Agosto 6th, 2013 Riccardo Fucile
“TANTO ROMPERE E’ INUTILE, IL VOTO NON CI SARA'”… ESCLUSA LA GRAZIA, CRESCE L’INCUBO PER ALTRE CONDANNE
È una flebile speranza, che lascia un lumicino acceso a Palazzo Grazioli.
E come tale viene tenuta in considerazione da un Berlusconi che, anche dopo che i capigruppo Schifani e Brunetta tornano dall’incontro al Colle, i suoi descrivono sempre più affranto, sfiduciato, provato, comunque pessimista.
«Presidente, ci rimettiamo nelle sue mani» è l’appello accorato che portano i due “ambasciatori”.
La ricerca di una soluzione, di una qualche via d’uscita non viene cassata a priori dal capo dello Stato. C’è un impegno a riflettere, ad esaminare, con tutta la voluta genericità e la cautela che la circostanza impone, ma al contempo con rapidità .
È la ragione per cui ancora per un paio di giorni il Cavaliere non si muove da Roma, attende, presidia il territorio, anche perchè domani la giunta per le elezioni al Senato affronta il nodo incandidabilità e l’incognita Pd grava come un macigno sui suoi incubi
Per il resto, il presidente Napolitano non poteva essere più chiaro, stando a quando i due “Renati” riferiscono al loro capo, una volta rientrati a Grazioli dopo 75 minuti di confronto.
La premessa quasi brutale: «Non ci sono le condizioni per chiedere un’eventuale grazia» avrebbe tagliato corto prima ancora che la questione venisse posta dai due.
Ma poi, come ha raccontato Schifani anche ad altri dirigenti Pdl, il Quirinale è stato altrettanto tranchant su un altro aspetto cruciale nei piani berlusconiani: «Vi sia chiaro che con questa legge elettorale non vi manderò mai alle elezioni» è l’altro paletto ben piantato da Napolitano. Niente grazie e niente elezioni, dunque.
Brunetta è come al solito più intraprendente.
«Presidente, pensiamo che non si possa estromettere Silvio Berlusconi, il leader politico che rappresenta dieci milioni di italiani, dalla vita politica».
Se così fosse, ha aggiunto il capogruppo alla Camera, «non saremmo in grado di garantire la tenuta del partito e dunque nemmeno del governo.
Schifani usa un’espressione più felpata col presidente. «Quel che noi invochiamo è l’agibilità politica di Berlusconi», ma il concetto non cambia.
Napolitano ribatte facendo sapere che la priorità in questo momento è l’emergenza economica, non si può far cadere il governo Letta, piuttosto approvare alla svelta i provvedimenti urgenti all’esame delle Camere.
Pretende e ottiene dai due l’impegno ad andare avanti.
Sul resto, non chiude del tutto le porte, ma il presidente non apre nemmeno praterie. Anzi. Napolitano fa sapere che esaminerà coi tecnici dell’ufficio legislativo ogni possibilità per un’eventuale soluzione purchè prevista dalle leggi vigenti, non più di quello. Schifani, spiegando la cosa al Cavaliere, aggiunge che «i margini di manovra sono ridotti, il capo dello Stato non potrà fare nulla di mirabolante».
È a quel punto che i falchi Verdini e Santanchè – nel lungo vertice protrattosi poi dal pranzo al pomeriggio con Alfano, Letta, Gasparri, Cicchitto, Capezzone – sono passati all’attacco: «Non ci possiamo fidare, vedrai che a settembre poi il presidente dirà che non può fare nulla e tu finisci in galera».
Berlusconi è nello sconforto più nero. «Se dipendesse da me, ritirerei la fiducia per andare al voto subito, ma con Napolitano non abbiamo questa garanzia, anzi abbiamo la certezza che al voto non andremo» è la sua tesi.
Di più, spiega ai dirigenti Pdl che «con questa sentenza si è rotto un tabù: ci sarà un’accelerazione su tutti i processi, si potrebbe arrivare in Cassazione con Ruby già l’anno prossimo».
L’incubo del tracollo, delle porte del carcere che si aprono davvero.
Il vertice non trova una conclusione, il leader prende tempo, ne avrà fino al 15 ottobre per optare tra domiciliari e servizi sociali e fino ad allora resterà fermo.
«Ma la finestra elettorale resta aperta fino al 30 settembre – fa presente il responsabile elettorale Pdl, Ignazio Abrignani – si potrebbe andare al voto il 17 o anche il 24 novembre, sempre meglio che a febbraio».
Ma è al suo destino personale che Berlusconi pensa in queste ore.
Tentato – raccontano dopo l’incontro serale con gli avvocati – dalla rinuncia sia ai domiciliari che ai servizi sociali, per “costringere” il Quirinale a impedire il carcere commutando la pena, come avvenuto per il direttore del Giornale Sallusti.
Ma quella era un’altra storia.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Agosto 6th, 2013 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DE “IL GIORNALE” FURIOSO CON ALFANO, LUPI, DE GIROLAMO, LORENZIN E QUAGLIARELLO
Nella sua parabola finale, alle porte del carcere, il berlusconismo è uno e trino. 
Falchi, colombe e pitonessa.
Una raffigurazione che il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, ieri a Uno Mattina su Raiuno, ha riassunto in modo crudamente sincero: “Berlusconi usa sia i falchi sia le colombe”.
Il Cavaliere carismatico e condannato ha aggiornato l’antica regola dei boss dorotei della Dc: indicare come vice solo colonnelli ambiziosi in guerra tra di loro.
In questo modo saranno sempre impegnati l’un contro l’altro, lasciando in pace la leadership del capo.
Insomma, falchi e colombe, ognuno coi suoi interessi, esistono davvero ma al tempo stesso sono una leggenda perchè devono fortune e poltrone ai voti dell’Unico che ce li ha e fa quello che vuole.
La trinità berlusconiana è un mistero di facile risoluzione.
Esemplare quello che è accaduto per la manifestazione di domenica a Roma, davanti a Palazzo Grazioli, la residenza di B. nella capitale.
I falchi affacciati dal balcone e i ministri, cioè le colombe filogovernative, a casa. Classica divisione nel Pdl, da mesi.
Il giorno prima, sabato, appena ha saputo da Maurizio Lupi, titolare delle Infrastrutture nell’esecutivo di Letta, del forfait ministeriale, Maurizio Gasparri non ha fatto sconti: “I ministri sbagliano, sarà una manifestazione pacifica di solidarietà a Berlusconi”.
Dice oggi Gasparri, vicepresidente del Senato: “Solo dopo ho saputo da Berlusconi, domenica sera a Palazzo Grazioli, che era stato lui stesso a dire ai ministri di non venire. Non ero a conoscenza di questo dettaglio”.
Questo è il Cavaliere. Un’imbeccata ai falchi, un consiglio alle colombe.
Il già citato Sallusti, poi, ieri ha vergato un editoriale contro le colombe.
Due colonne in prima contro i ministri: “In vacanza sono invece rimasti i ministri Pdl. Per non offendere gli alleati — hanno spiegato — che hanno contraccambiato la gentilezza con una serie di insulti e pernacchie al discorso di Berlusconi”.
Il direttore del Giornale è furioso con Alfano, Lupi, De Girolamo, Lorenzin e Quagliariello: “Che cosa ci sarebbe stato di offensivo a stringersi attorno al presidente e ai loro elettori non si capisce. Misteri di una politica lontana dalla gente, fatta di riti ipocriti e inutili. Probabilmente hanno preferito tenersi stretta la poltrona miracolosamente conquistata solo grazie alla rimonta elettorale del Cavaliere”. Seguono altri veleni sulle colombe, ma la rivelazione di Gasparri pone una questione: Sallusti, che è un falco consapevole di essere usato, sa che B. ha detto ai ministri di non venire?
La parodia di falchi e colombe, dopo la promessa domenicale del Condannato, “il governo deve andare avanti”, è destinata a durare fino a settembre.
Aspettando Godot, cioè la grazia.
E se ci saranno altre marce o cortei oppure Aventini la madre delle domande s’imporrà da sola, con tanto di telefonate, pressioni e riunioni: Alfano e gli altri andranno?
Il tormentone nacque dopo il comizio di B. a Brescia, presenti alcuni ministri.
Il giorno dopo c’era il ritiro dell’esecutivo nell’abbazia di Spineto, vicino a Siena, e Letta e Franceschini fecero un turbolento viaggio in auto con Alfano e Lupi per chiedere spiegazioni.
Il divieto vige da allora. E non è solo questione di poltrone odierne. In ballo ci sono anche quelle del futuro.
Sotto sotto le larghe intese piacciono a molti e magari, senza più B. tra i piedi, le colombe di Alfano voleranno con Casini e Montezemolo.
Ovviamente dipende sempre da chi dà maggiori garanzie.
Da quelle parti non si fa mai nulla per senza niente.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 6th, 2013 Riccardo Fucile
IL DURO LAVORO DEL PRETORIANO: NON SAI MAI QUANDO PUOI TORNARE A CASA
Il balcone ha il suo fascino, si sa, certe cose sono già successe.
E invece stavolta tutto è ribaltato, le gerarchie sono state infilate in un frullatore, e beato chi ci capisce.
Riassumiamo: sul balcone e sotto il balcone. Sopra la panca e sotto la panca.
Sopra, in questa foto della manifestazione dell’altro ieri, ideologi e organizzatori, categoria “falchi”.
Sotto, il capo in persona, più ceronato che mai, con l’optional delle lacrime, la fidanzata in gramaglie, le seconde file di quelli che non sono riusciti a salire sul balcone, e la folla immensa dei cinquecento pullman annunciati, che a far bene i conti significa tre o quattro passeggeri per torpedone, più l’autista .
Viaggiare larghi, insomma.
Sul balcone, con rispetto parlando, ognuno si fa un po’ i cazzi suoi.
Cicchitto telefona. La Santanchè telefona, ma alla moda dei calciatori quando si dicono la tattica in campo, con la mano davanti perchè nessuno le legga il labiale e si accorga, nel caso, che sta parlando con l’estetista.
Altra categoria: Capezzone e Brunetta, che salutano la folla come se le star della festa fossero loro, e Denis Verdini che indica lontano, all’angolo della via.
Chissà , forse fa il palo e avvisa che arriva qualcuno.
Nitto Palma si fuma una sigaretta in santa pace, proprio come fareste voi se foste un presidente della Commissione Giustizia alla celebrazione di un delinquente.
Poi c’è uno mai visto, che non è della serie A1, un tale che batte le mani, che si chiama Ignazio Abrignani, è, o è stato, uno scajoliano (tu guarda che parole mi tocca scrivere), e forse applaude perchè si è imbucato con successo.
Sotto il balcone, dicono sempre le cronache (cronache comuniste), Mara Carfagna gira intorno senza accalcarsi, e la povera Ravetto è respinta dai buttafuori di Palazzo Grazioli, tipo discoteca, dove al privè non entri manco se ti spari.
Giù, mischiati al lumpenproletariat della libertà cammellato in pullman con l’acqua minerale, i panini e la bandiera nuova di pacca, c’è Minzolini, ovvio, ma anche Giggino a’ Purpetta.
I ministri sono a casa con la giustificazione scritta che si spiega così: i principali esponenti del partito sostengono il condannato, ma il governo ci serve vivo, e quindi loro sono esentati.
Ma il fatto è che anche fare il pretoriano è un lavoro duro, senza orari, sai quando l’imperatore ti convoca e non sai quando puoi andare a casa.
Così, nei ritagli di tempo, o nelle pause dello spettacolo, i pretoriani si godono il tempo libero, chiamano la fidanzata, salutano gli amici.
O curano le pubbliche relazioni, come la stilista Alessandra Mussolini che ormai ha capito: la fotografano solo se esibisce una maglietta spiritosa, meglio se volgarotta.
Qualcuno suggerisce di leggere attraverso la dinamica “sul balcone/sotto il balcone” le nuove gerarchie della Silvio Jugeland, ma chissà se è possibile.
Perchè qui è anche questione di ingegneria genetica, e nessuno sa spiegarci come fa una colomba a diventare falco, e poi a tornare colomba, e poi falco, a seconda degli ordini del capo.
O magari è tutto più semplice di come la stiamo facendo, e tutti quanti, sul balcone e sotto il balcone, stanno solo cercando una posizione sicura per quando crollerà la statua del capo supremo.
Che non gli finisca in testa, cerone, lacrime e tutto.
Ecco, forse gli basta questo.
Alessandro Robecchi
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Agosto 6th, 2013 Riccardo Fucile
DA DEPRETIS A BERLUSCONI: LA TECNICA DEL “CHIAGNI E FOTTI”
Si racconta che il leader della sinistra storica Agostino Depretis, inventore del trasformismo, noto per la
diabolica arte del rimpasto, del galleggiamento e dell’equilibrismo, quando tirava aria di crisi di governo si presentasse in Parlamento pallido ed emaciato, intabarrato in abiti trasandati e lisi, la barba lunga e bianca, l’andatura claudicante per l’eterna gotta, quasi avesse un piede nella fossa.
Si rivolgeva all’assemblea con voce malferma e tossicchiante, con intercalari del tipo: “Sono mezzo malato, e pure di malumore, abbiate un po’ di pazienza”.
Dinanzi a quel cadavere ambulante, anche i più strenui oppositori si muovevano a compassione e lasciavano passare la fiducia.
Tanto, pensavano tra sè e sè, dura poco. E invece durò parecchio, fino alla morte vera. La tecnica del “chiagni e fotti” fu poi perfezionata e sublimata dal cavalier Banana, che da vent’anni alterna ostentazioni di virilismo e giovanilismo a sceneggiate che lasciano presagire l’imminente dipartita, perlomeno politica.
Alla prima difficoltà , accenna al “passo indietro” a favore di qualcun altro, poi regolarmente eliminato a maggior gloria di Lui.
Nel ’96 Gad Lerner chiese per lui la grazia in cambio del ritiro a vita privata (i successori designati allora erano Antonio Fazio e Monti).
E un anno fa annunciò ufficialmente che passava la mano ad Alfano o al vincitore delle mitiche primarie Pdl, salvo poi rimangiarsi tutto e ricicciare più ribaldo che pria. Ora ci risiamo, con un’aggiunta.
Se prima il “chiagni e fotti” si manifestava simbolicamente col vittimismo delle parole, ora è validato da lacrime vere sul volto imbalsamato dal fard marron a presa rapida resistente alla canicola (ma non sarà un tatuaggio?).
Vere, poi, si fa per dire.
Il 30 marzo ’97 — governo Prodi — B. lacrimò al porto di Brindisi dove la Marina Militare italiana aveva speronato una nave di profughi albanesi provocando decine di vittime, e promise ai superstiti di alloggiarli nella villa di Arcore.
“Anche quando finge una commozione che non sente — scrisse Indro Montanelli — quella commozione a un certo punto diventa vera perchè finisce per commuoversi di sè stessa. Le lacrime di Berlusconi possono essere un inganno per chiunque, meno che per Berlusconi. A quello che dice e fa, anche se lo dice e lo fa per calcolo, Berlusconi ci crede… La scena sa tenerla da grande attore: se gli dessero da recitare l’Otello, sarebbe capace, per dare più verisimiglianza al cruento finale, di sbudellarsi veramente, e non per finta, sul corpo esanime di Desdemona… Nella parte della vittima, quella che i napoletani chiamano del ‘chiagne e fotte’, è imbattibile. Forse qualcuno capace di ‘fottere’ come lui ci sarà . Ma nel ‘chiagnere’ non c’è chi lo valga”. Dunque domenica il frodatore pregiudicato ha pianto: per la condanna dell’Innocente, che poi sarebbe Lui.
E la sceneggiata ha funzionato un’altra volta. Quella lacrima sul fard è bastata a far dimenticare l’ennesimo attacco eversivo ai magistrati (hanno “vinto un concorso”, mentre a suo avviso dovevano perderlo), sferrato dal palco abusivo dietro cui campeggiava la scritta simbolica “Via del Plebiscito” e sotto cui una piccola folla di comparse a pagamento, per lo più sue coetanee, scandivano “duce duce”.
Intanto l’Agenzia delle Entrate, alle dipendenze del governo da lui sostenuto, perlustrava le località balneari a caccia di evasori suoi discepoli, per quanto dilettanti (roba di scontrini non battuti, non certo di 64 società offshore e fondi neri per decine di milioni).
Seguiva il vivo compiacimento del premier Nipote per il discorso moderato e soprattutto perchè il delinquente resta al governo.
E il premio speciale del Quirinale, ormai ridotto a ufficio reclami per Vip imputati o condannati (da Mancino a B.), con l’udienza-pellegrinaggio del duo Schifani-Brunetta (il primo indagato per mafia) per impetrare la Grazia Regia.
Denominata pudicamente “agibilità di B.”.
Manco fosse un fabbricato.
Abusivo, ci mancherebbe.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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