CORVO ROSSO NON HA AVUTO LO SCALPO: TORNA A CASA RENZIE
ALLE 18.41 IL VERTICE UE SI SCIOGLIE E RENZI RESTA CON L’ANNUNCIO IN GOLA… PER UNA VOLTA LA SCENA L’HA CONQUISTATA L’ALTRA COMPAGNIA DI GIRO
Glielo mandano a dire in fiorentino stretto, anzi rignanese, che fa ancora più male. “Cari senatori e senatrici – inforca il microfono il senatore Cinque stelle Stefano Lucidi – sono le 18 e 41, il vertice europeo è finito e, come si direbbe a Rignano, un s’è portato a casa nulla. Quindi, perso lo slot utile, possiamo anche tornare a fare il nostro. E a ragionare, con il tempo e i modi che servono, su un tema serio come quello del lavoro”.
Alle 18 e 41 infatti finisce il vertice di Milano sui temi economici che Renzi aveva individuato come il luogo dove portare lo scalpo di nuove regole sul lavoro a riprova che l’Italia sta facendo i compiti a casa.
I leader europei se ne vanno e il premier italiano nonchè residente di turno del semestre può fare solo bye bye. Senza poter annunciare alcunchè.
È un pezzo che non andava a segno. La battaglia contro la riforma del Senato, in fondo, se l’era intestata Sel lasciando i grillini più sullo sfondo. Oggi c’è l’ha fatta.
Il Movimento 5 stelle ha rovinato la festa al premier Renzi. Tanto ha fatto e brigato che ha impedito l’annuncio festoso dell’approvazione della delega al Jobs Act durante il vertice europeo a Milano con Hollande e la Merkel.
Alle sette della sera i ministri europei, specie quelli del nord dove le giornate sono corte, sono pronti per la soup e il dinner. Di certo non possono aspettare la notte italiana quando arriverà il via libera dell’aula di palazzo Madama.
Nella guerriglia a bassa intensità , micidiale al di là del lessico, che il Movimento ha ingaggiato con il governo e le istituzioni, oggi ha messo a segno una battaglia di valore.
Tanto che poi, quando è stato chiaro che la tempistica era saltata, sulla barca dei guastatori sono saltati Lega e anche Forza Italia.
“Essendo venuto meno l’annuncio con Hollande e la Merkel che ci era sin qui sembrato argomento dirimente, possiamo anche prenderci un po’ più di tempo per leggere un testo generico modificato con il maxi emendamento con un testo ancora più generico” ha detto Paolo Romani il capogruppo di Forza Italia.
Quando ci sono di mezzo i Cinquestelle non si sa mai quanto ci sia di pianificato o di improvvisato. In questo caso è stato tutto misurato. Al secondo, è il caso di dire.
Dalla mattina quando hanno provocato, con successo, la sospensione dei lavori da cui poi è derivato lo slittamento del voto di fiducia oltre i tempi utili all’annuncio europeo. Al pomeriggio-sera quando, una volta ripresi i lavori dell’aula, senatrici e senatori Cinquestelle, facendosi ogni tanto aiutare dal gruppo leghista, hanno messo in atto un ostruzionismo di primo livello.
Giocando fino all’estremo con il legittimo argomento della “proposte di variazione del calendario” sono intervenuti tutti, uno dopo l’altro, circa sessanta, chiedendo di mettere in calendario mozioni e ordini del giorno sepolti nel tempo: mozioni di sfiducia contro tutti i ministri del governo, dalla Guidi ad Alfano passando per Lorenzin e Poletti che “distrugge il lavoro”; questioni sessiste contro il presidente Grasso accusato di “far parlare più gli uomini delle donne” (senatrice Elena Fattori); il maltempo nel Gargano e i siriani respinti a Fiumicino. Vero? Falso? Non importa. Quello che conta è perdere tempo.
Ne fa le spese il presidente Grasso che tira avanti i lavori in una giornata campale nonostante tutto e tutti, dal lancio dei volumi del regolamento “parati” con qualche difficoltà dalla barriera dei commessi d’aula, alle previsioni minacciose.
“Lei è un presidente schiacciato dal presidente del consiglio Renzi” gli urla un Cinque stelle. “Attenzione presidente -provoca la Lega – grasso schiacciato è grasso che cola…” cioè destinato alla rottamazione secondo gli schemi renziani.
È una cronaca triste e complessa quella della giornata al Senato.
Peggiore persino di quelle altre giornate che tra fine luglio e i primi di agosto segnarono l’approvazione in prima lettura della riforma del Senato.
Una giornata che una volta di più insegna che ogni volta che il governo pone una data-simbolo, le opposizioni fanno di tutto per farla saltare. Spesso ci riescono. Forse converrebbe non fissare più una data sul calendario. E nel frattempo fare.
La trappola dei Cinque stelle prende forma poco dopo le tredici.
Mentre parla il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e fa il suo ingresso in aula il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, dai banchi pentastellati si comincia a mormorare. Non va giù la tagliola di tempi e motivi. Non va giù che si debba votare un testo di cui l’aula ancora non conosce la formulazione definitiva ma su cui il governo pretende un voto di fiducia al buio.
Come se in questi mesi non se ne fosse parlato già abbastanza.
I Cinque stelle mettono in scena tutte le provocazioni di cui sono capaci, dai fogli bianchi sbandierati in aula per dire che non si può votare una delega in bianco alle monetine che il capogruppo Petrocelli consegna al ministro Poletti. Elemosina provocatoria. Offensiva. Che il presidente Grasso ritiene necessario fermare con l’espulsione di Petrocelli.
Mai, però, s’era visto espellere un capogruppo. I senatori 5 Stelle rifiutano e si barricano in aula in una catena umana inviolabile per i commessi. Seduta sospesa. Se ne riparla alle 16.
Ma sono ore preziose sottratte al dibattito e al voto. Il progetto Renzi, e relativi annuncio, comincia ad entrare in crisi.
Alla ripresa dei lavori il ministro Poletti non fa neppure in tempo a finire il suo intervento. Il ministro Boschi mette la fiducia e lo fa così in fretta che quasi bisbiglia. A questo punto – e sono le 16 e 32 – il testo del maxi emendamento diventa ufficiale. Nella riunione dei capigruppo i Cinque stelle chiedono “almeno quattro ore di tempo per studiarlo. Che magari ci piace e lo approviamo anche noi”.
Le quattro ore vengono negate ma alle 17 è chiaro che il piano del governo è saltato.
Il premier non avrà nulla da annunciare ad Angela e a Francois. “Renzi ha dovuto dire alla Merkel gatto prima di averlo nel sacco” sibila la senatrice Nugnes (M5S).
A questo punto l’ostruzionismo assume le forme più surreali, “opere circensi e solo mediatiche” le bolla la senatrice Bencini, ex Cinque stelle.
L’aula di palazzo Madama diventa un’ordalia dove M5S e leghisti, anche l’azzurro Nitto Palma che tira fuori il grillino che è in lui, accusano Grasso di non rispettare il regolamento.
Si avvicinano al banco del governo e poi della presidenza per lanciare il libro del regolamento, alto e pesante, contro il presidente Grasso.
Un paio di volumi sfiorano il volto di un paio di segretari d’aula. I commessi, sistemati come una barriera a difesa del banco della Presidenza, parano il lancio di oggetti. Altri commessi fanno sparire ogni suppellettile da scrivania che possa essere lanciato.
Il senatore Centinaio sgattaiola fino al lato destro del banco della presidenza e da lì lancia il volume che più di tutti sfiora il Presidente del Senato.
Non rinviare il voto a domattina, cosa a questo punto anche sensata, diventa una questione di principio. L’ennesima bandiera irrinunciabile.
Grasso non può che andare avanti come un automa. Il rispetto istituzionale è stato cancellato da un pezzo. Ma per uno che ha affrontato 300 boss di mafia in gabbia ai tempi del maxiprocesso a Palermo, cosa saranno mai una sessantina di senatori urlanti e offensivi? Tanto vale procedere e arrivare al voto. Che arriva nella notte.
Dopo, purtroppo, aver visto la rissa anche tra i banchi a sinistra dell’emiciclo.
Botte tra compagni. Tra la senatrice De Petris (Sel) e il senatore Covancich, per i
solito mite e educato.
Non doveva finire così.
Ma ci si chiede anche come si possa ancora andare avanti così.
(da “Huffingtonpost”)
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