Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
GIANLUCA CALLIPO HA RICEVUTO L’APPOGGIO DEGLI AZZURRI A MONTALTO UFFUGO, LOCRI E BRIATICO MA NON HA SUPERATO IL 35%
Al gazebo di Montalto Uffugo, a un certo punto, si materializza il soccorso azzurro. Alla luce del sole. Arriva Pietro Caracciolo, per votare Gianluca Callipo, il candidato di Renzi.
Calabria profonda, primarie aperte, apertissime per il candidato governatore del Pd alla regione.
Quando lo scorso 25 maggio Caracciolo trionfò come sindaco di Montalto Uffugo alla guida di una coalizione di centrodestra, al gran festeggiamento parteciparono Jole Santelli, berlusconiana ortodossa, e Tonino Gentile, sottosegretario alfaniano dimessosi dopo aver tentato di impedire la pubblicazione di una notizia sul figlio indagato.
Ora Caracciolo è candidato — per il centrodestra – alle provinciali di Cosenza che si svolgeranno domenica prossima e appoggia il sindaco di Rende Marcello Menna.
Nel comune di Caracciolo, alle primarie del Pd, il renziano Callipo batte Mario Oliverio, scelto dalla Ditta bersaniana.
Il dato finale (dell’intera regione) racconta però che il soccorso azzurro non è bastato a Callipo per l’investitura a candidato governatore.
Su 130mila votanti (il doppio della rossa Emilia Romagna dove si sono recati ai seggi in 58mila), Callipo si ferma a quota 35 per cento.
Il candidato della vecchia guardia raggiunge invece il 60 per cento mentre Gianni Speranza di Sel non supera uno striminzito 5 per cento.
Al quartier generale di Oliverio così fotografano il risultato: “Abbiamo impedito che il candidato governatore lo scegliesse il centrodestra”.
Già , perchè negli ultimi giorni il soccorso azzurro si era fatto pesante.
Caracciolo non è l’unico sindaco che si è schierato pubblicamente con il candidato di Renzi.
Il primo cittadino di Locri ha fatto lo stesso. Anzi, di più.
Giovanni Calabrese, noto alle cronache per aver scritto una lettera al “Divinissimo Gesù Cristo” contro gli assenteisti del suo comune, ha tenuto una conferenza stampa per annunciare l’appoggio suo e della sua giunta a Callipo.
E i risultati si sono visti: a Locri vince Callipo col 57,4 per cento contro il 27,3 di Oliverio.
Eclatante anche il caso di Briatico, comune sciolto per mafia due anni fa e dove il sindaco di centrodestra è Andrea Niglia, appena diventato presidente della Provincia di Vibo Valentia.
A Briatico Callipo ha raggiunto percentuali bulgare: 590 voti, mentre quelli di Olivero si contano sul palmo di una mano, nel senso che non sono più di cinque.
L’“accorduni”, come lo chiamano da quelle parti, alla base di questi movimenti prevedeva un appoggio “nascosto” da parte dei big di Ncd in Calabria, sotto la regia di Tonino Gentile, al candidato renziano, con l’obiettivo di aiutarlo portarlo alla vittoria alle primarie.
Si spiega così l’attivismo di tutti gli uomini di Gentile sul territorio, passati negli ultimi giorni dall’appoggio embedded alle manovre alla luce del sole.
A Catanzaro Peppino Ruberto, ex presidente del Consiglio provinciale. A Lamezia Terme si è segnalato come molto attivo Raffaele Mazzei, ex capogruppo Forza Italia poi Ncd e Udc.
A quel punto scattava il secondo livello del piano: una lista “civica” benedetta dietro le quinte da Gentile medesimo, magari inserendo a garanzia il figlio, per sostenere Callipo alle regionali.
L’“accorduni” era stato benedetto anche da pezzi di Forza Italia.
Pochi giorni fa proprio Gentile ha incontrato a Roma Denis Verdini.
Fonti azzurre degne di questo nome confermano che l’insofferenza di Gentile nei confronti del partito di Alfano avrebbe raggiunto il livello di guardia.
E che da tempo ha mandato segnali al Cavaliere. Proprio nell’ambito dell’incontro è maturata una strategia che dalla Calabria porta a Roma.
Dove Gentile è parte di quella operazione “responsabili” che al Senato potrebbe dar vita a un gruppo satellite di Forza Italia, a trazione calabrese.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
DIETRO A “MISTER PREFERENZE” CI SONO 40 PARLAMENTARI, 3 EURODEPUTATI, CENTINAIA DI AMMINISTRATORI… E NOTABILI COME L’EX VICERE’ DI SICILIA LOMBARDO
Quaranta parlamentari, 3 eurodeputati, centinaia di amministratori e una serie di notabili come l’ex vicerè di Sicilia, il “condannato” Raffaele Lombardo, a condire una rete di potere che dalla Puglia arriva alla Sicilia, passando per Calabria, Campania, Abruzzo e Basilicata.
Benvenuti nel regno di Fitto, il giovane “perfettino” cresciuto alla corte del condannato Silvio Berlusconi, che da giorni duella con l’inquilino di Palazzo Grazioli e non intende indietreggiare di mezzo centimetro: “Io continuo il mio lavoro dentro Forza Italia. Il tempo mi darà ragione: devo fare una maratona”.
E Raffaele da Maglie la maratona se la vuole giocare passo dopo passo, e, soprattutto, regione dopo regione.
Tant’è che si schermisce quando uno come Giovanni Toti, consigliere politico di Forza Italia, alza il tiro e minimizza la forza elettorale dell’ex governatore della Puglia: “Senza Berlusconi e i voti che ancora riesce a tirare su, nessuno degli attuali parlamentari sarebbe stato eletto. E questo vale anche per il futuro. Lo stesso Raffaele — continua Toti — non sarebbe mai diventato ministro se non avesse fatto parte di una squadra”.
Ma quale? Per Raffaele questo ragionamento non vale.
Perchè la rete dell’ex governatore della Puglia, oggi europarlamentare con 300mila preferenze da sbandierare e una condanna a 4 anni per finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio, è una rete dal retrogusto democristiano.
“Sto facendo — disse a Gian Antonio Stella del Corriere della Sera durante la campagna elettorale delle Europee — quello che faccio sempre. La mattina i mercati poi visite di luoghi di lavoro, pranzi elettorali, convegni pomeridiani, comizi e avanti così fino alla sera tardi. Viaggio di notte, alle due o tre mi fermo per la tappa successiva, dormo qualche ora e ricomincio”.
E ricomincia dalla sua Puglia, dai “suoi” senatori i pugliesi Vittorio Zizza, Lucio Tarquinio, Luigi D’Ambrosio Lettieri (presidente dell’ordine dei farmacisti di Bari), Luigi Perrone (presidente regionale Anci Puglia), Piero Liuzzi, Francesco Bruni.
Una truppa fittiana che riesce a far ottenere al “bambino” — come lo chiamano da quando aveva da poco finito il liceo scientifico e fu buttato in politica — circa 300 mila preferenze.
A ciò si aggiunge l’altro portatore di consensi, il senatore Francesco Maria Amoruso (senatore).
Poi l’uomo “ombra” che tira le fila a Montecitorio Rocco Palese, l’ex presidente della provincia di Lecce Antonio Gabellone e l’ex sindaco di Lecce Paolo Perrone, figlio di un parlamentare Dc, e incappato lo scorso luglio in una condanna in primo grado a dieci mesi nel processo sulla morte dell’avvocato Carlo Andrea De Pace.
La lista continua e trova nella Campania uno zoccolo del consenso dell’ex ministro agli Affari regionali.
Un consenso dovuto al contributo dei senatori Ciro Falanga, Domenico De Siano e Eva Longo e, soprattutto, dell’ala cosentiniana, nel senso di Nicola Cosentino, ex sottosegretario del governo Berlusconi arrestato lo scorso 3 aprile nell’ambito di un’inchiesta per estorsione aggravata dal metodo mafioso, con l’accusa di avere costretto un imprenditore a chiudere un distributore di benzina a Casal di Principe.
Un drappello di parlamentari che annovera Vincenzo D’Anna e Antonio Milo.
Entrambi senatori ed entrambi intervenuti recentemente per difendere strenuamente il sottosegretario in odore di camorra: “Nel leggere le motivazioni che la sezione feriale della Cassazione ha addotto per confermare la misura cautelare nei confronti di Nicola Cosentino, non si può che restare basiti di fronte all’inconsistenza dei rilievi mossi all’ex parlamentare di Forza Italia ed all’evidente pregiudizio politico che accompagna le decisioni della magistratura nei suoi confronti”.
E ancora: “Non sappiamo quando ancora dovrà durare l’uso improprio della carcerazione preventiva nei confronti di un cittadino nei cui confronti, dopo oltre tre anni di processo, non è emersa una sola prova degna di questo nome che ne attesti la pericolosità sociale”.
Con il capo dei “ribelli” di Forza Italia c’è anche Cosimo Latronico, potente ras della Basilicata, che dal 1990 riveste incarichi politici e da due legislature siede a Palazzo Madama.
Sul territorio, il “bambino” può anche contare del forte sostegno dalla regione Calabria, dove il catanzarese “Pino” Galati, dal ’96 a Montecitorio gravitando sempre in orbita centrodestra, dirige le operazioni politiche da vice coordinatore regionale, e l’ex presidente della provincia di Reggio Calabria Peppe Raffa sfidano a colpi di preferenze l’arcoriana Jole Santelli, ormai entrate nei desiderata di Francesca Pascale.
Ma non finisce qui.
Perchè in terra di Sicilia, dove l’area democristiana è sempre sulla cresta dell’onda manco fossimo nella Prima Repubblica, l’ex ministro del governo Berlusconi si sarebbe affidato a due cavalli di razza delle preferenze: il pupillo di Totò Cuffaro Saverio Romano e l’ex governatore Lombardo, condannato lo scorso 19 febbraio in primo grado dal gup per concorso in associazione mafiosa a 6 anni e 8 mesi di reclusione.
Più una serie di fedelissimi dell’uno e dell’altro, come l’ex capogruppo all’ars del Pdl Innocenzo Leontini (a cui vengono contestate spese per 110mila euro nell’indagine sulle spese pazze dell’Ars) e i parlamentari Antonio Scavone, Giuseppe Compagnone.
Ma, come dice un senatore, “il consenso per Raffaele Fitto potrebbe continuare ad aumentare”.
Includendo ancora indagati e ras delle preferenze?
Giuseppe Alberto Falci
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
LE COLLABORAZIONI A PROGETTO NON SONO PIU’ LA FORMA PREVALENTE TRA I PARA-SUBORDINATI… IN COMPENSO BISOGNEREBBE AGIRE SUL PART -TIME CHE NASCONDE IL NERO
Uno dei punti chiave della lotta alla precarietà del lavoro, su cui il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha intenzione di mettere mano con il Jobs Act, forse non necessita di un intervento del governo.
Si tratta dei Cocopro, le collaborazioni a progetto, una delle forme più flessibili d’ingresso nel mercato del lavoro: secondo il report Datagiovani, pubblicato dal Sole 24 Ore, e sviluppato sui dati dell’Osservatorio sui lavoratori parasubordinati dell’Inps, i collaboratori a progetti sono in calo del 22% nel 2013 rispetto all’anno precedente (-145mila).
Un trend che segue quello del 2012, dove sono diminuiti del 6,5%.
I cocopro non sono più la forma prevalente tra i contratti di lavoratori para-subordinati: questo perchè il calo si è registrato negli ultimi due anni per effetto della Legge Fornero che è intervenuta direttamente sulla questione, fissando paletti precisi. Ora il ‘progetto’ deve essere specifico, ben descritto e collegato a un risultato effettivo e individuabile.
Non solo: il compenso deve essere adeguato alle forme di prestazioni lavorative e comunque legato ai minimi salariali stabiliti da Contratti nazionali assimilabili alle mansioni che si ricoprono.
Non solo: scrive ancora il Sole 24 Ore che “il 30% dei Cocopro ha meno di trent’anni ed è proprio in questa classe che si sono verificate le più gravi perdite numeriche rispetto al 2012 (-30%).
Una classe d’età che guadagna meno di tutti: nemmeno 5mila euro di media, da cui scaturiscono contributi pensionistici di media entità .
Inoltre, un caso su tre i giovani non riescono a vedere accreditato nemmeno un mese di contributi, mentre circa il 44% accantona da uno a cinque mesi di contributi pensionistici”.
Come annunciato dal premier Renzi, il governo con la riforma del lavoro intende intervenire proprio sui contratti a progetto e sui cococo: questi ultimi però, dopo l’intervento del 2003, restano in vigore solo per alcune categorie di lavoratori (professionisti, sindaci di società ecc).
Su altre forme di lavoro precario, invece, per il momento non si è deciso di intervenire, ma bisognerà comunque aspettare i decreti delegati al Jobs Act, dopo l’approvazione della legge delega da parte del Parlamento.
Per avere un’idea chiara ci vorrà quindi del tempo.
“Ma se la legge Fornero sembra aver prodotto risultati positivi sul fronte dei Cocopro, c’è il rovescio della medaglia: secondo Italia Oggi, è in costante crescita il lavoro part-time, ma dietro un terzo dei contratti si nasconde “una quota di lavoro non dichiarata”. Nero, quindi:
Nel 2000 gli occupati a tempo parziale erano meno di tre milioni, nel 2013 sono diventati più di quattro milioni, con una crescita del 40%. Ma la progressione più significativa si è registrata negli ultimi anni, quelli della crisi economica e della riforma Fornero.
Secondo l’Istat, in parallelo è cresciuto anche il fenomeno dei falsi part-time, contratti che nascondono in realtà un tempo pieno o strumento di flessibilità in grado di adattarsi senza troppe complicazioni alle esigenze produttive dell’azienda.
Più di un quinto di questi contratti sarebbe fasullo. Le ore realmente lavorate sarebbero il 40% in più di quelle dichiarate”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
IL LEADER DEI METALMECCANICI RILANCIA IL NO ALL’ABOLIZIONE DELL’ART. 18
«Il governo deve sapere che noi siamo pronti ad occupare le fabbriche se dovesse passare la linea della riduzione dell’occupazione, dei diritti e del salario dei lavoratori. Una linea che potrebbe trovare una prima applicazione alla Thyssen di Terni. Per noi sarebbe inaccettabile », dice Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, da Atene dove partecipa alla festa di Syriza, il movimentodi Alexis Tsipras
E voi occupereste la fabbrica?
«Non possiamo accettare il licenziamento di 250 lavoratori e la riduzione del salario. È questo che ci stanno proponendo ed è questo che il governo ci sta chiedendo di accettare. È un modello che sta avanzando: l’abolizione dell’articolo 18 e dell’attuale sistema contrattuale con la possibilità di derogare al contratto nazionale come prevede l’articolo 8 della cosiddetta “legge Sacconi” e come chiese la Fiat».
Il governo, però, è pronto a preparare una legge sulla rappresentanza sindacale, come chiede la Fiom, e spinge per rafforzare la contrattazione in azienda. Ci stareste?
«No. La verità è che Renzi ha scelto il conflitto e lo scontro. Dietro l’operazione sull’articolo 18 c’è questo, mentre ci sarebbe bisogno di unità nel Paese, di un rilancio della contrattazione nazionale, dell’affermazione del diritto dei lavoratori di scegliere i propri rappresentanti e di decidere sui contratti che li riguardano. Non c’è nessuno scambio da fare. Da una parte Renzi realizza l’operazione 80 euro e dall’altra chiede al tanto vituperato sindacato di fare accordi per la riduzione del salario e dell’occupazione».
Questo sarebbe il progetto del premier Renzi?
«Sì. Riaprire in questo modo la partita sui contratti aziendali vuol dire andare verso la deregulation, vuol dire il modello Fiat».
Ma la legge sulla rappresentanza è proprio una richiesta della Fiom.
«Certo che è una nostra richiesta. Ma ripeto: non ci sono scambi possibili sul modello contrattuale».
Non crede che i bassi salari dei lavoratori italiani dipendano anche dal sistema contrattuale?
«No. I bassi salari dipendono dai bassi investimenti e dalla bassa qualità dei prodotti. Non a caso dove si investe lo spazio per la contrattazione aziendale integrativa è significativo perchè c’è ricchezza da distribuire. La imprese non sono tutte uguali. Quelle di piccole dimensioni oggi soffrono di più. C’è bisogno di far ripartire gli investimenti e spetta al governo indicare le politiche industriali per i settori.
Tutto questo non ha nulla a che vedere con l’articolo 18 che andrebbe semplicemente tolto dal tavolo».
Lei è però d’accordo sulla proposta di Renzi di mettere in busta paga il Tfr.
«Sì. È una proposta che la Cgil ha avanzato prima con Trentin e poi con Cofferati. E a dicembre siamo stati noi della Fiom a riproporla. Il Tfr è salario differito dei lavoratori ed è giusto che possano decidere loro quando riceverlo ».
Squinzi dice che le aziende non possono permetterselo perchè “sparirebbero” tra i 10 e i 12 miliardi.
«È davvero paradossale sentir dire che gli imprenditori italiani fanno i capitalisti con i soldi dei lavoratori. Credo che i lavoratori possano volontariamente decidere cosa fare del proprio Tfr e penso che il governo dovrebbe defiscalizzare tutti gli aumenti salariali anzichè prevedere lo sconto per le ore di straordinario».
Landini, lei pensa che sabato a Roma alla manifestazione di Sel, con la sua partecipazione quella di Civati, si siano messi i germogli di un nuovo movimento della sinistra?
«Non lo so. Proprio perchè rivendico l’autonomia del sindacato mi confronto con tutti coloro che me lo chiedono e pensano che ci sia bisogno di un’altra idea di Europa, fondata sui diritti e sul lavoro».
Roberto Mania
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
LE REGOLE SUL LAVORO ESCLUSE DAI TRATTATI
L’Europa non ha voce su rappresentanza sindacale, contratti e salari.
Non ne ha diritto, perchè quando i governi si sono dati i Trattati e le regole per governare il mercato interno hanno tenuto per sè il diritto di decidere su lavoro e connessi.
Le competenze sono rimaste nelle capitali, circostanza che si manifesta nella difformità di codici e comportamenti.
Anche quando si è occupata della materia, l’Ue l’ha toccata con la punta del dito.
«Si propone che la Commissione valuti, eventualmente, l’ipotesi di un quadro giuridico facoltativo europeo per gli accordi societari transnazionali», ha chiesto l’Europarlamento nel 2013.
Testo di cornice, ipotetico, finito nel limbo dei desideri non accolti.
Del resto si tratta di materie difficili da discutere a livello europeo. Un salario minimo per tutti i Ventotto sarebbe impensabile: qualunque fosse la soglia fissata, risulterebbe troppo bassa per alcuni e troppo alta per altri.
Chi lo vuole, se lo fa, opzione scelta dalla maggior parte degli stati europei, ma non da Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria, Cipro e Italia, che delegano le decisioni al confronto fra le parti sociali. In Francia sono 9,53 euro l’ora almeno, in Spagna scendono a 5,57, in Grecia a 5,06, mentre nel Regno Unito si torna a 6 sterline e mezzo (8,30 euro ai valori attuali).
In Svizzera, fuori dall’Ue, un referendum ha bocciato fra la sorpresa la paga minima di 4000 franchi per tutti (3250 euro).
In Germania è passata in luglio una legge che introduce una soglia minima per le retribuzioni a livello federale da gennaio, rivoluzione che smosso anche Roma.
L’approccio tedesco alla contrattazione è peculiare, ma efficace, a vedere i risultati su occupazione e attività . Posto che in Italia si lavora su due livelli – contratti nazionali di settore e integrativi aziendali basati su redditività , produttività , qualità -, in Germania si parte dalle regioni. Si sceglie un «land» rappresentativo e si chiude un’intesa a livello locale che, in seguito, viene estesa a tutte le altre regioni.
Fatto questo, ciascuna impresa contratta poi il proprio livello salariale che non può scendere sotto il livello distrettuale.
Nel Regno Unito non c’è contratto nazionale collettivo di settore, il sindacato discute azienda per azienda.
In Francia si negozia su tre livelli (nazionale, settoriale, aziendale): obbligatoria la contrattazione annuale di categoria sul salario minimo e ogni cinque anni sull’inquadramento professionale, senza però obbligo di raggiungere un’intesa.
Interessante il sistema scandinavo.
Ci sono contratti nazionali per tutti i settori in cui vengono stabilite solo condizioni di perimetro, mentre gli aspetti più specifici vengono demandati al confronto aziendale.
Qui, le materie in campo sono numerose e sensibili, riguardano i salari e i benefit.
Il sindacato svolge un ruolo diverso rispetto a quello a noi familiare, paga i sussidi ed ha un ruolo di mediatore fra domanda e offerta del lavoro. Insomma si sostituisce con frequenza alla mano pubblica.
Nel Grande nord, il sindacato nel consiglio delle grandi aziende è la regola.
In quasi tutti i paese europei la rappresentanza è disciplinata per legge (non in Italia).
In Germania si prescrive l’esistenza di una rappresentanza sindacale in ogni azienda con più di dieci dipendenti, mentre oltre i duemila si richiede un consiglio di sorveglianza in cui azionisti e lavoratori si spartiscono le poltrone.
In Francia le prerogative del consiglio aziendale sono ampie, possono impegnare un pacchetto di licenziamenti e chiedere l’intervento di un mediatore.
Qualcuno potrebbe dire che non hanno aiutato l’economia transalpina negli ultimi anni.
Ma questo, è un altro discorso.
Marco Zatterin
(da “La Stampa”)
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
SULLA SOCIETA’ DELLA DEPUTATA GRAVANO DEBITI VERSO LE BANCHE PER 3,7 MILIONI DI EURO… ALLEATA NELL’OPERAZIONE PAOLA FERRARI
Daniela Santanchè prosegue a passi decisi verso l’integrazione della sua Visibilia Editore con la società di comunicazione Pms, tramite cui porterà in Borsa i suoi tre periodici Ciak, VilleGiardini e Pc Professionale.
Obiettivo: andare a caccia di nuova liquidità per espandere ulteriormente il business.
Il cda di Pms ha già approvato la fusione con il polo editoriale della deputata berlusconiana e votato un aumento di capitale in due tranche che le permetterà di entrare nel capitale e arrivare all’85% della nuova società che avrà in pancia le tre testate.
Intanto, proseguono gli incontri in Piazza Affari con la comunità finanziaria per preparare il debutto, perchè l’imprenditrice di Cuneo ha tutto l’interesse per cercare a breve risorse sul mercato. Infatti la fusione con Pms (tecnicamente un reverse take over, in altri termini quando una società entra dentro un’altra e ne assume il controllo) è stata pensata proprio perchè la società di comunicazione era già quotata sul listino Aim e poteva rappresentare una strada più agevole attraverso cui portare in Borsa il polo editoriale dei tre magazine che, secondo il Piano industriale 2014-2018, dovrebbe chiudere quest’anno con circa 3,3 milioni di ricavi e un margine operativo lordo di 543mila euro per arrivare, tra cinque anni, a un fatturato di 5 milioni e un margine operativo di 593 mila euro.
Il tutto però con un utile atteso di soli 16mila euro per il 2014 e uno stimato a fine piano contenuto sui 109mila euro.
Inoltre su Visibilia Editore pesano debiti verso le banche per 3,7 milioni di euro.
Quali banche? Tre: la Popolare di Milano, la Popolare di Sondrio e il gruppo Credito Valtellinese.
Servono quindi risorse per potenziare il business e da qui nasce la scelta della quotazione passando attraverso Pms che ha perso il suo fondatore Patrizio Maria Surace, scomparso nel 2012, e ha archiviato lo scorso esercizio in rosso per 849mila euro.
Una volta completata la fusione con il polo editoriale dei tre periodici che conferirà asset per 1,8 milioni, Pms cambierà nome in Visibilia Editore e la vedova Surace Elena Rodriguez Palacios rimarrà con una quota intorno al 12 per cento.
In tutta questa operazione, l’esponente di Forza Italia ha saputo trovare pure un’alleata dagli agganci trasversali, Paola Ferrari, ex conduttrice Rai della Domenica Sportiva e sposata con Marco De Benedetti, figlio dell’editore di Repubblica e managing director in Italia del fondo di private equity Carlyle. Ferrari è entrata in Visibilia Editore, tramite la Alevi, con una quota al 33,3% mentre il restante 66,7% è saldamente nelle mani della Santanchè.
In aggiunta nel cda di Visibilia Editore compare Gianni Di Giore, ad del Foglio di Giuliano Ferrara, detenuto da Paolo Berlusconi e partecipato al 21,4% dal senatore di Forza Italia e uomo di fiducia di Silvio Berlusconi Denis Verdini.
Tra la speranza di nuovi fondi e l’appoggio della coppia Ferrari-De Benedetti, non a caso la Santanchè ha mostrato interesse anche per l’Unità in liquidazione.
Ma perchè la Pitonessa scommette sul binomio editoria e Borsa?
Perchè, oltre a dover rilanciare il suo polo editoriale, l’imprenditrice-politica è a capo della concessionaria Visibilia con cui i tre periodici (e nuove possibili testate da acquisire) possono sviluppare immediate sinergie.
E in particolar modo perchè anche la società di raccolta pubblicitaria ha i suoi problemi: ha perso progressivamente alcuni incarichi finendo per chiudere il 2013 in rosso per 537mila euro (contro la perdita 2012 di 32mila euro).
I debiti verso le banche sfiorano i 15 milioni di euro, il fatturato è sceso intorno ai 13 milioni di euro dai precedenti 21 milioni e l’ebit è diventato negativo per 243mila euro (positivo l’anno prima pari a 424mila euro).
In forse c’era persino l’unico contratto importante che rimaneva, quello con il Giornale di Paolo Berlusconi diretto dal compagno della Santanchè, Alessandro Sallusti.
Per fortuna nei giorni scorsi Sallusti è stato confermato alla direzione direttamente da Silvio Berlusconi e anche Visibilia è riuscita a essere riconfermata come responsabile di una raccolta che vale circa 12 milioni.
Camillo Dimitri
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
ORA L’IMPRENDITORE PUNTA GLI OCCHI SU RAPALLO… VUOLE CREARE RESORT DI LUSSO E LOCALI, CON LA BENEDIZIONE DEGLI AMMINISTRATORI DI CENTRODESTRA
«L’Italia ha perso grip», ma a ridarglielo ci penserà lui, Flavio Briatore, che dopo la Costa Smeralda (Billionaire) e Forte dei Marmi (Twiga), ha messo gli occhi su una perla un po’ d’antan del turismo tricolore: Rapallo, che finiti i fasti del dopoguerra è diventata un tranquillo ritiro per pensionati.
Guidato dal giovane neo sindaco di centrodestra, Carlo Bagnasco, e accompagnato dal petroliere Gabriele Volpi, idolatrato in Liguria perchè ha investito con successo sullo Spezia Calcio e sulla Pro Recco di pallanuoto, Briatore ha visitato giorni fa due ville d’epoca, entrambe di proprietà comunale, con l’obiettivo di realizzare un resort di lusso e un Twiga 2
«Basta vecchietti che vengono qui per comprare il gelato», è il mantra dell’ex manager della Formula 1 e del socio ligure:«dobbiamo puntare sul turismo di lusso».
E il sindaco gongola: «Agevoleremo i progetti di Briatore e Volpi: voglio vedere Rapallo su “Chi” come location dei gossip estivi sui vip».
V. C.
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
ORMAI DETERIORATI I RAPPORTI TRA IL SINDACO DI PARMA E CASALEGGIO… MA AL CIRCO MASSIMO CI SARA’
A pochi giorni dalla kermesse del Circo Massimo, Beppe Grillo e Federico Pizzarotti sono ai ferri corti, cortissimi.
Secondo il Fatto Quotidiano, il sindaco M5S di Parma avrebbe mandato ai parlamentari grillini alcuni sms in cui li invita a prendere le distanze dai vertici del Movimento: “Mollate Grillo, se non lo fate il Movimento si sgretola e voi sarete i primi responsabili”, scrive Pizzarotti.
Un allontanamento che si è consumato nel tempo, quello tra il sindaco e i leader del Movimento: l’ultimo smacco subito dal primo cittadino di Parma è stata la sua esclusione dall’elenco degli oratori che saliranno sul palco del Circo Massimo. Casaleggio, però, è tranquillo: “Pizzarotti si farà fuori da solo”, riporta ancora il FQ.
Non solo: in un’intervista al Messaggero, capitan Pizza conferma la sua partecipazione nonostante sia stato messo da parte: “Certo che vado, io cerco il confronto”.
Alla domanda sulla possibilità di discutere apertamente anche dei problemi all’interno del Movimento 5 Stelle, dice di non sapere se ci sarà lo spazio: “Non lo so, ma io ci vado”.
E chi illustrerà le criticità ? “Bella domanda, è proprio questo il nodo centrale”, dice il sindaco.
E sul perchè l’esperienza di Parma, la prima grande città conquistata dai grillini, non sembri interessare più ai vertici, Pizzarotti glissa: “Beh, non dovete chiedere a me”.
Il sindaco di Parma ha comunque assicurato la sua presenza al gazebo che rappresenta la sua città durante la kermesse.
“Sarò tra le persone”. Lui che nei giorni scorsi aveva espresso l’auspicio di non trasformare la ‘tre giorni’ in una “passerella” al Circo Massimo, ma di creare piuttosto un’occasione di confronto e dibattito.
Su Facebook aveva scritto: “Leggo che in una domenica priva di notizia si vuole polemizzare sul Circo Massimo. Non e’ importante chi c’è o non c’è sul palco, ma le idee che si esprimono e le relazioni che si creano. Non ho chiesto di salire, lascio come sempre le valutazioni a chi organizza, rimanendo a disposizione. Ci sarà il gazebo di Parma al nostro evento, e io sarò li’, tra la gente, come ho sempre fatto e come continuerò a fare. Domani sarò alla Camera dei Deputati per parlare della rivoluzione copernicana che stiamo apportando al Welfare di Parma. Il Paese non ha bisogno solo di persone, ma soprattutto di idee”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
L’EURODEPUTATA DEL PD, FUTURA CANDIDATA ALLE REGIONALI IN CAMPANIA, IMPAZZA NEI TALK SHOW… COLLEZIONANDO GAFFE, BANALITA’ E RETORICA
Avverte che oggi «il Paese ha bisogno di simboli».
Considera opportuno «ridare un’anima all’Europa».
Osserva che è necessario «fornire risposte concrete».
Rileva che l’Italia «deve correre: non può più aspettare».
Esorta a «stare sempre in prima linea, tra la gente».
Sentenzia che «i primi a cambiare dobbiamo essere noi».
Ritiene indispensabile «scendere in campo e fare, ciascuno, la sua parte» ….
Chi è che si esprime con tanta alacre determinazione sulla difficile situazione economica dell’Italia e non solo dell’Italia?
Chi ne indica con tanta acutezza gli indispensabili rimedi salvifici?
Chi ci sprona con tanta perentorietà a realizzarli con urgenza?
È Pina Picierno (33 anni, da Santa Maria Capua Vetere, già deputata del partito democratico, poi neo-parlamentare europea e ora, anche, probabile candidata a governatore della Campania: invidiabile carriera no-stop).
Osservatela, in tv, quando partecipa a un talk show con qualche collega: è bruna, piacente, con grandi occhi scuri, sempre grintosa e piuttosto elegante ma, ahimè, ha un piccolo difetto: è tanto noiosa.
Infatti, anzichè discutere con gli altri ospiti nello studio, cerca di guadagnarsi tutta la scena dispensando loro enunciazioni enfatiche, cedendo al politichese e affastellando gaffe, retorica e banalità .
Il peggio è che, probabilmente, alla fine di ogni suo pregnante e alluvionale intervento, l’onorevole ritiene di essere stata bravissima.
Qualcuno glielo dica.
Guido Quaranta
(da “L’Espresso”)
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