Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
“DIFFERENZE TRA PREMESSE E CONTENUTI, INTERVENTI NON ADATTI A SVELTIRE IL SISTEMA”
Il Consiglio Superiore della Magistratura boccia la riforma della giustizia civile varata dal governo Renzi con un dl la cui conversione è in corso di esame al Senato.
”La scelta di intervenire con decreto legge comporta delicati profili di compatibilità costituzionale“: lo si legge in un parere approvato all’unanimità dalla Sesta Commissione del Csm che sarà discusso domani dal plenum in una seduta straordinaria.
Nelle 80 pagine del documento, i consiglieri puntano l’indice contro la “frammantarietà e la segmentazione” degli interventi legislativi che si sono succeduti negli ultimi anni sul processo civile con il “reiterarsi di molteplici decreti, ognuno di essi introduttivi di una riforma presentata come risolutiva dei mali della giustizia civile”.
E osservano che se in astratto è possibile intervenire con decreto legge sulle questioni che riguardano la giustizia, quello che non si può fare è, continuando su questa strada, introdurre di fatto una “rilevante riforma processuale o ordinamentale” attraverso “uno strumento che il Costituente non ha predisposto per tale finalità ”.
Non ci sono problemi di costituzionalità : nel decreto legge sul civile c’è un “disallineamento” tra premesse (“la necessità e urgenza di intervenire in tema di giustizia civile”) e contenuto, visto che questo “coinvolge non solo la magistratura giudicante civile, ma altresì quella penale e la magistratura requirente”.
“E’ necessario chiedersi se non sia più opportuno — scrive ancora la Commissione — abbandonare lo schema di riforme volte a fornire risposte di immediato impatto, e tuttavia non sufficientemente ponderate oltre che ‘a costo zero’, aprendo invece a un più ampio dibattito con gli operatori, dentro e fuori le aule parlamentari, assicurando in questo modo , sia pure in tempi più lunghi, una più organica e ponderata riflessione sulle necessarie modifiche”.
“Intervento non idoneo a garantire l’efficienza
Le critiche avanzate dal Csm riguardano anche la capacità del decreto di influire in maniera positiva nella pratica.
Gli interventi proposti ”non appaiono particolarmente idonei ad assicurare un reale incremento dell’efficienza del sistema giustizia”.
I nuovi istituti previsti come per esempio la negoziazione assistita, “non hanno, salvo alcune eccezioni, caratteristiche tali da indurre a ipotizzare che la relativa introduzione possa determinare un’effettiva riduzione dell’arretrato ed un’accelerazione dei processi”, avvertono i consiglieri. E questo perchè “rappresentano una sorta di duplicazione di strumenti processuali già esistenti e rispetto ai quali, peraltro, è anche forte il rischio di sovrapposizione”.
“Controproducente il taglio delle ferie dei magistrati”
Ma il punto nevralgico è un altro: “Interventi sporadici e settoriali come quello in esame, destinati a incidere esclusivamente sulle regole processuali, non appaiono in alcun modo idonei a sortire gli effetti ipotizzati se non accompagnati da un adeguamento dei ruoli organici del personale amministrativo e dalla copertura dei ruoli della magistratura mediante espletamento dei concorsi”.
Se nel complesso l’intervento del governo non porterà a processi più veloci, non servirà certamente a questo scopo, il taglio delle ferie dei magistrati: “La riduzione delle ferie del personale magistratuale non soltanto non pare in alcun modo assicurare una maggiore funzionalità ed efficienza alla giustizia, ma addirittura potrebbe risultare in ipotesi, rispetto a tale obiettivo, persino controproducente“, sottolinea il documento che definisce “serio e allarmante” l’impatto che potrebbe avere la norma.
Critiche anche dall’Anm: “A quando una vera riforma?”
Negativo anche il parere dell’Associazione nazionale magistrati: “La riforma del governo non migliorerà la giustizia. Vere riforme quando?”.
L’Anm si esprime con un’infografica pubblicata sul suo sito, in cui evidenzia tra l’altro l’assenza di iniziative “vere” sulla corruzione, che “ci costa 60 miliardi all’anno” e sulla prescrizione, che rappresenta “la resa dello stato al crimine”.
L’Anm richiama l’attenzione anche sulla necessità di una vera riforma sull’autoriciclaggio: ci sono “200 miliardi di capitale all’estero non dichiarati”.
E sul falso in bilancio, visto che ci sono “miliardi di euro di evasione fiscale e fondi neri”.
E ancora in tema di prescrizione, fa presente che non intervenire sulla ex Cirielli, che ha drasticamente ridotto i termini, ha un solo risultato: “lavoro e soldi in fumo”.
E non è tutto: così viene “premiato chi cerca di far durare il processo il più possibile”; insomma, nell’insieme “è una sconfitta per tutti”.
Le cancellerie sono “senza personale“, negli uffici giudiziari “mancano migliaia di cancellieri”.
E pure sugli interventi dell’esecutivo sulla giustizia civile c’è una stroncatura: ci sarà “un aumento per le parti degli oneri economici legati all’arbitrato”, avverte il sindacato delle toghe.
“I numeri contano più delle parole”: i magistrati italiani sono “i più produttivi d’Europa”, si legge ancora nell’infografica. Nel settore civile pur di fronte a un “carico di lavoro smisurato“, pari a 2.399.530 procedimenti l’anno, i giudici di casa nostra sono secondi in Europa per numero di cause definite: 2.834.879. mentre nel settore penale sono addirittura i primi, visto che chiudono il 95% dei procedimenti arrivati nell’anno.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
SCIOLTO IL GRUPPO FORMATO DA 15 PERSONE CHE SI OCCUPAVA DI COMUNICAZIONE… ALL’ORIGIME CONTRASTI CON GLI EURODEPUTATI
Claudio Messora licenziato e lo staff comunicazione al parlamento Europeo azzerato.
Il cofondatore del Movimento 5 stelle Gianroberto Casaleggio ha deciso di intervenire dopo i continui problemi all’interno del gruppo. E non solo a Bruxelles.
L’uomo, fino ad oggi considerato tra i più fidati della Casaleggio associati, era stato contestato fortemente nei mesi scorsi anche nel suo primo lavoro al Senato a Roma.
La decisione improvvisa va a toccare a cascata anche il gruppo di 15 persone in totale – giornalisti, videomaker, grafici, fotografi — che erano state assunte direttamente da Messora a inizio giugno con regolare contratto.
Messora, intercettato dall’Adnkronos, si trincera dietro un “no comment”.
Il gruppo comunicazione, stando alle regole dei 5 Stelle, è affidato ai vertici del Movimento, dunque a Grillo e Casaleggio, e pagato attraverso il fondo per i collaboratori. Gli europarlamentari M5S, inoltre, avrebbero dovuto devolvere mille euro al mese per il funzionamento del gruppo.
Ma qualcosa è andato storto. Tra Messora e gli eletti non è mai corso buon sangue.
A qualcuno dei 17 europarlamentari, inoltre, la regola che prevede di affidare la comunicazione a un gruppo di lavoro scelto dalla Casaleggio associati non è mai andata giù.
Da qui, il braccio di ferro sui mille euro, finito in uno scontro aperto alla Casaleggio associati tra l’eurodeputato Ignazio Corrao e lo stesso Messora, consumatosi davanti agli occhi del cofondatore del Movimento.
Casaleggio, dopo varie telefonate e tentativi di mediazione, alla fine opta per la linea dura: nei giorni scorsi, a pochi giorni dall’evento #italia5stelle al Circo Massimo, ha deciso di azzerare lo staff.
Una scelta di cui è al corrente anche Beppe Grillo e che è destinata a fare molto rumore, visto che non avrebbe precedenti nel Parlamento europeo.
Un eletto, intercettato dall’Adnkronos, assicura che i 15 non andranno tutti a casa: “Valuteremo i curricula e terremo i migliori — dice — ma bisogna tagliare i costi e allontanare le persone che non hanno lavorato bene. E prima di fare ciò, occorre sciogliere l’intero gruppo”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
SI E’ DOVUTO ACCONTENTARE DELLA BATTAGLIA CONTRO I VU’ CUMPRA, POI SI E’ ACCORTO CHE CON LA CRISI GLI ELETTORI MODERATI COMPRANO SOLO DAGLI AMBULANTI
«L’uomo non è stato creato per sposare un altro uomo!» Tuona allo specchio Angelino Alfano mentre prova il discorso: «Proprio come il centrodestra non è stato creato per governare con il centrosinistr… no, cacchio, questa non la posso dire.
Dai, Angelino, calmo, respira….vedrai che troveremo qualcosa da dire agli elettori moderati.
Ci sono: cancelliamo l’articolo Diciott… no, aspetta, questa l’ha già detta lui.
Compriamo gli F-35 che ci servono a esport… pure questa. Maledizione».
Angelino è in crisi.
Si era messo in testa di fare il leader del centrodestra, forte di quel sondaggio che diceva che Forza Italia e Ncd, divisi, prendevano più voti (tanto che anche nel Pd c’era chi voleva dividersi in un partito di centro e uno di destra) ma poi è arrivato Renzi.
«Da quando c’è lui, non so più cosa raccontare ai miei elettori. Che infatti sono diventati i suoi. Asfaltare il sindacato? Lo fa Renzi. Rimandare all’infinito una legge sui matrimoni gay, sulla fecondazione eterologa, su qualunque altro argomento stia a cuore al Vaticano? Lo fa Renzi. Sognare il presidenzialismo, scrivere le riforme con Berlusconi e Verdini? Favorire gli evasori fiscali con una legge-fuffa contro l’autoriclaggio? Provate a mettervi nei miei panni!
Provateci voi a dire una cosa di centrodestra che non abbia già detto Renzi!
Mi sono dovuto accontentare della battaglia contro i vù cumprà , un classico della destra, ma di questi tempi gli unici stranieri che investono in Italia sono loro, e con la crisi che c’è gli elettori moderati comprano solo dagli ambulanti… rischio che poi mi si ritorce contro. E poi quel subdolo di un fiorentino mi vuole fregare anche i vu cumprà , me lo sento. Com’è che non ha fatto ancora lo Ius Soli, eh? In campagna elettorale non parlavano d’altro… lo fa per fregarmi!».
Angelino si guarda nello specchio e pensa quello che pensano tanti italiani della sua età : «Dovevo andare all’estero. In Italia c’è troppa concorrenza. All’estero a quest’ora ero il leader del centrodestra. Te lo ricordi l’Erasmus, quando sono andato a fare il ministro degli interni del Kazakistan? Ero bravo… Maledizione, avrei dovuto studiare le lingue».
Francesca Fornario
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Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
ALLE 18.41 IL VERTICE UE SI SCIOGLIE E RENZI RESTA CON L’ANNUNCIO IN GOLA… PER UNA VOLTA LA SCENA L’HA CONQUISTATA L’ALTRA COMPAGNIA DI GIRO
Glielo mandano a dire in fiorentino stretto, anzi rignanese, che fa ancora più male. “Cari senatori e senatrici – inforca il microfono il senatore Cinque stelle Stefano Lucidi – sono le 18 e 41, il vertice europeo è finito e, come si direbbe a Rignano, un s’è portato a casa nulla. Quindi, perso lo slot utile, possiamo anche tornare a fare il nostro. E a ragionare, con il tempo e i modi che servono, su un tema serio come quello del lavoro”.
Alle 18 e 41 infatti finisce il vertice di Milano sui temi economici che Renzi aveva individuato come il luogo dove portare lo scalpo di nuove regole sul lavoro a riprova che l’Italia sta facendo i compiti a casa.
I leader europei se ne vanno e il premier italiano nonchè residente di turno del semestre può fare solo bye bye. Senza poter annunciare alcunchè.
È un pezzo che non andava a segno. La battaglia contro la riforma del Senato, in fondo, se l’era intestata Sel lasciando i grillini più sullo sfondo. Oggi c’è l’ha fatta.
Il Movimento 5 stelle ha rovinato la festa al premier Renzi. Tanto ha fatto e brigato che ha impedito l’annuncio festoso dell’approvazione della delega al Jobs Act durante il vertice europeo a Milano con Hollande e la Merkel.
Alle sette della sera i ministri europei, specie quelli del nord dove le giornate sono corte, sono pronti per la soup e il dinner. Di certo non possono aspettare la notte italiana quando arriverà il via libera dell’aula di palazzo Madama.
Nella guerriglia a bassa intensità , micidiale al di là del lessico, che il Movimento ha ingaggiato con il governo e le istituzioni, oggi ha messo a segno una battaglia di valore.
Tanto che poi, quando è stato chiaro che la tempistica era saltata, sulla barca dei guastatori sono saltati Lega e anche Forza Italia.
“Essendo venuto meno l’annuncio con Hollande e la Merkel che ci era sin qui sembrato argomento dirimente, possiamo anche prenderci un po’ più di tempo per leggere un testo generico modificato con il maxi emendamento con un testo ancora più generico” ha detto Paolo Romani il capogruppo di Forza Italia.
Quando ci sono di mezzo i Cinquestelle non si sa mai quanto ci sia di pianificato o di improvvisato. In questo caso è stato tutto misurato. Al secondo, è il caso di dire.
Dalla mattina quando hanno provocato, con successo, la sospensione dei lavori da cui poi è derivato lo slittamento del voto di fiducia oltre i tempi utili all’annuncio europeo. Al pomeriggio-sera quando, una volta ripresi i lavori dell’aula, senatrici e senatori Cinquestelle, facendosi ogni tanto aiutare dal gruppo leghista, hanno messo in atto un ostruzionismo di primo livello.
Giocando fino all’estremo con il legittimo argomento della “proposte di variazione del calendario” sono intervenuti tutti, uno dopo l’altro, circa sessanta, chiedendo di mettere in calendario mozioni e ordini del giorno sepolti nel tempo: mozioni di sfiducia contro tutti i ministri del governo, dalla Guidi ad Alfano passando per Lorenzin e Poletti che “distrugge il lavoro”; questioni sessiste contro il presidente Grasso accusato di “far parlare più gli uomini delle donne” (senatrice Elena Fattori); il maltempo nel Gargano e i siriani respinti a Fiumicino. Vero? Falso? Non importa. Quello che conta è perdere tempo.
Ne fa le spese il presidente Grasso che tira avanti i lavori in una giornata campale nonostante tutto e tutti, dal lancio dei volumi del regolamento “parati” con qualche difficoltà dalla barriera dei commessi d’aula, alle previsioni minacciose.
“Lei è un presidente schiacciato dal presidente del consiglio Renzi” gli urla un Cinque stelle. “Attenzione presidente -provoca la Lega – grasso schiacciato è grasso che cola…” cioè destinato alla rottamazione secondo gli schemi renziani.
È una cronaca triste e complessa quella della giornata al Senato.
Peggiore persino di quelle altre giornate che tra fine luglio e i primi di agosto segnarono l’approvazione in prima lettura della riforma del Senato.
Una giornata che una volta di più insegna che ogni volta che il governo pone una data-simbolo, le opposizioni fanno di tutto per farla saltare. Spesso ci riescono. Forse converrebbe non fissare più una data sul calendario. E nel frattempo fare.
La trappola dei Cinque stelle prende forma poco dopo le tredici.
Mentre parla il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e fa il suo ingresso in aula il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, dai banchi pentastellati si comincia a mormorare. Non va giù la tagliola di tempi e motivi. Non va giù che si debba votare un testo di cui l’aula ancora non conosce la formulazione definitiva ma su cui il governo pretende un voto di fiducia al buio.
Come se in questi mesi non se ne fosse parlato già abbastanza.
I Cinque stelle mettono in scena tutte le provocazioni di cui sono capaci, dai fogli bianchi sbandierati in aula per dire che non si può votare una delega in bianco alle monetine che il capogruppo Petrocelli consegna al ministro Poletti. Elemosina provocatoria. Offensiva. Che il presidente Grasso ritiene necessario fermare con l’espulsione di Petrocelli.
Mai, però, s’era visto espellere un capogruppo. I senatori 5 Stelle rifiutano e si barricano in aula in una catena umana inviolabile per i commessi. Seduta sospesa. Se ne riparla alle 16.
Ma sono ore preziose sottratte al dibattito e al voto. Il progetto Renzi, e relativi annuncio, comincia ad entrare in crisi.
Alla ripresa dei lavori il ministro Poletti non fa neppure in tempo a finire il suo intervento. Il ministro Boschi mette la fiducia e lo fa così in fretta che quasi bisbiglia. A questo punto – e sono le 16 e 32 – il testo del maxi emendamento diventa ufficiale. Nella riunione dei capigruppo i Cinque stelle chiedono “almeno quattro ore di tempo per studiarlo. Che magari ci piace e lo approviamo anche noi”.
Le quattro ore vengono negate ma alle 17 è chiaro che il piano del governo è saltato.
Il premier non avrà nulla da annunciare ad Angela e a Francois. “Renzi ha dovuto dire alla Merkel gatto prima di averlo nel sacco” sibila la senatrice Nugnes (M5S).
A questo punto l’ostruzionismo assume le forme più surreali, “opere circensi e solo mediatiche” le bolla la senatrice Bencini, ex Cinque stelle.
L’aula di palazzo Madama diventa un’ordalia dove M5S e leghisti, anche l’azzurro Nitto Palma che tira fuori il grillino che è in lui, accusano Grasso di non rispettare il regolamento.
Si avvicinano al banco del governo e poi della presidenza per lanciare il libro del regolamento, alto e pesante, contro il presidente Grasso.
Un paio di volumi sfiorano il volto di un paio di segretari d’aula. I commessi, sistemati come una barriera a difesa del banco della Presidenza, parano il lancio di oggetti. Altri commessi fanno sparire ogni suppellettile da scrivania che possa essere lanciato.
Il senatore Centinaio sgattaiola fino al lato destro del banco della presidenza e da lì lancia il volume che più di tutti sfiora il Presidente del Senato.
Non rinviare il voto a domattina, cosa a questo punto anche sensata, diventa una questione di principio. L’ennesima bandiera irrinunciabile.
Grasso non può che andare avanti come un automa. Il rispetto istituzionale è stato cancellato da un pezzo. Ma per uno che ha affrontato 300 boss di mafia in gabbia ai tempi del maxiprocesso a Palermo, cosa saranno mai una sessantina di senatori urlanti e offensivi? Tanto vale procedere e arrivare al voto. Che arriva nella notte.
Dopo, purtroppo, aver visto la rissa anche tra i banchi a sinistra dell’emiciclo.
Botte tra compagni. Tra la senatrice De Petris (Sel) e il senatore Covancich, per i
solito mite e educato.
Non doveva finire così.
Ma ci si chiede anche come si possa ancora andare avanti così.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
CIVATI: “LO JOBS ACT E’ LA COSA PIU’ DI DESTRA NELLA STORIA DEL PD
“Walter, ma è vero che ti stai dimettendo?”. Galleria dei presidenti di Montecitorio, ore sette della sera.
Quando da Palazzo Madama rimbalza la notizia che il senatore dissidente Walter Tocci starebbe per dimettersi, un parlamentare democratico è incredulo, non crede alle parole del cronista.
E senza perdere un secondo compone il numero di telefono del ribelle di Largo del Nazareno. “Pronto Walter, ma è vero che staresti per dimetterti? Attento, non fare cazzate…”.
Dall’altro capo del telefono Tocci non ne vuol sapere, ormai il dado è tratto.
L’onorevole, però, insiste: “Walter, ti ripeto, non fare cazzate perchè poi escono un paio di agenzie e finisce tutto”.
Il senatore, però, spiega al deputato che voterà la fiducia sul disegno di delega ma poi lascerà lo scranno, non intende indietreggiare di mezzo centimetro. La decisione ormai è stata presa. Tuttavia il collega deputato cerca di convincerlo: “Tu sei stato eletto dal popolo con le primarie. Secondo me, stai facendo una cazzata. Oltretutto non ti fidare dei falsi amici che ti spingono a dimetterti perchè poi dopo un paio di agenzie finisce tutto. Dai, ripensaci”.
I telefoni si spengono, e il giovane parlamentare Pd, ancora choccato dalla notizia, si lascia andare: “Walter è una persona seria, ha una storia di sinistra alle spalle e se lo farà saranno problemi…”.
Dopo qualche minuto nel Transatlantico di Montecitorio Pippo Civati, che nel pomeriggio aveva annunciato “che alcuni sono pronti a dimettersi” e che considera il disegno di legge sul jobs act “la cosa più di destra della storia della sinistra”, invia un messaggio ai vertici di Largo del Nazareno: “Aspettiamo le nove di questa sera, ma se dovesse dimettersi si creerebbe un precedente”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
PIOVONO MONETE SU POLETTI E BOSCHI, FASCICOLI SU GRASSO, SCHIAFFI TRA PD E SEL, SI DIMETTE TOCCI
Stavolta i grillini c’entrano poco.
A scontrarsi infatti sono stati senatori del Pd e di Sel. Oggetto dell’accesa discussione una frase del Pd Roberto Cociancich, rivolta ai banchi di Sel, mentre i grillini scagliavano libri contro la presidenza: “Voi che parlate sempre di attacchi alla democrazia, perchè non vi indignate per questi atteggiamenti?”.
Secondo la ricostruzione di Cociancich, a quel punto la capogruppo di Sel Loredana De Petris si sarebbe avventata verso i banchi Pd. Colpendo per errore la collega democratica Emma Fattorini, che ha subito una contusione al polso ed è stata medicata in infermeria.
Alla fine della bagarre Cociancich è andato verso il banco della De Petris per stringerle la mano e chiudere l’incidente.
Diversa la ricostruzione di De Petris. “Noi non stavamo facendo nulla, dal Pd improvvisamente ci hanno urlato ‘vergogna’ e ‘fascisti’. Io ho risposto a tono ‘Vergogna per cosa?’, e mi sono avvicinata a Cociancich. Non ho aggredito nessuno e non credo di aver urtato la Fattorini, c’era grande confusione. Io stesso sono stata graffiata ma non so da chi. Se ho urtato la collega me ne scuso”.
La senatrice Fattorini si è allontanata dal Senato per riposare alcune ore, ma tornerà in Aula per la fiducia: “De Petris è venuta come una furia verso i nostri banchi, io ero in mezzo tra lei e Cociancich, lei si è praticamente messa al mio posto, era una furia”, racconta ad Huffpost.
“Mi è venuto d’istinto cercare di dividerli, anche la collega Nicoletta Favero ha cercato di darmi una mano. Sono stata travolta e ho preso un colpo al braccio. Non credo che la De Petris l’abbia fatto apposta, ma in Senato queste risse da bar andrebbero evitate. Scuse? Non c’è stato tempo, sono subito andata in infermeria e poi a casa…”.
Già in mattinata tra i senatori Pd e Sel c’erano state scintille e insulti, in particolare all’indirizzo di Giovanni Barozzino.
Sel e Pd si sono presentati insieme alle ultime elezioni politiche, con la coalizione di centrosinistra “Italia bene comune”.
L’episodio arriva dopo una lunga giornata in Senato dove i parlamentari stanno inscenando scontri, proteste rumorose e persino lanci di oggetti.
Nel mattino una pioggia di monetine ha colpito il ministro Giuliano Poletti, in serata un senatore leghista e uno dei 5 stelle hanno lanciato il regolamento del Senato contro Pietro Grasso, il presidente dell’Assemblea.
Il senatore del Pd Walter Tocci avvierà stasera le procedure per dimettersi da senatore per protestare contro il Jobs act. Prima però voterà la fiducia al Governo. E’ quanto riferiscono fonti vicine al capogruppo del partito al Senato, Luigi Zanda.
(da “Huffingtonpost“)
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Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
MONTA IL MALUMORE CONTRO GRASSO PER AVER SOSPESO LA SEDUTA…E DA MILANO RENZI ORDINA: “VOTO ENTRO STASERA”
Al Senato sembra di essere tornati a luglio, nella bolgia infernale del dibattito sulla riforma costituzionale, quando l’aula procedeva a singhiozzo e nel Pd montavano i malumori contro il presidente del Senato Pietro Grasso.
Così oggi i Dem renziani non hanno per niente digerito la decisione di Grasso di sospendere l’aula per via delle proteste del M5s, nel bel mezzo dell’intervento del ministro Giuliano Poletti. Da Milano, dove è impegnato nel vertice Ue sull’occupazione, anche lo stesso Matteo Renzi è furioso per la scelta di Grasso, che indubbiamente lascia slittare il voto sulla fiducia al Jobs Act a stasera.
Significa che il premier parlerà in conferenza stampa congiunta con Angela Merkel e Francois Hollande a voto ancora in corso, se va bene.
Le linee telefoniche tra il gruppo Pd al Senato e Milano sono roventi. La raccomandazione che arriva dal presidente del Consiglio è di chiudere il voto almeno entro stasera.
Ma le incognite sono dietro ogni angolo.
In quanto l’aula può trasformarsi in una bolgia in ogni momento. La temperatura è alle stelle.
Tra i Dem non renziani c’è chi mette in conto il rischio che l’approvazione della legge delega sul lavoro slitti a domani.
I renziani invece lavorano per evitare questo rischio. E, proprio come è successo a luglio sulla riforma costituzionale, ci si chiede se Grasso intenda presiedere l’aula per tutta la durata dell’esame del Jobs Act e delle votazioni sulla fiducia che il governo sta per chiedere.
Oppure se accetterà di farsi sostituire da un vicepresidente.
A taccuini chiusi, ci si chiede quanto ci sia di improvvisato nelle scelte del presidente e quanto di premeditato. Proprio come sull’esame del ddl Boschi, che il presidente del Senato criticò in prima persona già la scorsa primavera.
Anche perchè, più la temperatura sale, più entrano in bilico quei voti Dem da sempre considerati incerti.
Nelle ultime ore, il sismografo del gruppo Pd al Senato registra nuove scosse tra i senatori di orbita civatiana: Corradino Mineo, Lucrezia Ricchiuti, Felice Casson, Walter Tocci.
Fino a ieri sera sembravano rientrati nei ranghi, almeno alcuni di loro.
Mentre adesso sono di nuovo in fibrillazione, agitati dal caso Casson, senatore della giunta per le immunità , che si è autosospeso dal gruppo perchè in disaccordo con la scelta del Pd di non autorizzare l’uso delle intercettazioni a carico del senatore di Ncd Antonio Azzollini, coinvolto per truffa nell’inchiesta sugli appalti del porto della sua città , Molfetta, in Puglia.
Renzi punta a ottenere 160 sì alla fiducia. Entro stasera.
Ma a Milano, al fianco della Merkel e di Hollande, dovrà parlare del suo Jobs Act senza averlo ancora in pugno.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
GRILLINI BARRICATI IN AULA, L’ART.18 DIVENTA L’INNOMINATO…RENZI CAMBIA POSTAZIONE: OGGI SPARA CAZZATE DA MILANO
Contestazioni in Aula durante il discorso del ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Il presidente Piero Grasso ha espulso il capogruppo M5s Vito Petrocelli e sospeso la seduta.
Il Senato si prepara a votare la fiducia al maxi-emendamento del Jobs act tra le polemiche.
Al centro della discussione c’è l’articolo 18, che però nel disegno di legge delega non viene mai citato. E se Matteo Renzi dice di non temere imboscate, i problemi riguardano il testo.
In Aula si voterà infatti il maxi-emendamento che riguarda tra le altre cose gli incentivi ai contratti a tempo indeterminato. Ma anche se non è specificato, Palazzo Chigi assicura che la fiducia è sull’articolo 18.
Una posizione ribadita dal ministro del lavoro che durante il suo intervento è stato contestato dal Movimento 5 stelle. “L’articolo 18 — aveva detto Poletti — non è l’alfa e l’omega della nostra riflessione. Io rispetto tutte le considerazioni ma credo siano forse state eccessive in senso positivo e negativo. Si tratta di un argomento rilevante ma meno decisivo”.
Petrocelli fa “l’elemosina” a Poletti, Grasso lo espelle e lui resta in Aul
Le proteste dei grillini nell’Aula del Senato sono cominciate pochi minuti dopo l’inizio dell’intervento del ministro Poletti.
“Andate a casa” hanno gridato i senatori M5s contro il ministro che è stato più volte interrotto. Tra i più accesi il capogruppo Vito Petrocelli, richiamato per ben due volte dal presidente Piero Grasso e Paola Taverna.
In piedi anche tutti i senatori della Lega. Grasso alla fine ha espulso Petrocelli che però è rimasto nell’emiciclo e non intende lasciare l’Assemblea, che nel frattempo è stata sospesa e aggiornata al pomeriggio.
“Non uscirò dall’Aula a meno che non mi portino via con la forza o finchè il presidente Grasso non revocherà un provvedimento assurdo” dice all’Ansa Petrocelli. I parlamentari M5s si mettono tutti intorno a Petrocelli, come una sorta di scudo umano, per impedire che i commessi lo portino fuori.
Gli assistenti parlamentari hanno dovuto allontanare i grillini uno ad uno mentre alcune senatrici gridavano e protestavano con forza.
Il motivo dell’espulsione è il gesto che il capogruppo M5s ha fatto al ministro del Lavoro: un’elemosina di 50 centesimi che il grillino ha consegnato a Poletti.
Una scena che ha provocato la reazione del presidente del Senato.
Ma secondo Petrocelli il motivo dell’espulsione è un altro. “Sono stato espulso per aver mostrato in Aula un foglio bianco — dichiara — Il foglio rappresenta la delega in bianco che il governo vuole farci firmare con la fiducia sul Jobs Act. Per la prima volta un capogruppo viene espulso dal Senato per aver mostrato un cartello perfettamente bianco, rasentiamo l’assurdo”.
Nella delega non c’è l’articolo 18. Palazzo Chigi: “Ma Renzi l’ha sempre detto”
A polemica si aggiunge polemica, visto che nel disegno di legge delega non viene mai citato l’articolo 18, che non sarà l’alfa e l’omega come dice Poletti ma è stato per settimane il centro del confronto tra le parti.
Un’ambiguità a parole che evidenzia il deputato Pippo Civati. “Ma se la delega non cita l’articolo 18″, scrive il parlamentare della minoranza Pd sul suo blog, “come farà il governo a ‘decretare’ sull’art. 18? La furbizia di non mettere in delega alcun riferimento all’articolo 18 per ottenere la fiducia comporta una banale conseguenza.
Della stessa opinione anche Rosy Bindi: “Non si capisce”, ha detto a Radio Anch’io, “come il governo possa annunciare modifiche all’art. 18 con i decreti legislativi in totale assenza di oggetto, principi e criteri direttivi nell’articolato della legge delega e nello stesso emendamento sul quale intende porre la fiducia. Con il voto di fiducia di oggi il governo non può sentirsi autorizzato a violare un articolo della Costituzione”.
Renzi, prima del vertice di Milano con gli altri leader Ue sul lavoro (quello che lui non ha mai esercitato), è andato a farsi uno spot con la nazionale femminile di volley,
Dopo averne raccontate tante, era il momento di passare alla palla-volo.
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Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile
I FONDI DISTRIBUITI IN BASE ALLA PLATEA DEI LAVORATORI SOCIALMENTE UTILI E NON ALLE REALI ESIGENZE DELLE SCUOLE…LA CAMPANIA PRENDE PIU’ DI UN TERZO DEI 450 MILIONI COMPLESSIVI
“Non siamo partiti dall’edilizia, ma dall’annoso problema dei lavoratori socialmente utili e della gara per i servizi di pulizia”.
A svelare il bluff dell’operazione “Scuole belle” sono gli stessi vertici del ministero dell’Istruzione.
L’obiettivo non erano le scuole: i soldi, 450 milioni di euro in totale, sono stati in realtà stanziati per risolvere il problema degli ‘ex Lsu’, migliaia di lavoratori che svolgono le opere di pulizia nelle strutture scolastiche del Paese, messi in difficoltà dal ribasso dell’ultima convenzione Consip.
Il progetto di manutenzione è solo il modo di garantire a questi dipendenti la continuità occupazionale perduta.
Così gli istituti scivolano in secondo piano: fondi distribuiti a pioggia, senza considerare gli interventi realmente necessari; importi, in alcuni casi di decine di migliaia di euro, spesi per operazioni marginali, perchè solo queste rientravano nelle competenze dei lavoratori da occupare.
“Scuole Belle” insomma si trasforma, diventa la storia un’iniziativa che riguarda sì la scuola italiana, ma non è stata calibrata sulle esigenze della scuola italiana.
Non più il grande progetto annunciato in pompa magna dal presidente del Consiglio, ma i classici due piccioni con una fava.
Anche i presidi ne sono consapevoli. “Il progetto non è come l’hanno presentato: pensavamo di poter gestire quelle risorse, con certe cifre avremmo potuto fare cose importanti. In realtà c’è solo da scegliere tra alcune opzioni di lavori possibili. È tutto incanalato perchè quei soldi servono a dare da mangiare ai lavoratori socialmente utili, le scuole vengono dopo”, spiega Fernando Iurlaro, dirigente dell’Istituto comprensivo Copertino, in provincia di Lecce.
I SOLDI DOVE CI SONO PIÙ LAVORATORI
La riprova sta proprio nel processo con cui l’esecutivo ha elaborato la graduatoria e quantificato gli importi. I 150 milioni per il 2014, che diventeranno 450 milioni fino ai primi mesi del 2016, sono esattamente quanto serve a colmare il gap aperto dall’ultimo bando Consip.
E i fondi sono stati distribuiti tra le varie province del Paese non sulla base delle richieste delle scuole ma sul numero dei lavoratori.
Tanto che su 450 milioni totali 330 finiscono al Meridione — la Campania da sola ne prende 171, la Puglia 68 — solo perchè la maggior parte degli Lsu si trova in queste regioni. Non certo perchè le strutture del Sud siano messe peggio di quelle del Nord.
A ricostruire l’iter è Sabrina Bono, capo dipartimento Miur per le risorse finanziarie: “Quella dei lavoratori socialmente utili è un’emergenza che nasce dalla gara per i servizi di pulizia: l’esternalizzazione, se da un lato ha razionalizzato i costi, dall’altro ha generato una pressante questione sociale. Per affrontarla, il nuovo governo ha pensato ad una soluzione che non fosse il solito ricorso agli ammortizzatori sociali. E visto che sul tavolo c’era già il tema dell’edilizia scolastica, si è deciso di inaugurare un filone riguardante la piccola manutenzione”.
Questo genere di lavori, infatti, ricade proprio all’interno della convenzione Consip che riguarda gli “ex Lsu”.
Così sono stati messi in cantiere un tot di opere in base al fabbisogno di questi lavoratori, non delle scuole. Legittimo. Anche lodevole, a sentire alcuni protagonisti come i sindacati o i vertici del ministero, soddisfatti di aver raggiunto un duplice obiettivo: “Per noi è una bella iniziativa, fino all’anno scorso in alcune scuole si facevano collette fra i genitori per riverniciare le aule. Abbiamo ricevuto tante lettere di ringraziamento”, afferma la Bono.
Sicuramente, però, non è quello che aveva raccontato il premier Renzi, che negli ultimi mesi aveva più volte sbandierato l’intenzione di mettere la scuola al centro dei piani del governo. Mentre le cose sono andate diversamente.
GLI EFFETTI NEGATIVI SUI LAVORI
La particolare genesi del progetto, infatti, ha comportato alcune storture nella destinazione dei fondi alle scuole e nel loro impiego.
La prima, la più macroscopica, è che il principale criterio di ripartizione è stato il numero di lavoratori presenti nella provincia: i soldi, insomma, non sono andati alle scuole che ne avevano più bisogno.
Del resto, non c’è stato alcun bando a cui gli istituti potevano partecipare, nessun censimento specifico per monitorare gli interventi da effettuare (se non la consueta comunicazione che all’inizio di ogni anno i presidi fanno ai Comuni di appartenenza). Così nelle province più “munificate” dal progetto (come ad esempio Napoli con 37 milioni di euro, o Lecce con 10 milioni) è capitato che alcune scuole, le più grandi, si vedessero assegnati fino 200mila euro. Cifre ben lontane dai 7mila euro fissati come importo minimo dal Miur, o dalla media di 20mila euro scarsi per plesso. Sempre, però, per fare interventi “di cacciavite”.
La lista delle operazioni possibili, poi, è abbastanza ristretta: verniciatura delle pareti e cancellazioni di scritte; riparazioni degli infissi; rimozione e riallocazione delle strutture didattiche (praticamente montare o spostare mensole, armadi, lavagne); piccoli interventi all’impianto idrico-sanitario (caldaie escluse, però); rifacimento e manutenzione del giardino. È possibile spendere decine, a volte centinaia di migliaia di euro solo in questo tipo di lavori? Evidentemente sì. Si doveva farlo, del resto. Al massimo è stata concessa la possibilità di destinare fondi avanzati per pagare a canone servizi di pulizia e giardinaggio per i prossimi mesi.
E pazienza che in alcuni casi gli stessi presidi abbiano avanzato dei dubbi. “A me alcuni costi sono sembrati spropositati.
Ad esempio, il 15% secco solo per pulizie di fine cantiere (altra voce della circolare, ndr) mi è sembrato esagerato”, spiega Tonino Bacca, dirigente scolastico del circolo “Livio Tempesta” a Lecce.
La sua direzione didattica si è vista assegnare 166mila euro, di cui 25mila circa se ne andranno solo per smontare i cantieri.
“A casa mia non avrei mai fatto quei lavori a quelle cifre”, conclude. “Se avessi potuto decidere, avrei speso solo una parte dei fondi in manutenzione e il resto li avrei destinati a migliore la qualità delle attrezzature e dell’offerta formativa”.
Discorso simile in un’altra scuola della provincia: qui la preside (che ha preferito rimanere anonima) ha speso circa 50mila euro per riverniciare 16 aule; ma pochi mesi prima la ritinteggiatura di 10 aule, a spese del Comune, era costata solo 17mila euro; in proporzione, meno della metà . È il genere di inconvenienti che si verifica con i finanziamenti a pioggia
Il risultato, alla fine della giostra, è una “mano di fresco” ai 7.751 plessi interessati, che ha lasciato parzialmente soddisfatti i presidi: da una parte felici di aver migliorato le condizioni delle loro strutture, dall’altra convinti che con le stesse cifre si sarebbe potuto fare di più e di meglio.
Tutti contenti, invece, i lavoratori impiegati dal progetto, i veri beneficiari dell’iniziativa.
LSU: CHI E QUANTI SONO
Per capire di chi si tratta e da dove nasce questa esigenza bisogna fare un passo indietro. In totale parliamo di circa 21mila uomini e donne in tutta Italia, concentrati per oltre il 50% nelle regioni del Sud.
Alcuni provengono dai cosiddetti “appalti storici”, impiegati in questo settore sin dagli anni Ottanta. Altri, la maggior parte, sono appunto gli ex “lavoratori socialmente utili” (Lsu): disoccupati o cassaintegrati che nel 2001 il governo Prodi decise di stabilizzare all’interno delle scuole per i lavori di pulizia, impegnandosi a stanziare ogni anno le risorse necessarie per mantenerli.
La loro situazione si è però complicata nel corso degli anni: le opere di pulizia sono state prima sottratte agli enti locali nel 2007, poi esternalizzate.
E l’ultima gara Consip del 2011 ha visto dei ribassi tali (in alcuni casi anche del 30-50%) da indurre le ditte a presentare un piano di riduzione consistente dell’orario di lavoro. Si tratta della Dussmann in Puglia e Toscana; della Manutencoop in Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Lombardia e Trentino Alto-Adige; e del consorzio Rti in Sardegna, Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo Molise, Valle D’Aosta, Piemonte e Liguria (nelle altre regioni la gara non è stata completata).
Già negli scorsi anni erano state varate delle operazioni straordinarie di pulizia, per far fronte all’emergenza. Quindi, nel febbraio 2014, il lancio di “Scuole belle”, per dare una svolta alla questione.
Con i soldi del progetto, infatti, i lavoratori dovrebbero essere a posto almeno per due anni. Poi alcuni di loro dovrebbero andare in pensione, il bacino cominciare a svuotarsi. E il “bubbone” sgonfiarsi. Con piena soddisfazione del governo.
Un po’ meno delle scuole, che per essere pulite meglio dovrebbero sperare in una disoccupazione maggiore.
Lorenzo Vendemiale
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi, scuola | Commenta »