Ottobre 21st, 2014 Riccardo Fucile
NELLE PERIFERIE SI SCOPRE A CHE PUNTO E’ DAVVERO IL POPOLO ITALIANO… ANCHE IL SUPERMARKET DELLA CRISI E’ IN CRISI
Tutto finì in alette di pollo. Due euro e trentanove centesimi al chilo.
Il futuro vi aspetta qui, al bancone di carni Lidl, sulla via Casilina altezza Centocelle. Dopo Carrefour ma prima di Trony e di Coop, sulla destra scendendo, quasi di fronte a Eurocasa, Mondialcucine e Unieuro.
È bello quasi come gli altri e colorato anche. È un supermercato vero, non più cartoni in terra ma freezer e cestelli, tanta cioccolata, carotine, lattuga, banco dei vini con un rispettabile Muller Thurgau a 2,49 euro, e vodka, brandy, limoncello (da cinque euro).
La povertà ci ha vinti e conquistati e Lidl ha il merito di averla almeno resa più confortevole, presentabile, dignitosa. E liberata da qualunque ossessione.
Rita, alla cassa, gentile: “Mettiamo da parte le caramelle o lo yogurt? ”.
La signora con figlia adolescente ha fatto spesa e deve decidere cosa espellere dalla busta: il conto fa 13 euro e 90, senza yogurt viene dodici, senza caramelle tredici tondi.
“Lo yogurt”, dice. Amore di mamma.
Al discount si fa la spesa con i soldi compattati in striscioline minuscole e gli spiccioli che escono dalla tasca contati già .
Maria ha settant’anni e non vede bene. Apre il borsellino. “Ho questi, tiè”. La cassiera con gesto amorevole: “Cinquanta centesimi in più del necessario, tietteli questi, li sto rimettendo nel borzellino”.
Ali di pollo, latte e due panini (con farina di grano rimacinato).
Il discount racconta l’Italia meglio di chiunque altro.
All’entrata Parvos distribuisce i carrelli. Viene dal Bangladesh: “Fino a poco tempo fa pulivo i piazzali, ero assunto con una vera busta paga. Poi la crisi e a febbraio mi hanno licenziato. Sono stato con loro sei anni ma poi la gente è calata, le casse sono chiuse, guarda lì su quattro una è aperta, e hanno scelto la riduzione. Ora porto i carrelli e chiedo una mancia. In una giornata faccio dieci euro, non di più. Arrotondo con la chiamata del ristorante, quando serve vado a fare il cameriere. Dalle cinque della sera alle due di notte mi danno quaranta euro. Avevo comprato casa, avevo fatto il mutuo. Ho preso 120mila euro per 25 anni. Sono regolare io. Eravamo contenti in famiglia, poi è successo disgrazia. Tutto è andato via veloce. Allora ho detto: come faccio? Vendo casa ho detto. Sono andato all’agenzia dove l’ho comprata ma mi hanno spiegato che avrei perso almeno 30mila euro. Allora ho trovato questa soluzione: mia moglie e mia figlia sono tornate al mio Paese, io ho affittato l’altra stanza (ho due stanze e cucina e un balcone) a connazionali. Duecento euro danno loro, cinquecento euro guadagno io. Con cinquecento euro pago mutuo, con duecento mangiare, pagare luce. Però voglio andar via dall’Italia, mi son detto come faccio? L’unico è lavorare ancora così per sei sette anni. Mia moglie lo sa: tra sette anni vendo casa, chiudo mutuo e torno da lei”.
Di veramente straordinario, quasi inspiegabile, è che anche il discount soffre la crisi. Parvos guarda desolato il piazzale.
Questo giovedì si contano cinque auto in un parcheggio costruito per trecento. La crisi è così potente che neanche il luogo della rivincita della povertà si sottrae al destino.
Come se la discesa verso gli inferi non fosse ancora finita.
Sono terminati i gradini della scala, siamo giunti alle alette di pollo a due euro e trentanove centesimi. Ma niente.
“Da noi le vendite sono diminuite del 30% e con i lavori della Metro C anche di più. Siamo preoccupati perchè se si va avanti così non ce la facciamo”.
Angela, la cassiera dello Sma di Porta Metronia, supermercato di livello medio alto, pensava che il suo posto di lavoro se lo fosse fregato Parvos.
Che il suo pane (da un euro e ottanta a tre euro e venti) se lo fosse mangiato Rita del discount (pane da novanta centesimi a un euro e quaranta).
Che il latte (allo Sma un euro e 60 centesimi al litro) se lo fosse bevuto Laura di Lidl (Latteria italiana, fresco e pastorizzato, neanche un euro).
Che i biscotti del Mulino Bianco (due euro e 60 centesimi per 400 grammi) non potessero competere con quegli altri (sempre Mulino Bianco, sempre due euro e 60 centesimi, ma confezione da 800 grammi).
Invece anche le colleghe di Angela stanno cedendo, e Parvos del Bangladesh ha perso il lavoro pur vendendo per conto del padrone “verdure e carne veramente buona, ti dico buona a poco prezzo”.
Se,brava un cammino disperato tra il commercio in default di Tor Lupara e Bella Monaca, l’Axa e l’Ardeatina, le distinte e graduate periferie romane.
Invece al Tuodì del Pigneto mi accoglie il sorriso di Cesar Carreia, trentacinquenne angolano, responsabile del punto vendita.
“Noi andiamo forte, la gente entra con più convinzione, e mettiamo la roba in modo che si senta a casa sua, come in un vero supermercato. C’è chi viene prima da me e mi chiede cosa si può comprare che non faccia tanto male. Io rassicuro tutti. Prima forse qualcosina era un po’ così, ma oggi per esempio la carne, guarda che carne… ”.
Un chilo di macinato misto costa 5,99. Le cotolette vanno a 2,99 euro, la salsiccia a 2,39, la mortadella 2,75. Anche qui le alette di pollo sbancano. “Si vende il pollame, dico la verità ”.
E poi la birra, la vodka, anche il rum. Gli stranieri dell’Est hanno una confidenza speciale con gli alcolici. Gli italiani prediligono gli alimentari, meno i detersivi.
“La pasta, questa settimana abbiamo un’offerta speciale. Mettiamo dei cartelli bene in vista, abbattiamo i prezzi anche del 26-30 per cento”.
Siamo all’offerta dell’offerta, al discount del discount.
È uno sconto al quadrato che annienta i ricavi ma almeno riempie il market. È l’approdo fisso degli albergatori della zona. “Chi ha un hotel viene qua: cornetti, latte, fette biscottate. Acquistano qui la colazione del mattino per i clienti. Anche i ristoratori fanno spesa da noi”. E le pizzerie, i forni.
“Guarda quello, lui è il garzone del fornaio. Ogni venerdì compra la farina”. Yeres, indiano, ha cento pacchi di farina nel carrello. La ragazza del pub riempie il suo di rucola, crema di tonno e di carciofini: “Sennò come campiamo? Al mercato è impossibile acquistare”.
Cesar riconosce tutte le facce nuove. Ogni settimana nuovi arrivi, soprattutto italiani.
“Li vedo che sono un po’ spaesati. Noi li accogliamo e li rassicuriamo. Vergogna non ne noto, ma un po’ di pudore sì, anche una punta di imbarazzo. Ma rotto il ghiaccio, come si dice in Italia? ”.
Rotto il ghiaccio si acquista e si ritrovano vecchi amici perduti: la pasta De Cecco, l’acqua minerale Ferrarelle, i wafer dell’Alto Adige Loacker, la Levissima (purissima), il Dixan e la birra Becks.
Le migliori marche, vero?
Antonello Caporale
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Ottobre 21st, 2014 Riccardo Fucile
NELLO “SBLOCCA ITALIA” ALLUNGAMENTO DELLE CONCESSIONI SENZA GARA E AUMENTO DEI PEDAGGI
Ben ultima anche l’Europa: sullo Sblocca Italia, la figuraccia del governo è ormai a un passo.
Dopo aver incassato critiche a raffica (Autorità anticorruzione, Bankitalia, Antitrust etc.), per il decreto che verrà licenziato dalla Camera, la commissione Ue è pronta a sanzionare l’Italia.
Motivo? Il regalo miliardario ai signori delle autostrade, una pioggia di soldi inserita alla voce “prolungamento delle concessioni” autostradali (articolo 5).
Funziona così: viste le casse pubbliche vuote, in cambio della promessa di nuovi investimenti, il governo di Matteo Renzi è pronto a concedere ai grandi gruppi che gestiscono le tratte (le autostrade sono pubbliche) l’allungamento della concessione allo sfruttamento, senza gara e con la possibilità di aumentare i pedaggi.
Una misura che — ha calcolato l’ex direttore esecutivo della Banca Mondiale Giorgio Ragazzi — porterebbe nelle casse dei beneficiari (Benetton, Gavio etc.) qualcosa come 16 miliardi di euro nei prossimi trent’anni, sotto forma di pedaggi (che crescono sempre per l’inflazione e altri fattori).
Dal canto loro, i concessionari promettono investimenti per circa 11 miliardi.
A conti fatti, se pure fossero realizzati, considerando i consueti ritardi, la cifra è assai inferiore al regalo garantito dallo Sblocca Italia.
Molte delle concessioni sono in scadenza e, stando alle norme europee, dovrebbero essere riaffidate tramite gare aperte a tutti i soggetti.
Un’ipotesi che terrorizza i concessionari, e per questo disinnescata accortamente dal decreto.
Un pronunciamento dell’Ue era atteso.
A settembre, il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi aveva presentato le misure all’Europa.
Il passaggio era obbligato: da tempo, infatti, Bruxelles ha messo sott’occhio l’atteggiamento dei governi italiani nei confronti della autostrade, e la raffica di favori (sempre in tema di concessioni) più volte elargiti ai gesttori dopo la grande privatizzazione di fine secolo.
Un assenso, quindi, era tutt’altro che scontato.
Ieri la doccia gelata. I dubbi sullo Sblocca Italia sono stati resi con un po’ di ritardo, forse dovuto alle lunghe fasi che stanno caratterizzando il rinnovo delle cariche: il 17 ottobre scorso, l’esecutivo comunitario ha avviato una Eu pilot, una pre-procedura d’infrazione, chiedendo lumi su una norma che, così come è scritta, viola le direttive comunitarie.
Pena, l’apertura della procedura vera e propria.
In una lettera inviata al ministero, la direzione generale Trasporti mette sotto accusa “la stipula di atti per la modifica dei rapporti concessori esistenti sulla base di nuovi piani economico-finanziari” prevista all’articolo 5 del decreto.
Stando alle direttive europee, infatti, i lavori (cioè gli investimenti) promessi dai concessionari in cambio della proroga possono aggirare l’obbligo di messa a gara solo se “necessari, a seguito di una circostanza imprevista, per l’esecuzione dell’opera prevista”, altrimenti bisogna aprire un bando pubblico.
Tanto più che il testo autorizza a unificare “tratte interconnesse o attigue”, permettendo così a chi è in scadenza di prolungare la concessione attraverso l’accorpamento.
Lupi ha sempre giustificato la norma spiegando che o si aumentano le tariffe o si allungano le concessioni, citando il caso della Francia, dove però l’Ue ha concesso l’allungamento per un solo anno, solo per far fronte a lavori direttamente proporzionali e con penali severe in caso di ritardi.
Forse temendo le mosse della Commissione, nei giorni scorsi il governo aveva introdotto una prima correzione: per la proroga delle concessioni autostradali servirà il via libera dell’Ue. Non è servito.
Come se non bastasse, ieri il testo ha incassato la bocciatura del Comitato della legislazione (“troppe misure che non centrano nulla”) e delle Regioni, con l’aggiunta del leader dei dissidenti Pd.
Pippo Civati ha spiegato che il decreto “sarà una buona palestra” per iniziare a votare in dissenso.
Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2014 Riccardo Fucile
COME PUO’ UNA FORZA CHE SI CANDIDA A GOVERNARE IL PAESE A DARE DI SE’ QUESTA IMMAGINE?
Beppe Grillo ha decapitato la dissidenza del Circo Massimo segnando su Facebook le teste dei colpevoli con un cerchio rosso, e Gianroberto Casaleggio ha risposto a quei quattro che gli chiedevano dal palco un po’ più di trasparenza espellendoli in un post scriptum.
Ormai la realtà supera la satira, nel M5s, e gli stessi militanti restano senza fiato assistendo alla degenerazione farsesca di quella democrazia del web dove tutto doveva essere meraviglioso.
E ogni decisione sarebbe stata fantastica, e invece si scopre a poco a poco che tutti possono scrivere un post, non tutti possono parlare, pochi possono votare ma solo due persone possono decidere: uno si chiama Beppe e l’altro Gianroberto.
Chi ha votato – per restare alle ultime 48 ore – la nuova linea dura dei Cinquestelle sull’immigrazione, con quel post para-leghista di Grillo che annuncia che «i cosiddetti clandestini vanno rispediti da dove venivano», dopo che la base del partito – la Rete! – si era chiarissimamente schierata con un referendum per l’abolizione del reato di clandestinità ?
Chi ha discusso, sull’Europa, lo scivolamento sempre più a destra del Movimento, che dopo essersi affidato alla leadership dell’ultra-conservatore Farage – per il quale «le donne che lavorano e hanno figli valgono meno ed è giusto che guadagnino meno degli uomini» – ha aperto ieri le porte persino al polacco Iwaszkiewicz, eletto nel Partito della Nuova Destra e autore della teoria secondo cui picchiare le mogli «aiuterebbe molte di loro a tornare con i piedi per terra»?
E chi ha emesso la sentenza di espulsione immediata del sindaco di Comacchio, Marco Fabbri, colpevole di essersi candidato alla Provincia per difendere gli interessi dei suoi concittadini, cacciato su due piedi con una tale brutalità da trasformare un appassionato militante in un cittadino così amareggiato, così deluso da arrivare a parlare di «una deriva squadrista»?
Ma il capolavoro del tandem Beppe& Gianroberto è stata ieri la radiazione dei quattro militanti, subito degradati a dissidenti perchè avevano osato interrompere la liturgia del Circo Massimo salendo sul palco per domandare con parole semplici che le votazioni sul portale grillino fossero almeno verificabili, «e soprattutto vorremmo sapere qualcosa di questo “staff” col quale tutti ci interfacciamo ma nessuno lo conosce».
Chiedevano, in una parola, solo un po’ di quella trasparenza che i cinquestelle reclamano dagli altri ma non applicano mai in casa propria.
E sono subito diventati un bersaglio che Grillo ha appeso su Facebook cerchiando di rosso le loro teste, e Casaleggio ha centrato in pieno con un colpo secco: un post scriptum in coda a una delle sue allegre profezie, «Press Obituary”, necrologio della stampa: «I quattro sono fuori dal M5S».
È difficile capire perchè un abilissimo stratega della comunicazione e un formidabile comunicatore siano scivolati nella trappola di rispondere a un’accusa di scarsa trasparenza con una sentenza assolutamente priva di trasparenza.
Perchè anche nella non-democrazia inventata dai grillini, Casaleggio non avrebbe in teoria alcun potere: non ha incarichi, non è stato eletto, non è stato nominato.
Tutti sappiamo, per carità , del suo ruolo fondamentale nella nascita e nella crescita del Movimento, ma come può una forza politica che si candida a governare il Paese dare di sè l’immagine di una setta nella quale il potere massimo – quello di decidere chi è dentro e chi è fuori – è nelle mani di un’eminenza grigia che non risponde a nessuno se non al suo socio?
Grillo invece – che non si è mai candidato alle elezioni perchè una vecchia condanna lo priva di uno dei requisiti che lui stesso pretende dagli altri – una carica ce l’avrebbe: quella di presidente del Movimento.
Se l’assegnò da solo, una sera di dicembre di due anni fa, davanti al notaio, nominando vicepresidente suo nipote Enrico e segretario il suo commercialista.
Una carica che lui non ostenta, e che gli serve solo per decidere chi è candidabile e chi no, quale meetup avrà il simbolo e quale no, e soprattutto chi va cacciato e chi può rimanere. Purchè stia buono, canti in coro la canzoncina che lui ha scritto e non si azzardi a fare mai una domanda indiscreta sulla trasparenza di un movimento dove tutto è sempre magnifico, incredibile e stupendo, un luogo magico dove comandano finalmente i cittadini, i militanti, la Rete, mentre lui e Casaleggio prendono solo le decisioni.
Sebastiano Messina
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Ottobre 21st, 2014 Riccardo Fucile
PER ARRIVARE A QUELLA CIFRA UN DIRIGENTE DOVREBBE LAVORARE 563 ANNI, UN IMPIEGATO 1960 ANNI E UN OPERAIO 2548 ANNI
La notizia che il manager più pagato tra le società quotate in borsa ha percepito nel 2013 ben 62 milioni di euro complessivi, al lordo delle tasse, non manca di suscitare discussioni.
Nel caso di Andrea Guerra, brillante manager under 50, nessuno contesta il fatto che se li sia meritati (durante il suo mandato in Luxottica il titolo è cresciuto da 14 a 40 euro e il fatturato da 2,8 a 7,3 miliardi).
Il suo stipendio annuale era di 4,46 milioni l’anno a cui si è aggiunta una super-liquidazione di stock option e di guadagni di borsa.
Il suo principale nonchè proprietario dell’azienda al 66%, Leonardo Del Vecchio, occupa “solo” il posto 99 nella classifica dei cento uomini più pagati, con 1,4 milioni di euro, anche se si consola con i lauti dividendi.
Secondo le notizie apparse nei giorni scorsi, tra stock option, borsa e stipendi i cento uomini d’oro alla guida delle società quotate hanno guadagnato nel 2013 complessivamente 371 milioni di euro, che fa secondo la media 3,71 milioni a testa. L’anno prima avevano accumulato complessivamente 402 milioni di euro(4 milioni medi a testa).
Nel 2013 sono 170 i manager che hanno guadagnato più di un milione di euro.
Sono cifre difficili da immaginare, anche se legittimamente pattuite da accordi privati. Provando a fare dei non irriverenti confronti, ne escono dati interessanti.
Ha provato a farli una società specializzata in studi e analisi di compensation e benefit, che raccoglie e analizza le buste paga degli italiani (Jobpricing.it), e le scoperte sono eloquenti.
Per ottenere la somma percepita da Andrea Guerra, un dirigente (stipendio medio 109.465 euro annuo) dovrebbe lavorare 563 anni; un quadro (stipendio medio 54.514 euro anno) 1.134 anni; un impiegato (stipendio medio annuo di 31.483 euro) 1.960 anni; un operaio (stipendio medio 24.215 annuo) 2.548 anni.
Ma per arrivare a quel traguardo, al dirigente medio occorrerebbero più di 14 vite, al quadro 28,3 vite, all’impiegato 49 vite e all’operaio 63,7 vite.
Walter Passerini
(da “La Stampa“)
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Ottobre 21st, 2014 Riccardo Fucile
ARRIVA AL COLLE SENZA L’OK DELLA RAGIONERIA DELLO STATO: STANGATA FONDI PENSIONE E L’IRAP TORNA AL 3,9%
Alla fine il testo è arrivato al Quirinale. Ma 24 ore dopo il previsto e, stando all’ufficio stampa del Colle, ancora “in attesa di bollinatura da parte della Ragioneria generale dello Stato”.
Ora la legge di Stabilità è “oggetto di un attento esame” da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che dovrà firmarla prima dell’invio alle Camere.
Il ritardo è stato determinato non solo dalle trattative in extremis con Bruxelles per evitare una bocciatura ma anche dal lavoro di cesello e limatura necessario su diversi articoli, che evidentemente erano arrivati sul tavolo del Consiglio dei ministri solo abbozzati e, all’esame della Ragioneria, si sono rivelati poco solidi sul fronte delle coperture.
Tanto che nell’ultima versione è spuntato l’aumento retroattivo delle aliquote Irap e di quelle sui fondi pensione.
In più le promesse fatte, nel frattempo, dal premier Matteo Renzi e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – vedi gli “800mila posti di lavoro” che dovrebbero essere creati dalla decontribuzione delle nuove assunzioni – hanno reso indispensabili modifiche dell’ultimo minuto.
Ma tutto questo non basta ancora per spiegare a contribuenti, imprese e analisti come sia possibile che, a sei giorni dal Consiglio dei ministri, la ex “finanziaria” non sia ancora stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale e presentata alle Camere.
Fonti di Palazzo Chigi martedì mattina facevano sapere che era bloccata alla “bollinatura“, ovvero il “visto” della Ragioneria guidata da Daniele Franco, incaricata di valutare in via preventiva se le coperture individuate dal governo sono adeguate.
E evidentemente, visto che i tempi si stavano allungando a dismisura, alla fine il testo è stato spedito al Quirinale senza aver ottenuto il via libera.
Occorre ricordare che il 15 ottobre, durante la conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri che ha licenziato il testo fantasma, Renzi e Padoan dopo aver spiegato per sommi capi i contenuti avevano garantito che il documento sarebbe stato diffuso di lì a poche ore.
Il giorno dopo da Palazzo Chigi facevano sapere che già venerdì 17, o al massimo lunedì 20, il disegno di legge sarebbe stato depositato alle Camere.
Che secondo la legge avrebbero dovuto riceverlo entro il 15, ma tant’è.
Nel fine settimana, poi, i rumors spostavano il termine a martedì, ma il titolare del Tesoro, ospite domenica a In 1/2 Ora, assicurava: “Lunedì sarà al Quirinale”.
Che invece è rimasto in attesa fino alla tarda mattinata di martedì per poi vedersi recapitare un ddl non “bollinato”.
Resta ora da vedere se, di fronte a questo testo, Napolitano confermerà l’endorsement preventivo concesso qualche giorno fa, quando aveva parlato di “misure importanti per la crescita”.
Nel frattempo, riporta Il Sole 24 Ore, nell’ultima versione del ddl è spuntato, in deroga allo Statuto del contribuente, l’aumento retroattivo della tassazione sui dividendi di enti non commerciali e fondazioni bancarie e il ritorno già da quest’anno al 3,9% dell’aliquota Irap, che ad aprile il decreto Irpef aveva tagliato al 3,5 per cento. Questo mentre la deducibilità del costo del lavoro dall’imponibile scatta invece dal 2015.
Non solo: anche i proventi dei fondi pensione saranno tassati fin dall’1 gennaio 2014 con la nuova aliquota aumentata dall’11,5 al 20%, seppure con uno “sconto” per i riscatti avvenuti nel corso dell’anno.
Al contrario, sempre secondo il quotidiano di Confindustria, casse di previdenza e rivalutazione del Tfr si salvano fino al 2015, quando vedranno le aliquote passare rispettivamente dal 20 al 26 e dall’11 al 17 per cento.
Sul fronte opposto lievitano anche le uscite: il tetto massimo per gli sgravi contributivi sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato sale da 6.200 a 8.060 euro l’anno per permettere a Padoan di non rimangiarsi la parola sugli 800mila nuovi posti promessi in diretta tv.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 21st, 2014 Riccardo Fucile
PREOCCUPATO PER I CONTROLLI DELLA POLIZIA NELLA SALA GIOCHI DI MILANO, IL RESPONSABILE DELLE RELAZIONI MAGGI SCRIVE ALL’AMMINISTRATORE PETRONE: “HO ATTIVATO L’EUROPARLAMENTARE SALVINI, SE CI SONO INTERVENTI INVASIVI HA DETTO CHE CI PENSA LUI”
Matteo Salvini nel 2010 quando era già europarlamentare e consigliere a Milano per la Lega, era considerato un amico su cui contare dalla Sisal, il gigante del gioco.
Il Nucleo di Polizia Tributaria di Milano ha acquisito nell’ambito dell’inchiesta sui fidi facili della Bpm (nella quale è indagato anche l’amministratore della Sisal Emilio Petrone) le email tra i manager della Sisal preoccupati per i controlli della Polizia municipale contro la prima sala giochi aperta nel centro di Milano: la Wincity di piazza Diaz.
Il 27 aprile 2010, il responsabile relazioni istituzionali di Sisal, Giovanni Emilio Maggi, presenta la sala al sindaco Letizia Moratti e scrive a Petrone: “Il sindaco ha manifestato qualche preoccupazione per una ‘sala giochi’ a due passi dal Duomo”.
Un mese dopo, Maggi incontra il capo di gabinetto del sindaco e scrive ai suoi capi che se il comune dovesse appoggiare l’operazione “ne deve avere un vantaggio (…) un progetto di ‘partecipazione sociale’ e di ‘restituzione’ per giustificare la benevolente condivisione del progetto da parte del Comune e del Sindaco in particolare”.
Il direttore del settore gioco di Sisal, Francesco Durante, individua la strada: “Destinare il 3 per cento del fatturato di Piazza Diaz (70-120.000 euro all’anno) a iniziative del Comune di Milano”.
Quando la sala apre i battenti però cominciano i controlli della Polizia.
Alle 8 e 54 del 9 settembre, Durante, scrive a Maggi: “Quello che dovremmo fare è indignarci e ‘rompere i coglioni’ per il trattamento che stiamo subendo. È evidente che ci sono persone che spingono per farci chiudere, noi dovremmo spingere per restare aperti. Dobbiamo decidere chi si muove e come”.
Anche Maggi scrive che “In Piazza Diaz dal momento dell’apertura abbiamo avuto: 1) intervento PS una settimana fa; 2) intervento polizia annonaria ieri; 3) ulteriore intervento Ps ieri”.
L’impressione di Maggi è che vogliano “’creare l’incidente’ per arrivare alla chiusura della sala”.
A quel punto Maggi elenca le contromisure e al quarto punto mette Salvini: “a) ho già parlato con AAMS Milano che interverrà sulla questura (…) d) tramite Marcello Presilla ho attivato Matteo Salvini — Europarlamentare Lega Nord e consigliere comunale di Milano — con il quale dovrei sentirmi oggi o domani e al quale chiederò supporto”.
Marcello Presilla (uscito poi da Sisal) secondo la Finanza vanta un “ruolo chiave grazie alle sue conoscenze”.
Il 10 settembre Maggi, relaziona a Petrone e Durante sul tema: “Onorevole Salvini: Gli ha parlato Presilla ieri e io oggi pomeriggio. Mi ha assicurato che verrà all’inaugurazione anche se solo per 10 minuti. Non ritiene ci sia alcun problema politico per Win- City e — se ci fossero altri interventi ‘invasivi’ — mi ha detto di chiamarlo subito e interverrà in prima persona sulle istituzioni cittadine interessate”. Salvini, secondo i manager Sisal, era un alleato contro i controlli della Polizia comunale.
La questione era delicata per Sisal. Non solo perchè la sala a due passi dal Duomo fattura circa 3,5 milioni di euro ma anche perchè era la prima di una lunga serie.
Oggi le grandi sale simili a piccoli casinò aperte sotto il marchio Wincity in tutta Italia sono sedici.
All’informativa della Guardia di Finanza 12 dicembre 2012, sul materiale sequestrato nella perquisizione nell’abitazione e nell’ufficio dell’amministratore di Sisal Petrone, sono allegati la lista dei 180 invitati alla festa di Natale a Roma a Palazzo Taverna più la lista dei 104 destinatari dei pacchi ‘omaggio vip’ per il Natale 2010.
In entrambe c’è Salvini, che però non era presente alla festa a Roma.
Al Fatto il segretario della Lega dice: “È vero che ho incontrato Presilla a Bruxelles e poi sono andato a parlare con loro nella sede della Sisal in centro a Milano. C’ero anche all’inaugurazione della sala giochi. Ma non è vero che ho mai promesso interventi in favore di Sisal. Se ci sono ragioni da far valere io intervengo in favore di tutte le imprese ma se ci sono cose fuori legge è giusto che la Polizia intervenga. Quanto al pacco omaggio del Natale 2010, non mi ha lasciato nessun ricordo”.
Ma se era contro le slot, per quale ragione ha accettato quegli inviti?
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 21st, 2014 Riccardo Fucile
PER IL 51% IL LAVORO DEVE ESSERE A TEMPO INDETERMINATO… PER IL 64% IL JOBS ACT NON FARA’ CRESCERE L’OCCUPAZIONE
Se Matteo Renzi imperversa in tv, la Cgil oltre alla vecchia piazza, si affida ai sondaggi.
Quello commissionato dal sindacato di Corso Italia alla Tecnè conforta ampiamente il gruppo dirigente attorno a Susanna Camusso.
E conforta sul risultato della manifestazione di sabato prossimo: almeno un milione di italiani, infatti, secondo l’istituto romano, sarebbero pronti a scendere in piazza.
Stando al sondaggio, Camusso batte Renzi 51 a 39 e per il momento è bene non chiedere di più.
Il sondaggio si è basato sia su un campione di iscritti alla Cgil sia su uno rappresentativo dell’intera popolazione maggiorenne.
Il dato più importante è relativo ai contratti a tempo indeterminato.
Per il 51% degli interpellati, infatti, “i rapporti di lavoro devono continuare a essere a tempo indeterminato e la flessibilità deve essere limitata nel tempo”.
Il 39%, invece, sostiene l’idea che l’occupazione si orienti “su forme di lavoro flessibili lungo tutto la vita lavorativa”.
Non è una percentuale da trascurare, quasi analoga al consenso elettorale di Matteo Renzi e quindi importante.
Più netta la risposta alla domanda se la legge delega sul lavoro, il Jobs Act, sia destinato o meno a far crescere o meno l’occupazione: il 64% dice di “no” e solo il 29% pensa di “sì”.
Forte di questi dati, per quanto virtuali, Susanna Camusso lancia quindi la propria scommessa e la sfida al progetto di Renzi.
“Il lavoro” dice il segretario generale, “è il problema centrale e non si affronta con slogan”.
La Cgil ha idee e proposte da mettere in campo mentre — fa capire — quelli del governo sono spesso solo annunci: “Gli 800 mila posti annunciati dal ministro Padoan? Vorremmo capire di quali posti si tratta. Se, ad esempio, sono già conteggiati quelli che comunque sarebbero stati attivati”.
La manifestazione verificherà anche la salute interna, i rapporti del gruppo dirigente, l’immagine pubblica.
Perchè, in ogni caso, il sindacato vive una stagione difficile. Lo si coglie nella stessa rilevazione presentata ieri.
Alla domanda relativa al giudizio sulla Cgil, il campione si divide quasi a metà : il 47% lo ritiene “positivo” mentre è “negativo” per il 45%.
Trattandosi di un sondaggio del sindacato si tratta di un’ammissione importante. Nello scontro con il leader del Pd, il sindacato sconta uno scarto generazionale su cui Renzi gioca molto e che sembra del tutto sottovalutato nelle stanze di corso Italia.
Esiste anche un problema di rapporti interni. Nelle stanze del sindacato si parla di un “triumvirato di fatto” alla guida della Cgil.
Dopo lo spostamento della linea sindacale dall’asse con Cisl e Uil a quello con la Fiom, Camusso deve concordare le mosse con il segretario dei metalmeccanici, Maurizio Landini, e con quello dei pensionati, Carla Cantone.
E in questo silenzioso riassetto degli equilibri interni si assiste anche alla crescita di peso di regioni strategiche come l’Emilia Romagna, protagonista della grande manifestazione di Bologna di giovedì scorso.
Micro-movimenti che non hanno impatto pubblico ma che pesano nelle scelte.
Il governo Renzi ha “costretto” la Cgil a una posizione di opposizione “dura” dopo gli anni passati a ricucire i rapporti con Cisl e Uil.
Questa è una novità importante che non sarà risolta in breve tempo perchè il governo Renzi ha tutto l’interesse a mantenere questa polarizzazione: di là , dice lui, la “sinistra delle opportunità ”, di qua quella delle rendite di posizione.
Di là “l’innovazione”, di qua la conservazione.
La manifestazione di sabato prossimo serve anche a rompere questo schema e a costringere Renzi a una nuova dialettica.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 21st, 2014 Riccardo Fucile
SETTE TRENI SPECIALI, 2.300 PULLMAN, UNA NAVE DALLA SARDEGNA…MA LA DIFFERENZA LA FARANNO I CITTADINI NON ISCRITTI MA SOLIDALI
La manifestazione organizzata dalla Cgil per il 25 ottobre avra’ un’adesione molto alta, in particolare di non iscritti ad alcun sindacato.
E’ quanto rivela un sondaggio realizzato da Tecne’ e associazione Bruno Trentin per la Cgil.
La proiezione delle risposte dei mille intervistati fa stimare in un milione le persone intenzionate a scendere in piazza sabato prossimo.
In una conferenza stampa tenuta per presentare l’organizzazione della manifestazione, il segretario generale Susanna Camusso non ha voluto dare cifre e ha detto di aspettarsi solo tanta gente: “Sara’ una manifestazione grande, bella, colorata con tanti giovani, tanti uomini, tante donne”.
Il segretario organizzativo della Cgil, Nino Baseotto, ha riferito che gli ultimi dati raccolti fino a venerdi’ dicono che le persone che si sono finora prenotate per partecipare ai due cortei sono oltre 120 mila: i pullman saranno 2300, sette i treni straordinari, una nave salpera’ dalla Sardegna.
Ma sono tante le persone che si stanno organizzando a livello individuale; inoltre hanno dato l’adesione gli studenti medi e universitari che – ha assicurato Baseotto – saranno numerosi.
“Il dato delle prenotazioni, che non tiene conto del Lazio – ha sottolineato Baseotto – e’ assolutamente confortante”.
Camusso fara’ partire oggi una e-mail a tutti gli iscritti alla Cgil per invitarli a partecipare; fino ad oggi si sono tenute 12 mila assemblee e oltre 3500 iniziative sul territorio.
La manifestazione, che avra’ l’accompagnamento musicale dei Modena City Rambles – hanno assicurato gli organizzatori – riservera’ delle sorprese, sia sul palco, sia lungo il corteo, con “iniziative e flash mob”.
Il leader della Cgil ha respinto qualsiasi possibile paragone con la manifestazione del 2002, quando il leader era Sergio Cofferati: “Lo ha gia’ fatto il presidente del Consiglio con poca fantasia: – ha risposto ai giornalisti – le due manifestazioni non sono paragonabili perche’ in mezzo ci sono sette anni di crisi e tre milioni di disoccupati. Il Paese e’ profondamente cambiato: e’ come mettere insieme la storia del tempo che fu con i tempi di oggi”.
Ai giornalisti che insistevano sulle aspettative di adesioni, Camusso ha risposto: “Non siamo appassionati ai numeri, saranno in tanti a partecipare. Da tempo non diamo piu’ numeri se non quelli oggettivi delle prenotazioni”.
Camusso ha ribadito che la manifestazione di sabato sara’ solo l’inizio di una stagione di mobilitazione: “Non ci rassegniamo all’idea che si voglia uscire dalla crisi con una politica di minori diritti”.
(da “AGI”)
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Ottobre 21st, 2014 Riccardo Fucile
ECCO DOVE RENZI DOVREBBE RECUPERARE I SOLDI, INVECE CHE RUBARLI AGLI ITALIANI ONESTI
Militari del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza stanno eseguendo decine di perquisizioni e sequestri in tutta Italia in un’inchiesta che ha portato alla luce un’evasione fiscale miliardaria.
Nell’indagine, diretta dalla Procura di Roma, sono indagate oltre 60 persone.
I reati contestati agli indagati vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale, alla bancarotta fraudolenta, al riciclaggio.
Nel corso dell’operazione, tuttora in corso, i finanziari hanno sequestrato beni per oltre cento milioni di euro.
L'”ingentissima evasione fiscale” – così l’ha definita il nucleo valutario della Guardia di Finanza – è stata realizzata, secondo l’accusa, dal consorzio di cooperative Gesconet, che opera nei settori del trasporto, del facchinaggio, delle pulizie e della vigilanza privata.
L’inchiesta, con 62 indagati, è diretta dal procuratore aggiunto di Roma Nello Rossa e dal sostituti procuratori Filippi e Davinola.
I provvedimenti di sequestro preventivi sono stati firmati dal gip della Capitale Valerio Savio. Il sistema di evasione fiscale si sarebbe prevalentemente fondato sull’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
Nell’ambito dell’indagine è stata scoperta una contabilità riservata e parallela, utilizzata dagli indagati per pagare funzionari delle pubbliche amministrazioni. I soldi ai funzionari pubblici sarebbero state pagati tra il 2010 e il 2012 e sarebbero finiti nella contabilità parallela sottraendo il denaro alle cooperative.
Ammontano a 1,7 miliardi i danni per le casse dello Stato provocati dalla mega evasione scoperta dalle Fiamme gialle.
Il meccanismo messo in piedi dagli indagati, hanno ricostruito gli investigatori, consisteva nell’affidamento di servizi in subappalto a società cooperative appositamente costituite, da parte delle società degli indagati, che si aggiudicavano gli appalti sia da enti pubblici sia da società private.
A loro volta le cooperative emettevano fatture false per operazioni inesistenti, accertate dalla Gdf per circa 400 milioni, accreditando così il denaro ricevuto ad altre cooperative cosiddette “finali”.
I conti di queste ultime venivano progressivamente svuotati attraverso dei prelievi di denaro contante, non giustificati da alcuna logica commerciale.
(da Agenzie)
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