Ottobre 5th, 2014 Riccardo Fucile
“ART. 18, TFR E GESTIONE DEL PARTITO: COSI’ NON VA”
Ciuffo al vento, camicia bianca, 40 anni e physique du role: Matteo Richetti, deputato emiliano del Pd, riprende in mano la rivoluzione renziana delle origini, di cui è stato tra i protagonisti, per dire al presidente del Consiglio cosa non va nel suo operato.
Articolo 18, Tfr e gestione del partito sono i punti critici che Richetti individua durante la puntata di “In 1/2h” condotta da Lucia Annunziata.
Insomma, se alle continue frizioni tra il premier e l’ala sinistra del partito uscita sconfitta dalle primarie siamo ormai abituati, è invece una novità il fatto che un renziano dissenta col primo ministro proprio in nome della rottamazione.
Quasi a sottolineare una posizione più renziana di Renzi.
Articolo 18.
Richetti parte dalla discussione sulla riforma del lavoro: i primi due affondi arrivano sull’articolo 18 e sul Tfr.
“Come si fa – si domanda il deputato – a fare una battaglia epocale come quella della riforma del mercato del lavoro con il capogruppo alla Camera che si astiene in direzione e con il presidente della commissione che vota contro?”.
Il riferimento è all’astensione di Roberto Speranza e al no di Cesare Damiano nella direzione del Pd alla relazione di Renzi sul jobs act.
“Io – aggiunge – non avrei voluto una discussione sull’articolo 18 poco chiara e sul Tfr a questo punto inutile”.
L’ex presidente del consiglio regionale emiliano spiega la sua visione: “Avrei voluto che se uno ha l’orizzonte di mille giorni davanti a sè, riscrivesse lo statuto dei lavoratori, ma va riscritto tutto, e non solo sul tema del contratto a tutele progressive, ma sul fatto che si torni a concepire il lavoratore non come prestatore di servizio, ma, lo voglio ricordare a chi spesso scomoda la Pira (storico sindaco di Firenze che Renzi cita spesso ndr), che arrivò a definire i lavoratori proprietari anch’essi in un certo modo come il proprietario, perchè erano proprietari del mestiere”.
Tfr.
C’è poi la proposta del governo di mettere parte del Tfr in busta paga e che, dopo il no di Confindustria, pare sia stata già messa da parte.
Una mossa che non è piaciuta a Richetti che punta il dito su una certa disinvoltura nell’annuncio da parte dell’esecutivo.
“Quando si governa – dice – la dinamica della proposta non è ‘sparo l’annuncio, ti faccio discutere per settimane, per poi scoprire che la proposta non è percorribile’.
La vicenda del Tfr mi indispettisce”.
Secondo il democrat emiliano “quando si governa si lavora diversamente. Si dice ‘ho un’idea, la voglio approfondire, ne guardo le ricadute e ne accerto la percorribilità . Poi vado in Parlamento e me la faccio approvare in una dinamica di confronto vero”.
Vicino a questa posizione anche il contenuto di un tweet del direttore del “Corriere della sera”, Ferruccio De Bortoli: “Anche l’idea del Tfr in busta paga ritorna nei cassetti, già pieni di cose pensate e non realizzabili”.
Gestione del partito.
Sulla gestione del partito, Richetti è duro tanto da affermare che “il Pd può essere il più grande nemico di se stesso”.
“C’è un solco profondo – dice – fra il partito e i suoi elettori, colmato solo da Matteo Renzi, come se lui avesse reso credibile e votabile se stesso e non il Pd”. Lo dimostra, secondo il deputato modenese del Pd, la bassissima affluenza alle primarie del centrosinistra in Emilia Romagna.
“Un partito che non porta a votare nemmeno gli iscritti – spiega, riferendosi alla consultazione del 28 settembre – è dentro un problema enorme.
In Emilia Romagna non c’è stata nè la competizione, nè la proposta perchè gli elettori del Pd ritenessero credibili le primarie. Il partito è attraversato da funzionari che mal sopportano Renzi: quando arriva gli fanno grandi applausi, quando se ne va continuano come nulla fosse. E molti nostri elettori potrebbero non andare a votare alle regionali di novembre. Il Pd può essere il più grande nemico di se stesso”.
Sul calo degli iscritti, Richetti afferma che “questa crisi” del tesseramento “viene prima di Renzi e nel Pd si stanno facendo le domande del perchè succede questo e nessuno si fa la vera domanda: ma perchè uno si deve iscrivere al Pd?
Le politiche le fanno il governo, dalle istituzioni, i sindaci, qual è l’ultima grande campagna forte che ha fatto il Pd nel Paese?”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Renzi | Commenta »
Ottobre 5th, 2014 Riccardo Fucile
LA SCALETTA NON PREVEDE UN INTERVENTO DEL SINDACO DI PARMA
Palco off limits per il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, al Circo Massimo dal 10 al 12 ottobre.
Nella scaletta provvisoria dell’evento M5S sono previsti gli interventi di parlamentari e amministratori ma non quello del primo cittadino emiliano, spesso in contrasto con Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
Lo conferma il responsabile comunicazione Rocco Casalino, interpellato telefonicamente in merito.
Pizzarotti nei giorni scorsi aveva espresso l’auspicio di non trasformare la ‘tre giorni’ in una “passerella” al Circo Massimo, ma di creare piuttosto un’occasione di confronto e dibattito.
La presenza a Roma del sindaco ducale potrebbe creare le condizioni per un chiarimento con Grillo e Casaleggio dopo le tensioni generate dalla paventata ipotesi di un listone unico dei sindaci per la provincia di Parma.
Dopo la fuga di notizie e la retromarcia di Pizzarotti, il primo cittadino parmense aveva inviato, a quanto si apprende, un lungo messaggio a Grillo spiegando per filo e per segno la sua posizione.
Ma il leader M5S non avrebbe mai dato riscontro a quel sms.
Il programma è stato ormai definito anche se – viene spiegato – potrebbe subire qualche cambiamento.
Ad aprire, come noto, sarà Beppe Grillo nel tardo pomeriggio di venerdì per lasciare poi spazio alla musica. Sabato toccherà ai ‘politici di professione’: deputati e senatori si alterneranno sul palco per illustrare la loro attività in Parlamento.
Ci sarà spazio anche per i neosindaci di Livorno e Bagheria.
Domenica la grande chiusura con Luigi Di Maio e ancora Beppe Grillo.
Uno spazio vuoto è stato lasciato per il possibile intervento di Gianroberto Casaleggio.
La scaletta, al centro di un fitto scambio di mail tra Milano e Roma, è stata chiusa.
Ma la fuga di notizie potrebbe riaccendere le polemiche da parte degli “esclusi” che, già irritati per essere stati fatti fuori dal “giro della tv” nei mesi scorsi (quando il M5S era presente nei talk show), reclamano spazio sul palco anche per loro.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Grillo | Commenta »
Ottobre 5th, 2014 Riccardo Fucile
“RENZI STA SBAGLIANDO TUTTO, ALL’INNOVAZIONE E’ PIU’ INTERESSATO LANDINI DI LUI”
“Secondo me non l’ha capita”. Matteo Renzi e la Silicon Valley.
Il viaggio del premier nel più grande distretto tecnologico del mondo (sede di colossi come Google o Apple) ha colpito gli americani, “conquistandoli”, ha sentenziato entusiasta la stampa italiana.
“Dal dibattito di queste settimane, dubito che ne abbia capito i meccanismi”, spiega invece l’economista Mariana Mazzucato, ospite a Roma della Maiker Faire, la fiera dell’innovazione tecnologica.
L’autrice del “brillante” (giudizio del Financial Times) Lo Stato innovatore (Laterza), romana d’origine e inglese d’adozione, si accalora quando le ricordano che il suo lavoro è finito nella libreria del premier: “Non è servito. È sconsolante che discuta di articolo 18 e di riforma del mercato del lavoro come se fossero una priorità , con la solita mistica del polo pubblico parassitario che va ridimensionato”, spiega al Fatto.
La tesi di questa giovane docente all’Università del Sussex elogiata dalla bibbia del potere finanziario è nota: il vero agente dell’innovazione non è il mercato, o le multinazionali, neppure i pionieri visionari chiusi nei loro garage, tanto meno i fondi speculativi: è lo Stato.
Quello che ha la pazienza e la possibilità di assumersi il rischio degli investimenti nella ricerca di base per produrre oggetti radicalmente nuovi.
Un esempio? L’Iphone, “frutto di progetti finanziati con miliardi di dollari dallo Stato federale”. “Per fare questo – spiega – non basta la promessa di qualche sgravio fiscale o di sfoltire la burocrazia: servono gli investimenti, che in Italia sono ai minimi storici. Come si fa in questo contesto a parlare ancora dello Statuto dei lavoratori? ”.
Eppure è quello che sta avvenendo.
“Renzi sta sbagliando tutto – spiega – È più interessato Landini all’economia dell’innovazione del premier”.
Lei si sente con il segretario della Fiom?
“Certo, è interessato al mio lavoro e in Ducati ha firmato accordi rivoluzionari. Non è vero che sanno dire solo no. Vengo ora dalla Svezia, dove il premier è un ex metalmeccanico, e lì il problema dei manager delle grandi aziende non è certo la flessibilità . Al massimo serve alle piccole imprese”.
Quelle che però costituiscono buona parte del tessuto produttivo italiano: “Non hanno l’articolo 18, e non è vero che per questo restano piccole: la media è di tre addetti e la tutela scatta dopo i 15”.
Il viaggio negli Usa, secondo Mazzucato, avrebbe dovuto ispirare al premier un concetto basilare: oltre a investire nella ricerca, occorre trattare con le aziende.
“Obama – continua – ha permesso a Marchionne di acquistare Chrysler con soldi americani, ma l’ha obbligato a investire nei motori ibridi. Renzi si è limitato a guardare Fiat spostare la sede fiscale dove paga meno tasse”.
Carlo Di Foggia
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Ottobre 5th, 2014 Riccardo Fucile
“C’E’ UN HOTEL CON QUEL NOME, LA FAREMO A FEBBRAIO”
Un tempo la Leopolda era l’incontro della minoranza Pd capitanata da Matteo Renzi, ma oggi che il popolo renziano è diventato maggioranza e per il quinto anno rinnova l’appuntamento, questa volta senza più la sindrome della minoranza, chi farà una manifestazione contro l’establishment del partito?
Ci penserà Gianni Cuperlo. E se il premier nel 2010 aveva lanciato la fortunata Leopolda, perchè così si chiama la vecchia stazione di Firenze dove ogni anno si tiene la manifestazione, lo sfidante replica con l’appuntamento del Leopoldo: un hotel a tre stelle di Castiglioncello.
Il nome di questo albergo, in provincia di Livorno, ha dato l’idea all’ex candidato alla segreteria, eterno sfidante di Renzi, di una contro manifestazione.
Non sarà un faccia a faccia a distanza Leopolda vs Leopoldo: la prima è già fissata dal 24-26 ottobre, mentre la seconda è ancora “in fase di costruzione, ma ci sarà . Lo abbiamo deciso ieri durante l’assemblea”, garantisce Cuperlo.
E sarà “nel mese di febbraio. Prima di quella data però faremo tanti altri incontri.
Il Leopoldo sarà un appuntamento di due giorni in cui si parlerà del partito e si consoliderà SinistraDem che – chiarisce – è un’associazione, non una corrente o una componente del Pd, è qualcosa che rivolgiamo a tutti, lo abbiamo infatti chiamato ‘Campo aperto'”.
Intanto la battaglia imminente del popolo del Leopoldo sarà quella sul lavoro e poi tutti pronti per organizzare la due giorni di febbraio, quando il premier Renzi, per la teoria dei corsi e dei ricorsi della storia, dovrà tener conto di una pattuglia di dissidenti che non si fa chiamare Leopolda – a lui tanto cara – ma che lo sfida con un gioco di vocali.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Ottobre 5th, 2014 Riccardo Fucile
DA DESTRA VERSO DESTRA (ECONOMICA): VERSO UN CAPITALISMO DURO E PURO
Considerate il “trattamento di fine rapporto” da distribuire, frammentato in piccole parti, subito, in busta-paga. Paghiamolo a rate. Poi il progetto è stato forse ritirato, ma l’idea resta.
A te, capo del Governo, serve per dire: ti ho dato cento euro in più.
Per la persona che lavora, vuol dire un lieve respiro, più tasse, e niente soldi alla fine di una vita di lavoro
Per Roosevelt era il cuore del New Deal. Si chiamava (si chiama) Social Security ed è una somma di danaro modesta, certa, indipendente dalla pensione pubblica o privata, che hai o che non hai.
La Social Security viene accantonata su un conto di ogni cittadino americano, per ogni anno di vita attiva.
Entrando nella vita attiva, entri nella Social Security, ricevi un numero che ti identifica per tutta la vita, e che va indicato, con il nome e l’indirizzo, in ogni documento.
Il principio è che, alla fine della vita di lavoro, tutti (tutti, dall’amministratore delegato al netturbino) ricevono un assegno ogni mese, che viene automaticamente inviato all’ultimo indirizzo al compimento dei 65 anni.
È una cifra modesta, rispetto alla vita attiva, ma viene data sempre, per sempre.
Non concepisce eccezioni o rinunce, ed è stata ispirata al presidente del New Deal dall’immagine dei giorni peggiori del crollo del capitalismo americano negli Anni Trenta.
Molti raccontano ancora di alcuni ricchi che si buttavano dai grattacieli. Roosevelt aveva negli occhi l’immagine (milioni di poveri) che tentavano di sopravvivere ma non avevano nulla. E venivano abbattuti a fucilate quando tentavano di passare il confine di un altro Stato americano sperando in un lavoro che non c’era
La parola New Deal, che noi adesso citiamo come un evento politico della storia americana, si può tradurre “Nuovo accordo fra lo Stato e i suoi cittadini”.
Significa “Non sarai mai più abbandonato”. Roosevelt infatti ha pensato che lo Stato e i governi esistono per questo: non abbandonare i cittadini.
Da allora tutti i presidenti che hanno tentato di rimuovere o ridurre la Social Security (anche negli USA si dice “fare le riforme”) su questo punto vengono battuti.
Perchè l’Italia, adesso, dovrebbe ispirarsi a un sistema fallito, il capitalismo d’avventura dei ricchi, visto che ha già definitivamente rifiutato l’altro sistema simmetrico e fallito, il comunismo? Nessuno sa dirci chi ha ordinato, o autorevolmente consigliato, di andare sempre un po’ più a destra.
Dati i fallimenti paurosi incassati dalla storia (l’ultimo, la finanza americana che ha scosso il mondo nel 2008, e a cui Obama, presidente “di sinistra”, ha posto rimedio nel 2014) può essere il disegno di chi ha a cuore un futuro politico?
Eppure i segnali di una clamorosa svolta a destra sono chiari.
E non sono destra fascista.
Sono una dichiarazione aperta del capitalismo puro e semplice che rivuole i diritti incontrastati che aveva prima che un secolo di riforme imponessero un minimo di equilibrio.
Al punto che il Ministro dei Beni Culturali e il sindaco di Roma, uniscono la forza e il prestigio delle loro immagini e licenziano in tronco, via messaggio telefonico, tutta l’ orchestra e tutto il coro dell’Opera di Roma, che sta dando noie sindacali.
Impossibile non vedere la coincidenza simbolica ma anche politica con il non dimenticato primo atto presidenziale di Ronald Reagan (1980): il licenziamento in tronco di tutti i controllori di volo che erano in sciopero contro gli orari eccessivi e pericolosi, quando Reagan è arrivato alla Casa Bianca.
Reagan era un personaggio affabile, simpatico, eccellente comunicatore, e si pensava che avrebbe portato alla presidenza americana poca ideologia e molto buon senso.
Invece ha iniziato in modo sistematico il cammino da destra verso destra che nel mondo continua ancora: lo smantellamento del New Deal roosveltiano, una lotta senza quartiere ai sindacati (vilipesi e accusati di tutto nei modi più grotteschi), il prosciugamento dei fondi federali alle università e alle attività culturali, il principio secondo cui hai diritto alle cure mediche se puoi, e se hai una assicurazione privata (che comunque decide sulle tue cure) oppure non entrerai in alcun ospedale (si ricordi, in proposito il documentario di Michael Moore, il regista che racconta e filma i casi di malati gravi americani espulsi dai loro ospedali per insolvenza).
Nasce a questo punto, nella visione conservatrice di Reagan, l’idea di rovesciare la credenza socialistoide secondo cui chi ha di più deve dare di più.
Reagan taglia le tasse in modo da stabilire che chi ha di più deve dare di meno.
In tal modo, migliorando sempre di più la qualità della vita in alto, ci saranno più incentivi a chiedere servizi a chi sta in basso, e ci sarà più lavoro. Modesto, ma ci sarà . Ciascuno al suo posto. Ma aumenterà la voglia, tipica dei più intraprendenti, di “fare impresa”.
Il principio ispiratore era, ed ancora, lo smantellamento progressivo dello Stato che “non risolve il problema perchè è il problema”.
Lo Stato, come apparato organizzativo che tutela i cittadini, viene ridotto, “snellito”, se necessario umiliato (perchè blocca lo slancio della nostra iniziativa) in modo da ri-orientare noi tutti, la nostra fiducia, il nostro impegno, il nostro voto, verso il privato e il privatizzato, in nome di una benefica concorrenza che naturalmente non esiste, dati gli incroci di interessi commerciali e finanziari che attraversano il mondo
Ecco dunque dove stiamo andando: da destra verso destra.
La strada delle “riforme” è ancora lunga.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Ottobre 5th, 2014 Riccardo Fucile
A DICEMBRE QUALCOSA POTREBBE ACCADERE
La Ditta e il Ragazzo. La luna di miele era per i fotografi, in verità una tregua armata. Estranei erano ed estranei sono rimasti.
Al Partito (quello novecentesco, quello delle tessere che non ci sono più) il Ragazzo non è mai piaciuto: un’altra tradizione politica, tutta quella spregiudicatezza, occhiolino alle telecamere e nessuna gratitudine verso i padri.
Alle Frattocchie lo avrebbero messo a rilegare atti del congresso, così si calma. Ma il Ragazzo le Frattocchie sa a malapena cosa siano, e poi quello era il Pci.
A Renzi, d’altra parte, la Ditta è servita soprattutto come mezzo di trasporto: capolinea Palazzo Chigi.
Come legittimazione, anche: vuoi mettere l’aura che ti dà essere alla guida del primo partito del centrosinistra europeo in confronto, mettiamo, a una lista civica.
Difatti pazienza se non si iscrive più nessuno, “contano gli elettori”, ha ripetuto venerdì.
Pazienza se nemmeno in Emilia vanno più a votare alle primarie, “nessuno ha interferito”, se la Ditta è in liquidazione perchè “un partito senza iscritti non è più un partito”, parola di Bersani.
Renzi: “Io parlo agli italiani, non ai dirigenti del Pd. Ogni volta che D’Alema apre bocca mi regala un punto”. Ecco, questo.
Dall’ultima direzione Pd è cambiato il mondo: ora è finalmente chiaro a tutti.
Esistono due partiti dentro il Pd, anzi tre.
Il partito di Renzi, la vecchia Ditta, la sinistra di Civati.
Guardate i video su Youtube. Osservate come si muovono, ascoltate cosa dicono.
La velocità , la quantità di parole per minuto. Lo schema di gioco: i vecchi in difesa, il Ragazzo all’attacco.
I verbi al passato, i verbi al futuro. Bersani, D’Alema, i dirigenti venuti dal Pci hanno patito, irriso, combattuto Matteo Renzi – un boy scout scaltro e ambizioso, un democristiano 2.0 fissato con Twitter, ridevano – fino a che non ha vinto: le primarie prima, le europee dopo con un risultato da lasciare tutti muti. Il 40, e zitti.
In mezzo la partita del Quirinale, che senza i 101 e rotti “traditori” avrebbe potuto davvero cambiare le sorti del Paese, ma non è accaduto e ancora resta da spiegare come, perchè, per mano di chi.
Ora preparano la fronda. D’Alema riunisce i suoi parlamentari a cena, Bersani parla con Pippo Civati il quale a sua volta parla con Vendola.
Ieri erano insieme in manifestazione in piazza Santi Apostoli: Vendola, Civati, Landini. Un’altra sinistra possibile, ancora una. La scissione è il tema del momento. Subito? A dicembre? Non appena mancheranno i voti al Senato, magari per la legge di Stabilità ?
Ora: a chi vive nel mondo reale è piuttosto chiaro che quel che accade dentro il Pd interessa ormai solo a chi lo abita.
Agita curve sempre più esigue. Interessa pochissimo anche Renzi, infastidito dalle diatribe delle minoranze interne almeno quanto Berlusconi lo era dal dibattito parlamentare.
Una zavorra: “Se decidono di uscire fanno il 5, e andiamo più veloce”, ha detto l’altro giorno a uno dei suoi tre uomini di fiducia – di tre persone sole si fida davvero. Fanno il 5, dice di Civati e del possibile “nuovo soggetto politico” che si è affacciato ieri dal palco di Sel.
“E’ troppo presto, ora, per rompere”, dice rientrando verso casa Felice Casson, senatore civatiano e possibile candidato sindaco per Venezia.
“Con l’articolo 18 in aula si andrà per le lunghe. Lo stesso governo non ha chiesto, in conferenza di capigruppo, di contingentare i tempi del dibattito: segno che il governo per primo non ha fretta”.
Il governo non ha fretta di arrivare al voto finale.
Civati ragiona sui tempi: “Mi chiedono di uscire dal Pd per strada, in treno, al bar mentre prendo un caffè”. Ma è presto, ripete. “Non prima di dicembre di sicuro, deve passare dicembre”.
Dicembre è il mese chiave.
Perchè se il riposizionamento dei Giovani turchi e le strategie di Area democratica (se Roberto Speranza in Direzione si astiene, se Andrea Orlando vota a favore e D’Attorre contro) sono ghiottonerie solo per i feticisti della materia è anche evidente che si tratta di segnali che annunciano una partita più grande.
Fuori dal Pd c’è il campo esteso del centrosinistra, il destino del governo e delle istituzioni supreme, presidenza della Repubblica in testa.
Civati guarda allo spazio politico di Sel, vampirizzata alle europee dalla lista Tsipras. Lavora intanto al fianco dei ‘movimenti’ storicamente diffidenti verso la Ditta, diffidenza ampiamente ricambiata, e cerca sponda nel sindacato pronto a scendere in piazza il 25 ottobre.
Un’area che va da Landini a Rodotà , Zagrebelsky, Libertà e Giustizia, Sel, i verdi rimasti.
“Più o meno un dieci per cento dell’elettorato”, stima Civati raddoppiando la valutazione di Renzi.
Quanti siano nel Paese si vedrà al momento del voto: intanto è interessante sapere quanti sono al Senato, e se per caso la loro defezione al momento di votare le riforme possa portare, appunto, al voto anticipato e quel che ne consegue.
Ecco il nodo di dicembre.
I sondaggi danno il Pd in lieve crescita rispetto al 40.
Al Presidente del Consiglio – che non è passato da un voto politico ma ha avuto una legittimazione per così dire postuma, con le europee – converrebbe andare a votare al più presto, lo sa e lo dice.
Per liberarsi dalla zavorra del dissenso interno e ricalibrare le forze rispetto a Forza Italia e a Berlusconi, in declino – quest’ultimo – personale e di consensi.
C’è tuttavia il vincolo del patto del Nazareno che prevede, tra l’altro, un accordo per l’elezione del prossimo Presidente da farsi con questo Parlamento. Giorgio Napolitano ha fin dalla rielezione immaginato di dimettersi per i suoi 90 anni, a giugno.
Renzi vorrebbe “che fosse lui ad inaugurare l’Expo 2015”.
Ma neppure il presidente del Consiglio sa con certezza se a maggio ci sarà questo o un altro Parlamento.
Ivan Scalfarotto, sottosegretario alle Riforme, renziano: “Ai dissidenti non conviene andare a votare, parecchi metterebbero a rischio la propria rielezione. E’ piuttosto triste, inoltre, assistere ad un’alleanza fra D’Alema e Civati in chiave anti-renziana. D’Alema e Bersani incarnano una sinistra conservatrice: operaista fuori tempo massimo, tutta schiacciata a garantire un mondo in estinzione, il loro mondo. Non li abbiamo mai visti in piazza a difendere le finte partite Iva dei giovani senza garanzie, nè dei precari. Hanno governato, non hanno fatto quel che potevano e dovevano.
Civati, mi duole dirlo, finisce per ingrossare le fila di quella sinistra minoritaria e identitaria, quella che sta sempre e solo all’opposizione felice di occupare una riserva indiana in cui tutti sono puri e sono amici, si conoscono. La polemica lessicale dell’altro giorno in direzione – se gli imprenditori siano ‘padroni’ o ‘datori di lavoro’ – sembrava una riedizione dello scontro fra Occhetto e Berlusconi”.
Padroni che sfruttano i lavoratori, diceva Fassina.
Datori di lavoro che partecipano al destino dei loro dipendenti, insisteva al contrario Renato Soru.
Pippo Civati: “Partirei da Soru, che ha avuto problemi col fisco e siede al Parlamento europeo mentre i lavoratori dell’ Unità di cui era editore sono in cassa integrazione: fossi in lui parlerei d’altro, non di rapporti societari e aziendali. Quanto al rischio scissione: certo che esiste. Oggi è il lavoro, domani sarà la legge di stabilità : che cosa facciamo, continuiamo a votare contro, restiamo dentro in dissenso dalle scelte fondamentali? Non mi pare possibile”.
Sull’altro fronte, quello della Ditta, due sono i livelli di frattura con Renzi.
Quello evidente della vecchia guardia, D’Alema e Bersani ostili. Poi quello generazionale e “ministeriale”: i giovani ex dalemiani, figli di quegli anziani padri, oggi al governo del paese e del partito – ministri, capigruppo, presidenti – che proiettano su Renzi la loro personale traiettoria politica.
Orfini, Orlando, Speranza, Martina. Il Ragazzo e la sua capacità di vincere trascinano nell’orbita renziana i più giovani della Ditta.
Queste le divisioni cellulari interne al Pd. Più seria e più grave, tuttavia, è l’unica divisione di cui Renzi dovrebbe aver timore: il solco che si è creato fra il vertice del partito che dirige e la sua base, quel che ne resta nell’emorragia di iscritti.
Esiste il mondo della direzione del Pd, esiste il mondo di Twitter e Facebook, poi esiste il mondo fuori.
C’è un’Emilia in cui vanno a votare alle primarie solo i politici di professione, una Puglia che fa accordi con il centrodestra incomprensibili ai militanti.
Una Toscana che ha lasciato Livorno ai Cinquestelle, c’è Venezia commissariata, il sindaco eletto dal Pd travolto dagli scandali.
C’è un Pd che si sfalda, sul territorio, una disillusione che cresce nell’ironia feroce e nella rabbia.
Renzi parla al Paese, non al partito. In questo senso l’unico che davvero, per ora, ha mostrato di potere e volere “uscire dal Pd” è stato lui.
Concita De Gregorio
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Ottobre 5th, 2014 Riccardo Fucile
“MANTENGO IO LA PROMESSA DI RENZI”: DOPO 15 GIORNI SI E’ ACCORTA ANCHE LEI CHE IL PREMIER CONTA BALLE E PROVA A FARE LO SPOTTONE
Renzi aveva promesso agli italiani che se non avesse pagato tutti i debiti della P.A. entro il 21 settembre sarebbe andato in pellegrinaggio a piedi a Monte Senario.
Come è noto da circa 15 giorni, sono stati pagati circa 31 miliardi di arretrati su un totale di oltre 60 miliardi (c’e’ chi ipotizza anche la cifra di 90 miliardi).
Una cifra ben lontana dalla promessa fatta nel salotto di Vespa e che era all’origine della scomessa con il conduttore della Rai.
Alla scadenza del 21 settembre Renzi ha avuto la faccia tosta di sostenere che se molte aziende non erano state saldate ciò era causato dal fatto che non avevano compilato il modulo richiesto.
“Sia io che Renzi siamo convinti di aver vinto la scommessa. Quindi saliremo insieme e anche con altre persone» (tra questi il ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, il presidente di Confartigianato e delle Pmi di ReteImpresa, Giorgio Merletti e quello della Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini ), aveva annunciato dieci giorni fa il giornalista.
Alla fine non se ne è fatto nulla, come da logica del premier.
Ecco allora che con “grande tempestività ” si precipita a Firenze Giorgia Meloni che si autoproclama vice-Renzi: “Andiamo noi a Monte Senario al posto suo”, neanche avesse una delega.
Inforcate le scarpette rosa, con un paio di notabili locali al seguito e previa assicurazione della presenza di stampa e tv, ecco sorella Giorgia arrancare verso la meta renziana per “ricordare la mancata promessa del premier” con appena 15 giorni di ritardo.
Un passeggiata spot di tre ore con festeggiamenti all’arrivo e “presa in braccio” dai consiglieri regionali.
Forse sarebbe stato meglio che si recasse davanti a una delle tante aziende che, proprio a causa dei mancati pagamenti della P.A., stanno rischiando di chiudere i battenti.
Ma per farlo occorrerebbe conoscere i problemi reali locali e non solo creare in ritardo sceneggiature per comparsate pubblicitarie.
Ci mancava proprio di opporre altri spot ai quotidiani annunci del cacciaballe Renzi .
argomento: Fratelli d'Italia | Commenta »
Ottobre 5th, 2014 Riccardo Fucile
IMPOSSIBILE ANCHE L’AUTORICICLAGGIO, NESSUNA SPERANZA DI COLPIRE I REATI FINANZIARI
Antonio Di Pietro è rimasto in un angolo, quasi invisibile. In netta minoranza. Poi è andato via. Sul palco, il guardasigilli Andrea Orlando, leader dei giovani turchi filorenziani del Pd.
Sansepolcro, in provincia di Arezzo. L’Italia dei Valori ricomincia laddove tutto iniziò sedici anni fa. Ma con qualche sorpresa.
Per esempio, la pubblica ammissione del ministro della Giustizia sull’impossibilità di fare una seria riforma della giustizia nell’attuale paesaggio politico.
Orlando evoca solo le mediazioni dentro la maggioranza, alludendo al Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano.
Il vero convitato di pietra è però il patto segreto del Nazareno tra il premier e il Pregiudicato.
Il falso in bilancio? Orlando dixit: “Sarà difficile reintrodurre il reato falso in bilancio, anche perchè dobbiamo relazionarci con i nostri partner nell’esecutivo”.
Altro esempio: l’auto-riciclaggio, finito sotto tutela dell’ineffabile coppia composta dalla renziana Maria Elena Boschi e dal berlusconiano Niccolò Ghedini.
Orlando, ancora, ai limiti dell’impotenza: “Non è semplice, anche in considerazione dell’attuale quadro politico in cui convivono, diciamo, sensibilità diverse”.
Insieme con Orlando, alla festa della rediviva Idv guidata da Ignazio Messina, che aspira a ritrovare una solida alleanza con il Pd di Renzi, il vicepresidente dell’Anm Valerio Savio e l’ex parlamentare di-pietrista Federico Palomba, esperto di politica giudiziaria.
La deludente risposta del guardasigilli sulle “sensibilità diverse” è arrivata da una chiara considerazione di Savio sull’auto-riciclaggio: “Vorrebbe dire poter colpire chi ricicla in imprese proprie il denaro frutto di reati. Un meccanismo che adesso è difficilissimo stroncare proprio in mancanza di una legge”.
La confessione pubblica del ministro non ha risparmiato neanche la questione della riduzione della custodia cautelare, altro storico cavallo di battaglia della destra berlusconiana.
Ha detto Orlando: “Dobbiamo capire quanto lungo è il passo che dobbiamo fare. Sulla custodia cautelare bisogna chiedersi: è meglio riempire le carceri e poi essere costretti a provvedimenti come l’amnistia e l’indulto o piuttosto è meglio utilizzare la custodia con più parsimonia?”.
Un falso problema per il vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati: “Il punto è che le carceri sono piene di persone arrestate per reati comuni, soprattutto stupefacenti. Mentre il potere repressivo è quasi nullo rispetto ai reati che commettono i colletti bianchi”.
In pratica, l’unico risultato che il ministro della Giustizia porterà a casa entro dicembre, anche a costo di fare un decreto, è la responsabilità civile contro i magistrati, con la formula indiretta, per non apparire “troppo punitivi con le toghe”. L’uscita di Orlando alla festa dell’Idv è l’ennesima conferma delle riforme a trazione renzusconiana.
Ed è stato proprio Berlusconi, nel recente ufficio di presidenza di Forza Italia, a parlare del suo rapporto con Renzi.
Non solo sull’articolo 18: “Siamo pronti a dare una mano anche sulla giustizia a patto che siano rispettati gli impegni presi”.
Impegni, ovviamente, che rientrano in quel patto segreto cui è impiccata la nuova gloriosa era renziana.
Del resto, lo stesso guardasigilli Orlando, appena diventato ministro, annunciò proprio dalle colonne del nostro quotidiano: “Presto il falso in bilancio e l’auto-riciclaggio”. Otto mesi dopo non solo non è arrivato nulla, ma la mediazione è al ribasso per la doppia interdizione del Nuovo Centrodestra e di Forza Italia.
Senza dimenticare il ministro confindustriale Federica Guidi, apertamente contraria alle misure che spaventano Berlusconi. Il renzismo è di destra anche sulla giustizia.
E ieri Orlando lo ha ammesso.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Ottobre 5th, 2014 Riccardo Fucile
“SENZA UNA STRUTTURA FORTE DEMOCRAZIA A RISCHIO: E’ COLPA DELLE PRIMARIE”
”Emanuele Macaluso, cosa ha pensato quando ha letto che il Pd ha ormai appena 100mila tesserati?
«Non mi sono stupito. L’attuale dirigenza del resto non è interessata a costruire un partito che sia presente nella società . Ma questo annacquamento non è figlio del renzismo, ma nasce negli anni in cui si decise di fare le primarie per l’elezione del segretario. Se il leader non lo elegge l’iscritto ma anche il cittadino, l’iscritto che ci sta a fare? E infatti non si iscrive».
Renzi pone questo dilemma: preferivate un partito con 400mila iscritti, ma fermo al 25%. La convince?
«No, è una falsa alternativa. Perchè le due cose non dovrebbero coesistere? Avere il 41% e 600mila iscritti? La verità è che a Renzi non interessa avere uno strumento che orienti la comunità ».
Ma il segretario non orienta la società da Palazzo Chigi?
«Sì, ma è un orientamento individuale, non collettivo. Un partito – un partito vero, dico – deve avere un progetto politico che coinvolga migliaia di persone che a quelle idee si ispirano. Un luogo permanente di confronto articolato, di formazione del pensiero, di dibattito. È il tema su come incidere sulla cultura di massa. Per il Pd non è un problema vedo. Ma così si amministra solo l’esistente. Non c’è il progetto, perchè non c’è l’elaborazione».
L’onorevole Bonafè lo rivendica chiaramente: il partito di massa è morto con il Novecento. Non ha ragione?
«No, dice una stupidaggine. I problemi oggi sono enormi, come del resto nel ‘900, e coinvolgere e conquistare le persone attorno a un’idea, a una visione del mondo, attiene al modo di concepire la democrazia: ieri come oggi».
Nel suo ultimo libro “Santuari” lei sostiene che i partiti di massa salvarono la democrazia negli anni della strategia della tensione. In che senso?
«Pensi al ruolo che svolse il Pci nei confronti del terrorismo. Fu anzitutto una battaglia culturale. Non solo di ordine pubblico: cul-tu-rale. Le Brigate Rosse non andavano semplicemente sconfitte sul piano della repressione. Questo fece il Pci, la parte migliore della Dc e i socialisti come Pertini. Infatti il terrorismo fu sconfitto nelle fabbriche».
Nel saggio afferma che un’Italia di partiti deboli corre un rischio enorme. In che senso?
«Nulla è neutrale nella formazione dell’opinione pubblica. E con partiti e sindacati così malmessi è inevitabile che alla lunga tornino a prevalere forze opache. Del resto l’articolo 49 della Costituzione, “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, non fu messo lì a caso, perchè il rischio di influenze esterne, di circoli, o super circoli, che condizionino la vita pubblica, è un problema eterno della storia nazionale, che si pose già all’indomani dell’Unità d’Italia».
Lei era scettico su Renzi premier. Che giudizio dà dopo 8 mesi al governo?
«Ha dimostrato di avere intelligenza politica, e anche una buona dose di scaltrezza, ma non ha saputo mettere insieme un vero governo del Paese. Mi pare un limite non da poco».
Vuol dire che il governo è debole?
«Molto. Renzi accentra, ma il premier non ha un retroterra tale per poter fare a meno di una buona squadra. Ne avrebbe bisogno anche lui».
Concetto Vecchio
(da “La Repubblica“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »