Gennaio 3rd, 2013 Riccardo Fucile
INSULTATI DA MISERABILI PSEUDO-TIFOSI LOCALI A BOATENG, MUNTARI E NIANG… AMBROSINI HA RITIRATO LA SQUADRA… ORA LA POLIZIA IDENTIFICHI E DENUNCI GLI AUTORI ULULANTI
Cori razzisti contro i giocatori di colore, ed il Milan se ne va. 
Episodio senza precedenti al “Carlo Speroni” di Busto Arsizio, dove i rossoneri hanno abbandonato il campo in segno di protesta contro una frangia del pubblico che stava rivolgendo insulti razzisti verso i propri giocatori di colore.
Il fattore scatenante è stato l’ennesimo buu razzista nei confronti di Boateng, che a quel punto ha preso il pallone e lo ha scagliato verso la tribuna dove si trovavano gli autori del gesto.
Immediata la presa di posizione di capitan Ambrosini, che si è portato al centro del campo ed ha ritirato la squadra.
In precedenza anche Muntari (in particolar modo in occasione di una rete annullata) e Niang, erano stati oggetto di insulti.
La sfida è stata prima sospesa e poi ufficialmente rinviata.
In Italia non esiste un vero e proprio precedente, anche se un epidosio analogo si verificò il 25 novembre 2005 nel corso dell’incontro Messina-Inter.
Il difensore ivoriano del club siciliano, Zoro, prese il pallone minacciando di abbandonare il campo per i fischi ricevuti dai tifosi nerazzurri in trasferta ma fu convinto a proseguire dai giocatori dell’Inter, in particolar modo da capitan Zanetti.
“Siamo dispiaciuti ed amareggiati per quanto successo però credo che il Milan non rientrando in campo abbia fatto la scelta giusta. Bisogna smetterla con questi gesti incivili – ha commentato il tecnico dei rossoneri Massimiliano Allegri – l’Italia deve migliorare sotto questo punto di vista e diventare un Paese più civile, educato ed intelligente. Spiace per i giocatori della Pro Patria e per la gran parte del pubblico ma non potevamo prendere una decisione diversa. Spero che questa cosa abbia un seguito se dovesse capitare anche in gare ufficiali dai Dilettanti fino alla Serie A”.
“Un segnale andava dato – spiega il capitano Ambrosini -. Non si può tollerare una cosa del genere, non si poteva continuare la partita con questo clima anche perchè bisogna far capire certe cose. Ci dispiace per la stragrande maggioranza di persone che non ha nulla a che vedere con quanto successo, proprio per questo abbiamo preso l’impegno di tornare prima possibile”.
Domanda: le forze dell’ordine sono state attivate per procedere all’identificazione e alla denuncia della feccia fischiante e ululante?
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Gennaio 3rd, 2013 Riccardo Fucile
“STA PORTANDO IL PDL SU POSIZIONI SETTARIE”
Dallo studio di Uno Mattina Mario Monti sottolinea che “ci sono molte posizioni nel Pdl che hanno impedito riforme per iniettare più concorrenza nei mercati delle libere professioni. Per esempio, dal punto di vista economico generale, penso all’onorevole Brunetta”.
Ed all’ex ministro della Pa, Monti si riferisce osservando che “sta portando, con l’autorevolezza di un professore di una certa statura – sottolinea – accademica, il Pdl su posizioni piuttosto estreme e, se posso permettermi di dire, settarie” .
Sono ormai note le quotidiane prese di posizione dell’ex ministro Brunetta contro il governo Monti.
Oggi il premier, con il suo humor britannico, gli ha riservato una risposta.
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Gennaio 3rd, 2013 Riccardo Fucile
DOPO DUE ANNI DI SCANDALI E TOTALE ASSENZA POLITICA SUL TERRITORIO, INVECE CHE OPERARE UNA RADICALE SVOLTA, QUALCUNO VORREBBE IMPORRE LA CAUSA DELLO SFASCIO DI FLI COME CAPOLISTA IN LIGURIA
Leggiamo dal Secolo XIX:
Toccherà al leader Gianfranco Fini (capolista in tutte le circoscrizioni) valutare le candidature ma è quasi scontato che il numero due in Liguria, dietro al leader, sia Enrico Nan, già deputato e coordinatore di Forza Italia, approdato da Fini nel 2010.
In lista i coordinatori provinciali delle quattro provincie.
Esiste un limite a tutto, anche all’autolesionismo, all’insipienza, alla viltà e ai ricatti.
Che si arrivi al punto, proprio nel momento in cui è in ballo la stessa sopravvivenza di Futuro e Libertà , di porre in essere una provocazione di questo genere è inaccettabile. Invece che cercare di dare una svolta a due anni da dimenticare in cui Fli è finito sulle pagine dei giornali locali per aver ricevuto attenzionati della Dia in sede e per aver avuto i locali in comodato gratuito da un soggetto rifiugiatosi a Dubai perchè colpito da mandato di cattura internazionale, tutto lascia intendere che i vertici di Fli vogliano imporre la principale causa dello sfascio del partito in Liguria come capolista.
Noi una proposta l’avevamo avanzata: azzerare tutto, commissariare la Liguria e comporre una lista di veri interpreti del manifesto di Bastia Umbra.
Passo indietro di tutti i notabili e lista composta esclusivamente da giovani sotto i 30 anni, con capolista una donna under 30.
Avremmo potuto suggerire ovviamente nomi e qualifiche al di sopra di ogni sospetto, nessuno ha ritenuto di chiederci nulla, chiusi nella loro eterna arroganza.
Avevano fatto lo stesso per le comunali di Genova: sappiamo com’è tragicamente finita, senza che nessuno abbia avuto la dignità di dimettersi.
E’ stato l’ultimo atto di affetto verso un partito che avrebbe dovuto essere “diverso” da parte di chi ha cercato fino alla fine di dare una mano anche dall’esterno, dopo essere stati cacciati da Fli per aver denunciato pesanti anomalie nella gestione del partito e evidenti contraddizioni con i principi etici del Manifesto.
Ora la misura è colma, la base elettorale ligure di Fli è disgustata: alla cerimonia funebre di Fli in Liguria è giusto presenzino solo i becchini.
Quelli apostrofati come “coglioni” perchè reclamavano legalità e coerenza, quelli distanti da coppole e compassi, hanno fatto fin oltre il possibile per salvare Fli .
Ma non siamo adatti a presenziare al suicidio assistito o a fingere lacrime di convenienza a cerimonie funebri annunciate.
Chi ha voluto il morto, ora provveda pure da solo alla sepoltura.
LIGURIA FUTURISTA
Ufficio di presidenza
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Gennaio 3rd, 2013 Riccardo Fucile
LA PAURA CHE I CENTRISTI FACCIANO SALTARE LA VITTORIA IN LOMBARDIA E LAZIO… LITE TRA I MONTIANI SULL’USO DEL SIMBOLO
E adesso che il Professore prende le distanze anche dal Pd di Bersani, il tavolo rischia di saltare. Il gentlemen’s agreement che tacitamente i due avevano pattuito pare già archiviato.
Il clima muta repentinamente, al punto che nel giro di poche ore dalla sortita radiofonica di Mario Monti, la segreteria del Nazareno manda in freezer l’incontro tra il presidente del Consiglio e il segretario democratico era stato messo in agenda.
Non è il momento, più in là , forse.
Un faccia a faccia che nelle intenzioni dei due – nel solco della collaborazione che ha segnato questi tredici mesi di governo – avrebbe dovuto spianare la strada a una campagna elettorale all’insegna del reciproco «rispetto».
Colpi di fioretto sì, necessari anche per soddisfare le aspettative dei reciproci elettorati. Ma senza oltrepassare un certo limite: questo nella carta delle buone intenzioni.
Mario Monti invece alza il tiro, azzanna l’ala sinistra della coalizione, taccia di «conservazione». E lo stesso farà con molta probabilità nelle nuove apparizioni tv in programma oggi a Unomattina e forse domani a Sky e in altre ancora già pianificate.
Pier Luigi Bersani non ha gradito affatto la svolta.
Ha lasciato che altri esprimessero tutto il disappunto del partito mettendo in guardia il Professore dalla deriva del «populismo» e della «demagogia», neanche fosse Berlusconi.
Il segretario non replica alle accuse. «Non mi metto a inseguire nessuno sulla polemica spicciola di tutti i giorni, nemmeno Monti – ragiona però coi suoi collaboratori – Io voglio fare un’altra campagna elettorale, senza insulti».
Detto questo, anche per il Pd adesso lo scenario muta.
E i colpi di fioretto lasceranno posto alla sciabola.
Non fosse altro perchè il «partito» del premier ormai «sale in campo» anche nel Lazio e in Lombardia, presentando propri candidati nelle due regioni chiave e rischia di complicare alquanto il cammino di Zingaretti e Ambrosoli.
Da semplice competitor, «Con Monti per l’Italia » diventa avversario.
Democratici poco inclini agli sconti, sebbene consapevoli del fatto che proprio da una buona affermazione della lista unica montiana al Senato nelle regioni strategiche – Lombardia in testa – e dalla conseguente erosione di consensi al Pdl, potrebbe derivare il definitivo successo dell’asse Pd-Sel a Palazzo Madama, la più delicata e incerta.
Monti torna a Roma e incontra Gianfranco Fini.
Matura il via libera definitivo – nonostante le perplessità iniziali del Professore – alla lista Fli alla Camera. Ma col presidente della Camera il premier ha soprattutto affrontato la grana del giorno.
Ovvero la probabile impossibilità di inserire il “timbro” Monti anche nelle liste Udc e Fli e nelle eventuali altre che si presenteranno alla Camera, come era previsto finora.
Il caso è stato sollevato dal pidiellino Peppino Calderisi, richiamando l’articolo 14 del testo unico in materia elettorale che obbligherebbe le liste collegate a utilizzare «contrassegni diversi, non confondibili».
«Senza quel simbolo, per le nostre liste si crea un problema di riconoscibilità nell’apparentamento col leader», insorgono da Udc e Fli.
Che a questo punto non escludono un veto alla corsa della «Lista civica per Monti » a Montecitorio: rischia di essere l’unica col marchio doc.
Il premier si è riservato di decidere, dallo staff minimizzano: «Problema inesistente, il marchio ci sarà per tutti».
Di certo, il leader non intende rinunciare a una sua lista civica e con lui la macchina già in corsa di “ItaliaFutura” (Montezemolo) che ne costituisce l’ossatura.
Monti ha confidato invece tutte le sue perplessità su una lista di ex pidiellini, per il rischio di «disperdere le forze» soprattutto in vista della complicata raccolta delle firme.
Ad ogni modo, Franco Frattini, Mario Mauro e 11 deputati usciti dal Pdl, da Cazzola alla Bertolini a Stracquadanio, ufficializzeranno in questi giorni il movimento “Italia popolare per Monti” (o “Popolari per Monti”) con chiaro link al Ppe.
Ma in assenza di una loro lista – fatta salva la blindatura degli stessi Frattini, Mauro e Mantovano in quella unitaria al Senato – resta il dilemma di dove candidare gli altri alla Camera.
«Non siamo più di una decina e abbiamo consiglieri comunali che possono tornare molto utili per la raccolta delle firme» fa notare Cazzola.
Fatto sta che la Lista civica montiana è aperta ai soli non politici, mentre Udc e Fli hanno già problemi coi loro concorrenti.
Così, gli ex Pdl rischiano di fare la fine degli esodati.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 3rd, 2013 Riccardo Fucile
TRATTATIVA TRA LEGA E PDL SULLA DEMAGOGICA PROPOSTA DI TRATTENERE LE TASSE AL NORD
Berlusconi e Roberto Maroni devono ancora incontrarsi, ma la base della Lega è già
in subbuglio sull’ipotesi di confermare l’alleanza con il Pdl e il Cavaliere candidato premier, pur di ottenere il sì pidiellino alla candidatura del segretario federale del Carroccio Maroni a guidare la Lombardia del dopo Roberto Formigoni.
Lo dice a chiare lettere il sindaco di Verona e segretario della Liga Veneta Flavio Tosi: «Come candidato premier ne serve uno super partes, credibile».
Poi aggiunge: «Di fronte alle minacce di Berlusconi di far cadere Piemonte e Veneto mi sono messo a ridere. È un’assurdità ».
Più prudenti i leghisti lombardi.
Anche perchè proprio oggi è in programma un incontro preparatorio “tecnico” tra Roberto Calderoli e l’ex sottosegretario del Pdl Luigi Casero per fare il punto.
Sia sul progetto di creare una macroregione del Nord, che sulla fattibilità della proposta del Carroccio di trattenere nelle regioni il 75 per cento del gettito delle tasse, che tante critiche ha già sollevato nel Pdl.
Il faccia a faccia tra Maroni e Berlusconi, invece, slitta ancora.
Dovrebbe tenersi prima dell’Epifania, dato che la Lega ha convocato per mercoledì 9 il Consiglio federale che dovrebbe dire l’ultima parola sulle alleanze.
La base leghista è tutta in fermento.
Pronta a fare le barricate pur di non accettare un accordo che, al momento, ai più appare ancora indigesto.
Anche se, in realtà , ieri i militanti, pur disorientati, se la sono presa più con Mario Monti che con Berlusconi nei microfoni aperti in onda su Radio Padania.
«Sui costi della cosiddetta casta Monti è senza vergogna – tuona il capogruppo della Lega alla Camera Gianpaolo Dozzi – proprio lui parla di privilegi che si è fatto nominare senatore a vita prima di ricevere l’incarico di premier da Napolitano ».
Del resto, il titolo del programma è eloquente: Monti, nuove tasse.
«Uno che pensa di votare chi in un anno è stato capace solo di farci morire di tasse non può che essere matto» attacca un ascoltatore.
Ce n’è anche per il leader dell’Udc Pierferdinando Casini: «È il vecchio che ci ha portato a questa situazione».
Ma c’è anche chi come un giovane aderente al movimento indipendentista sardo suggerisce di dire no a Berlusconi. «Meglio pochi, ma buoni. Prendete esempio da noi in Sardegna».
Un altro chiama in causa addirittura la classe dirigente della Lega. Colpevole, a suo dire, di troppi tentennamenti.
«Il primo nemico della Lega – dice – è la Lega stessa. Non può continuare a tollerare certi comportamenti di alcuni suoi rappresentanti che gonfiano le note spese».
Da Torino, un militante tira di nuovo in ballo il Cavaliere: «Berlusconi ha dimostrato di essere falso. Ha appoggiato fino a poco tempo fa un governo retto dai banchieri. È stato complice degli interessi che solo la Lega ha contrastato».
C’è anche chi protesta e basta, senza un bersaglio: «Basta tasse, per il resto il politichese non mi interessa». O inveisce contro tutti i governi indipendentemente dal colore politico.
«Per cinquant’anni hanno governato sia la destra che la sinistra. Ora si accusano a vicenda. È uno schifo. Nel frattempo, sono i poveri lavoratori che pagano quasi la metà dello stipendio in tasse. Non si possono presentare come la soluzione del problema. Loro sono il problema».
Andrea Montanari
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 3rd, 2013 Riccardo Fucile
LA SELEZIONE BANDITA NEL 2008, GLI SCRITTI SVOLTI NEL 2011, QUASI DUE ANNI PER CORREGGERLI…E QUANDO I 79 AMMESSI ENTRERANNO IN SERVIZIO SARANNO NEL FRATTEMPO DI NUOVO SCOPERTI 220 POSTI
Quasi cinque anni per giungere alla correzione degli scritti di un concorso pubblico. E ancora mancano gli orali.
In Italia, è possibile anche questo.
Nel frattempo, si sono succeduti ben tre governi con altrettanti ministri dell’Istruzione che hanno messo la loro firma sul concorso più lungo della storia della scuola italiana: quello per selezionare 145 ispettori che adesso hanno preso la denominazione di dirigenti tecnici.
Una figura che, a seguito dei pensionamenti degli ultimi anni, nel nostro Paese è ormai in via di estinzione.
Eppure, secondo la volontà espressa in diverse occasioni dalla classe politica, il corpo ispettivo del ministero dell’Istruzione dovrebbe costituire la terza gamba dell’impianto di valutazione del sistema di istruzione pubblico: le altre due gambe dovrebbero essere l’Invalsi – l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione – e l’Ansas, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica.
Ma la selezione di un gruppo di ispettori, che alla fine non andrà a coprire neppure la metà dei vuoti in organico, sta prendendo tempi biblici.
Il tutto inizia il 5 febbraio 2008, quando l’allora ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, bandisce il concorso e nomina la commissione giudicatrice presieduta dal fedelissimo direttore generale Raffaele Sanzo.
Ma appena una settimana prima il governo Prodi viene sfiduciato in Senato e per fare ripartire la procedura concorsuale si attende la nomina del nuovo esecutivo.
L’8 maggio del 2008 a Palazzo Chigi sale Silvio Berlusconi e a viale Trastevere Mariastella Gelmini.
Il concorso per ispettore deve iniziare con una prova preselettiva attraverso test a risposta multipla ma per un anno della selezione si perdono le tracce.
La partita in gioco è importante e la neoministra non vuole farla giocare a un presidente di commissione nominato dal suo predecessore.
Così, l’8 aprile 2009 la Gelmini nomina il nuovo presidente della commissione, il direttore generale Olimpia Cancellini, e rinnova l’intera commissione.
Nel frattempo, la prima prova viene rinviata più volte e il 21 settembre del 2009, un anno e mezzo dopo la pubblicazione del bando, si svolge la prova preselettiva alla quale partecipano in 16mila, ma vengono ammessi agli scritti in 900.
E per un anno e mezzo si blocca tutto nuovamente.
A rallentare ancora l’intera procedura non è certamente la correzione dei test che avviene con lettori ottici.
Gli scritti – tre per ogni candidato – si svolgono a Roma tra il 28 febbraio e il 24 marzo 2011.
Per correggere i 2.700 elaborati la commissione impiega ben 21 mesi: in media si procede al ritmo di sei al giorno.
E lo scorso 18 dicembre arriva l’esito degli scritti: appena 79 ammessi agli orali su 145 posti messi a concorso.
Ma la strada è ancora lunga: la commissione deve passare gli ammessi alla prova orale e compilare la graduatoria di merito.
Intanto la figura dell’ispettore è residuale in quasi tutte le regioni italiane.
In Veneto e Molise sono andati tutti in pensione e in altre regioni, come la Sicilia, è rimasto in servizio un solo ispettore che deve farsi carico di oltre mille scuole. L’organico dei dirigenti tecnici prevede 335 posti, ma al momento la macchina scolastica del Paese può contare soltanto su 36 ispettori.
E anche quando i 79 ammessi agli orali dovessero tutti entrare in servizio rimarrebbero scoperti ben 220 posti: il 65 per cento del totale.
Salvo Intravaia
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 3rd, 2013 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL SEN. FELICE CASSON (PD)… PER L’EX MAGISTRATO “NON E’ NECESSARIA LA SENTENZA DI TERZO GRADO, IN CERTI CASI OCCORRE INTERVENIRE”
Ma lei è proprio sicuro di quello che mi sta dicendo? 
” Sì, senatore Casson, basta scorrere la lista dei partecipanti alle primarie, e a Taranto c’è anche Ludovico Vico, l’esponente del Pd intercettato nell’inchiesta Ilva, mentre diceva: “Ora, a questo punto… lì alla Camera dobbiamo fargli uscire il sangue a Della Seta (ambientalista, ex presidente di Legambiente, uno dei pochi ad opporsi ai disastri della fabbrica) ”.
La stessa persona che ha proposto la modifica dell’art. 674 del c. p., “il getto pericoloso di cose”, in modo da derubricare la pena a semplice sanzione amministrativa. Depenalizzare, insomma, l’unico articolo del codice penale per il quale l’Ilva veniva puntualmente condannata.
“(Silenzio) Ah, allora è molto grave. E, lo ammetto, sono sorpreso”.
Bene, quindi?
Credo che il Pd dovrebbe discutere la vicenda.
In che modo?
Premesso, come partito abbiamo istituito un codice etico inedito, dove chi è condannato anche solo in primo grado non può essere candidato.
In questo caso non c’è ancora alcuna condanna.
Ma un’inchiesta molto grave.
Infatti sono stupito. E credo che dovremmo applicare la “terza via”.
Tradotto?
Vede, c’è una giustizia ordinaria e, come le ho detto, un regolamento di partito. Oltre a ciò dovremmo analizzare i casi specifici per rendere ottimo ciò che di buono abbiamo realizzato con le primarie.
Lei è membro della commissione etica del Pd. Sta dicendo che alcune situazioni dovrebbero essere riviste.
Sì, le intercettazioni che hanno coinvolto a Taranto Ludovico Vico sono impressionanti.
Il voto è fra quasi due mesi, avete il tempo per studiare la composizione delle liste.
Infatti questo fine settimana ci saranno le direzioni regionali, poi quelle nazionali. Nel primo o secondo appuntamento certe situazioni delicate e particolari andranno risolte. Però dobbiamo stare attenti…
A cosa, in particolare?
Vede, quando si giudicano fatti e persone, è necessario allontanare la discrezionalità , altrimenti si rischia l’abuso in un senso o in un altro .
Oltre a quello di Vico ci sono altri casi, come Crisafulli in Sicilia. O Luongo in Basilicata.
Ribadisco, dobbiamo studiare le vicende.
Avete tempo almeno fino all’8 gennaio. E poi che farete?
Sarebbe utile chiedere a certi soggetti un passo indietro o di lato. Ma, non posso nasconderlo, siamo sulle sabbie mobili.
Addirittura.
Certo, ma dobbiamo farlo. Anche perchè nella maggior parte dei casi, come in Veneto, sono state rispettate tutte le indicazioni del partito.
Molti dei nomi incasellati tra gli “impresentabili” sono stati candidati al sud.
Guardi, il problema non è la Sicilia, la Calabria o la Campania. Tutte le situazioni sono legate al potere. Ed è il potere che corrompe.
Alessandro Ferrucci
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 3rd, 2013 Riccardo Fucile
INDAGATI E CLIENTELISTI TRA I RE DELLE PREFERENZE
C’è chi può vantare un’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa.
Chi una serie lunga e articolata di conflitti di interesse.
Chi è entrato dentro un’inchiesta su personaggi vicini all’ ‘Ndrangheta.
Chi, per carità , ha solo un cognome importante da parte di padre o di marito. Ma lo fa pesare. Nord, centro e sud, lo stile non ha regione.
Questo nucleo di selezionati speciali ha vinto le primarie del 29 e 30 dicembre, quindi un biglietto, una chance verso il prossimo Parlamento sotto l’egida del Partito democratico. Sorridono, si fanno intervistare, la “legittimazione è arrivata dalla base”, dicono, “premiato il lavoro sul territorio”, ribadiscono.
Così Vladimiro Crisafulli, 6.348 preferenze, è il re di Enna, già deputato e senatore, l’uomo di cui il Pd non può fare a meno.
Eppure nel 2004 i pm di Caltanissetta scrivono: “È dimostrata da parte di Crisafulli la disponibilità a mantenere rapporti con il Bevilacqua, accettando il dialogo sulle proposte politiche dello stesso, ascoltando la sua istanza e rispondendo alle domande sulle possibili iniziative politico-amministrative, in particolare in materia di finanziamenti e appalti”.
Il soggetto con il quale l’esponente democratico interloquisce, è Raffaele Bevilacqua, boss del clan mafioso di Enna e Barrafranca, in contatto con l’allora superlatitante Bernardo Provenzano. Sia ben chiaro, c’è l’archiviazione, ma solo perchè quel colloquio non portò ad alcun favore a Cosa nostra, con i soggetti collusi arrestati “troppo presto”.
Resta ancora un rinvio a giudizio per abuso d’ufficio: il ras di Enna, secondo l’accusa, si sarebbe fatto pavimentare a spese della Provincia una strada che porta direttamente alla sua villa.
Altro campo, altra matrice, altra storia, per Nicodemo Oliverio, mister 8.245 preferenze a Crotone.
Su di lui pende dal 2009 un’imputazione di bancarotta fraudolenta, documentale e patrimoniale, secondo le accuse del gup del Tribunale di Roma.
La questione è l’inchiesta sulla cessione di Palazzo Sturzo dalla Ser Immobiliare per tre miliardi e mezzo di lire, immobile poi venduto dal Ppi nel 2007 per ben 52 milioni di euro.
Oliverio era il tesoriere ex Ppi e Margherita.
Secondo l’accusa “il bene immobiliare con un valore catastale di oltre 20 miliardi di vecchie lire e un valore di mercato oscillante tra i 60 e i 100 miliardi” attraverso la donazione al Ppi, soggetto controllante la stessa società Ser poi fallita “arrecò un danno patrimoniale ai creditori”.
Angolo conflitto di interessi, tocca a Francantonio Genovese, quasi 20mila preferenze.
Come sindaco di Messina (2005) era anche azionista e dirigente della società di traghetti, Caronte, che guarda caso opera sullo Stretto.
E poi c’è tutta la sua famiglia allargata (come racconta Marco Travaglio in prima pagina) in alcune società di formazione-lavoro finanziate dalla Regione.
Sempre Sicilia, troviamo Antonio Papania (6.165 preferenze). Il suo feudo elettorale è Alcamo, paese definito il “regno del lavoro interinale”.
Il 24 gennaio del 2002 ha patteggiato davanti al gip di Palermo una pena di 2 anni e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio.
Saliamo a Milano.
Ancora incerta la situazione per Bruna Brembilla (1.893 voti), entro venerdì i risultati definitivi. Influente membro del Pd lombardo, ex assessore provinciale (fino al 2009) nella giunta guidata dal Filippo Penati, si parla di rapporti con personaggi vicini alla ‘ndrangheta.
Tanto che nel 2008 il suo nome finisce sul registro degli indagati (archiviazione). L’ex assessore ne esce pulita, eppure nella rete delle intercettazioni restano parole che la pongono al centro di un intreccio tra politica, impresa e ambienti mafiosi.
Capitolo “parenti famosi”.
In Calabria troviamo Enza Bruno Bossio, oltre 10 mila preferenze, moglie di Nicola Adamo, ex assessore, già deputato, considerato l’uomo macchina per i democratici di Cosenza, e non solo, gravido di vicende giudiziarie.
I coniugi sono stati uniti anche da un avviso di garanzia nell’inchiesta Why Not, per i reati di truffa, abuso d’ufficio e associazione a delinquere per ipotetici finanziamenti “pilotati” che hanno interessato aziende amministrate dalla moglie.
Anche in questo caso tutto archiviato.
Ma non basta: a ottobre del 2012, nell’inchiesta sull’eolico, ad Adamo viene contestata l’associazione a delinquere, la corruzione, l’abuso d’ufficio, falso ideologico, violenza privata e violazioni delle norme sull’edilizia.
Infine complimenti a Daniela Cardinale 3488 voti, classe 1982, figlia di Salvatore, ex Ccd, Udeur, Ppi. Ex ministro.
Nella scorsa legislatura il padre le ha lasciato il seggio, dopo la benedizione di Veltroni.
Ora la famiglia lo ha confermato.
Alessandro Ferrucci
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 3rd, 2013 Riccardo Fucile
SI TAGLIA LA SANITA’ PUBBLICA E SI RAFFORZA IL PRESIDIO DELL’AMBULATORIO… BANDO PER ALTRI 10 SPECIALISTI, COSTO DI 700.000 EURO L’ANNO
La via crucis del ri-candidato si fa più stretta e incerta che mai. 
Una corsa al cardiopalma, roba da rimanerci secchi.
Sarà per questo che il presidente del Senato, Renato Schifani ha deciso di rafforzare il presidio di cardiologi e infermieri presso l’Ambulatorio di Palazzo Madama.
Sotto l’albero di Natale, il 18 dicembre, è arrivata una delibera dell’ufficio di presidenza che apre ufficialmente le selezioni per cinque specialisti in cardiologia e cinque in anestesia e rianimazione.
Non tirocinanti di primo pelo ma laureati con almeno 105/110 ed esperienza professionale minima di cinque anni per i medici e di quattro per gli infermieri.
Quello del Senato, del resto, è un ambulatorio di tutto rispetto: aperto tutto l’anno, 24 ore su 24, gratuito e a uso esclusivo degli inquilini del palazzo.
E lì per legge da ben 27 anni: in origine, spiegano da Palazzo Madama, doveva garantire ai senatori non residenti a Roma l’assistenza sanitaria dei loro colleghi della
Capitale, ma col tempo il miniambulatorio è diventato ‘maxi’.
La platea dei pazienti si è infatti allargata a deputati, ex parlamentari, dipendenti del Senato e dei gruppi, mentre il personale conta oggi un medico e quattro infermieri in pianta stabile, più altri 26 camici bianchi retribuiti a prestazione per assicurare i turni h 24.
E così sono lievitati anche i costi: nel 2011, ultimo dato disponibile, sono arrivati a 650mila euro.
Non è difficile crederlo, visto che per quasi trent’anni il presidio è stato aperto anche quando il palazzo era semideserto e gli inquilini in vacanza, nei week end, perfino a Natale e ad agosto.
Solo qualche mese fa il Consiglio di Presidenza ha deciso di chiuderlo dalle 13 di sabato alle 8 del lunedì, durante i festivi infrasettimanali e nei giorni di ferie. Ma niente panico.
Quando l’ambulatorio è chiuso l’assistenza medica è assicurata da una società esterna (Medical Care) a un costo di 20mila euro l’anno.
A Palazzo Madama spiegano che non sono soldi buttati perchè nel presidio medico si lavora a pieno regime: in un anno si effettuano 13mila prestazioni, più 700 soccorsi, in maggioranza di tipo cardiologico.
Un dato sorprendente se rapportato al numero dei senatori e alla platea dei potenziali marcatori di visita.
In un giorno di normale attività parlamentare al Senato, infatti, entrano più o meno 2.500 persone.
Forse lavorare in Parlamento è più usurante di quanto si pensi e questo potrebbe spiegare anche quei 7,7 milioni di euro chiesti da senatori (e parenti) per prestazioni sanitarie integrative.
I deputati non sono da meno.
I servizi sanitari d’emergenza alla Camera sono assicurati da un ambulatorio con personale medico-infermieristico rinforzato da un servizio distaccato dall’Asl di Roma e da una convenzione diretta con il Policlinico Gemelli.
Un presidio che conta su una trentina di camici bianchi tra interni ed esterni che costa 1,4 milioni di euro l’anno.
La convenzione per i presidi di palazzo Montecitorio e dei palazzi Marini, in corso dal 2007, conta quattro medici dirigenti e due unità di personale infermieristico che prestano servizio per 36 ore la settimana.
Tutti ben retribuiti.
Un medico alla Camera costa 60 euro lorde l’ora che diventano 90 dopo le 22, il sabato e nei giorni festivi.
A fine anno il camice bianco a Montecitorio porta a casa 90-100 mila euro. E sono in quattro.
Gli infermieri, prendono 44 mila euro l’anno più maggiorazioni e sono in due. Ma vanno poi aggiunti i turnisti esterni e i 435mila euro per la convenzione con il Policlinico.
Il conto finale è così salato da spiazzare gli stessi beneficiari del servizio (che in teoria dovrebbero godere di ottima salute, visti i 10 milioni di rimborsi sanitari dello scorso anno). Rita Bernardini (Pd), ad esempio, il 12 ottobre scorso ha chiesto al Collegio dei Questori di optare per uno dei due servizi.
Il parere è stato accolto e protocollato ma non si sa se sortirà qualche effetto. L’emergenza sanitaria in Parlamento, a quanto pare, continua.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano“)
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