“OGGI SPALO COME NEL 2011, QUANDO MORI’ LA MIA FAMIGLIA”
TRE ANNI FA L’ALLUVIONE GLI PORTO’ VIA LA GIOVANE MOGLIE E DUE FIGLIE DI 8 ANNI E DI 11 MESI… OGGI AIUTA GLI ALTRI CHE HANNO BISOGNO
Solo di fronte ai libri accartocciati e alle pagine macchiate dall’inchiostro, Flamur posa la pala e si ferma per un momento: «Questi sono anni di lavoro buttato via. È un peccato».
Tre anni fa l’alluvione gli ha portato via tutto, la moglie e le due bambine. Oggi è lui ad aiutare chi si trova in difficoltà , seppellito ancora una volta da quintali di fango.
La stanza è quella in cui studiano le figlie di una coppia di amici, studentesse universitarie: «È come rivivere tutto un’altra volta. Ciò che fa male è vedere che non è cambiato niente. Anzi forse le cose ora vanno anche peggio».
La giornata di Flamur Djala è cominciata alle cinque di mattina.
Non ha chiuso occhio tutta la notte, da quando il Bisagno ha iniziato a gonfiarsi e a riportare con sè i fantasmi del 4 novembre 2011.
L’onda killer del torrente Fereggiano quel giorno tolse la vita a sei persone, fra cui la sua intera famiglia: la moglie Shprese, 29 anni, e le figlie Gioia, 8 anni, e Janissa, di 11 mesi: «Non ho più niente, mi hanno portato via tutto. Ciò che mi resta qui è solo il mio lavoro. Spesso penso a ritornare in Albania, forse è meglio vivere a pane ad acqua che in questa condizione».
Alle 14 il camioncino dei fratelli Djala ha già attraversato tutta la città , da Ponente a Levante.
Juri è stato il primo ad aver raggiunto l’Italia nel 1997. Poco dopo lo hanno seguito Andrea e Flamur. Sono originari di Leja, una cittadina sulla costa a pochi chilometri da Scutari.
Hanno sempre condiviso tutto, l’impresa artigiana, la casa, il conto in banca, la buona e la cattiva sorte.
Sono insieme anche oggi, si sono messi in strada senza nemmeno dirselo: «Abbiamo amici in ogni angolo di questa città – dice Juri – E quando un amico ha bisogno, sa che può contare su di noi. Sempre».
Al numero 1 di via Vernazza, a Sturla, vivono Alessandra Sigismondi con il compagno Luca.
Un paio d’anni fa avevano ristrutturato la casa, se ne erano occupati i Djala: «Persone speciali», dicono.
L’acqua ha coperto un intero piano e ne ha invaso un altro. Alla richiesta d’aiuto i tre fratelli non si sono tirati indietro: «Dispiace vedere tutto questo – sospira Flamur – Questa gente ha avuto danni enormi. Genova è devastata un’altra volta e non so come farà la gente a rialzarsi».
Non lo dicono mai, non sono persone che amano fare polemica. Ma l’amarezza di questa giornata è accompagnata da un senso di solitudine.
Hanno gli occhi di chi sa che non c’è molto da sperare, che chi cade dovrà rialzarsi da solo. Così è stato per le vittime del Fereggiano.
In tutto questo tempo nessuna scusa. Dal Comune non sono arrivate offerte di sostegno di qualche tipo, anche psicologico.
Per non parlare di risarcimenti, argomento tabù fino a pochi giorni fa, quando il legale di Tursi ha annunciato l’apertura di un tavolo.
Poche settimane prima l’unico segno di vita era stata l’anonima lettera di un’assicurazione, che chiudeva le porte a qualsiasi riconoscimento.
Per dire, all’inizio di ottobre, a quasi tre anni esatti dalla tragedia, i Djala hanno ricevuto dal Comune 6mila euro, gli unici soldi avuti da Tursi: «Sono il risarcimento per il magazzino alluvionato e le tre macchine che abbiamo perso. Valevano quattro volte tanto».
Tirano avanti i Djala, lavorano duro, nonostante i danni e controlli nei cantieri ogni quindici giorni: «Ho sempre pagato tutto, rispetto ogni regola. Ma così è davvero difficile vivere».
La prossima tappa è in corso Firenze, da un altro ex cliente che ha bisogno d’aiuto.
Il furgone attraversa la Foce e i negozi distrutti dalla piena. A ogni angolo c’è un gruppo di giovani volontari, che si sono dati appuntamento su Facebook, “Gli angeli del fango 2.0”: «Guardali – dice Flamur – E poi dicono che non hanno voglia di lavorare. Mi piange il cuore a vedere l’Italia, il mio Paese d’adozione, ridotto così. È triste vedere tutti questi ragazzi andare via per cercare un impiego».
Fra i creatori dell’iniziativa c’è Claudia Cerruti, 21 anni, studentessa di chimica: «Abbiamo deciso di mobilitarci per il bene della nostra città ».
Porta stivali di gomma spessa, fra le mani ha una pala appena comprata in un negozio di attrezzi: «Non sapevamo bene come muoverci. Poi, quando abbiamo visto le immagini in tv, abbiamo deciso di uscire».
È accompagnata dal fratello Vittorio. Hanno iniziato da piazza Paolo Da Novi, sono diretti all’istituto delle Immacolatine.
Mattia Perdomi, 30 anni, è un “veterano”. Durante l’alluvione del 2011 il suo bar di Sampierdarena venne allagato. Questa volta è lui a dare una mano a un amico in una condizione simile. Come allora la mobilitazione dal basso è contagiosa.
E mai come adesso ha il sapore della denuncia.
Marco Grasso
(da “il Secolo XIX”)
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