Ottobre 11th, 2014 Riccardo Fucile
A FINE OTTOBRE RENZI RITORNA ALLA LEOPOLDA, MA SONO IN TANTI AD ESSERE SCAPPATI DALLA SUA CORTE
“Se quando arrivi alla guida del paese rinunci a cambiare non hai fatto tutto il tuo lavoro. Tutte le persone che stavano con Renzi alla Leopolda o nei comitati che lo sostenevano o hanno fatto delle liste civiche o sono state messe ai margini. È necessario un rilancio dello spirito originario”.
Così attaccava Matteo Richetti, domenica 5 ottobre, durante la trasmissione In mezz’ora di Lucia Annunziata.
Una presa di posizione che arriva dal deputato dem che è stato tra gli organizzatori e gli ispiratori della Leopolda delle origini assieme all’allora sindaco di Firenze.
Sul palco nella seconda edizione (2011), quella in cui il “renzismo” cominciava a strutturarsi, dietro le quinte, nella terza (2012), quella delle primarie contro Bersani, nella quale aveva l’intervento di chiusura dei lavori.
Sul palco, la prima volta alla stazione industriale di Firenze, c’era Pippo Civati. E nel 2012, insieme a Davide Faraone (ora in attesa di un ministero), c’era Giorgio Gori.
Oggi Civati riflette sulla scissione del Pd, Gori è finito a fare il sindaco di Bergamo. Richetti (che si è ritirato dalle primarie in Emilia Romagna) si è assunto il compito di primo renziano doc a criticare l’azione del governo e la gestione del Pd, dicendo a viso scoperto quello che molti renziani in Parlamento dicono sottovoce da mesi.
E che ribadivano anche nei giorni scorsi.
“A Roma siamo rimasti schiacciati tra l’area di Franceschini e quella di Orfini. E Matteo sui territori ha dovuto pagare molte cambiali ai vecchi big del partito”, ragionava uno degli uomini vicini al segretario.
Evocando una situazione da Gattopardo: “Bisogna che tutto cambi, perchè nulla cambi”.
Per dire, tra le presenze pesanti dei primi tempi della Leopolda c’era quella di Graziano Delrio, ora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ma fuori dal Giglio magico, che ha in mano più o meno le leve di tutto.
A organizzare l’ultima Leopolda fu Maria Elena Boschi, attuale ministro delle Riforme, e tra le organizzatrici anche della prossima.
Renzi nella sua E-news ha confermato l’appuntamento che per lui vale più di tutte le direzioni del Pd messe insieme per il 24, 25 e 26 ottobre.
“Cos’è la Leopolda? Impossibile da spiegare, bisogna esserci. Uno spazio di libertà , un luogo dove si trova gente che pensa che la politica non sia una parolaccia, il posto da cui tutto è partito”. Slogan ambizioso: “Il futuro è solo l’inizio”.
Cosa sarà questa Leopolda, però, sarà interessante vederlo. Anche perchè se dovesse tradire lo spirito delle origini per Renzi sarebbe un problema. E lui lo sa.
Per la kermesse renziana sono passati l’ex Ad di Luxottica, Andrea Guerra e Alessandro Baricco.
Poi entrambi hanno rifiutato di entrare nel governo.
C’è stato Oscar Farinetti. Ci sarà di nuovo?
Difficile dirlo, anche perchè il creatore di Eataly ha messo in giro voci sgradite al premier: tipo che anche per lui era pronto un dicastero.
Forse torneranno Campo Dall’Orto, fondatore e direttore di Mtv Italia, ora nel Cda delle Poste, Nerio Alessandri, l’Ad di Tecnogym e magari Davide Serra, il fondatore di Algebris.
E si apre un’altra questione: quanto è opportuno che figure simili vadano a una manifestazione organizzata dal presidente del Consiglio?
A Firenze si sono visti l’economista Luigi Zingales e l’imprenditore Edoardo Nesi. Poi partiti per avventure politiche diverse.
Tra gli interventi più applauditi della Leopolda 2013 ci fu quello del politologo Roberto D’Alimonte. All’epoca lavorava in contatto stretto con Renzi per “inventarsi” un sistema elettorale.
Messo da parte, quando è diventato chiaro che più della sua, contava la parola di Verdini.
Domenica 5 ottobre sul Sole24Ore scrive: “Il premier ha sicuramente fatto molti errori da febbraio a oggi. Nella composizione del governo, nella tempistica delle riforme, nella sottovalutazione della complessità del processo legislativo, nel rifiuto di costruire intorno a sè uno staff di collaboratori che non siano solo gli amici fidati”.
C’è da scommettere che il programma sarà chiuso solo negli ultimi giorni.
Non ci saranno bandiere di partito. “D’Alema non è mai venuto, ma se dovesse chiedere la parola non gliela negheremo”, scherza un renziano.
In contemporanea a Roma manifesteranno i sindacati.
Molti “dissidenti” dem di certo andranno lì. E se dovessero fare un passaggio a Firenze sarà da ospiti.
E i renziani “critici”? Il premier cercherà di recuperarli dandogli un ruolo?
A San Francisco, durante l’incontro del capo del governo con gli start-up-per italiani, in uno slancio di entusiasmo la 22enne Lucrezia Bisignani, figlia di Luigi, si autoproclamava portavoce dei giovani della “generazione Leopolda”.
Chissà che Matteo non pensi ad esaudire il suo desiderio. E poi?
Sarà l’anno di Marchionne? “Magari”, dice un renziano.
Scherzando. Ma anche no.
Wanda Marra
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Ottobre 11th, 2014 Riccardo Fucile
I VERI ROTTAMATI? I POSTI PERSI IN UN ANNO… E CE NE SONO ALTRI 500 MILA IN CASSA
L’ultima notizia di licenziamenti è arrivata in redazione proprio ieri sera.
E riguarda i giornalisti e il personale tecnico-amministrativo dell’emittente privata Extra Tv di Frosinone, nel Lazio.
L’azienda ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per 19 dei 24 dipendenti rimasti, cui si aggiunge “il drammatico ritardo nel pagamento degli stipendi che ha ormai raggiunto le nove mensilità ”.
Di casi così ce ne sono a decine ogni giorno (a Roma sono 19 i dipendenti licenziati di un’altra emittente, T9).
La Cgil nazionale ha il merito di aver istituito un osservatorio sulle tante vertenze quotidiane e sfogliando i casi pubblicati ogni mese si scopre la realtà di un paese in cui non è mai stato così facile licenziare.
I licenziamenti collettivi sono regolati dalla legge 223 del 1991 e quando , vengono attivate le procedure previste — come nel caso di Terni — scatta l’indennità di mobilità .
Un sussidio che accompagna alla disoccupazione (700 euro al mese), che però la riforma Fornero ha indebolito, con l’introduzione dell’Aspi, e che il Jobs Act di Renzi intende alleggerire.
La Cisl ha stimato in circa 140 mila i posti di lavoro persi nel 2014 solo nei settori della manifattura e delle costruzioni.
Dal punto della forza lavoro si tratta di più di un terzo del lavoro dipendente privato. Nel corso del 2013, le domande di mobilità complessivamente presentate all’Inps hanno raggiunto la cifra di 217 mila in crescita dell’81% rispetto all’anno precedente. Va inoltre precisato che circa 500 mila lavoratori sono esclusi da questo conteggio perchè “protetti” dalla cassa integrazione.
Dentro il calderone dei licenziati “in massa” ci sono ad esempio i 256 lavoratori della Sixty di Chieti Scalo che da oggi si ritroveranno senza lavoro.
Fondata nel 1989 dagli imprenditori romani Wicky Hassan e Renato Rossi nella zona industriale della val Pescara la Sixty era in crisi da tre anni, e i lavoratori, nel frattempo, hanno potuto usufruire della cassa integrazione.
Che però non è servita a far ripartire l’azienda
Ballano sull’orlo del licenziamento annunciato anche i 262 lavoratori dell’Accenture Outsourcing di Palermo. Società multinazionale, con oltre 50 mila dipendenti, la Accenture ha deciso di dismettere il sito siciliano in seguito al venir meno della commessa con British Telecom, suo unico cliente.
I lavoratori sono riusciti a rendere molto visibile la loro protesta ma al momento non hanno certezza del futuro.
Chi invece una certezza, negativa, l’ha già avuta sono i 130 dipendenti dell’Indesit di None, nel torinese, una delle aree maggiormente coinvolta dalla crisi industriale.
In alternativa al licenziamento, con buonuscita di 30 mila euro lordi, i lavoratori hanno ricevuto l’offerta di trasferirsi a Comunanza, in provincia di Ascoli.
A rischiare di essere licenziati, se non sarà assicurato di nuovo il servizio di contact center al Comune di Roma (lo 060606), sono i 280 dipendenti di Almaviva mentre hanno già ricevuto la lettera di licenziamento i 115 dipendenti della Nokia nelle sedi di Cassina de Pecchi (Milano), Roma e Napoli.
La Nokia è particolarmente specializzata in licenziamenti collettivi visto che ha inviato lettere di questo tipo a 2500 persone in 7 anni.
Guai anche alla Coca Cola, che in estate ha avviato un piano di ristrutturazione per mettere in mobilità 279 lavoratori su un organico di 2112 unità .
Solo in seguito a una trattativa sindacale gli esuberi si sono ridotti a 89.
Situazione analoga, anche se con numeri diversi, 320 dipendenti, all’Averna di Caltanissetta da poco rilevato dalla Campari Spa.
Anche qui è partita la procedura di mobililità per tutti i dipendenti, come denunciano Cgil, Cisl e Uil, nonostante la F.lli Averna Spa abbia i bilanci in attivo, un fatturato di 70 milioni e bilancio in nero.
Scade domani, invece, la cassa integrazione per 630 dipendenti della ex Merloni cui si prospetta il licenziamento anche perchè l’azienda subentrata, la Jp, non ha ancora avviato l’attività .
A sintetizzare la situazione ci hanno pensato i lavoratori “in esubero” di Meridiana, la compagnia aerea che ha deciso di licenziare 1600 dipendenti (1.478 dipendenti di Meridiana Fly e 156 di Meridiana Maintenance).
L’altroieri si sono messi in fila per donare il sangue, “un piccolo aiuto per chi ne ha bisogno”.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 11th, 2014 Riccardo Fucile
AUMENTO DEL 16,1% RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE: TRA LE CAUSE DELLA FUGA LA RECESSIONE E LA DISOCCUPAZIONE… IN FRIULI PARTONO PIU’ DONNE CHE UOMINI… GRAN BRETAGNA LA META PIU’ RICHIESTA
Il numero di italiani che emigrano all’estero è superiore a quello degli stranieri che arrivano nel nostro paese.
Il dato è contenuto nel Rapporto Italiani nel Mondo pubblicato oggi dalla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana.
Le partenze dall’Italia hanno raggiunto nel 2013 il numero di 94 mila persone, cifra superiore ai flussi dei lavoratori stranieri immigrati in Italia, che sono ogni anno circa la metà di questa cifra, precisamente 43 mila nel 2010.
Da queste cifre sono esclusi, per ovvi motivi, gli arrivi clandestini.
Nel mondo sono 4.482.115 i cittadini italiani residenti all’estero: l’aumento in valore assoluto rispetto al 2013 è di quasi 141 mila iscrizioni, il 3,1 per cento nell’ultimo anno.
La maggior parte delle iscrizioni sono per espatrio (2.379.977) e per nascita (1.747.409).
Lungo il corso del 2013 si sono trasferiti all’estero 94.126 italiani – nel 2012 erano stati 78.941 – con un saldo positivo di oltre 15 mila partenze, una variazione in un anno del +16,1 per cento.
Per la maggior parte uomini sia nel 2013 (56,3 per cento) che nel 2012 (56,2 per cento), non sposati nel 60 per cento dei casi e coniugati nel 34,3 per cento, la classe di età più rappresentata è quella dei 18-34 anni (36,2 per cento).
A seguire quella dei 35-49 anni (26,8 per cento) a riprova di quanto evidentemente la recessione economica e la disoccupazione siano le effettive cause che spingono a partire.
Dalla percentuale di donne sul totale si possono ricavare informazioni interessanti: molte province, italiane infatti, hanno più emigrate donne, soprattutto in Argentina. Macerata e Trieste, in particolare, sono le prime due con il 51,1%; a seguire Fermo (50,7 per cento) e Pordenone (50,5 per cento).
Aggregando i dati ci si accorge che gli italiani iscritti all’AIRE provenienti dal Friuli Venezia Giulia sono 162.203, di cui 81.600 sono donne, cioè il 50,3 per cento: è l’unica regione d’Italia da cui sono partite più donne che uomini.
I minori sono il 18,8 per cento e di questi il 12,1 per cento ha meno di 10 anni.
Il Regno Unito, con 12.933 nuovi iscritti all’inizio del 2014, è il primo Paese verso cui si sono diretti i recenti migranti italiani con una crescita del 71,5 per cento rispetto all’anno precedente.
Seguono la Germania (11.731, +11,5 per cento di crescita), la Svizzera (10.300, +15,7 per cento), e la Francia (8.402, +19,0 per cento).
L’organismo della Cei, oltre a dar conto dei dati del database centrale dell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, ha analizzate e descritte anche le iscrizioni all’AIRE con la sola motivazione dell’espatrio avvenute nel corso del 2013.
Questi dati, insieme alle riflessioni sull’emigrazione interna, sulla mobilità per studio e formazione e dei ricercatori italiani, dei frontalieri nel Canton Ticino e il confronto con gli spostamenti degli italiani nell’ambito dei principali paesi europei, offrono un quadro articolato sul significato della mobilità italiana di oggi, sulle sue caratteristiche, sui trend che segue e sulle novità che emergono.
“La prospettiva storica – si legge nella presentazione – è prerogativa fondamentale di questo annuario soprattutto perchè affiancata alla riflessione sull’attualità con indagini non solo su specifiche situazioni territoriali di partenza e di arrivo, ma anche sull’idea che i media trasmettono della mobilità , il desiderio di partire e quello di tornare dei nostri connazionali”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 11th, 2014 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO DEFINISCE IMBARAZZANTE DOVERSI DIFENDERE DALL’ACCUSA DI FRODE FISCALE, MA DIMENTICA CHE IL SUO AMATO DOMINUS PER QUEL REATO E’ STATO CONDANNATO (NON SOLO INDAGATO) E NON PER 140.000 EURO, MA PER MILIONI DI EURO
Non aspettavano altro.
La Procura di Civitavecchia ha iscritto Daniele Luttazzi nel registro degli indagati per una presunta frode fiscale di 140 mila euro.
Il moralista che conduce da anni una campagna contro i misfatti di Silvio Berlusconi preso con le mani nella marmellata.
Non ci poteva essere boccone più ghiotto per i giornali della destra (chiamiamola così, perchè la destra è, o perlomeno è stata, una cosa seria che nulla ha a che vedere col berlusconismo) che vi si sono buttati a pesce.
“Indagato per evasione fiscale. Adesso Luttazzi non ride più” titolava a tutta pagina Il Giornale. E nel cappello: “Eroi di cartapesta”.
Solo che l’articolo del Giornale si prestava a risvolti grotteschi e involontariamente autolesionisti.
“È imbarazzante” scriveva Il Giornale “doversi difendere da un reato così antipatico come la frode fiscale”. Già , molto antipatico .
Peccato che il “dominus” del Giornale, il sempiterno Berlusconi, sia stato condannato per una frode fiscale non di 140 mila, ma di milioni di euro e da altre frodi dello stesso tipo, ancora più gigantesche, e che sia uscito assolto solo per prescrizione.
Con la trascurabile differenza che Luttazzi è semplicemente un indagato per un’ipotetica frode fiscale mentre Berlusconi, per lo stesso reato, commesso in dosi industriali, è stato condannato con sentenza definitiva.
Ma dal “moralista” si pretende un’integrità da vestale romana, mentre il mascalzone, purchè mascalzone, ci ha ormai assuefatti e gode dell’indulgenza, anzi, molto spesso, dell’ammirazione dei cittadini che, se solo potessero, vorrebbero volentieri essere al suo posto.
Il Giornale poi ironizza su Luttazzi “uscito dall’oblio’” solo per una vicenda penale. Dimentica, con protervia, chi è stato a cacciarlo nell’oblio.
Daniele Luttazzi è l’unica, vera, vittima dell’editto bulgaro di berlusconiana memoria. Tutti gli altri, in un modo o nell’altro, in Tv ci sono tornati.
Come mai? Perchè Luttazzi è un chevalier seul che non fa parte di cricche, di camarille, di congregazioni più o meno trasversali.
Una volta mi disse: “Guarda che in Rai, e più in generale in tv, non ci sono solo i partiti, ci sono tante piccole mafie, se non ne fai parte sei fottuto”.
Luttazzi non ha potuto contare, dopo l’editto, su una comoda poltrona a Strasburgo a differenza di Michele Santoro.
Peraltro “l’oblio” di Luttazzi è solo mediatico. L’ho visto riempire il Forum di Assago, che contiene 13 mila spettatori.
E quello che è veramente scandaloso è che un tipo così non possa metter piede in Tv, mentre vi evoluiscono i Vespa, i Fabietti Fazio, i Floris, le Nutelle, i Lerner, i Paragone, i veri maà®tre à penser di quest’era mediatica (ed è quindi inutile, anzi ipocrita, caro Veneziani, lamentare “il collasso di pensiero” che tu noti in Italia), mentre se andassero a teatro, dove non si può mentire, senza la protezione dello schermo televisivo e del pubblico addomesticato, di spettatori ne avrebbero tredici.
Quasi tutto il giornalismo italiano è addomesticato.
Da quando Renzi è premier avrà fatto un centinaio di conferenze stampa.
Ma perchè gli venisse posta, vis-à -vis, una domanda seria abbiamo dovuto aspettare un collega tedesco, Michael Braun della Die Tageszeitung, che gli ha detto: “Noi abbiamo un problema a spiegare perchè un condannato in via definitiva scriva la Costituzione italiana”.
Noi, complici o semplicemente assuefatti, non ci rendiamo nemmeno più conto dell’enormità che un detenuto determini la politica del nostro Paese.
Non sarà mica questo il problema. Grave è il fatto che il comico Daniele Luttazzi possa aver eventualmente evaso il Fisco.
Ecrasez l’infà¢me!
Massimo Fini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 11th, 2014 Riccardo Fucile
L’ASSOCIAZIONE LIGURE DI METEREOLOGIA DENUNCIA: “INASCOLTATO IL NOSTRO ALLARME, 40 MINUTI PRIMA DELLO STRARIPAMENTO ABBIAMO DATO L’ALLARME MA IL NUMERO DELLA PROTEZIONE CIVILE ERA INATTIVO”
Genova uccisa da modelli matematici farlocchi e bombe d’acqua, temporali “autorigeneranti”, una tempesta di astrusi neologismi che servono a nascondere un dramma antico come la città : le alluvioni.
Quei fiumi che esplodono perchè non ce la fanno a contenere la pioggia.
Nella loro “pancia” non c’è più spazio, quello è servito all’uomo per costruire, cementificare, deviare.
Un mare di parole affoga anche l’emergenza di queste ore.
È giovedì, da 15 ore la città è battuta da una pioggia intensa e continua, ma all’Arpa (l’agenzia ambientale regionale) sono tranquilli.
Sulle cartine che dividono Genova in zone appare solo il simbolo dell’avviso con un livello di allerta 1, il minimo.
Piove, ma “la criticità al suolo è moderata”, dicono i tecnici.
Solo alle 23:19, la Protezione civile del Comune manda i primi sms di allarme: “Prestare massima attenzione in area Val Bisagno, forti precipitazioni e possibili esondazioni”.
Cosa è successo? La versione del sindaco Marco Doria, al centro delle polemiche perchè mentre cominciava l’inferno era al Teatro Carlo Felice per l’inaugurazione della stagione lirica: “Nessuno ci aveva preavvertito che certe cose avrebbero potuto accadere nella giornata di ieri. Non avendo avuto informazioni in questa direzione, il nostro sforzo è stato quello di affrontare l’emergenza in tempo reale, comportandoci come se ci fosse uno stato di allerta 2 (elevata criticità , il più grave, ndr), anche se non era stato ancora proclamato”.
L’allerta 2 è scattato alle 11:30 di ieri.
La risposta della Regione. Parla il governatore Claudio Burlando: “Tutta colpa del nostro modello previsioni, è la prima volta che sbaglia. Ieri sera (giovedì, ndr), mentre fino al bollettino delle 18, che indicava un’attenuazione dei fenomeni, realtà e modelli corrispondevano, alle 21 si è verificata una divaricazione tra il modello e quello che è accaduto in realtà ”.
Una voce indipendente, Achille Pennellatore, “previsore” di Limet (associazione ligure di meteorologia): “L’alluvione non solo si poteva prevedere, ma noi l’abbiamo prevista, la situazione che si andava delineando era assolutamente paragonabile a quella del 2011. Avevamo segnalato un livello arancio (allerta1) con possibilità di evoluzione al livello rosso, il massimo. Altri bollettini ufficiali hanno minimizzato”.
Dello stesso avviso Gianfranco Saffioti, presidente dell’Associazione ligure di metereologia, che chiede la testa di Elisabetta Trovatore, capo del Centro meteo-idrogeologico della Protezione Civile: “È falso dire che non si poteva sapere quello che stava accadendo. Lo straripamento del Bisagno era chiaro 40 minuti prima che rompesse gli argini. A quell’ora il numero verde della Pc risultava inattivo”.
Chi dice la verità lo stabilirà la magistratura, c’è un morto, ci sono danni e c’è un’inchiesta, ma forse è anche inutile saperlo.
L’unico dato certo è che a Genova piove. È la città più piovosa d’Italia, dal 1971 al 2000, gli esperti hanno calcolato che la Lanterna è stata bagnata da una media di 1093 millimetri di pioggia l’anno, un litro di acqua per metro quadro.
Nel 1970, anno della grande alluvione, il cielo dispensò 570 millimetri di pioggia in 24 ore. Una catastrofe: 25 morti, 8 dispersi, 2 mila sfollati, danni per 45 miliardi di lire. Genova è alluvionata da sempre, le ultime catastrofi nel 1992, poi l’anno successivo, e nel 2010, e ancora l’anno dopo.
La ragione è sempre la stessa, i fiumi cementificati si gonfiano ed esplodono in uno tsunami di fango e acqua che travolge uomini, case e strade.
Il Bisagno e il Fereggiano sono due dei cinque torrenti responsabili del disastro di ieri. Il primo è lungo 30 chilometri e “in epoca preromana aveva un letto quattro volte più largo e profondo rispetto a quello attuale”, si legge in un recente dossier di Legambiente.
Fiumi ingabbiati, “letti” ristretti dal cemento, argini selvaggiamente urbanizzati. Genova ha divorato spazio.
Gli ambientalisti si schierano anche contro i progetti per la messa in sicurezza dei fiumi. “Quelli che riguardano i torrenti Bisagno e Fereggiano, prevedono grandi interventi infrastrutturali, con scolmatori dai costi rilevanti e senza che cambi la logica idraulica rispetto al passato. Il progetto per la sistemazione del Bisagno prevede di restringere l’alveo e di alzare gli argini…”.
Enrico Fierro
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 11th, 2014 Riccardo Fucile
COLLUSI DA 22 ANNI, ORA VOGLIONO L’EPURAZIONE DEL RAPPER FEDEZ
Negli ultimi 22 anni centrodestra e/o centrosinistra hanno, nell’ordine: stipulato un patto con Cosa Nostra per metterle in mano lo Stato in cambio della sospensione delle stragi e del sacrificio di Paolo Borsellino e di decine di altri innocenti sterminati o feriti a Palermo, Firenze, Milano e Roma, trafficando poi indefessamente ai massimi livelli istituzionali per coprire tutto e depistare le indagini; abolito la “legge Falcone” antimafia che prevedeva l’arresto obbligatorio in flagrante per i falsi testimoni; abrogato l’obbligo di custodia cautelare per gli indagati di mafia; accorciato la custodia cautelare per gli imputati di mafia, facendone scarcerare a centinaia per decorrenza dei termini; chiuso le supercarceri di Pianosa e Asinara, simboli del 41-bis; trasformato il 41-bis in una burletta; abolito l’ergastolo per due anni anche per le stragi di mafia; varato tre scudi fiscali (l’ultimo con la firma di Giorgio Napolitano) regalando ai mafiosi un canale di riciclaggio di Stato per ripulire i loro soldi sporchi a costi di saldo (un pizzo del 2,5% e poi del 5%) e in forma anonima; cancellato (su proposta di Napolitano) la legge Falcone sui pentiti, che infatti prima erano migliaia e dal 2000 si contano sulle dita della mano di un monco; screditato e attaccato i pentiti che facevano nomi eccellenti e i pm che indagavano sulla mafia e sui suoi complici; promosso capo del Ros e direttore del Sisde il generale Mori, protagonista della mancata perquisizione del covo di Riina e delle mancate catture di Bagarella e Provenzano, nonchè del Protocollo Farfalla per legittimare i traffici dei servizi nelle celle dei mafiosi; approvato una legge sul voto di scambio che riduce le pene della legge precedente e rende impunibili i politici che comprano voti dai mafiosi; riempito di buchi il nuovo reato di autoriciclaggio che consentirebbe finalmente di recuperare miliardi di soldi sporchi parcheggiati in Svizzera anche dai mafiosi; promosso alle massime cariche dello Stato i politici che hanno mentito o taciuto su quanto sapevano della trattativa, perseguitando invece quei pochi servitori dello Stato che quell’immondo negoziato svelavano, ostacolavano o investigavano; attaccato e poi abbandonato alla più totale solitudine magistrati come Di Matteo, condannato a morte da Riina, e Scarpinato, bersaglio quasi quotidiano di minacce e avvertimenti di stampo istituzionale; protetto con silenzi vili e addirittura esaltato con servi encomi i maneggi del Quirinale per far avocare le indagini della Procura di Palermo sulla trattativa su richiesta dell’attuale imputato Mancino; esercitato pressioni indicibili sulla Corte d’Assise di Palermo perchè negasse a Riina, Bagarella e Mancino il sacrosanto diritto di presenziare all’udienza del loro processo che si terrà al Quirinale il 28 ottobre per la testimonianza di Napolitano, diritto che verrebbe riconosciuto persino a Guantanamo financo ad Hannibal The Cannibal e la cui negazione mette il processo sulla trattativa a rischio di nullità assoluta in base alla Costituzione, al Codice di procedura, alla giurisprudenza della Cassazione e della Corte europea dei diritti dell’uomo; fatti inciuci e addirittura riforma costituzionali con Berlusconi, che affidò la propria sicurezza a un boss travestito da stalliere e per 20 anni finanziò Cosa Nostra, e con gli altri amici di Dell’Utri, per quasi 30 anni al servizio di Cosa Nostra, dunque condannato a 7 anni e ora detenuto nel carcere di Parma accanto a Riina.
E ora questi manigoldi, i loro discendenti che mai ne hanno preso le distanze e i loro pennivendoli vorrebbero far credere che gli amici della mafia sono Sabina Guzzanti, rea di aver immortalato i loro crimini politici in un bel film e in un tweet provocatorio sui diritti negati a Riina e Bagarella; e il rapper Fedez, che ha osato scrivere un brano per la festa dei 5Stelle in cui si permette di cantare “Caro Napolitano, te lo dico con il cuore: o vai a testimoniare oppure passi il testimone” ed è stato subito accusato da alcuni pidini di vilipendio del capo dello Stato, con inviti a Sky perchè venga epurato da X Factor.
Ma vergognatevi, se ancora sapete cos’è la vergogna: fate schifo.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 11th, 2014 Riccardo Fucile
NELLO SBLOCCA ITALIA VIA LIBERA AI COSTRUTTORI CHE DIVENTANO CONTROLLORI DI SE STESSI
Dal mare tropicale alle montagne innevate in soli due minuti. Fondi caraibici e la pista di slalom gigante. Una funivia avrebbe collegato la spiaggia ai monti, il caldo al freddo, il sole alla neve.
Sembra di essere tornati all’inizio degli anni Settanta quando Calogero Mannino radunò in piazza i cittadini di Sciacca e annunciò: “Dite ai vostri figli di tornare in città . C’è lavoro per tutti, finalmente”.
Sembra che Matteo Renzi abbia preso molto dalla filosofia del potente democristiano siciliano.
Ha creato Italia sicura, che deve preservare il nostro Belpaese dai dissesti idrogeologici, deve curare le ferite di mezzo secolo di devastazione e però ha firmato il decreto Sblocca Italia che consegna lo stesso Paese devastato ai devastatori, traveste i costruttori in commissari delle grandi opere pubbliche, ed elimina nella sostanza ogni forma di controllo pubblico.
“Padrone in casa tua”, disse Berlusconi in uno dei suoi formidabili slogan che perforarono il cuore di tanti cittadini in attesa.
Padrone in casa tua, ripete oggi Renzi. Anzi lo scrive: nero su bianco.
Oggi che Genova offre questo ennesimo spettacolo di distruzione e di morte, frutto soprattutto di cattivi piani urbanistici figli di interessi immobiliari diffusi e deviati, oggi che costruzioni e ostruzioni di massa allagano la città e la rendono permanentemente pericolosa, il premier spiega qual è il problema: “Fare presto, sbloccare le opere che devono salvare la città ”.
È un proponimento all’apparenza giusto, perchè circa 35 milioni di euro per la messa in sicurezza di alcuni corsi d’acqua sono fermi grazie alle postille burocratiche, ai ricorsi amministrativi, agli appelli e alle contese.
Se per un attimo Renzi volesse approfondire il tema capirebbe che i cavilli, nove volte su dieci, sono armi speciali autorizzate e legalizzate in mano a quei costruttori che lui medesimo sta eleggendo a commissari.
Per fare un esempio: la Metro C di Roma è costata grazie ai cavilli 600 milioni di euro (varianti, arbitrati, aggiornamenti prezzi) e dieci anni di ritardi.
Il governo ha eliminato il problema eliminando i controlli.
Scrive Salvatore Settis su Rottama Italia (scaricabile gratuitamente su altreconomia.it), un libro di vari autori che documentano le continue devianze dal diritto a cui sarà sottoposto il paesaggio italiano: “Col silenzio-assenso ogni richiesta si intende accolta. Anche se comporta la distruzione di un’area archeologica, lo sventramento di un palazzo barocco, la riconversione di una chiesa medievale in discoteca, l’edificazione di un condominio su una spiaggia”.
O anche — come a Genova — alla foce di un torrente, potremmo aggiungere.
Tutto è permesso, in ragione della costruzione.
Nel decreto Sblocca Italia le lentezze sono opera della burocrazia inetta e non figlie di norme volute dal Parlamento, destinate esattamente al loro scopo.
Ritardare, arzigogolare, rallentare, negoziare. In Italia si spende un milione di euro al giorno per far fronte solo alle varie emergenze.
E questo governo interpreta sia la vittima che il carnefice: manda in scena oggi il ministro dell’Ambiente Galletti (“No ai condoni”), mentre il suo collega Lupi, quello delle Infrastrutture, rade al suolo la concessione edilizia e codifica una certificazione autonoma del privato cittadino.
È il privato che sancisce se è violato o meno l’interesse pubblico e il privato che garantisce che il suo cemento non reca danno, non ostruisce, non danneggia.
In Italia sono circa sei milioni di cittadini che vivono in luoghi altamente a rischio e circa settemila comuni dal territorio fragile.
Sapete qual è una delle prime dieci grandi opere altamente prioritarie? La nuova autostrada Orte-Mestre.
Sapete chi ha avuto l’idea di costruire questa autostrada? La Mec, Management Engineering Consulting, società controllata da Vito Bonsignore, parlamentare di Ncd, il partito di Alfano (e di Lupi).
Antonello Caporale
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Ottobre 11th, 2014 Riccardo Fucile
ALLUVIONE DI GENOVA: IL GIOCO DEL RIMPALLO DELLE RESPONSABILITA’
Non starò a farvi venire il mal di testa con il rimpallo di accuse che ha contraddistinto il comportamento delle autorità alluvionate di ogni ordine e grado durante la giornata di ieri, mentre i genovesi erano per strada in silenzio a spalare.
La solita catena burocratica in cui un potere scarica le colpe su un altro potere al fine di allontanare da sè ogni responsabilità .
Se ho capito bene, ma credo che non l’abbiano capito nemmeno loro, chi avrebbe dovuto dare l’allarme lo ha dato in ritardo, chi avrebbe dovuto reagire all’allarme non aveva preparato alcun piano d’azione, chi avrebbe dovuto ripulire e fortificare i torrenti già esondati in un passato fin troppo recente non ha potuto farlo per un impedimento amministrativo che però il tribunale competente sostiene essere stato superato da mesi.
La sensazione è la solita: quella di un Paese non governato e forse ingovernabile, dove i cittadini sono abbandonati a se stessi, la prevenzione è una parolaccia, tutti pensano soltanto a pararsi il fondoschiena e nessuno chiede mai scusa.
Pressappochismo, disorganizzazione e paralisi burocratica, il tutto condito con una spruzzata di arroganza.
Cambiano le generazioni e, purtroppo, la frequenza delle alluvioni, ma il menu di Genova ricorda desolatamente quelli di Firenze, del Polesine, di Messina.
Di ogni tragedia «imprevedibile» che da secoli mette prevedibilmente in ginocchio questa specie di Stato.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Ottobre 11th, 2014 Riccardo Fucile
TRE ANNI FA L’ALLUVIONE GLI PORTO’ VIA LA GIOVANE MOGLIE E DUE FIGLIE DI 8 ANNI E DI 11 MESI… OGGI AIUTA GLI ALTRI CHE HANNO BISOGNO
Solo di fronte ai libri accartocciati e alle pagine macchiate dall’inchiostro, Flamur posa la pala e si ferma per un momento: «Questi sono anni di lavoro buttato via. È un peccato».
Tre anni fa l’alluvione gli ha portato via tutto, la moglie e le due bambine. Oggi è lui ad aiutare chi si trova in difficoltà , seppellito ancora una volta da quintali di fango.
La stanza è quella in cui studiano le figlie di una coppia di amici, studentesse universitarie: «È come rivivere tutto un’altra volta. Ciò che fa male è vedere che non è cambiato niente. Anzi forse le cose ora vanno anche peggio».
La giornata di Flamur Djala è cominciata alle cinque di mattina.
Non ha chiuso occhio tutta la notte, da quando il Bisagno ha iniziato a gonfiarsi e a riportare con sè i fantasmi del 4 novembre 2011.
L’onda killer del torrente Fereggiano quel giorno tolse la vita a sei persone, fra cui la sua intera famiglia: la moglie Shprese, 29 anni, e le figlie Gioia, 8 anni, e Janissa, di 11 mesi: «Non ho più niente, mi hanno portato via tutto. Ciò che mi resta qui è solo il mio lavoro. Spesso penso a ritornare in Albania, forse è meglio vivere a pane ad acqua che in questa condizione».
Alle 14 il camioncino dei fratelli Djala ha già attraversato tutta la città , da Ponente a Levante.
Juri è stato il primo ad aver raggiunto l’Italia nel 1997. Poco dopo lo hanno seguito Andrea e Flamur. Sono originari di Leja, una cittadina sulla costa a pochi chilometri da Scutari.
Hanno sempre condiviso tutto, l’impresa artigiana, la casa, il conto in banca, la buona e la cattiva sorte.
Sono insieme anche oggi, si sono messi in strada senza nemmeno dirselo: «Abbiamo amici in ogni angolo di questa città – dice Juri – E quando un amico ha bisogno, sa che può contare su di noi. Sempre».
Al numero 1 di via Vernazza, a Sturla, vivono Alessandra Sigismondi con il compagno Luca.
Un paio d’anni fa avevano ristrutturato la casa, se ne erano occupati i Djala: «Persone speciali», dicono.
L’acqua ha coperto un intero piano e ne ha invaso un altro. Alla richiesta d’aiuto i tre fratelli non si sono tirati indietro: «Dispiace vedere tutto questo – sospira Flamur – Questa gente ha avuto danni enormi. Genova è devastata un’altra volta e non so come farà la gente a rialzarsi».
Non lo dicono mai, non sono persone che amano fare polemica. Ma l’amarezza di questa giornata è accompagnata da un senso di solitudine.
Hanno gli occhi di chi sa che non c’è molto da sperare, che chi cade dovrà rialzarsi da solo. Così è stato per le vittime del Fereggiano.
In tutto questo tempo nessuna scusa. Dal Comune non sono arrivate offerte di sostegno di qualche tipo, anche psicologico.
Per non parlare di risarcimenti, argomento tabù fino a pochi giorni fa, quando il legale di Tursi ha annunciato l’apertura di un tavolo.
Poche settimane prima l’unico segno di vita era stata l’anonima lettera di un’assicurazione, che chiudeva le porte a qualsiasi riconoscimento.
Per dire, all’inizio di ottobre, a quasi tre anni esatti dalla tragedia, i Djala hanno ricevuto dal Comune 6mila euro, gli unici soldi avuti da Tursi: «Sono il risarcimento per il magazzino alluvionato e le tre macchine che abbiamo perso. Valevano quattro volte tanto».
Tirano avanti i Djala, lavorano duro, nonostante i danni e controlli nei cantieri ogni quindici giorni: «Ho sempre pagato tutto, rispetto ogni regola. Ma così è davvero difficile vivere».
La prossima tappa è in corso Firenze, da un altro ex cliente che ha bisogno d’aiuto.
Il furgone attraversa la Foce e i negozi distrutti dalla piena. A ogni angolo c’è un gruppo di giovani volontari, che si sono dati appuntamento su Facebook, “Gli angeli del fango 2.0”: «Guardali – dice Flamur – E poi dicono che non hanno voglia di lavorare. Mi piange il cuore a vedere l’Italia, il mio Paese d’adozione, ridotto così. È triste vedere tutti questi ragazzi andare via per cercare un impiego».
Fra i creatori dell’iniziativa c’è Claudia Cerruti, 21 anni, studentessa di chimica: «Abbiamo deciso di mobilitarci per il bene della nostra città ».
Porta stivali di gomma spessa, fra le mani ha una pala appena comprata in un negozio di attrezzi: «Non sapevamo bene come muoverci. Poi, quando abbiamo visto le immagini in tv, abbiamo deciso di uscire».
È accompagnata dal fratello Vittorio. Hanno iniziato da piazza Paolo Da Novi, sono diretti all’istituto delle Immacolatine.
Mattia Perdomi, 30 anni, è un “veterano”. Durante l’alluvione del 2011 il suo bar di Sampierdarena venne allagato. Questa volta è lui a dare una mano a un amico in una condizione simile. Come allora la mobilitazione dal basso è contagiosa.
E mai come adesso ha il sapore della denuncia.
Marco Grasso
(da “il Secolo XIX”)
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