RICHETTI PRENDE LE DISTANZE DA RENZI
“ART. 18, TFR E GESTIONE DEL PARTITO: COSI’ NON VA”
Ciuffo al vento, camicia bianca, 40 anni e physique du role: Matteo Richetti, deputato emiliano del Pd, riprende in mano la rivoluzione renziana delle origini, di cui è stato tra i protagonisti, per dire al presidente del Consiglio cosa non va nel suo operato.
Articolo 18, Tfr e gestione del partito sono i punti critici che Richetti individua durante la puntata di “In 1/2h” condotta da Lucia Annunziata.
Insomma, se alle continue frizioni tra il premier e l’ala sinistra del partito uscita sconfitta dalle primarie siamo ormai abituati, è invece una novità il fatto che un renziano dissenta col primo ministro proprio in nome della rottamazione.
Quasi a sottolineare una posizione più renziana di Renzi.
Articolo 18.
Richetti parte dalla discussione sulla riforma del lavoro: i primi due affondi arrivano sull’articolo 18 e sul Tfr.
“Come si fa – si domanda il deputato – a fare una battaglia epocale come quella della riforma del mercato del lavoro con il capogruppo alla Camera che si astiene in direzione e con il presidente della commissione che vota contro?”.
Il riferimento è all’astensione di Roberto Speranza e al no di Cesare Damiano nella direzione del Pd alla relazione di Renzi sul jobs act.
“Io – aggiunge – non avrei voluto una discussione sull’articolo 18 poco chiara e sul Tfr a questo punto inutile”.
L’ex presidente del consiglio regionale emiliano spiega la sua visione: “Avrei voluto che se uno ha l’orizzonte di mille giorni davanti a sè, riscrivesse lo statuto dei lavoratori, ma va riscritto tutto, e non solo sul tema del contratto a tutele progressive, ma sul fatto che si torni a concepire il lavoratore non come prestatore di servizio, ma, lo voglio ricordare a chi spesso scomoda la Pira (storico sindaco di Firenze che Renzi cita spesso ndr), che arrivò a definire i lavoratori proprietari anch’essi in un certo modo come il proprietario, perchè erano proprietari del mestiere”.
Tfr.
C’è poi la proposta del governo di mettere parte del Tfr in busta paga e che, dopo il no di Confindustria, pare sia stata già messa da parte.
Una mossa che non è piaciuta a Richetti che punta il dito su una certa disinvoltura nell’annuncio da parte dell’esecutivo.
“Quando si governa – dice – la dinamica della proposta non è ‘sparo l’annuncio, ti faccio discutere per settimane, per poi scoprire che la proposta non è percorribile’.
La vicenda del Tfr mi indispettisce”.
Secondo il democrat emiliano “quando si governa si lavora diversamente. Si dice ‘ho un’idea, la voglio approfondire, ne guardo le ricadute e ne accerto la percorribilità . Poi vado in Parlamento e me la faccio approvare in una dinamica di confronto vero”.
Vicino a questa posizione anche il contenuto di un tweet del direttore del “Corriere della sera”, Ferruccio De Bortoli: “Anche l’idea del Tfr in busta paga ritorna nei cassetti, già pieni di cose pensate e non realizzabili”.
Gestione del partito.
Sulla gestione del partito, Richetti è duro tanto da affermare che “il Pd può essere il più grande nemico di se stesso”.
“C’è un solco profondo – dice – fra il partito e i suoi elettori, colmato solo da Matteo Renzi, come se lui avesse reso credibile e votabile se stesso e non il Pd”. Lo dimostra, secondo il deputato modenese del Pd, la bassissima affluenza alle primarie del centrosinistra in Emilia Romagna.
“Un partito che non porta a votare nemmeno gli iscritti – spiega, riferendosi alla consultazione del 28 settembre – è dentro un problema enorme.
In Emilia Romagna non c’è stata nè la competizione, nè la proposta perchè gli elettori del Pd ritenessero credibili le primarie. Il partito è attraversato da funzionari che mal sopportano Renzi: quando arriva gli fanno grandi applausi, quando se ne va continuano come nulla fosse. E molti nostri elettori potrebbero non andare a votare alle regionali di novembre. Il Pd può essere il più grande nemico di se stesso”.
Sul calo degli iscritti, Richetti afferma che “questa crisi” del tesseramento “viene prima di Renzi e nel Pd si stanno facendo le domande del perchè succede questo e nessuno si fa la vera domanda: ma perchè uno si deve iscrivere al Pd?
Le politiche le fanno il governo, dalle istituzioni, i sindaci, qual è l’ultima grande campagna forte che ha fatto il Pd nel Paese?”.
(da “Huffingtonpost”)
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