da fare “è vincere”.
“Possiamo definirlo un prezzo da pagare”, ha ammesso Matteo Salvini, “ma ai malpancisti di oggi risponderemo con i fatti: le elezioni in Regione saranno un referendum tra monarchia e repubblica, e la repubblica è l’indipendenza della Lombardia: nove su dieci hanno compreso che l’accordo era l’unica strada possibile”. E Cota:”Il candidato premier si deciderà successivamente, adesso pensiamo a vincere e a realizzare il nostro progetto politico”.
Persino Flavio Tosi, uno che — è noto — Berlusconi non lo può proprio vedere: “Capisco che ci potranno essere anche dei mal di pancia, però l’accordo con il Pdl porta vantaggi anche per il Veneto e per questo da noi accettato: ci assicurerà nuove e importanti riforme dal punto di vista federalista: le motivazioni strategiche di questa nuova alleanza — ha spiegato Tosi — sono infatti senz’altro più favorevoli alla Lega che al Pdl”.
Applausi.
Ma dietro le quinte il malumore è pesante, la delusione cocente.
“Cos’è successo di così stravolgente in un mese? – postava ieri su Facebook un vecchio bossiano di lungo corso come Flavio Tremolada — Solo adesso si è scoperto che da soli si perde? Ci si allea con Berlusconi perchè è d’accordo che il 75 % delle tasse rimane al Nord? Bossi nel 2008 aveva concordato l’80%. Ma Bossi non è stato “pensionato” perchè faceva accordi con Berlusconi?”.
Ecco, l’idea generale è un po’ questa, nonostante i proclami dei vertici leghisti.
C’è, comunque, un’unica questione reale alla base di questa decisione che potrebbe costare molto cara a Maroni, seppure sulla media distanza: senza il Pdl, il Carroccio non aveva alcuna chance di conquistare la Lombardia, con il partito del Cavaliere alleato le possibilità aumentano.
Ma non possono comunque considerarsi decisive.
Secondo le rilevazioni condotte tra il 3 e il 6 gennaio da Scenaripolitici.com, la strategia di «Prima il Nord» lancia il candidato governatore padano al 37,5% mentre lo sfidante Umberto Ambrosoli, in campo per il centrosinistra, resta fermo per ora al 35%.
Si potrebbe pensare che l’azione temeraria dei leghisti di tornare tra le braccia di Berlusconi, alla fine, abbia pagato.
Ma c’è una vera e propria incognita sul campo.
Ed è quella rappresentata da Gabriele Albertini: l’ex sindaco di Milano tenta la corsa in solitaria anche se ha ricevuto il sostegno dell’area montiana, ma il suo peso elettorale è ancora da valutare e attualmente si assesta intorno al 12,5%.
C’è da dire, comunque, che il clima generale non è affatto favorevole al centrodestra. E anche se il bacino potenziale dell’asse Maroni-Berlusconi è davvero ampio, il combinato tra elezioni regionali e politiche nazionali potrebbe non girare a favore del segretario del Carroccio.
Nonostante la sottovalutazione di alcuni istituti di sondaggio, come la Swg di Weber, i mal di pancia della base leghista, alla fine, potrebbero rappresentare un vero problema di gestione del voto di base per Maroni.
Se Albertini, infatti, appoggiato dai centristi, dovesse superare il 14%, per la Lega le possibilità di trasformare la Lombardia nell’ultimo tassello della macro regione del Nord potrebbero dirsi sfumate per sempre.
E’ dunque una battaglia che si gioca su un crinale molto sottile, di pochi punti percentuali.
E a cui è appesa anche la sorte di Maroni stesso.
Comunque vada, non sarà più il leader del Carroccio, carica conquistata solo sei mesi fa. Lo ha detto ieri: se vince si dimetterà da segretario, per “lasciare il posto a un giovane”.
Ma sarà costretto a farlo, e a maggior ragione, pure in caso di sconfitta.
Perchè a quel punto, tutto sarà perduto e la Lega non ci sarà più. Almeno non così come la conosciamo ora.
Sarà una Lega che parlerà veneto, probabilmente, e avrà come capo indiscusso Flavio Tosi.
L’epilogo di questi ultimi giorni di trattativa, di inchieste e, infine, di voto, non potranno portare che a questo.
A tenere su il Carroccio, paradossalmente, potrebbe essere proprio il partito berlusconiano.
E non è una bella sensazione per chi, solo pochi mesi fa, agitava la ramazza a Bergamo urlando “mai più con Berlusconi” ed altre frasi ad effetto solo per polarizzare la base verso il nuovo segretario.
Maroni sembra stia conducendo una partita personale mascherata da “rifondazione leghista” nel segno della conquista (difficile, per non dire impossibile) della macro regione del nord.
Dal Pirellone potrà forse salvare se stesso, ma in caso di vittoria, soprattutto se di esile misura, come potrebbe inevitabilmente prospettarsi, poi se la dovrà vedere con una maggioranza che non farà sconti.
Soprattutto a lui.
E governare la Lombardia potrebbe diventare persino più difficile del muovere un ministero delicato come quello dell’Interno.
C’è, infatti, una promessa che Maroni ha fatto ai suoi e che ha messo nero su bianco nel patto con Berlusconi: quella di trattenere almeno il 75% delle tasse pagate dai residenti sul territorio regionale.
In termini assoluti il provvedimento varrebbe risorse aggiuntive per 20 miliardi l’anno.
Peccato per lui che Bossi, quando era ancora forte — come ricordava Tremolada — chiese a Berlusconi la stessa cosa, arrivando a strappare fino all’80% la percentuale di tasse che sarebbero rimaste in tasca ai “lumbard”: ovviamente non se ne fece assolutamente mai di nulla.
Un terreno molto scivoloso, dunque, per il segretario leghista.
Non sulla breve, ma sulla lunga distanza.
La domanda politica, a questo punto, è la seguente: Pdl e Lega riusciranno a resuscitare il formidabile rapporto con la società del Nord che ha permesso loro di restare l’incontrastato baricentro della politica italiana per vent’anni?
Sembra passato un secolo dalle elezioni politiche del 2008, quando il centrodestra unito fece il pieno dei consensi dei piccoli imprenditori, dei professionisti e del popolo delle partite Iva.
Ecco perchè anche questa volta, quella promessa fatta da Berlusconi in caso di vittoria è solo un modo per aiutare Maroni a convincere la sua base della bontà dell’accordo, ma tanto l’epilogo sembra ormai evidente: il segretario leghista perderà probabilmente la Lombardia e — di conseguenza — la sua base.
Poi Tosi gli ruberà quel che resta del Carroccio.
Semprechè l’inchiesta in corso a Roma non faccia precipitare di nuovo tutto molto prima del previsto.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
TRA GLI ESCLUSI CECCANTI E VASSALLO… “40% DI DONNE IN PARLAMENTO”
Per i montiani non c’è più posto nel Pd.
Bersani non ha perdonato quei parlamentari riformisti, un tempo vicini a Veltroni, che hanno lanciato appelli in favore dell’agenda del premier.
E li ha lasciati fuori dalle liste, salvando soltanto Giorgio Tonini.
Tra gli esclusi eccellenti delle diverse aree ci sono Stefano Ceccanti, Salvatore Vassallo, Andrea Sarubbi, Lanfranco Tenaglia, Alessandro Maran, e c’è Roberto Reggi, già braccio destro di Renzi.
Al senatore lettiano Marco Stradiotto e ad Anna Rita Fioroni è stato promesso con un’antica formula uno strapuntino al governo: «Ci ricorderemo di te…»
Come da tradizione, è stato l’assalto alla diligenza.
Pressioni, esclusioni a sorpresa e ripescaggi insperati (Giorgio Gori è in uno scomodo 23° posto).
Chi si è visto scavalcare da peones e portaborse – pur avendo vinto le primarie – e chi ha tentato di farsi infilare nel listino dei garantiti, alla faccia delle regole.
È il caso del medico Giuseppe Galasso, che si è dimesso da sindaco di Avellino per correre alle primarie, le ha perse e però, grazie ai buoni uffici di Dario Franceschini, sperava di strappare un posticino in Piemonte…
Stabiliti i nomi, molte posizioni ancora ballano.
La guerra dei seggi democratici si è chiusa ufficialmente ieri sera, con l’approvazione all’unanimità delle liste da parte del «comitatone» elettorale e poi con il via libera della direzione nazionale.
«Monti? Ho fatto più riforme io», si è lanciato in campagna elettorale Bersani, che non ha voluto in lista nessun ministro.
Il segretario si sente «vincente», dice che il Pd è «la lepre da inseguire» e giura di non temere il pareggio al Senato.
Alla fine approvano tutti, anche Marco Follini che pure si è tirato fuori.
Il malumore degli esclusi, però, è forte.
Ceccanti prende atto «con amarezza e stupore» che «non è servito essere al quinto posto per produttività complessiva dei senatori».
E mentre tratta con il centro, denuncia di essere stato giudicato «incompatibile» per aver sottolineato «il dovere di continuità con l’agenda Monti».
Se i montiani sono stati accompagnati alla porta, altri sono stati oggetto di un pressing inatteso.
È successo alla soglia dei novant’anni a Sergio Zavoli, che Bersani ha supplicato di candidarsi, per il suo curriculum immacolato, in una Campania provata dalla criminalità e dagli scandali.
Mentre in Puglia il duello fra territorio e vertice è stato così aspro che il segretario regionale Sergio Blasi ha lasciato l’incarico, contro l’assalto dei paracadutati dal Nord: «Tradito lo spirito delle primarie», ha lamentato alle 2.45 di notte nella lettera di dimissioni (poi ritirata).
Si dice non abbia gradito l’imposizione della Finocchiaro capolista al Senato, ma soprattutto l’insistenza con cui Franceschini ha chiesto un posto blindato per il «suo» Alberto Losacco alla Camera, così blindato che puntava a scavalcare il rettore di Bari.
Salvati in extremis il vicepresidente del Senato Vannino Chiti, infaticabile estensore di messaggi di cordoglio per conto del partito e la deputata gay Paola Concia, spinta dagli appelli delle associazioni.
L’attivista lesbica Cristiana Alicata, renziana, è invece rimasta fuori: il Pd del Lazio non l’ha voluta e lei, per non farsi paracadutare altrove, ha fatto un passo indietro. Gesto nobile anche da Enzo Bianco, che ha reso noto quanto segue: «Il Pd ha chiesto al presidente dei Liberal Pd di far parte della lista delle personalità di maggior rilievo, ma il senatore ha declinato l’invito…».
Bersani ha mantenuto la promessa di una «rivoluzione rosa», anzi a sentire tanti esclusi (maschi) il segretario è andato oltre, visto che il 40% degli eletti saranno donne.
«Un risultato straordinario», esulta Enrico Letta.
Il ricambio è forte, al Senato otto su dieci saranno volti nuovi.
Tanti i cattolici, alcuni dei quali strappati alla concorrenza montiana.
Su suggerimento di Beppe Fioroni, Bersani ha chiamato nel Pd, come calamita di voti democristiani, la professoressa Flavia Nardelli: segretario generale dell’Istituto Sturzo nonchè figlia dell’ex leader della Dc, Flaminio Piccoli
Per licenziare liste molto competitive con quelle di Monti, affollate di docenti, medici e giornalisti – ci sono Mucchetti e Mineo, ma non Severgnini – Bersani lascia a casa qualcuno dei suoi: dal portavoce Stefano Di Traglia alla direttrice di Youdem tv, Chiara Geloni.
Il segretario lombardo Maurizio Martina rinuncia per dedicarsi al Pirellone e incassa la lode di Bersani.
In compenso il leader mette come terzo nel Lazio il fedelissimo responsabile economico Stefano Fassina, di cui si parla come possibile capogruppo.
Monica Guerzoni.
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 9th, 2013 Riccardo Fucile
PD 33,1%, PDL 16,1%, CINQUESTELLE 12,5%, LISTA MONTI 12%, SEL 5,5%, RIVOLUZIONE CIVILE INGROIA 5,5%, UDC 4,3%, LEGA 4%, FRATELLI D’ITALIA 1,7%, FUTURO E LIBERTA’ 1,3%, ALTRI 3,9%
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