Ottobre 28th, 2014 Riccardo Fucile
GLI OCCUPATI COME NEL 1977 E NEI PROSSIMI 50 ANNI IL SUD PERDERA’ 4,2 MILIONI DI ABITANTI
Un territorio che lo scorso anno ha visto emigrare 116mila abitanti, vive il settimo anno di recessione e si prepara ad affrontare l’ottavo, perchè anche nel 2015 il Pil è previsto in calo dello 0,7%.
E’ il Mezzogiorno d’Italia fotografato dall’ultimo rapporto dell’associazione Svimez presentato a Roma.
Pagine che descrivono il Sud come un’area a concreto rischio di “desertificazione umana e industriale”.
Dove non solo aumenta la povertà (nell’ultimo anno le famiglie povere sono cresciute del 40% e i loro consumi sono crollati del 13% dal 2008 a oggi) ma si fanno anche meno figli: l’anno scorso si sono registrate più morti che nascite. Queste ultime sono state solo 177mila, il minimo storico, il valore più basso mai registrato dal 1861″.
E in futuro andrà ancora peggio: “Il Sud”, si legge, “sarà interessato nei prossimi anni da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili. E’ destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27% sul totale nazionale a fronte dell’attuale 34,3%”.
Intanto l’industria continua a soffrire, con crollo degli investimenti del 53% in cinque anni e una flessione degli addetti che ha toccato il 20%.
Gli occupati oggi sono solo 5,8 milioni, il valore più basso dal 1977.
“Nel Sud, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani, si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi”, calcola l’associazione.
“Nel 2013 sono andati persi 478mila posti di lavoro in Italia e 282mila di questi erano al Sud. Tra il primo trimestre del 2013 e il primo trimestre del 2014, l’80% delle perdite di posti di lavoro in Italia si è concentrata al Sud”.
Con il risultato che il tasso di disoccupazione, secondo lo Svimez, non è del 19,7% come calcola l’Istat ma ben più alto: 31,5%. Al dualismo territoriale si unisce anche quello generazionale: l’anno scorso il tasso di disoccupazione degli under 35 del Sud è salito al 35,7%.
Quadro ancora più fosco quello tratteggiato dalla Coldiretti, secondo la quale nel 2013 tre famiglie su quattro tra quelle che vivono nel Sud hanno tagliato la spesa alimentare, riducendo la qualità o la quantità di almeno uno dei generi alimentari acquistati.
Per la prima volta la spesa per alimentari è scesa sotto quella delle famiglie del Nord, invertendo una tendenza storica che vedeva le regioni meridionali destinare al cibo una parte maggiore del proprio budget.
E’ la Puglia, con un -11,3%, la regione i cui abitanti hanno stretto di più la cinghia.
Di fronte a questa emergenza sociale, secondo lo Svimez l’unica possibilità è una strategia di sviluppo nazionale incentrata sul Mezzogiorno con una “logica di sistema” e basata su quattro pilastri: rigenerazione urbana, rilancio delle aree interne, creazione di una rete logistica in un’ottica mediterranea, valorizzazione del patrimonio culturale.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 28th, 2014 Riccardo Fucile
DALLA LIGURIA ALLA SICILIA, TRA OPERE MAI REALIZZATE E FONDI DISTRATTI
Più l’Italia frana, più arrivano soldi. E più arrivano soldi, più l’Italia frana. 
Quando alla prossima “bomba d’acqua” ci si troverà a piangere un altro morto bisognerà tenere a mente questo paradosso.
Perchè è lì che incastrato un pezzo di passato, presente e, forse, di futuro del nostro Paese.
Un Paese che usa il denaro destinato a combattere il dissesto idro-geologico per pagare gli stipendi degli impiegati comunali e la carta per le stampanti.
Un Paese che racimola, negli ultimi 15 anni, 5,6 miliardi di euro tra fondi statali e comunitari. Ma ne lascia 2,3 nel cassetto, con il rischio che l’Europa se li riprenda.
Insomma, quando piove in Italia non frana soltanto la terra.
Ma cadono anche cascate di soldi, che finiscono spesso nel posto sbagliato.
I MAXI INADEMPIENTI
A Napoli, per esempio, hanno un concetto “originale” di urgenza.
Nel 1999 il ministero dell’Ambiente girò alla Regione Campania 5 milioni di euro «per l’intervento urgente del Costone San Martino». Quindici anni fa.
Eppure al momento non si è visto ancora nulla. Ma così è, dal Veneto alla Sicilia: 321 milioni di euro destinati a fermare il dissesto non sono mai stati utilizzati.
Fermi in qualche capitolo di bilancio. Tradotti, sono 198 opere, proprio come il Costone San Martino, urgentissime, già finanziate e per le quali, a luglio di quest’anno, non erano stati aperti i cantieri.
Oggi tutti gridano allo scandalo Genova. Ma la Provincia del capoluogo ligure deve ancora spiegare cosa ha fatto con gli 8 milioni ricevuti nel 2002: dovevano servire per mettere in sicurezza la parte finale del fiume Entella.
Così come la Regione Molise una qualche giustificazione la dovrà pur fornire se, dal 2008, non è ancora riuscita a sistemare il torrente Biferno (a Termoli), nonostante abbia avuto 15 milioni di euro per farlo.
E c’è da capire perchè il comune di Trapani da 5 anni conserva in bilancio 11,8 milioni del governo per quella barriera sottomarina che dovrebbe difendere la costa e che ancora non c’è.
LE ALTRE STRADE
Ma non c’è soltanto immobilismo. Una struttura ad hoc, creata nel giugno del 2014 nella Presidenza del consiglio e affidata a Erasmo D’Angelis, ha scoperto almeno un centinaio di casi (su 5mila lotti monitorati) nei quali i fondi pre-2009 erogati per il dissesto idrogeologico e per legge a esso vincolati, sono finiti in realtà in altri rivoli di bilancio.
Ad Avola, per esempio, con una parte dei 3 milioni per la protezione della costa hanno pagato gli stipendi dei dipendenti comunali. A Siracusa e Agrigento i 5 milioni «per il consolidamento della falesia di Punta Carrozza e Punta Castelluccio » e i 2,3 milioni «per il rafforzamento del sottosuolo del centro abitato» si sono trasformati in «spese correnti dell’amministrazione ». Dunque utilizzati, per dire, a pagare le bollette, comprare la carta negli uffici, acquistare la cancelleria, e chissà cos’altro.
«Spulciando tra 15 anni di bilanci dei ministeri – racconta D’Angelis –emergevano fondi non spesi e altre storie. Sono un’offesa alle vittime delle alluvioni. Con il ministro Galletti vogliamo mettere in piedi un piano realistico che non “insegua” le emergenze, ma le prevenga».
UN POZZO CON IL FONDO
Un obiettivo assai ambizioso. Soprattutto a vedere come vengono utilizzati i soldi per la prevenzione.
In Veneto, per la tragedia di Refrontolo, da un’inchiesta della Forestale avviata dopo una frana è emerso che lavori «causa dissesti » ne avevano fatti. Ma per realizzare una vigna scavata nella roccia. E poi.
Le immagini dell’alluvione del Gargano del 6 settembre sono rimaste impresse a tutti: due vittime, migliaia di euro di danni, un paradiso inghiottito dal fango.
Per evitarlo, a nord, nel sub-Appennino Dauno avrebbero dovuto realizzare opere per fermare i disastri. I pozzi di Biccari dovevano essere profondi 8 metri e 20, a leggere i progetti.
E invece: il vigile del Fuoco, durante un sopralluogo, non è riuscito a scendere sotto i cinque.
«Li hanno fatti più corti, per risparmiare, ma così non servono a nulla», dicono ora i Finanzieri che stanno indagando su questa storia di soldi inutili e progetti affidati, per esempio, alla moglie dell’assessore dell’epoca che ha incassato la parcella nonostante i finanziamenti fossero stati ritirati.
COMMISSARI INUTILI (E COSTOSI)
Ma se si vuole parlare di sprechi, non si può non andare al 2008 quando all’Ambiente arrivò Stefania Prestigiacomo. Il ministro raccolse 2 miliardi di euro e stipulò accordi con le Regioni per realizzare 1.647 opere. «Voltiamo pagina», disse allora.
L’idea era togliere la gestione dei finanziamenti agli enti locali, troppo lenti e inefficienti, e affidarla allo Stato. Tant’è che nel 2010 nominò 19 commissari di governo, ognuno con il suo stipendio da 150mila euro all’anno (poi ridotto a 100mila).
Dovevano gestire le gare di appalto e controllare che i lavori venissero effettivamente consegnati, ma, come insegna la storia del Bisagno genovese mai allargato per colpa di una sfilza di ricorsi al Tar, servirono a poco.
A giugno di quest’anno, quando sono stati revocati da Renzi, i cantieri aperti erano appena 183. Meno del 12 per cento del totale. Eppure i commissari della Prestigiacomo sono costati allo Stato, in poco più di tre anni, 8 milioni di euro in buste paga.
Ma chi erano quei commissari? Per lo più pensionati, scelti direttamente dal ministro del Pdl. Nell’elenco questori e generali in quiescenza (Calabria e Veneto), un prefetto non più in ruolo (Sardegna), due direttori generali dell’Ambiente in pensione (Molise e Marche), come pure un professore universitario (Campania), che ha aperto un solo cantiere sui 190 previsti.
Tra loro anche Maurizio Croce, che però ha fatto bene, tanto che Renzi lo ha poi scelto come soggetto attuatore in Sicilia e Puglia: «Tranne in queste due regioni e in Calabria – racconta oggi – nel resto d’Italia i commissari hanno rinunciato al loro ruolo e hanno scelto di delegare l’utilizzo dei fondi per il dissesto agli enti locali, attraverso convenzioni. Di fatto tornando alla situazione precedente al 2009».
Risultato: dei 2 miliardi stanziati dalla Prestigiacomo sono stati utilizzati appena 800 milioni.
Ma il resto ora l’Europa lo rivuole indietro.
Giuliano Foschini e Fabio Tonacci
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 28th, 2014 Riccardo Fucile
SOTTOSEGRETARI FARAONE E DE MICHELI, UNA POLTRONCINA ANCHE ALL’ALFANIANO D’ASCOLA
La sconosciuta 32enne Lia Quartapelle ministro degli Esteri, i democratici Davide Faraone e Paola De Micheli sottosegretari all’Istruzione e all’Economia, l’alfaniano Nico D’Ascola al fianco di Lupi alle Infrastrutture.
A meno di colpi di scena dell’ultima ora,, i bookmakers di Palazzo Montecitorio e dintorni si sbilanciano in questa direzione.
L’ipotesi di un mini-rimpasto al momento è stata archiviata ma il capo dell’esecutivo punta a ricoprire le caselle vacanti da settimane per non mutare gli equilibri della coalizione di governo.
Del resto, come spiega a ilfattoquotidiano.it una fonte del Pd, “il Nuovo Centrodestra è a un bivio: o entra nel partito della Nazione o torna con Berlusconi. Ma il Cavaliere gli ha chiuso le porte, quindi non hanno alternative. E il primo vero test sarà quello delle prossime regionali…”.
Ecco perchè il capo del governo riserverà un trattamento “speciale” al partitino di Angelino Alfano, mantenendo l’attuale delegazione al governo e addirittura nominando il professore di diritto penale e senatore Ncd, Nico D’Ascola, sottosegretario al ministero dei Traspori e delle Infrastrutture.
Un modo come un altro “per ringraziarlo” perchè D’Ascola, candidandosi come terzo polo a governatore della Calabria, “spianerà la strada della vittoria al Pd Mario Oliverio”.
Rumors a parte, è probabile che la questione governo, con l’innesto di 4-5 sottosegretari e un nuovo ministro degli Esteri, debba prima passare da un colloquio con il presidente Giorgio Napolitano.
Eppure in queste ore, nonostante la decisione debba essere concertata con il Quirinale, si susseguono incontri tra la cerchia stretta di Renzi, le svariate anime del Pd e i partitini che sostengono l’esecutivo.
L’idea è quella di mantenere l’equilibrio di genere, ovvero il cosiddetto “metodo Renzi”, favorendo quindi una donna per la casella della Farnesina: dal primo novembre Federica Mogherini rivestirà infatti il ruolo di Alto commissario per la politica estera dell’Unione Europea.
In prima istanza, infatti, sembrava fosse fatta per la vicepresidente della Camera Marina Sereni. Un nome che non scontenterebbe nessuno, essendo “la Serena” franceschiniana e quindi renziana, ma di estrazione comunista: si iscrisse da giovanissima alla Fgci, poi al Pci, seguendo passo dopo passo l’evoluzione della sinistra italiana e potendo annoverare nel lungo curriculum anche quello di responsabile esteri della segreteria dell’ultimo segretario dei Ds, Piero Fassino.
Da circa un anno la 54enne di Foligno si è avvicinata alla galassia dell’ex sindaco di Firenze, al punto da sostenerlo alle primarie di fine 2013 e perfino partecipando alla Leopolda del 2013 e del 2014.
Ma nelle ultime ore starebbe perdendo quota il nome dell’attuale vicepresidente della Camera perchè ai piani alti del Palazzo si ragiona più sull’effetto sorpresa, caratteristica della narrazione renziana, e quindi su una giovane figura del renzismo da lanciare alla Farnesina.
Donna, giovane e con standing internazionale. Sono questi i tre ingredienti del prossimo inquilino della Farnesina.
E il nome in questione, ai più sconosciuto, sarebbe quello della 32enne milanese Lia Quartapelle. “La nuova Mogherini”, scherza qualcuno al Nazareno.
Ex Ds tendenza Bersani, fra le più votate alle parlamentarie del 2012, Quartapelle vanta un curriculum in cui si annovera una laurea con il massimo dei voti in Galles alla United World College of the Atlantic, un dottorato all’ateneo di Pavia, più il ruolo di responsabile del programma Africa dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale.
Ma l’elemento discriminante, che potrebbe favorire la sua scalata, è un legame “forte” con il mondo dei “miglioristi” milanesi, in particolare con Gianni Cervetti, vicinissimo a Napolitano.
Del resto, una fonte milanese racconta che proprio in occasione della campagna elettorale per le parlamentarie Cervetti era solito partecipare, con moglie al seguito, alle iniziative organizzate da Quartapelle, animatrice del Circolo 02 del capoluogo lombardo.
Risulterà decisivo? Non è dato sapere. Di certo, sussurrano in ambienti milanese, “se Lia dovesse arrivare alla Farnesina nessuno potrebbe più dire che sarebbe troppo giovane per diventare sindaco di Milano”. Ma tant’è.
Nella girandola di nomi che girano nel Transatlantico di Montecitorio per la Farnesina ci sarebbero anche Lapo Pistelli, il candidato naturale alla successione di Mogherini “per doti diplomatiche, competenza e curriculum”, l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, il sottosegretario prodiano Sandro Gozi, l’ex dalemiana Marta Dassù (oggi nel cda di Finmeccanica) e l’europarlamentare di sicura fede Simona Bonafè.
Una decisione quella della sostituzione di Mogherini che sarà accompagnata dalla nomina di tre sottosegretari (Istruzione, Economia e Infrastrutture).
All’istruzione, infatti, il favorito sembra essere il renzianissimo siciliano Davide Faraone, all’Economia la senatrice Stefania Pezzopane, e alle infrastrutture, appunto, D’Ascola.
Ma c’è chi giura che alla fine l’incarico di via XX Settembre possa finire a Paola De Micheli, lettiana.
D’altronde corre voce che da giorni gli uomini dell’ex presidente del Consiglio dialoghino con una certa intensità con la galassia leopoldina. E la dimostrazione si è avuta sabato pomeriggio alla ex stazione di Firenze.
Quando Anna Ascani, cresciuta alla corte di Enrico Letta, ha presieduto il tavolo sulla “digitalizzazione delle scuole”.
Un caso?
Giuseppe Alberto Falci
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 28th, 2014 Riccardo Fucile
I SUOI ARGOMENTI SONO QUELLI TIPICI DI UNA DESTRA BECERA E QUALUNQUISTA
Arnaldo Forlani ha definito Renzi un nipotino di Amintore Fanfani. Silvio Berlusconi confida ai suoi di
considerarlo il suo vero erede.
Che cosa sia in realtà , possono forse meglio identificarlo certe sue dichiarazioni. Partiamo dai cosiddetti intellettuali.
Il termine non mi è mai piaciuto, ma ricordo pure con fastidio la battuta di Goebbels: “Quando sento parlare un intellettuale metto mano alla pistola”.
La polemica contro gli intellettuali è tipica della destra più becera e qualunquista. Ora Renzi qualche giorno fa ha dichiarato: “Gli intellettuali sono come dei pensionati davanti ad un cantiere, osservano gli operai lavorare e dicono ‘non ce la faranno mai’”.
Dietro queste parole vi è il fastidio verso chi pensa e osa criticare.
Apparentemente meglio è andata per gli insegnanti: oggi l’insegnante sarebbe una professione da “sfigati”, deve tornare ad essere un sogno, ha tuonato Renzi.
La prospettiva è affascinante, ma il giudizio è impietoso. Un conto è dire che gli insegnanti sono poco valorizzati, un altro lasciar intendere che solo gli sfigati oggi potrebbero scegliere un lavoro mal pagato e poco considerato socialmente.
Date queste condizioni, occorre invece avere molto coraggio e molto spessore interiore per fare una scelta così controcorrente.
La destra qualunquista e becera non ha mai avuto attenzione per il malato: il futuro è dei forti, dei sani, dei vincenti secondo una certa ideologia superomista.
Certi teorici dell’iperliberismo sono arrivati a sostenere che la ricerca sulle malattie rare non dovrebbe essere finanziata perchè non conviene economicamente.
E il governo Renzi che fa? Taglia ben 100 milioni di euro alla lotta contro la sla e alle disabilità .
La cura consigliata dai Chicago boys per alcuni Paesi dell’America Latina era la totale liberalizzazione dei contratti nel campo lavorativo, con lo smantellamento delle tutele dei lavoratori e lo svuotamento dei sindacati.
E Renzi che fa? Afferma orgoglioso: “Non esiste più il posto fisso”.
Personalmente ritengo che i sindacati abbiano goduto di troppi privilegi e siano corresponsabili della stagnazione del sistema Italia, ma rappresentando milioni di lavoratori, il loro parere va ascoltato e vanno trattati con rispetto.
A palazzo Chigi si è assistito invece ad un evento surreale: Renzi non si presenta e invia al suo posto ministri senza alcun mandato per trattare.
Belle statuine senza poteri. Una solenne e arrogante presa in giro dei sindacati che certamente avrà mandato in brodo di giuggiole gli esponenti più oltranzisti del padronato che dall’inizio degli anni ’70 aspettavano una occasione simile.
E di fronte alle critiche di tutti i sindacati, di sinistra, di centro e di destra questa volta uniti, per tutta risposta Renzi tuona: “Surreale è pensare di venire qui a trattare“. Scusa Renzi, ma se i sindacati non possono trattare, a che servono?
Se poi a tutto questo ci aggiungiamo: la scomparsa del senato elettivo, la nomina degli amministratori provinciali, l’aumento a 250.000 delle firme necessarie per la presentazione di disegni di legge di iniziativa popolare, una legge elettorale con premio di maggioranza che si vorrebbe dare al solo partito più votato, beh credo si abbiano sufficienti motivi per ritenere che Renzi è ben al di là di Fanfani e Berlusconi. Forse sotto, sotto sogna di essere il nuovo Hugo Banzer della repubblica italiana delle banane.
Giuseppe Valditara
Professore ordinario di Diritto Pubblico Romano
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 28th, 2014 Riccardo Fucile
“RAFFORZI PIUTTOSTO LA LOTTA ALL’EVASIONE E ALLA CORRUZIONE, ANCHE A COSTO DI PERDERE CONSENSI NELLA HOLDING NAZARENO”… “EVITI POLEMICHE CON L’EUROPA, LA SUA NARRATIVA E’ SBAGLIATA”
“Renzi vive di conflitti vincenti, per guadagnare consenso. Questo è un errore: è inutile creare tutti i giorni un conflitto, se non per salire nei consensi. Gli consiglierei di rafforzare i conflitti contro evasione e corruzione, anche perdendo consensi nella holding Nazareno. Gli consiglierei invece di attenuare il conflitto nei confronti dell’Europa, la narrativa di Renzi sull’Europa è semplicemente sbagliata”.
A sostenerlo è niente meno che Mario Monti che ha parlato davanti alle telecamere di Agorà sui Rai Tre.
E se è indubbio il suo allineamento con Bruxelles, altrettanto non si può dire dell’operato del governo dei tecnici sul fronte dell’evasione fiscale dove si è distinto per i roboanti blitz come quello di Cortina, ma anche per l’avvio di una trattativa tuttora non conclusa con la Svizzera che secondo il suo esecutivo avrebbe invece dovuto chiudersi nel giro di poche settimane.
“L’Europa è il luogo di battaglie sulle idee e sulle decisioni. Renzi deve parlare meno e fare più battaglie. — ha aggiunto — è capitato di dover fare una cosa che mi faceva ribrezzo: ho dovuto usare il diritto di veto al Consiglio europeo, per dare una svolta alla politica europea, creando le premesse per le politiche della Banca centrale europea. I pregiudizi contro l’Italia non esistono, non è credibile questa storia”.
E ancora: “L’eurocrate numero uno è Marco Butti, toscano di Pontassieve. Questo atteggiamento crea negli italiani la convinzione che la colpa è sempre o degli avversari o dell’arbitro. E se creiamo un’idea di un’Unione europea debole, davvero rischiamo una Germania dilagante”.
Quanto alla legge di Stabilità , è materia tra governo e Parlamento”, ha concluso l’ex presidente del Consiglio.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 28th, 2014 Riccardo Fucile
INFILTRAZIONI IN EXPO’, 13 ARRESTI, IN CARCERE ANCHE UN EX CONSIGLIERE COMUNALE DI RHO, COIVOLTI ALTRI POLITICI
Un politico e due facce. Quella pubblica e quella della “malavita sbirraglia”. Un politico del Partito
democratico.
Ancora. Un affare: terreni industriali da comprare e riconvertire in residenziali. Paga la ‘ndrangheta, garantisce il consigliere comunale Calogero Addisi. Garantisce per sè e per i parenti che stanno in Calabria.
Incassa voti nel comune di Rho e si fa comandare dal boss Pantaleone Mancuso che lo riceve (è il 2012) nella sua villa in contrada agro di Limbadi.
Perchè come spiega il collaboratore di giustizia Antonino Belnome “un locale è forte quando ha le sue radici in Calabria, il nord non conta niente senza la Calabria”.
Insomma, tradizione e affari.
Da Vibo Valentia all’hinterland milanese. Spartito semplice: Addisi fiuta l’affare, media con la cosca e passa la palla all’imprenditore. Sul tavolo lui mette la promessa: “In Comune ci penso io”. Ma niente telefono perchè “così mi arrestano”.
Addisi conosce i rischi, eppure ci mette parola e contatti. Quelli di Antonio Galati, emissario lombardo dei Mancuso, “mafioso” dicono le intercettazioni, ricco anche, capace di buttare sul tavolo 300mila euro per il business.
Il filo della storia è questo. C’è il politico a catena (della mafia): “Ma se gli ho detto, non ci sono problemi a Rho … ve li risolvo io”. Che disegna speculazioni edilizie.
E c’è il politico (sempre lo stesso) che parla in pubblico davanti al consiglio comunale. E dice: “Con questo P.G.T. abbiamo cercato di ridisegnare la cittaÌ€, preservandola dalle brutture, dagli scempi maligni e dal consumo dissennato del territorio. Un risultato storico. Una medaglia per tutta l’amministrazione. Una nuova rivoluzione culturale insomma”.
E poi c’è il giudice per le indagini preliminari che per Addisi dispone l’arresto. Sul punto scrive: “Addisi mente in quanto eÌ€ ben consapevole non solo di avere interesse nel Pgt, ma anche del fatto che un’area, interessata dal Pgt, eÌ€ stata acquistata con il denaro della ‘ndrangheta”.
Benvenuti in Lombardia. Benvenuti nell’ultima storia di mafia, armi e politica.
Perchè questo racconta l’ordinanza di 800 pagine firmata dal giudice Alfonsa Maria Ferraro e che poche ore fa ha portato in carcere 13 persone accusate, a vario titolo, di associazione ‘ndranghetista, riciclaggio e abuso d’ufficio aggravato dal metodo mafioso.
Accusa, l’ultima, che tocca all’ex consigliere comunale Calogero Addisi, parente dei Mancuso e già citato (ma non indagato) nell’indagine che nel 2012 ha portato in carcere l’allora assessore regionale alla Casa Mimmo Zambetti.
L’operazione “Quadrifoglio” coordinata dal pm Paolo Storari e dal Ros di Milano, comandato dal colonnello Giovanni Sozzo, fotografa il presente criminale nella regione più ricca d’Italia.
Fotografa l’affare sul terreno di Lucernate di Rho. In sintesi: Galati, la ‘ndrangheta, secondo l’accusa, ci mette il denaro, ottenendo come contropartita il cambio di destinazione per rivalutare il terreno. Non solo.
Accatastando intercettazioni e filmati, l’inchiesta mostra il controllo del territorio dei clan lombardi, la loro violenza palesa, la capacità , infine, di mettersi in tasca politici, funzionari pubblici, uomini d’affari, guardie penitenziarie, commercialisti. Professionisti, insomma. Tutti a disposizione.
E’ il capitale sociale della ‘ndrangheta. Che ha permesso ai boss d’infiltrarsi nei subappalti di Expo 2015, attraverso una società riconducibile al fratello carcerato di Antonio Galati. Borghesia mafiosa mixata all’ala militare. Quella, ragionano magistrati e investigatori, che fa capo ad Antonio Galati.
Questa è la ‘ndrangheta che nella Lombardia dell’Expo si spartisce il territorio con regole e leggi proprie. Antistato che si fa Stato.
Della partita è anche Salvatore Muscatello, boss ultraottantenne, eminenza grigia della ‘ndrangheta lombarda, protagonista dei maxi blitz degli anni Novanta (La Notte dei fiori di San Vito).
Poi capo della locale di Mariano Comense nell’operazione Infinito del 2010, arrestato, condannato, messo ai domiciliari. E ora, tra il 2012 a questa mattina, capo dello stato mafioso lombardo, riverito e pagato.
Nel suo bunker andavano tutti. Il nipote di Giuseppe Morabito, alias u tiradrittu, la moglie del boss di Vigevano, Fortunato Valle (“Quello — dice Muscatello- mi lavava i piedi”). Ci va Emilio Pizzinga, politico locale a caccia di voti, e padre di Francesco, finito in galera nel 2006 perchè trafficava droga con la ‘ndrangheta di Africo. Pizzinga incontra Muscatello nel gennaio 2014.
Il comune di Mariano Comense è appena stato commissariato dopo che 11 consiglieri hanno tolto la fiducia. A maggio ci saranno le elezioni. Pizzinga cerca voti e sa dove andare.
Dice al boss: “Vedete se mi trovate preferenza! Se no, non si fa piuÌ€ niente dopo!”. E ancora: “A me hanno dato in mano il partito”. Il boss chiede: “Quale partito?”. Pizzinga risponde: “Forza Italia!”.
Par condicio rispettata, dunque. Pd e Pdl. La ‘ndrangheta non fa differenza.
E se Pizzinga chiede voti, Addisi garantisce. Ma quando le cose vanno per le lunghe e la delibera non conferma la speculazione, il boss (Antonio Galati) rivuole i soldi e minaccia: “Ancora ci sono 300.000 euro in ballo, ora piano piano li prendo (…). Io ad Addisi glielo ho detto: stai attento a quello che facciamo qua, che io ti lego per il collo, ti metto alla macchina e ti porto in giro!”. Perchè il legame (mafioso) non si scioglie e col tempo (breve) il cappio si stringe. Addisi lo capisce: “Tu e l’altro mi avete rovinato la vita (…), ho subito umiliazioni da tutte le parti, ero un grande uomo e mi avete rovinato la vita, e non sto parlando dei soldi miei, devo fare da garante dei soldi degli altri (…) io non so fino a quando riesco a tenere la cosa (…) perchè so che succederà qualcosa di grave, lo sento, succederà qualcosa, mi ho rovinato la mia vita per non avere commesso mai un cazzo … “.
I timori di Addisi, che, secondo l’accusa, bene conosce le dinamiche mafiose, non spaventano Franco Monzini, imprenditore lombardo coinvolto nell’affare.
Monzini conosce Galati grazie ad Addisi. Ben presto capisce chi è Galati: “Un mafioso”. Da ammirare addirittura. Intercettato Monzin confida: “La mafia se vede che una cosa funziona i soldi ce li mette, non diciamo cazzate, magari fa altre cose, per carità ! Che conosco anche! Però se una cosa è una cosa seria la vede il mafioso come la vedo io, uguale, uguale anzi magari lui ha più mezzi e non deve andare in banca a piangere perchè ci mette i suoi … “. Vero. Ma solo a metà . Spiega Addisi: “Conoscete una faccia di Antonio che non è quella vera (…) ti incapretta! tu credimi, ti incapretta e prima di farti fuori si diverte un po’, ma molto!”.
La violenza garantisce politica e affari. E’ così, scrive il giudice, che “si costituisce il collante del sodalizio atteso che la sua forza intimidatrice si è potuta estrinsecare anche in virtù di detti rapporti i quali hanno certamente cementificato i rapporti tra i sodali”.
La storia cambia la maschera. Adesso è pura violenza mafiosa.
Racconta Galati: “Lo sgabello era di ferro! Tutte le costole (…) gli ha spaccato tutto il naso, quel sangue ha sporcato pure noi, io avevo le scarpe piene di sangue (…) schizzava a tre punte, poi eÌ€ caduto per terra (…) gli abbiamo rotto le bottiglie, sgabelli nei fianchi (…) io le scarpe le ho sporcate perchè l’abbiamo picchiato in testa”.
E ancora: “Mannaggia l’ostia quante palate a quello! Picchiavamo tutti e tre liÌ€ terra (…) Gliele abbiamo rotte, braccia (…) la prima botta che mi ricordo, che gli ho dato, alzoÌ€ la mano per pararsi cosiÌ€ (…) aveva un orologio al braccio di 30.000 euro e gli voloÌ€ per aria”.
Succede in Lombardia. A Giussano, ad esempio, quando Fortunato Galati, sorvegliato speciale, non si ferma a un posto di blocco della polizia Municipale.
Succede, come è normale, che il vigile Luigi Galanti segnali la cosa, che il fatto finisca sul tavolo del tribunale di Sorveglianza di Milano e che Galati, per questo, torni in carcere.
Ma succede anche che ignoti diano fuoco all’auto del vigile con una molotov. Le intercettazioni chiudano il cerchio. Galati in carcere a colloquio con un amico. Dice il secondo: “L’altro giorno l’ha incontrato nel parcheggio. Dice che lo guardava al vigile e faceva finta di mettere la mano qua dentro”. Annotano i carabinieri: “Contestualmente con la mano destra mima di prendere qualcosa dall’interno della giacca all’altezza del petto, lato sinistro”.
E che succede se Fortunato Galati, chiede e non ottiene il trasferimento dal carcere di Monza a un altro Calabria? Il pizzino al colloquio dice tutto. “Pitaniello Maria Casa Circondariale Monza”.
E’ la direttrice del carcere. Per lei la ‘ndrangheta lombarda riserva una busta con tre proiettili 9X21.
Benvenuti in Lombardia: 14 arresti.
Oggi vince lo Stato. Perde la ‘ndrangheta.
A. Bartolini e D. Milosa
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 28th, 2014 Riccardo Fucile
MENTRE FALCONE E BORSELLINO MORIVANO PER LE ISTITUZIONI, ALTRI FACEVANO FAVORI A COSA NOSTRA
Per la prima volta vengono rivelati i contenuti dei verbali dei Comitati nazionali per l’ordine e la sicurezza, il massimo organismo deputato alla protezione della Repubblica e dei suoi cittadini che nel biennio 1992-1993, quando infuriavano le stragi mafiose e venivano uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si riuniva per decidere come fronteggiare la sfida della mafia.
Ebbene, secondo quanto riporta Salvo Palazzolo del quotidiano La Repubblica, durante quelle riunioni avvennero scontri durissimi in quanto lo Stato decise di revocare il 41 bis ai boss mafiosi.
Nel 1993 un pezzo dello Stato decise all’improvviso di revocare il carcere duro al gotha di Cosa nostra.
Senza un’apparente ragione, mentre le bombe continuavano ad esplodere in giro per il paese. E qualcuno protestò con forza.
Anche questo scontro ai vertici delle istituzioni raccontano i verbali. Uno scontro che fino ad oggi non era mai emerso.
Anzi, l’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso ha sempre ripetuto che la decisione di non prorogare 300 decreti di 41 bis fu una sua “scelta personalissima “.
“Chiede di parlare il vice direttore del Dap, il magistrato Francesco Di Maggio, che non usa mezzi termini. “L’articolo 41 bis crea molte preoccupazioni – dice – perchè su 1232 provvedimenti ben 567 sono per delega del ministro della Giustizia e di questi soltanto 8 sopravvivono, mentre gli altri vengono revocati. I rimanenti 66 provvedimenti, invece, che non sono provvedimenti delegati, sopravvivono in numero maggiore: soltanto 26 vengono revocati dal magistrato”.
Come dire, il vero problema non sono i giudici, ma il ministero della Giustizia.
Nel comitato del 10 agosto, Di Maggio era andato oltre, chiamando in causa il governo. Le sue parole sono a pagina 357 dei file del Viminale: “È opportuno che il governo mantenga ferma la sua posizione sull’articolo 41 bis”.
L’anonimo verbalizzatore sottolinea la parola “governo”.
E il ministro Mancino che dice? Cambia argomento.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 28th, 2014 Riccardo Fucile
“UN PARTITO DELLA NAZIONE E’ UNA CONTRADDIZIONE LOGICA, DA ANALFABETI DELLA POLITICA, UNA BOUTADE POPULISTA PER ARRAFFARE VOTI E CONQUISTARE L’EGEMONIA INTORNO A UNA FIGURA DI LEADER”
«Non c’è nulla di casuale, nulla di improvvisato, nell’attacco di Matteo Renzi al posto fisso e
all’articolo 18. Lui sta abbattendo i simboli della sinistra socialdemocratica per penetrare nel centrodestra con il progetto del Partito della Nazione. E’ un piano lucidissimo ».
Non è per niente stupito, Massimo Cacciari, della durezza dello scontro che si è acceso nel Pd.
Professor Cacciari, non è la prima volta che un presidente del Consiglio di sinistra dice che è finita l’epoca del posto fisso (lo disse D’Alema 15 anni fa). Eppure stavolta sembra diventato lo spartiacque tra le due anime del Pd, quella che si è radunata alla Leopolda e quella che è scesa in piazza con la Cgil. Perchè?
«A volte il tono è tutto. Mentre gli altri dicevano queste cose con un tono di analisi, anche spietata, Renzi mi presenta un destino come se fosse un suo successo personale: ah che bello, finalmente è finita l’epoca del posto a tempo indeterminato! Ma come si fa a non comprendere il carico di ansia, di frustrazioni che una situazione di questo genere può determinare? Un politico non può fermarsi all’analisi: deve dirmi quali sono i rimedi. Deve dirmi quali ammortizzatori sociali ha previsto, e quali garanzie avranno i lavoratori senza più posto fisso per la loro pensione».
Il segretario del Partito democratico, dice lei, non dovrebbe parlare così.
«Neanche il più feroce dei conservatori ha mai presentato queste trasformazioni sociali che possono generare ansie ed angosce come se fossero delle pensate geniali».
Il vero centro della polemica sembra però l’abolizione dell’articolo 18. Difenderlo oggi, ha detto Renzi, è come cercare di mettere il gettone nell’Iphone. E’ così?
«Ma è evidente che l’abolizione dell’articolo 18 è una bandiera ideologica, una banderuola rossa che Renzi sventola sotto il naso dei suoi oppositori e dei suoi sostenitori. L’ha detto lui stesso».
E perchè, secondo lei, ha scelto questo tema, in questo momento e in questo modo?
«Perchè è il tema che gli dà più spazio nel costruire il Partito della Nazione. E’ un tema ideologico molto forte, che gli permette di penetrare nell’ambito dell’elettorato di centrodestra. E l’articolo 18 è una formidabile arma ideologica per costruire questo consenso trasversale, infinitamente al di là dei confini tradizionali del centrosinistra. Siamo di fronte a un politico puro. Il suo è un calcolo tutto politico, non c’entra nulla il ragionamento economico».
Ma il partito della Leopolda e quello di piazza San Giovanni possono convivere?
«Queste due anime sono sempre meno avvicinabili, ma Renzi il problema di tenerle insieme non se lo pone neanche. Lui pensa: se io do l’impressione di entrare in un gioco di compromessi e di mediazioni tra personaggi che la pubblica opinione ritiene assolutamente sorpassati, io divento uno di loro, e perdo».
Ormai il tema della scissione è sul tavolo. Non la temo, dice Renzi. Sarà inevitabile, secondo lei?
«Io credo che lui non solo non la tema ma sia sul punto di desiderarla. Fino a qualche tempo fa no, ma ora forse comincia a pensare che la scissione gli convenga ».
Cioè crede che tagliare le radici, e perdere un pezzo del partito, gli porti più voti?
«Se c’è una scissione, è chiaro che senza i Bersani e i D’Alema eccetera non potrà mai rifare il 41 per cento. Ma il taglio delle radici potrebbe convenirgli, per realizzare il suo progetto. E forse avrà fatto questo ragionamento: se escono da qui, cosa fanno? Si rimettono con Vendola? Fanno un’altra Rifondazione? Se ci fosse qualcuno che ha un’idea oltre Renzi, beh allora francamente sarei il primo io a iscrivermi al partito di questo qualcuno. Ma qui hanno tutti facce, e idee, pre Renzi. Eccetto Civati. Se togli lui, gli altri sono i reduci, come li chiama Renzi. Hanno fatto il Partito democratico senza uno straccio di idea nuova: l’unico che ce l’aveva era Veltroni, che infatti oggi appoggia Renzi. A parte Veltroni, conservatorismo puro, su tutto: dalle riforme istituzionali al lavoro. Cosa vuole che possano combinare, se escono dal Pd? Niente. Il vero problema è: ma a noi piace, il Partito della Nazione?».
Già . A lei, per esempio, piace?
«Mi piace? Ma io lo detesto! E’ una boutade populistica per arraffare voti e conquistare un’egemonia attorno alla figura di un leader. Ogni decisione favorisce una parte e sfavorisce un’altra. Perciò sono nati i partiti politici, nella democrazia. Partiti: da “parte”. Un Partito della Nazione è una contraddizione logica. Da analfabeti della politica. Ma questo non inficia minimamente la strategia di Renzi e la sua coerenza. Lui oggi si fa un partito suo e se lo fa grosso, rappresentativo, tendenzialmente egemone, chiamandolo Partito della Nazione. Approfittando dello sfascio della tradizione socialdemocratica e cattolico-democratica e anche dello sfascio del berlusconismo. E’ un’occasione unica, irripetibile. E lui la sta cogliendo».
Sebastiano Messina
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Ottobre 28th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO UN INCONTRO “SURREALE” DELL’ESECUTIVO CON CGIL, CISL E UIL, IN SERATA IL PREMIER SPIEGA IN TV IL SUO CONCETTO DI DIALOGO DEMOCRATICO: “MANDATEMI UNA EMAIL”
Il senso di Matteo Renzi per il sindacato è tutto in una battuta: “Mandateci una email”.
È il messaggio che il premier manda a Cgil, Cisl e Uil dagli studi di Ottoe-Mezzo, il programma di Lilli Gruber, dopo l’incontro pomeridiano tra il governo, senza Renzi, e le sigle sindacali.
Le avvisaglie di quanto avrebbe detto il premier, Cgil, Cisl e Uil le hanno avute al ministero del Lavoro, dove si sono trovati di fronte un governo indisposto, perfino, a fissare il prossimo appuntamento.
“Vi faremo sapere” hanno comunicato, imbarazzati, Pier Carlo Padoan, Graziano Delrio, Giuliano Po-letti e Marianna Madia.
Un atteggiamento che ha provocato la stizza e l’accusa di Susanna Camusso, che ha definito quell’incontro come “surreale”.
Renzi, in serata, è però molto più esplicito: “Il governo non tratta con i sindacati. Cgil, Cisl e Uil fanno il loro mestiere trattando con le imprese ma le leggi si fanno in Parlamento non chiedendo il permesso ai sindacati. E poi, trattare su cosa?”.
Unica apertura, la dissociazione dall’attacco al diritto di sciopero fatta alla Leopolda dal finanziera Davide Serra: “Non sono d’accordo, dice il premier, è un diritto sacrosanto”.
Che il confronto fosse inesistente lo si era capito nel pomeriggio.
Il ministro dell’Economia, Padoan, illustra a grandi linee la manovra finanziaria e descrive le scelte dell’esecutivo. “Mancavano solo le figurine” commenta chi ha ascoltato attentamente. “Il governo ha detto meno di quello che sapevamo”, sorride Annamaria Furlan, neo-segretario della Cisl.
Unica nota interessante, il diverbio tra Padoan e Delrio. “Il rientro in manovra sarà dello 0,4%” comunicava il responsabile del Tesoro mentre il Sottosegretario lo invitava a maggior cautela.
Dopo, la parola è toccata ai sindacati. Furlan, ha puntato l’attenzione sul Tfr, sugli statali e i pensionati ma anche sul taglio dei fondi ai patronati.
Carmelo Barbagallo, futuro segretario Uil, ha consegnato al governo tre documenti e, pur sottolineando l’estrema impreparazione dei ministri — “sembrava non avessero alcun mandato”, dice al Fatto — considera l’incontro comunque “utile”.
Molto negativa la reazione di Camusso, scontratasi nel finale con il ministro Poletti: “Come andiamo avanti? ”, chiede la segretaria Cgil. “Fateci sapere le vostre indicazioni, vi faremo sapere”, la replica imbarazzata del ministro.
“Un incontro inutile, una presa in giro”, dicono sottovoce i sindacalisti mentre si accomodano fuori. Unico momento leggero quello in cui Danilo Barbi, della Cgil, risponde a un Padoan intento a osservare, irritato, sul proprio Ipad la diffusione dell’incontro in tempo reale: “Non guardi noi, non abbiamo i gettoni per far funzionare gli Ipad”.
Ironia che, però , non scalfisce la dura sostanza dei rapporti sindacali.
Al termine dell’incontro, sia Poletti che Delrio provano a smussare: “Siamo pronti a raccogliere suggerimenti concreti” spiega il Sottosegretario, “discuteremo sui singoli punti”.
Ma Renzi, in tv, ha fatto capire cosa intende per raccogliere suggerimenti.
“In assenza di risposte andremo alla sciopero” ha ribadito così Camusso. E ieri sera la Cgil ha riunito i suoi segretari di categoria per un bilancio della manifestazione e discutere delle prossime tappe.
L’indicazione unanime, in vista della decisione che sarà presa dal direttivo, è stata una sola: sciopero generale.
Salvatore Cannavò
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