Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
E’ LA LIBRERIA CON LA PIU’ ANTICA SEDE D’ITALIA FREQUENTATA DA STENDAHL, MANZONI, DICKENS, MONTALE
Nelle more di un gustoso libriccino (un taschinabile, si direbbe) è raccontata la “Piccola storia di una libreria genovese”.
Parole e stampe di Tonino Bozzi che vi raccoglieva aneddoti e testimonianze di quella che è la libreria d’Italia dalla sede più antica, quella che aprì a un pubblico di lettori già istradati dal secolo dei lumi e in odor di carboneria, almeno da queste parti, il signor Boeuf, dal 1810 in Strada Nuovissima.
Dove è rimasta, assistendo al mutamento toponomastico (via Cairoli).
Longevità che rischierebbe di interrompersi (la parte nuova del complesso sta approssimandosi alla fine locazione, il 31 dicembre venturo), non fosse per il ministro per i Beni Culturali, Dario Franceschini, che nei giorni scorsi ha annunciato un provvedimento volto alla tutela delle librerie storiche italiane per vincolare le destinazioni d’uso delle stesse con una direttiva a tutte le Soprintendenze.
In altre parole, niente scatolame, chincaglieria, jeans. Non diventeranno garage – per auto, vecchi, profughi clandestini – vi potranno sostare unicamente libri.
“Si tratta – ha spiegato il ministro – di un intervento a tutela del patrimonio culturale italiano e soprattutto di un segnale di attenzione verso un settore che in pochi anni ha vissuto cambiamenti fortissimi. La tutela delle librerie storiche rappresenta un segno di attenzione che ha radici profonde nel nostro Paese”.
È già qualcosa: una firma, solo una firma e senza tirar fuori un centesimo; del resto il valore in questione si riferisce a un patrimonio di tutti, immateriale e non quantificabile, la cui perdita tuttavia potrebbe avere ripercussioni senza alcun rimedio. Non solo per l’aspetto per così dire estetico del locale: una libreria è una stratificazione di idee, carte, fogli, inchiostri, ripiani, ha un peculiare profumo (d’antico, oggi si può dire a ragione) ma più ancora è il simbolo dell’intelligenza, della cultura e delle speranze di una comunità .
E i genovesi, cha hanno assistito con qualche sobbalzo a metamorfosi anche violente, di volta volta un po’ stupiti, un po’ rimpiangendo per poi mugugnare pro forma contro il fato, raramente si sono esposti a chiedere che un brandello del loro patrimonio di idee, memorie e appunto speranze se ne andasse travolto da una qualche crisi o dalla prospettiva di un affitto più conveniente.
“Questa libreria – racconta Tonino Bozzi – è un elemento caratterizzante per la città , i libri sono un deposito di memorie della cultura, qui sono entrati Stendahl, Manzoni, Dickens, Montale.
Nel 1866 vi fu fondata la società di Letture e Conversazioni Scientifiche. Le librerie storiche si chiamano così perchè hanno alle spalle una loro storia, ma anche delle storie da raccontare. Spesso hanno svolto un ruolo non trascurabile nella vita delle loro città e forse sarebbe utile che i librai, che tuttora le conducono, cercassero di evocare quei momenti in cui il loro ruolo ha avuto un peso, se non altro come luogo di ritrovo e discussione, nell’evoluzione civile cittadina”.
Quanto a suo tempo aveva intrapreso Antonio Boeuf, giunto dalla Francia napoleonica a Genova nel 1807.
Si impiega nella tipografia dei librai Gravier, dove si stampano e vendono libri, carte, gazzette (la sapiente tradizione europea dei Manuzio e i de Bry), si affranca e nella via Novissima apre una libreria, stamperia enciclopedica.
Ne persegue fini tanto commerciali quanto culturali, così i suoi discendenti, che arrivano sino agli anni venti del Novecento, e di parentela in successione si arriva alla famiglia Bozzi, così la libreria dal 1930. “E mio padre nel 1932, sfidando l’ideologia del regime, pubblicò ‘Critica della pena di mortè del giovane socialista Paolo Rossi. Il libro fu sequestrato e procurò al suo editore un’immeritata fama di sovversivo che più tardi, all’epoca della Resistenza, gli procurò non poche noie”
Un librario a bene vedere sovversivo, almeno quanto basta, lo è costituzionalmente, più del lettore di cui “decide la dignità “.
Non è il sacerdote del passato, piuttosto, come gli uomini libro di Fahrehneit 451, è l’amorevole custode di qualcosa che ha a che vedere con il futuro.
“Le librerie storiche – conlude Tonino Bozzi – sono un argine contro l’omologazione che è tanto ‘modernà e comoda, ma fa perdere carattere alla città e disperde al vento qualcosa di indefinito che non sta solo nel cuore dei tradizionalisti, ma di tutti. Tutti i locali storici caratterizzano le loro città e, finchè resistono, sono luoghi dove la memoria delle città si accumula senza impolverarsi”.
Stefano Bigazzi
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
PER LA SERIE “FACCIAMOCI RIDERE DIETRO DA TUTTA EUROPA”, PUNTUALE ARRIVA UN’INTERROGAZIONE DEL LEGHISTA-ESIBIZIONISTA BUONANNO A JUNCKER
Il big match di Serie A arriva sul tavolo del presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker.
L’arbitraggio di Juve-Roma è stato “scandaloso”, secondo l’eurodeputato leghista Gianluca Buonanno che ha presentato un’interrogazione alla Commissione europea affermando che “urge un rapido e urgente ripensamento sulle designazioni arbitrali per le partite di cartello con squadre quotate in borsa”.
Sostenendo che “certe ‘strane’ decisioni non incidono solo sul risultato della partita ma anche sul portafoglio dei risparmiatori e degli scommettitori”, Buonano chiede all’esecutivo di Bruxelles “di attivarsi per garantire l’imparzialità degli arbitraggi nei campionati nazionali attraverso la strutturazione di un meccanismo di nomina di arbitri internazionali di riconosciuta fama, onestà ed integrità morale”.
Inoltre Buonanno chiede alla Commissione “di sollecitare e coinvolgere l’Uefa nell’adozione di questo nuovo meccanismo di designazione arbitrale internazionale e di chiamare in audizione pubblica Michel Platini a fare il punto della situazione sugli arbitraggi relativi a squadre quotate in borsa”.
Buonanno è il leghista-esibizionista che non perde occasione per finire in cronaca, a costo di portare persino una sogliola in Parlamento.
Invece che preoccuparsi del campionato mondiale patrocinato dalla Padagna, stavolta sconfina nell’odiata Italia e si mette nelle mani del “nemico europeo”.
Chi si aspettava una battaglia anti-euro da parte della Lega, si accontenti per ora dell’interrogazione su come designare gli arbitri di calcio.
I partiti de-ideologizzati, come dice il premier, ormai sono interessati più al pallone che alle palle raccontate da Renzi.
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
RAMPELLI CHIEDE AL GOVERNO DI RISPONDERE “SU DUE RIGORI INESISTENTI E UN GOAL IN FUORIGIOCO”… GLI FA ECO MICCOLI (PD) SENSIBILE ALLE QUOTAZIONI IN BORSA… ECCO I VERI PROBLEMI DELL’ITALIA
Due interrogazioni parlamentari al ministro dell’Economia sugli errori arbitrali di Juventus-Roma e un esposto alla Consob per capire “se ci possono essere stati atti che ledono le normative vigenti, svantaggiando e penalizzando gli incolpevoli azionisti” delle due società calcistiche. €
Più, fuori dalla politica, le risposte del mondo juventino alle accuse di capitan Totti e della Roma e le ripercussioni in Borsa.
Nel giorno successivo al big match di Torino, le polemiche non si spengono. Anzi: arrivano persno all’interno del Parlamento.
La politica: due interrogazioni e l’esposto alla Consob
Iniziative bipartisan, dal Pd a Fratelli d’Italia-An.
Sul fronte dem è il deputato del Pd Marco Miccoli ad annunciare l’interrogazione parlamentare a Pier Carlo Padoan ed un esposto alla Commissione nazionale per le Società e la Borsa dopo i fatti che si sono registrati ieri sera durante Juventus-Roma. Durante la partita, oltre ai penalty e ai cartellini rossi, ha fatto discutere la posizione di Vidal sul terzo gol di Bonucci, quello che ha deciso il match.
“Ricordo — dice — che Roma e Juventus sono società quotate in borsa, e quindi gli incredibili errori arbitrali (oltre a falsare il campionato e minare la credibilità del Paese) incidono anche sugli andamenti della quotazioni borsistiche. Per questo, con i miei atti parlamentari ispettivi, sollecito il Ministro Padoan e la Consob a chiarire se ci possono essere stati atti che ledono le normative vigenti, svantaggiando e penalizzando gli incolpevoli azionisti”.
E secondo Miccoli la partita non ha sollevato soltanto problemi di carattere economico.
”Ritengo anche che la partita di ieri, trasmessa in tutto il mondo, abbia dato una pessima immagine del Paese. Meritocrazia e qualità vengono messi in secondo piano a favore di decisioni errate. Più che dell’articolo 18, sono sicuro che gli imprenditori stranieri siano messi in fuga soprattutto da questa arbitrarietà e mancanza di certezza nell’applicazione delle regole, assolutamente impensabile in qualsiasi altra parte del mondo civilizzato.A Roma c’è l’americano Pallotta che continua ad investire in Italia. Speriamo che ieri non abbia visto la partita. O, almeno, che l’abbia dimenticata in fretta…”, conclude l’esponente della maggioranza.
Un’altra interrogazione parlamentare, sempre diretta a Padoan, viene dai banchi di Fdi-An, annunciata su Facebook dal capogruppo alla Camera Fabio Rampelli. “Stamane — scrive — presento un’interrogazione parlamentare su Juventus-Roma e sul comportamento dell’arbitro Rocchi che avrebbe potuto e potrebbe far scaturire incidenti dalle conseguenze incalcolabili. A tutto c’è un limite — prosegue — Gli italiani pagano fior di quattrini per il campionato di calcio e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Delrio, che detiene la delega allo sport, ha il dovere di spiegarci come intenda garantire risultati ottenuti per esclusivi meriti sportivi”. Rampelli ricorda inoltre che “i commentatori delle varie trasmissioni televisive”, come “migliaia di utenti di decine di emittenti in tutta Italia, appartenenti a ogni tifoseria”, ”hanno gridato allo scandalo in maniera unanime dopo la visione in moviola degli episodi da cui sono nati i goal della Juventus“.
Secondo Rampelli “assegnare due rigori inesistenti e un goal in fuorigioco, determinando matematicamente la vittoria della partita, può significare attribuire i punti sufficienti per l’assegnazione finale del titolo, ma anche condizionare l’andamento in borsa delle società quotate, alterare per importi milionari i premi delle scommesse regolari”.
Per Rampelli, “se la Figc e la Lega calcio, che non prendono iniziative per introdurre la moviola in campo e limitare il potere discrezionale dei giudici di gara, vogliono rischiare che lo scudetto sia assegnato aldilà dei valori in campo, oltre a pagare gli arbitri e paghino tutto il resto”.
L’esponente di Fdi conclude affermando: “E’ pressochè certo che non si debba far tirare fuori agli italiani un solo euro per lo svolgimento di un torneo falsato dagli errori o dai favori già accertati in passato”.
Chi pensava che i problemi dell’Italia fossero la disoccupazione e il lavoro è servito.
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
IMPRESE FINANZIATE DALLE BANCHE, MA LA NORMA E’ INCOSTITUZIONALE PERCHE’ ESCLUDE GLI STATALI… DUE MILIARDI DI TASSE IN PIU’ ALLO STATO
Doppio stipendio a febbraio. Per i lavoratori che lo chiederanno, potrà essere questo l’effetto dell’”operazione anticipo Tfr”.
Nonostante l’opposizione delle imprese, il governo ha deciso di provarci. Il progetto non è stato affatto abbandonato. A Palazzo Chigi i tecnici ci stanno lavorando. C’è già una bozza di proposta di otto cartelle
«Mi piacerebbe che dal prossimo anno i soldi del Tfr andassero subito in busta paga», ha detto ieri il presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
Fine di quello che il premier ha definito lo «Stato mamma» che decide per i lavoratori, considerati incapaci a gestire le proprie risorse finanziarie.
Il Tfr (il trattamento di fine rapporto, detto anche liquidazione), pari più o meno a uno stipendio all’anno, è un flusso annuo pari a circa 27 miliardi di euro che serve all’autofinanziamento delle piccole imprese oppure ad alimentare i fondi pensionistici integrativi dei lavoratori dipendenti. Un’enorme quantità di risorse che potrebbe dare un impulso – nell’impostazione del governo – ai consumi.
Renzi pensa di doppiare l’operazione 80 euro, ma le differenze sono notevoli: gli 80 euro sono frutto di uno sgravio fiscale per i redditi più bassi, il Tfr non è altro che salario differito dei lavoratori
Domani nella Sala Verde di Palazzo Chigi Renzi ha deciso di parlarne direttamente con i sindacati e con la Confindustria.
Per le casse dello Stato di prospettano nuove entrare: da un minimo di 1,7 miliardi a un massimo di 5,6 miliardi nel caso aderissero tutti i lavoratori.
Per le imprese, che di fatto godono di un prestito da parte dei lavoratori, l’operazione sarà neutra con un meccanismo di anticipazione e traslazione del credito maturato dai lavoratori dalle imprese alle banche.
Il perno della proposta è la volontarietà . Ciascun lavoratore deciderà se ricevere l’anticipo del Tfr maturato nell’anno precedente
Potrà anche scegliere se trasferire in un’unica tranche, a febbraio appunto, nella busta paga tutto l’ammontare maturato nell’anno precedente, oppure distribuirlo lungo l’arco dei dodici mesi.
Per ora resteranno fuori dall’operazione i lavoratori che hanno già deciso di destinare il proprio Tfr a un fondo pensionistico complementare. A meno che tale opzione non sia già prevista dal contratto collettivo di categoria che ha istituito il fondo.
Per le aziende non dovrebbe cambiare sostanzialmente nulla.
Perchè nel meccanismo suggerito dai tecnici, l’erogazione verrebbe finanziata da un apposito “Fondo anticipo Tfr” (Fatfr) costituito dalle banche e dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp), oppure solo dalle banche previo accordo con l’Abi, l’Associazione degli istituti di credito. Dunque le aziende – si legge nella nota – «continuano ad operare come oggi senza alcuna modifica nè nei loro costi nè nell’esborso finanziario, versando (come prevede l’attuale normativa) il Tfr all’Inps (le imprese con più di 50 addetti), o versandolo ad un fondo integrativo, o seguitandolo ad accantonare in bilan- cio (imprese con meno di 50 addetti) ».
Centrale il ruolo delle banche.
I tecnici hanno ipotizzato due vie: la costituzione di un Fondo ad hoc, come abbiamo visto, con la partecipazione degli istituti e della Cdp; oppure un accordo con le banche in base al quale il prestito sia erogato dagli istituti di credito, garantiti della Cdp, a sua volta garantita dal Fondi di garanzia presso l’Inps.
Al di là degli annunci, si tratta di materia complessa, già affrontata e scartata in passato, definita da molti come il tentativo di “raschiare il fondo del barile”, spacciando per elargizione quelli che sono soldi del lavoratore privato. Su cui si pagherebbero più tasse, fermo restando che non puoi pretendere di discriminare il dipendente pubblico, è palesemente incostituzionale.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
PASSA IL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA, IL CUPERLIANO OLIVERIO
Non è ancora ufficiale ma dai dati che stanno pian piano affluendo nella sede del Partito Democratico emerge chiaramente che è Mario Oliverio, commissario della Provincia di Cosenza ex deputato ed uno dei principali esponenti dell’area Cuperlo, a vincere le primarie aggiudicandosi la candidatura a Presidente della Regione Calabria per il centrosinistra.
Oliverio ha vinto la sfida con il renziano sindaco di Pizzo (Vibo Valentia) Gianluca Callipo, mentre al terzo posto si sta attestando il primo cittadino di Lamezia Terme ed esponente di Sel, Gianni Speranza.
La differenza di voti tra Oliverio e Callipo rendono ormai difficile una possibile rimonta del candidato renziano.
Oliverio ha vinto con un ampio margine nelle province di Catanzaro e Cosenza, primo, anche se con uno scarto inferiore, risulta anche nel crotonese.
Nel vibonese i due maggiori contendenti pareggiano quasi i conti.
Nel reggino Oliverio vince nei comuni della provincia ma perde terreno nel capoluogo di provincia.
Sull’esito del voto, almeno per il momento, bocche cucine da parte di tutti e tre i candidati i quali attendono di conoscere i dati ufficiali.
È molto positivo, contrariamente a quanto avvenuto in Emilia Romagna, il dato sull’affluenza che vede superare di gran lunga le 110 mila persone che hanno espresso il loro voto alle primarie.
Nel 2010, in occasione delle primarie di coalizione vinte da Agazio Loiero, il dato dell’affluenza fu di poco inferiore alle 100mila persone.
La grande festa delle primarie è stata turbata anche da alcune polemiche su presunte irregolarità ed un ipotetico «inquinamento» del voto da parte di esponenti del centrodestra.
A dar fuoco alle polveri è stato Gianni Speranza il quale ha denunciato episodi «gravi – ha detto – di seggi mancanti, esponenti del centrodestra al voto per le primarie del centrosinistra e irregolarità nelle procedure di voto da diverse parti della regione». Altra polemica è scoppiata a Sibari dove l’associazione «Essere Sinistra per la Calabria» ha denunciato la mancata apertura di un seggio.
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
LA CHIESA DI FRANCESCO CONTRO L’ANNUNCITE
Monsignor Nunzio Galantino è la voce dei vescovi italiani più vicina a papa Bergoglio e ieri ha pronunciato di nuovo parole dure sull’annuncite e la confusione del governo Renzi: “Senza sinergie non si va da nessuna parte. Se il governo pensa di andare avanti da solo perderà pezzi di gente, pezzi di consenso”.
E ancora: “Tenendo l’orecchio appoggiato alla storia comune della gente vediamo i limiti di certe agende politiche, bisogna mettere al centro la famiglia, la formazione, il lavoro, i nostri giovani; quando non si fa questo si tradiscono le attese della gente”. Ma la frase più forte è riservata al populismo renziano degli 80 euro, con chiaro riferimento alle ultime elezioni europee: “Per le famiglie non servono soluzioni di corto respiro che trovano ossessiva pubblicità o facili consensi”.
Il segretario generale della Cei, prima ad interim poi confermato da Francesco ad quinquennium, ha parlato ieri a Pompei, dove è stata celebrata la tradizionale supplica alla Madonna del Rosario, e nell’immediata vigilia dell’apertura del sinodostraordinario sulla famiglia.
Il pugliese Galantino, che è rimasto vescovo di Cassano all’Jonio, la più piccola diocesi della Calabria, aveva già criticato l’esecutivo dieci giorni fa con gli stessi toni e gli stessi concetti di ieri: “Basta slogan, si ridisegni l’agenda”.
Un’uscita interpretata come una rottura tra la Chiesa italiana e il governo Renzi ma che poi Galantino si premurò di chiarire più o meno in questo modo: “Non c’è nulla da strappare perchè non siamo mai stati vicini”.
Il segretario della Cei aderisce infatti alla lettera al nuovo corso di papa Bergoglio che si pone all’opposto della gestione Bagnasco della Cei, segnata dal trasversalismo ruiniano dopo la fine dell’unità politica dei cattolici, e soprattutto dell’asse tra l’ex segretario di Stato Bertone e il clan berlusconiano di Gianni Letta. Anzi.
Uno dei primi obiettivi di Francesco è stato proprio quello di sganciare la Chiesa italiana dalla politica romana.
Ed è per questo che è cresciuto sempre più il ruolo di Galantino, che è abituato a frequentare Santa Marta, dove risiede il pontefice, e proprio come il papa aveva scelto di non dormire nel palazzo arcivescovile ma nel seminario della sua diocesi.
Le critiche di ieri, quindi, non nascondono alcun retro-pensiero politico.
La chiave per comprendere il bergogliano Galantino è in quell’“orecchio appoggiato alla storia comune della gente”.
E dalle diocesi e dalle parrocchie quello che sale ogni giorno è un grido sempre più disperato per la crisi economica. È sufficiente ascoltare gli appelli durante le messe domenicali di qualunque parrocchia popolare italiana: richieste di aiuto di ogni genere.
Monsignor Galantino, sorprendendo tutti gli osservatori politici, già a settembre si è sbilanciato sugli slogan renziani: “Non è questione se Renzi piaccia a noi o no. Bisognerebbe chiedere alla gente se sta trovando le risposte. La nostra impressione è che ci sia da ridisegnare l’agenda politica mettendo come priorità la famiglia, il lavoro, i giovani e i temi della formazione e della scuola ma non annunciandoli, affrontandoli veramente”.
La priorità per Galantino è la questione sociale e sarebbe fuorviante decifrare la distanza tra la Cei e la politica con gli occhiali del più recente passato, quando per Ruini e Bagnasco al primo posto c’erano soltanto i valori non negoziabili su vita e matrimonio.
Il quale Bagnasco rimarrà presidente della Cei fino al 2017, ma ormai in posizione subordinata rispetto alla voce di Galantino, espressione genuina tra l’altro di quel programma pastorale che Bergoglio annunciò subito dopo la sua elezione presentandosi al mondo come “vescovo” di Roma .
Ecco, questa è la novità principale rispetto al clericalismo della Seconda Repubblica. Galantino non è antirenziano e non distingue tra governi amici e no come accadeva nella curia di Bertone, tra le maggiori cause delle dimissioni di Ratzinger e dei successivi “processi” al “partito” dei cardinali italiani nelle riunioni preparatorie del Conclave che ha scelto l’argentino Bergoglio.
Per Renzi, il problema è che la Chiesa italiana testa ogni giorno sul campo il mancato effetto di slogan e promesse del governo.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
CONTRATTI E TURN OVER FERMI, LO STATO HA RISPARMIATO IL 4,5%
Otto miliardi di spesa in meno in soli tre anni: la crisi ha picchiato duro sul settore pubblico e fra blocco del contratto e blocco del turn over, dal 2010 ad oggi lo Stato ha “risparmiato” un bel po’ di soldi in stipendi ai travet.
Negli ultimi anni la voce si è andata via via sgonfiando, passando dai 172,5 miliardi del 2010 ai 164,7 del 2013: così certificano le ultime tabelle sulla contabilità nazionale prodotte dall’Istat secondo le nuove regole europee
Il taglio è pesante, il 4,5 per cento in meno in tre anni: in pratica la voce di spesa è tornata ai livelli del 2007.
Una «ibernazione » dei redditi che, tradotta in potere d’acquisto delle singole famiglie, corrisponde ai 5 mila euro medi che ogni statale, secondo i calcoli della Cgil, avrebbe perso dal 2010 ad oggi.
Anni di blocco dei contratti – fermi per quanto riguarda la parte economica da cinque anni a questa parte – e di blocco del turn over.
La tanto contestata misura che ha fatto lievitare il numero di precari nello Stato (300 mila) e che innalzato fino a 57 anni l’età media della categoria
Ma la corsa al ribasso non è finita: se la riforma della pubblica amministrazione modello-Madia prevede un ammorbidimento del blocco del turn over, altrettanto non si può dire per la riapertura della parte economica dei contratti pubblici.
I soldi, ha detto il ministro della Funzione Pubblica non ci sono, e con buona probabilità il rinnovo non scatterà nemmeno nel 2015, salva la possibilità di far invece ripartire gli scatti d’anzianità e le progressioni in carriera. Legge di Stabilità permettendo.
Nè per gli statali è previsto l’eventuale anticipo del Tfr in busta paga (misura sulla quale il governo sta discutendo), che non va confusa con un aumento o recupero di stipendio – visto che si tratta di soldi che sono già dei lavoratori – e che comunque riguarderebbe solo i dipendenti del settore privato (per la Uil di Antonio Foccillo «anche questa è una discriminazione»).
Secondo le tavole Istat, che il taglio alle buste paga ha colpito più gli enti locali (meno 6,7 per cento di reddito) che quelle centrali (meno 2,8 sempre nei tre anni presi in considerazione).
Sia per via di un blocco del turn over più pesante, sia in virtù degli ulteriori tagli praticati dai comuni in dissesto sui fondi per la contrattazione.
Scivolate di reddito che, secondo il governo, sarebbero state mitigate dal bonus di 80 euro distribuito da maggio: un’idea di «scambio» che i sindacati non prendono in considerazione. Tanto che Cgil, Cisl e Uil – questa volta assieme – protesteranno l’8 novembre a Roma contro il blocco delle buste paga e contro la riforma della pubblica amministrazione, sulla quale per altro le tre sigle non sono mai state convocate. Nè è partito il confronto sulla mobilità , previsto da un articolo dello stesso decreto che l’ha introdotta
«Se il blocco dei contratti dovesse essere riconfermato anche al 2015 per il sesto anno consecutivo si aprirebbe un problema costituzionale – avverte Michele Gentile, responsabile del settore pubblico per la Cgil – tanto più che le ripercussioni di tale blocco si faranno sentire anche sull’entità delle future pensioni.
I soldi per riaprire i contratti ci sono: nel Def il Tesoro ha messo in conto un miliardo.
Cifra non sufficiente, perchè calcolata solo tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni centrali, ma anche di quel miliardo non si sa cosa il governo voglia fare».
Secondo Giovanni Faverin, segretario generale della Cisl Funzione Pubblica, i dati dell’Istat «confermano il fallimento del governo come più grande datore di lavoro del Paese».
«La riduzione del costo del personale – ha detto – non ha nemmeno liberato risorse per gli investimenti e la spesa pubblica è comunque in aumento ».
Di fatto, sempre secondo dati Istat, fra il 2010 e il 2013, la spesa pubblica nel suo totale è passata da 811,5 a 827,1 miliardi.
Gli investimenti pubblici periodo sono diminuiti, passando dai 66,6 ai 57,6 miliardi. La crisi e la perdita di posti di lavoro hanno assorbito le risorse recuperate dai sacrifici del settore pubblico: nei tre anni in questione la spesa per pensioni (comunque in calo dopo la riforma Fornero) e per ammortizzatori sociali è passata dai 298,6 miliardi del 2011 ai 319,6 del 2013.
Luisa Grion
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
OLTRE I DISOCCUPATI UFFICIALI VI SONO QUELLI PARZIALI: COSI’ IL TASSO PASSA DAL 12,3% AL 30%
Ma quanti sono davvero i disoccupati?
Gli ultimi dati Istat riferiti ad agosto ci dicono che il tasso di disoccupazione generale è del 12,3%, a cui corrispondono 3.134.000 persone.
Non si tratta di persone che non hanno un lavoro ma, secondo le statistiche in uso, si tratta di persone che non avendo un lavoro lo ricercano attivamente.
Nello stesso giorno in cui l’Istat pubblicava i suoi dati, è uscito il Rapporto del Cnel, con un’ampia mole di dati, dentro il quale si può trovare un altro numero, che è passato sotto silenzio.
Secondo il Cnel è ora di passare ad altri modi di calcolo della disoccupazione reale, che non corrisponde a quella ufficiale.
In altri termini, il Cnel afferma che in Italia vi è il 30% di disoccupati ufficiali e di “disoccupati parziali”, a cui corrispondono circa 7 milioni di persone.
E’ questo l’universo della disoccupazione a cui fare riferimento nella ricerca dei rimedi.
Il Cnel calcola infatti, oltre ai disoccupati ufficiali, l’aggregato di coloro che “lavorano involontariamente a tempo parziale, non essendo riusciti a trovare un lavoro a tempo pieno”.
Il numero dei part timer involontari è cresciuto dell’83% dal 2008 al 2013 (+1 milione 121 mila individui); è un fenomeno caratteristico di questi nostri tempi, che ha permesso di attutire la perdita netta di occupati.
A questi il Cnel aggiunge il numero degli “equivalenti occupati” in cassa integrazione, calcolato dividendo le ore di cassa utilizzate per l’orario contrattuale, in modo da ottenere una stima di quanti sono gli occupati che di fatto non hanno lavorato nè partecipato al processo produttivo.
Nel complesso, nella media del 2013 le ore di Cig tradotte in “equivalenti occupati a tempo pieno” corrispondono a circa 240 mila persone, che sono state registrate fra gli occupati, pur non avendo di fatto lavorato nel periodo considerato.
“Sia le persone che lavorano involontariamente a orario ridotto, sia quelle messe in cassa integrazione — prosegue il Cnel – rappresentano quindi un’ampia fascia di sottoccupati, o disoccupati parziali, che la crisi ha contribuito ad alimentare”.
Senza lavoro.
Insomma, possiamo preoccuparci dei 3,2 milioni di disoccupati ufficiali, ma la preoccupazione dovrebbe raddoppiare, visto che l’area del disagio occupazionale supera i 7 milioni di persone.
E’ su questo target che dovremmo concentrare le misure e le risorse.
“La crisi — conclude il Cnel – ha provocato un forte aumento non solo della disoccupazione in senso stretto, che si riferisce ai senza lavoro che compiono azioni di ricerca attiva, ma anche del numero di sottoccupati e delle persone che hanno interrotto l’attività di ricerca, perchè scoraggiati o perchè in attesa dell’esito di passate azioni di ricerca. Si possono utilizzare definizioni più o meno stringenti di disoccupato pervenendo a quantificazioni anche molto diverse”.
Le strategie reali contro la disoccupazione devono tenerne conto.
“Questi fenomeni — ammonisce il Cnel – vanno presi in considerazione sia per valutare il deterioramento del mercato del lavoro causato dalla crisi sia per prevedere le dinamiche dell’occupazione nel prossimo futuro”.
Bisogna infatti non dimenticare che se i part timer involontari allungassero a tempo pieno i loro orari e se venisse assorbita la cassa integrazione, rallenterà la creazione di nuovi posti di lavoro effettivi nel prossimo biennio.
Walter Passerini
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Ottobre 6th, 2014 Riccardo Fucile
LE CONFESSIONI DEL GIORNALISTA A “LIBERO”
Chi non conosce Oscar Giannino? Uomo di cultura, intelligente, ficcante, stravagante.
La vicenda, però, che ha definitivamente segnato la vita e la carriera (almeno politica) del giornalista è cosa nota.
Giannino, forte dei suoi fedelissimi, lo scorso anno fondò un movimento, per gareggiare alle politiche 2013.
Vi aderirono imprenditori, professionisti e delusi vari. Fiori all’occhiello erano due economisti: Luigi Zingales e Michele Boldrin, docenti in Usa.
Giannino fu candidato premier.
Ma a una settimana dalle elezioni, lo scandalo: Giannino, il quale da anni si vantava di avere preso un master alla Chicago University, a Chicago non aveva nemmeno messo piede.
A denunciare l’inghippo fu proprio l’amico Zingales, che in quella università insegna. Sull’onda, emerse che neanche era laureato mentre diceva di esserlo in Legge ed Economia.
“Il terremoto espulse Fare dalla lizza elettorale e Oscar dal mondo dei rispettabili”, come scrive LiberoQuoidiano che a un anno da quella vicenda torna da Giannino e gli chiede conto di quanto successo.
“Un grave errore dovuto a un complesso di inferiorità che ho inconsciamente covato nel Pri. Era un mondo di èlite, pieno di persone con titoli accademici a bizzeffe” ha confessato al giornalista di Libero.
Quando si è svelato l’inganno “sono rimasto di peste per la delusione che davo a centinaia di migliaia di persone e per la sofferenza di mia madre e mia moglie che non se lo aspettavano. Quanto a me, mi sono chiesto se avessi perso per sempre qualsiasi credibilità . Ho ricevuto molti insulti, ma non ho mai polemizzato. Ho detto: è giusto”.
Una trovata che gli è costata caro.
“All’inizio ho perso tutte le collaborazioni giornalistiche. Nè io mi sono più fatto vivo. Nel tempo, invece, molte più persone di quante immaginassi hanno continuato a darmi fiducia e stima. Oggi, ho ripreso tutti i lavori che avevo: Radio 24, il Messaggero e i giornali del gruppo Caltagirone, Panorama. E a farsi vivi, questo mi ha colpito, sono stati loro”.
Ma che ha avuto anche risvolti positivi.
“Tre. Prima di dire una cosa, ci penso due volte. So che, avendo nell’armadio lo scheletro della mia bugia, parto con un handicap e che gli altri hanno un vantaggio iniziale su di me. Mi sforzo continuamente di dare a chi mi è più vicino la certezza che, almeno nei valori di fondo, sono di una coerenza assoluta”.
(da “Huffingtonpost”)
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