Maggio 18th, 2015 Riccardo Fucile
E PER RIPARTIRE APPENA 20.000 PROFUGHI SU 27 PAESI, L’EUROPA DELLA FINANZA RIESCE A DARE IL PEGGIO DI SE’… LO SQUALLORE DI UNA CINICA CONVENIENZA POLITICA CHE AVRA’ SULLA COSCIENZA ALTRI MORTI
Nessuna missione di polizia contro la Libia. Meno che mai ci sarà una “missione militare”.
“Al momento — è stato deciso dopo ore di riunione a Bruxelles, coordinata dal commissario Federica Mogherini — stiamo parlando di una missione navale con navi militari che andranno ad affiancare le unità di Triton”.
Una missione che ha l’obiettivo di intercettare le imbarcazioni di clandestini e profughi, salvarli e un attimo dopo procedere all’affondamento dei barconi “poichè mezzi che intralciano la navigazione”.
Se qualcuno aspettava con soddisfazione il big bang contro la Libia e l’insopportabile traffico di migranti che trova nei due governi libici — Tobruk e Tripoli — criminali complicità , deve rassegnarsi ad attendere. Ancora.
E forse anche per molto.
“Per la Libia deve prevalere una soluzione politica e non militare”, aveva detto in mattinata il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita di Stato in Tunisia. Era già sembrato quello un segnale strano rispetto alle cronache e alle anticipazioni degli ultimi giorni in cui si annunciavano vere e proprie azioni di polizia sulle coste libiche, le incursioni dei reparti speciali per togliere ai trafficanti la materia prima del loro business: le barche.
“Non se ne parla proprio”, dice da Bruxelles una fonte del governo italiano.
“Nessun atto sarà deciso nei confronti della Libia che possa essere inteso come un atto di guerra. È chiaro — taglia corto la fonte — che l’utilizzo degli incursori equivale ad un atto di guerra.
Il comando della missione navale sarà affidato all’Italia. Ma per tutto il resto le previsioni della vigilia, ripartizione dei profughi in quote per ogni stato e affondamento dei barconi, sono state profondamente riviste durante la riunione dei ministri degli Esteri e della Difesa dei 28 paesi europei.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 18th, 2015 Riccardo Fucile
FRATELLI D’ITALIA E FORZA ITALIA PROMETTONO ASSISTENZA LEGALE PER FARE RICORSO CONTRO SE STESSI
«Renzi e Padoan non giochino sulla pelle dei truffati dalla Fornero con la scusa delle regole imposte da UE. #giulemanidallepensioni». Lo scrive in un tweet la pugnace deputata Barbara Saltamartini.
Che il 16 dicembre 2011 benedisse quella «truffa» votando a favore.
E non fu l’unica, tra quanti sparano oggi a pallettoni contro il «salva Italia» del governo Monti.
È divertente sentire oggi gli «hurrah!» per la sentenza della Consulta e le ringhiose ingiunzioni al governo perchè rispetti immediatamente il verdetto a dispetto dello squarcio nei conti pubblici, confrontando tutto con il voto e le parole di quattro anni fa.
Sia chiaro, non vale per tutti. Leghisti e dipietristi, che si schierarono contro, hanno buon diritto a rivendicare. E così Alessandra Mussolini che, a dispetto del Pdl, dichiarò alla Camera: «Voterò “no” alla fiducia e “no” alla manovra.
Alcuni si astennero, come Antonio Martino, Sandro Biasotti, Michaela Biancofiore… Altri, per motivi diversi, risultarono assenti come Mariastella Gelmini, Ignazio La Russa, Giulio Tremonti o Michela Vittoria Brambilla.
Ieri contrari oggi favorevoli
Nella stragrande maggioranza, però, quanti oggi esultano contribuirono attivamente al varo di quella legge che, bloccando l’indicizzazione delle pensioni, passò alla Camera con l’80,6% di voti favorevoli, il 15% di contrari e il 4,4% di astenuti.
Nè andò diversamente al Senato. Dove passò con 257 si e 41 no.
Votò a favore, dice il sito openpolis.it , l’attuale capogruppo berlusconiano Renato Brunetta, che oggi esulta: «Renzi è in un mare di guai. L’Europa gli sta mandando una lettera di grande critica perchè i conti non tornano, il Def deve essere riscritto, c’è un buco di 20 miliardi. C’è un buco di 20 miliardi nel Def!».
Di più: «Renzi pare sia andato via di testa dopo la sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni, imprecando contro la Consulta che, evidentemente non più ammorbidita da Napolitano, ha cominciato a fare il suo mestiere». Come bocciare una legge che anche lui, più o meno obtorto collo, risulta avere condiviso.
E votò a favore Osvaldo Napoli, che oggi bacchetta: «Il governo Monti ha scelto, come ogni governo tecnico privo di investitura popolare, di tagliare il nodo previdenziale con un atto autoritativo, infischiandosene dei diritti di oggi ma preoccupato unicamente di far quadrare i conti».
E votò a favore Francesco Paolo Sisto, che ieri ha sancito: «Ognuno può interpretare le cose a modo suo, ma le sentenze della Corte costituzionale si rispettano e, anche se quella sulla riforma Fornero incide notevolmente sui conti pubblici del Paese, è evidente che va applicata. Ciò che è stato tolto in modo illegittimo ora va restituito».
E votò ancora a favore Giorgia Meloni che oggi, alla guida di Fratelli d’Italia, assicura che il suo partito «metterà a disposizione dei pensionati un pool di avvocati per fare tutti i ricorsi che serviranno se il governo non dovesse restituire i soldi che lo Stato deve loro dopo la sentenza della Corte costituzionale. Così come ha trovato e restituito i soldi ai pensionati d’oro quando la Consulta ha dichiarato incostituzionale il prelievo di solidarietà sulle loro pensioni, oggi lo Stato deve fare la stessa cosa con tutti gli altri cittadini italiani. Il governo ha il dovere di trovare i soldi per la gente normale».
«Attentato alla Corte costituzionale»
Su tutti svetta però Maurizio Gasparri. Il più combattivo: «Se il governo limita i rimborsi fa un attentato alla Corte costituzionale perchè verrebbe aggirata la sentenza: non vogliamo trucchi» ha detto a Francesco de Dominicis di Libero . Ancora: «Perseguiteremo questo cialtrone di Renzi tutti i giorni, non riusciranno a farla franca e se ci sarà un decreto daremo assistenza a tutti». Cioè? «Siamo disposti a offrire assistenza legale ai cittadini danneggiati dalla riforma del governo Monti e che ora rischiano di veder negati i loro diritti».
Il 22 dicembre del 2011, quando passò la legge oggi sotto accusa, era addirittura capogruppo del Pdl al Senato.
Due sole volte parlò del tema attuale: per rivendicare che il suo partito aveva ottenuto «una maggiore indicizzazione delle pensioni» e per avere «detto no al tetto di 500 euro per i contanti e ad un uso troppo esteso dei conti in banca per anziani con pensioni minime». Fine
Dopo di che precisò solenne: «Ci sono quindi in questa manovra luci e ombre, ma il Popolo della Libertà ha assunto una posizione seria e coerente e, come ha già detto alla Camera il segretario del nostro partito Alfano, voteremo favorevolmente perchè siamo persone serie, leali e coerenti e non sono cambiate le condizioni che hanno portato a sostenere la nascita di questo governo». Annota il resoconto stenografico: «Applausi dal Gruppo PdL».
E chiuse tra nuovi applausi: «Del resto, abbiamo sempre messo al primo posto il bene dell’Italia e oggi il caos non sarebbe il bene dell’Italia».
Fu così convincente che il suo gruppo lo seguì in massa. C’erano sei assenti e votarono sì in 128.
Uno solo disse no. Non era lui.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 18th, 2015 Riccardo Fucile
ASSOCIAZIONI DI CONSUMATORI E DIRIGENTI: “INCOSTITUZIONALE, RESTITUISCE SOLO UN SESTO DEGLI ARRETRATI E NON RISPONDE ALLE INDICAZIONI DELLA SENTENZA”
Coro di critiche contro la risposta parziale del governo al “buco” creato dalla bocciatura della norma Fornero.
Oltre ai partiti di opposizione anche sindacati, associazioni dei consumatori e organismi di rappresentanza di diverse categorie di professionisti bocciano la decisione del Consiglio dei ministri di restituire una somma una tantum solo ai pensionati che ricevono meno di 3.200 euro al mese e senza risarcirli per intero di quanto perso a causa del blocco delle rivalutazioni.
Federmanager, da cui è partito il ricorso che ha portato al pronunciamento della Consulta, definisce quella dell’esecutivo “una toppa a colori destinata a non reggere”.
“Siamo arrabbiati“, ha commentato il presidente Giorgio Ambrogioni. “Qualcuno ha già parlato di sabotaggio della sentenza della Consulta. Io non voglio utilizzare termini così pesanti ma ci andiamo vicino. Il governo dimentica che le persone che noi rappresentiamo, escluse da questo provvedimento, sono il 3% della platea Irpef ma partecipano al gettito Irpef con la quota del 30%. Noi non ci stiamo, siamo disposti ad andare avanti con altri ricorsi”.
Secondo il segretario confederale della Cisl Maurizio Petriccioli la misura varata lunedì è “inadeguata e insufficiente” perchè il decreto “restituisce in media, con il bonus Poletti di 500 euro, solo un sesto degli arretrati complessivamente dovuti. La ricostituzione delle pensioni rimane anch’essa limitata e non consente, neanche dal 2014 in poi, di recuperare la perdita del potere di acquisto“.
Di conseguenza, per il sindacato bianco l’esecutivo “disattende il confronto con le parti sociali e non riesce ad individuare una soluzione equa e sostenibile sul piano sociale”.
Le decisioni del governo “non rispondono a nessuna delle indicazioni contenute nella sentenza della Consulta”, attacca poi la Uil con il segretario confederale Domenico Proietti.
Secondo il quale il decreto “non ripristina il diritto alla perequazione delle pensioni in essere che è il punto cardine della sentenza, rimandandolo a non meglio precisati futuri interventi, e non restituisce le somme sottratte in questi anni. Continueremo la mobilitazione”.
“La questione non è ancora risolta”, avverte dal canto suo il segretario generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone. “Da Renzi è arrivata una prima parziale risposta”, ma “non basta un bonus una tantum per sanare gli arretrati perchè così si restituisce solo il 30% del dovuto. I governi hanno prelevato dalle tasche dei pensionati 16 miliardi di euro in quattro anni e nessuno sa dove siano finiti, mentre alle grandi rendite non è stato chiesto nulla”.
Quanto alla rivalutazione dal 2016, “siamo di fronte ad un passo in avanti ma vogliamo verificare il testo per capire come viene effettivamente tutelato il potere d’acquisto”.
Dura la prima reazione di Federconsumatori e Adusbef: “Troviamo inaccettabili le risposte parziali date dal governo alla questione del blocco dell’indicizzazione delle pensioni a seguito della sentenza della Corte Costituzionale”, dichiarano i presidenti Rosario Trefiletti e Elio Lannutti.
“Nel complesso stiamo assistendo a un dibattito che dà il senso di una profonda povertà politica, sociale e culturale. Basta con queste futili discussioni, la priorità è restituire il mal tolto”.
Non solo: “Non modificando il montante sul quale si calcola l’indicizzazione, si formalizza anche per gli anni a venire un forte calo del potere di acquisto delle pensioni. Per questo richiediamo soluzioni eque che rispettino e soddisfino pienamente la sentenza della Corte”, si legge nella nota delle due associazioni.
Il Codacons si dice pronto ad avviare un ricorso contro il decreto, che “appare incostituzionale e discriminatorio” in quanto “crea disparità di trattamento tra cittadini”, spiega il presidente Carlo Rienzi.
“Siamo infatti in presenza di diritti acquisiti dai cittadini identici per tutti, che il governo vorrebbe rispettare a modo suo, con un meccanismo che prevede trattamenti diversificati a seconda della pensione percepita”.
Silvestre Bertolini, presidente dell’associazione dei Manager e alte professionalità per l’Italia (Cida), ha commentato che “l’ipotesi secondo cui il governo intenderebbe riconoscere soltanto 500 euro di una tantum ai pensionati con prestazioni inferiori ai 3.000 euro mensili lordi, abbandonando al loro destino più di 1 milione di pensionati, lascia senza parole”.
Tanto più che “è tutto da vedere se poi, il prossimo anno, ci sarà il saldo per chi riceverà ora i 500 euro”.
L’associazione promette infine che “non si fermerà ” e continuerà a impegnarsi “affinchè tutti i pensionati, nessuno escluso, vengano risarciti”.
Le forze politiche di opposizione naturalmente gridano a loro volta allo scandalo e minacciano azioni legali.
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Maggio 18th, 2015 Riccardo Fucile
“I NEGRI NON PRENDONO DIECI”: LETTERE RAZZISTE A RAGAZZINA
“Non si è mai vista una negra che prende 10 a Diritto” è solo uno dei sei messaggi razzisti anonimi ricevuti nell’ultimo mese da una studentessa di 14 anni, nata in Italia da genitori senegalesi, che frequenta la prima classe di una scuola superiore di Pisa. La sua colpa è quella di riuscire a ottenere “ottimi voti”, soprattutto in quella materia che la appassiona così tanto da averle fatto scegliere di studiare per diventare avvocato.
I genitori hanno deciso di sporgere denuncia ai carabinieri, mentre il preside dell’istituto promette pene severe per i responsabili: “Purtroppo non siamo ancora riusciti a individuare gli autori di questo gravissimo episodio che è molto di più di una semplice ragazzata — ha detto — siamo convinti che ad agire siano state almeno due persone e se dovessimo scoprirle le puniremo duramente, anche con la bocciatura. Le scuse sono ben accette, ma non basteranno più”.
Lettere contenenti minacce e offese a sfondo razziale, oltre a libri e quaderni strappati di nascosto e gettati nell’immondizia, sono comparsi in aprile, dopo la pubblicazione degli scrutini: “I miei voti sono abbastanza alti — ha poi dichiarato la ragazza ai carabinieri — in Diritto ho il massimo perchè è una materia che mi piace e mi trovo bene con la professoressa. Sinceramente non ho sospetti. È una situazione che mi fa stare male perchè sapere che in classe c’è gente che pensa queste cose di me è davvero doloroso. Hanno anche scritto che non esiste che una negra possa diventare avvocato, firmando ogni lettera con ‘Avvocato’ seguito dal mio nome. Se la sono presa anche con la professoressa, accusandola di favorirmi a causa del colore della mia pelle, ma lei ha sempre risposto che premia solo il merito”.
“La ragazza e le insegnanti sono rimaste sorprese perchè non si sono mai verificati episodi simili — spiega a ilfattoquotidiano.it il Tenente del Comando provinciale dei Carabinieri di Pisa, Andrea Barbieri — il fatto che le lettere siano comparse dopo la pubblicazione degli scrutini ci fa pensare che si tratti di un episodio di razzismo che, però, ha come fattore scatenante l’invidia per gli ottimi risultati scolastici conseguiti dalla giovane. In questi giorni sentiremo i compagni di classe per avere qualche informazione in più”.
La scuola ha iniziato a indagare sulle prime lettere già da aprile, senza riuscire a individuare i colpevoli: “Non vogliamo minimizzare l’accaduto — ha continuato il preside — è un fatto grave, proprio perchè a sfondo razzista e tanto più perchè verificatosi in ambiente scolastico”.
A niente, però, sono serviti i discorsi degli insegnanti alla classe e l’intervento davanti ai compagni di propria figlia da parte del padre della ragazza. “Sono andato in classe a parlare — ha poi raccontato ai carabinieri l’operaio di 56 anni che ha deciso di sporgere denuncia — nel mio discorso ho cercato di essere conciliante. Ho detto loro che è come se fossero tutti miei figli, ma nessuno si è scomposto. Era come se la storia non li riguardasse”.
Gianni Rosini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 18th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI HA RIPRESO UN VECCHIO PROGETTO DI FORZA ITALIA E L’HA INSERITO NELLA LEGGE DI STABILITà€: INIZIA LA SVENDITA
Il più bello non si può dire, sicuramente è uno degli angoli più suggestivi d’Italia, Lerici.
Una volta a destinazione basta chiedere della spiaggia di Indro Montanelli. Il vecchio del grande giornalismo era qui che veniva a rilassarsi, e poco a dire il vero.
Anche in spiaggia mica riusciva a stare fermo. E quando si metteva a discorrere con gli altri villeggianti, davanti al mare di Lerici, diceva sempre, un po’ per finta e un po’ per davvero, “tra breve venite qui a cercarmi, mi troverete a fare il bagnino”.
Non ci riuscì, tirato per la giacca, una volta a fare il direttore, un’altra a rientrare dalla porta di via Solferino al Corriere della Sera, un’altra a scrivere libri.
Ma finchè la salute glielo permise era lì, a Lerici.
Che c’entra tutta questa storia? C’entra, assolutamente.
Perchè la spiaggia dove Montanelli doveva fare il bagnino, è a pagamento. E costa anche una discreta somma. Fino ai cento euro al giorno. Prezzo che può variare. Anche perchè l’astuto Matteo Renzi ha pensato bene di sposare una delle vecchie battaglie di Forza Italia: perchè non venderle queste spiagge?
Rendono poco le trentamila concessioni, appena 102 milioni all’anno e non tutti pagano, invece con la vendita le stime salirebbero.
Renzi potrebbe tappare qualche buco di bilancio. E la legge esiste già .
È stata mascherata , ma c’è: “Le aree appartenenti al patrimonio dello Stato”, si legge al comma 11 dell’articolo 6, “sulle quali alla data del 30 settembre 2014 siano stati realizzati da privati immobili o manufatti sono alienate a cura dell’Agenzia del Demanio mediante vendita diretta in favore del soggetto legittimato che ne faccia richiesta”. La lobby è salva.
La Versilia
La direttiva Bolkestein che vuole aprire bandi per le concessioni è stata arginata: tutti contenti. Perchè questo è il Paese del sole, ma anche quello degli accessi al mare vietati.
Una sorta di privatizzazione c’è già . La barzelletta dell’accesso al mare non funziona in questo Paese. Una legge direbbe che la battigia è di tutti, ma provate voi a passare: la parte da attraversare è affittata ai gestori degli stabilimenti balneari.
In Italia le leggi si possono interpretare, spesso modificare a favore di una lobby, qualche volta derogare. Nulla di quello che è scritto diventa precedente.
La Liguria e la Toscana sono sicuramente due casi emblematici.
Livorno, per raccontarne una, ha una serie di stabilimenti balneari sul lungomare della città . Tutti in cemento, attrezzati, pieni di bar, docce, ristoranti e gabbioni, che sarebbero campi di calcetto in cemento dove la palla non esce mai.
E al mare vai solo se hai l’abbonamento. Bello sarebbe dire al bagnino vado a farmi un bagno ed esco: quello, che di solito è un portuale in pensione, ti prende per le orecchie e ti manda a fare un giro. Legittimo? No, ma funziona così.
È l’interpretazione labronica, molto originale. I ragazzini a volte provano a entrare via mare, a nuoto: l’epilogo è sempre quello di un bagnino che ne prende tre alla volta e li rispedisce da dove sono arrivati. Il mare sarebbe di tutti, non provateci a Livorno.
Troverete un buon alleato nel sindaco a 5 Stelle, Filippo Nogarin, ma il braccio di ferro per ora lo stravincono i bagnini, non i bagnanti. Più sfuggente la questione in Versilia, dove qualche spiaggia libera esiste e diventa un possibile accesso.
Ma andate in qualsiasi stabilimento balneare, per esempio il Twiga, giusto per fare un nome, e chiedete di avere accesso al mare.
La legge del 2006 dice delle cose precise e fino a prova contraria andrebbe rispettata.
Obbliga “i concessionari di garantire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area compresa nella concessione, anche al fine di balneazione” aggiungendo poi “il vincolo per gli Enti Locali, nel predisporre i piani di utilizzazione del demanio marittimo, a individuare un corretto equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili nonchè a individuare le modalità e la collocazione dei varchi necessari al libero transito per il raggiungimento della battigia, anche ai fini della balneazione”.
Budelli privata
Il paradosso si può vivere in uno degli arcipelaghi più belli del mondo, quello della Maddalena. Spiagge rosa, deserte fino agli anni Ottanta, sono diventate proprietà dei privati.
Come Budelli, posto che vale qualsiasi pena. Bene: l’isola se l’è acquistata un privato, il neozelandese Michael Harte. È sua.
Se volete andare a buttarvi in mare, almeno per educazione, andrebbe chiesto il suo permesso. Il più democratico, sempre dalle parti della Costa Smeralda, è sempre stato l’Aga Khan.
C’è una spiaggia, a Cala di Volpe, che si chiama spiaggia del principe perchè si trova proprio sotto casa del principe ismailita.
Raggiungibile, ma con una camminata di tre chilometri che, sotto il sole d’agosto, non sono il massimo. Un deterrente.
Ma è tutta la Costa Smeralda che è proprietà privata. Se non sono ville sono alberghi a cinque stelle. E per i sardi è quasi incomprensibile anche perchè nel resto dell’isola, gli stabilimenti balneari non esistono. Male che vada tocca pagare il parcheggio.
Il “lungomuro”
Lo chiamano il lungomuro. Il sindaco di Roma Ignazio Marino quest’anno ha iniziato col pugno di ferro: divieto di ostacolare i varchi di libero accesso alla spiaggia, valido anche di notte, e obbligo per gli stabilimenti di consentire il passaggio per raggiungere la battigia anche per fare il bagno, pena una multa fino a 500 euro.
L’ordinanza esiste, l’ha firmata Marino stesso, e hanno già iniziato a fare qualche multa. Vediamo chi molla per primo.
Ma i varchi aperti di mattina il 16 aprile scorso a colpi di piccone, dall’ex magistrato Alfonso Sabella neo Assessore capitolino alla Legalità , il giorno dopo erano già stati richiusi.
Congelati da una sospensiva del TAR presentata da alcuni concessionari degli stabilimenti. Ma i muri più difficili da abbattere non sono solo quelli di cemento o meglio delle cabine in cemento che diventano B&B alla bisogna.
Per quanto l’allarme mafia a Ostia sia oggetto d’indagine della Procura di Roma, per quanto la Capitaneria di Porto abbia rilevato irregolarità in nove stabilimenti su dieci, Alfonso Sabella, che conduce un’inchiesta amministrativa sugli abusi e la cementificazione sul litorale, procede non senza ostacoli.
Un incendio doloso, secondo gli investigatori, scoppiato a novembre nell’ufficio del demanio marittimo in via Martin Pescatore all’Infernetto, ha distrutto le pratiche amministrative delle spiagge del X Municipio.
Tanto che il Tar nel pronunciarsi contro l’apertura dei varchi voluta da Marino, ha potuto visionare planimetrie parziali. Documenti in pieno conflitto d’interesse secondo Stefano Esposito commissario del Pd a Ostia, dal momento che si è trattato di carte firmate dall’ingegner Renato Papagni presidente di Federbalneari, proprietario lui stesso di stabilimenti sul litorale.
Marino avrebbe annunciato di voler abbattere il lungomuro, per vederci chiaro e rendere ai romani finalmente la vista del mare.
E che il clima sia rovente lo dimostra il fatto che nei giorni caldi delle ruspe il senatore Esposito avrebbe detto: se il clima non cambia, consiglio a Marino di azzerare tutte le concessioni a fine stagione e rimettere tutto in gioco, con un nuovo bando e prezzi aggiornati.
Già , le concessioni, l’oggetto del desiderio e del contendere a Bruxelles che vorrebbe imporre all’Italia l’applicazione della direttiva Bolkenstein, ma non ci riesce.
Contro la liberalizzazione, capofila è proprio quel Renato Papagni che con il suo sindacato rappresenta 28mila imprese.
Questione di lavoro che sfumerebbe e di investimenti per il futuro, perchè con il via libera alla sdemanializzazione chi compra spiagge, compra oro.
Soprattutto a Ostia dove 17 chilometri di lungomuro, senza soluzione di continuità , tra l’aeroporto e il porto di Fiumicino potrebbero cambiare il volto della città .
L’unico affaccio della Capitale d’Italia sul Mediterraneo, la sola capitale europea, oltre Atene, adagiata sul mare.
Un valore inestimabile, economico ma anche culturale, finora incompreso.
C’è chi dice che le famiglie mafiose locali che controllano da sempre il territorio, abbiano grandi progetti.
Le inchieste Anco Marzio e Nuova Alba le hanno appena scalfite, i santi in paradiso sono tutti lì a guardare. I giovani di Ostia sperano nella rinascita artistica di questo territorio da quando è apparsa la Venere delle Corde.
Una statua misteriosamente approdata un anno fa sul pontile di fronte allo stabilimento preso in sub-concessione dall’erede di uno storico pregiudicato locale.
Corde come speranze, quelle colorate della Venere ogni tanto spuntano sui muri, una forma virale d’arte finita sulla copertina di un giornale di Dubai e, chissà perchè, non da noi.
Forse gli arabi hanno fiutato l’affare milionario per chi comprerà la costa di Roma.
Lavinia Bruno e Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 18th, 2015 Riccardo Fucile
AGLI AGRICOLTORI VA SOLO IL 17% DELL’INTROITO DELLA FILIERA
Il contadino ara il campo, semina e raccoglie, ma poi quanto gli rimane in tasca del suo lavoro?
Pochissimo, perchè i guadagni vanno quasi tutti al resto della filiera agroalimentare.
Se si considera il prezzo medio dei cibi al consumo e lo si confronta con quello medio delle materie prime agricole, si osserva che il ricarico medio è del 488%.
Del prezzo finale pagato dal consumatore, il 60% va alla distribuzione commerciale (cioè ai commercianti, ai grossisti e agli intermediari assortiti), il 23% all’industria di trasformazione e solo il 17% all’agricoltore.
Sono i calcoli dell’associazione Coldiretti, il cui presidente Roberto Moncalvo dice che è urgente «portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza nei rapporti di filiera. E bisogna tagliare le intermediazioni a vantaggio dei produttori e dei consumatori».
Ecco alcuni esempi di ricarico, prodotto per prodotto.
Il pane
Il prezzo del pane è molto variabile lungo lo Stivale con valori che raddoppiano tra Napoli, dove costa 1,90 euro al chilo, e Bologna, dove se ne spendono 3,95.
Già questa forte variabilità basta a dimostrare che il prezzo del pane dipende solo marginalmente dal costo del grano, che è fissato a livello internazionale al Chicago Board of Trade e non mostra quindi differenze tra le diverse città .
Al momento un chilo di grano tenero è venduto a 21 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini a valori medi attorno ai 2,75 euro al chilo, con un rincaro del 1200% (cioè un aumento di 13 volte).
Le mele
Nel mese di aprile le mele avevano un prezzo medio all’origine di 0,55 euro al chilogrammo, in calo del 23,4% sul prezzo dello stesso mese del 2014.
Ma in media si compravano al dettaglio a 1,50 euro al chilo, con un ricarico dell’172% (cioè a un prezzo quasi triplicato dal contadino alla tavola).
Le patate
Ad aprile le patate avevano un prezzo medio all’origine di 0,25 euro al chilo, in calo del 42% sullo stesso periodo del 2014. Ma mediamente si trovavano al dettaglio attorno all’euro al chilo, con un ricarico del 300% (un aumento di 4 volte).
Il latte
Il prezzo del latte fresco in Italia si moltiplica per più di quattro volte dalla stalla allo scaffale, con un ricarico del 317%.
Per il consumatore la spesa media per il latte di alta qualità è di 1,5 euro al litro ma agli allevatori vengono pagati in media solo 0,36 euro al litro.
Con 36 centesimi è difficile anche solo coprire i costi per l’alimentazione delle mucche, e così negli anni della crisi è stata chiusa in Italia una stalla su cinque e sono stati persi 32 mila posti di lavoro.
La Coldiretti e il Codacons hanno presentato un esposto all’Antitrust, dopo che prima in Spagna e poi in Francia le locali Autorità che vigilano sulla concorrenza e sul mercato hanno condannato le principali industrie lattiero-casearie (il più delle volte le stesse che operano anche in Italia).
L’Antitrust italiana ha preso importanti misure di contrasto delle pratiche sleali. E il recente decreto agricoltura impone una maggiore trasparenza alla filiera, con l’obbligo di contratti scritti, della durata non inferiore a 12 mesi, in cui si vincolano gli acquirenti di latte crudo a corrispondere un prezzo non inferiore ai costi medi di produzione.
La carne di coniglio
Se consideriamo la carne di coniglio, a fronte di un costo medio di produzione di 1,9 euro per chilo di peso vivo, agli allevatori vengono attualmente riconosciuti 1,33 euro al chilo, ma in media il prezzo nel banco di vendita è di circa 6,5 euro al chilogrammo per i consumatori.
Considerando che 1,33 euro al chilo per peso vivo corrispondono a 2,22 euro al chilo di peso morto, il prezzo dall’allevamento allo scaffale aumenta del 200%, cioè triplica.
Luigi Grassia
(da “La Stampa”)
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Maggio 18th, 2015 Riccardo Fucile
NON “ELARGISCE” UN BEL NULLA: E’ COME IL RAPINATORE CHE RUBA 3.000 EURO AL NEGOZIANTE E POI GLIENE RESTITUISCE 500 PERCHE’ NON LO DENUNCI
Conferenza stampa allucinante del premier Renzi per giustificare il furto delle pensioni a milioni di italiani: “Se dovessimo azzerare del tutto la norma bocciata dalla Consulta dovremmo restituire 18 miliardi di euro che andremmo a togliere a qualcos’altro: asili, infrastrutture“.
Prima precisazione: lo Stato italiano per due anni ha fregato 18 miliardi ai pensionati e ne ha fatto un uso diverso.
Come i rapinatori che sono stati scoperti, il governo doveva semplicemente restituire la refurtiva trattandosi di appropriazione indebita, se non di furto.
Se poi è andato a giocarsi 18 miliardi su altri tavoli da gioco, invece che accantonarli, problemi suoi.
Quanto a toglierli ad asili e infrastrutture è una balla, li tolga ai suo amici evasori fiscali che sottraggono 150 miliardi l’anno alle casse dello Stato.
In pratica su 18 miliardi Renzi ne restituisce solo 2, gli altri 16 sarà costretto a restituirli un futuro governo quando tra un paio di anni, in seguito ai ricorsi che saranno presentati, verrà data ragione ai pensionati ricorrendi.
Ma lui se ne frega, prepara la solita marchetta elettorale pensando che tutti siano coglioni e che chi aveva diritto a 3.000 euro faccia salti di gioia a riceverne solo 500 di media.
Solo 3,7 milioni di persone riceveranno tra l’altro i 500 euro.
Padoan ha detto che per rimborsare tutti i 6 milioni di danneggiati il pil sarebbe salito al 3,6%”, il che “avrebbe comportato per l’Italia una procedura per deficit eccessivo Ue, la rimozione della clausola per le riforme e il mancato rispetto della regola del debito”.
E’ come se un rapinatore di professione si trattenesse il malloppo perchè altrimenti il suo bilancio familiare ne risentirebbe: una tesi giuridica originale.
Non solo, Padoan ha pure il coraggio di dire che “nessuno perde niente”.
Quanto agli eventuali ricorsi degli esclusi dal bonus Poletti, “se ci saranno vedremo, ma i ricorsi dovranno tenere conto che con questo decreto le cose sono cambiate”.
Certo sono cambiate in peggio, infatti, legittimando la rapina di Stato.
La soluzione era un’altra: se è giusto chiedere di più a chi guadagna di più, allora prima occorreva restituire tutti i 18 miliardi a tutti e, in un secondo momento, aumentare la tassa su redditi e pensioni d’oro e introdurre una patrimoniale equa.
Si recuperavano lo stesso 18 miliardi senza rapinare gli italiani.
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Maggio 18th, 2015 Riccardo Fucile
DOPO LA DENUNCIA SULLA STAMPA IL CANDIDATO FA UN PASSO INDIETRO: “VOGLIO EVITARE STRUMENTALIZZAZIONI”
L’imputato per camorra si ritira dalle elezioni regionali in Campania.
L’ex sindaco Pdl di Castelvolturno Antonio Scalzone, candidato in “Popolari per l’Italia”, lista collegata al governatore uscente Stefano Caldoro (Forza Italia), ha diffuso una nota per annunciare il ritiro, poche ore dopo la rivelazione della sua vicenda giudiziaria de ilfattoquotidiano.it.
“Ho deciso a norma della legge e secondo la giurisprudenza (quinta sezione, decisione 1 Ottobre 1998 n. 1384) di ritirare formalmente la mia candidatura” dice Scalzone. “Lo faccio per evitare ogni strumentalizzazione e consapevole della mia innocenza, già accertata per alcune contestazioni, e in attesa della assoluzione per i reati associativi come è avvenuto per chi ha chiesto il rito abbreviato. Voglio dare l’esempio, consapevole della mia innocenza, perchè non ci siano ombre o danno alla mia lista, alla coalizione ed al presidente Caldoro”.
Scalzone, imputato di concorso esterno in associazione camorristica per i presunti legami con il clan Bidognetti, era candidato nella circoscrizione di Caserta.
Fonti dello staff di Caldoro anticipano che nelle prossime ore verrà convocata una conferenza stampa per spiegare il meccanismo giuridico in base al quale i voti espressi su Scalzone verranno sottratti dal computo dei voti del Governatore uscente.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 18th, 2015 Riccardo Fucile
ALL’ANNUNCIO NON HANNO FATTO SEGUITO GLI ATTI NECESSARI… IL CANDIDATO M5S E’ AL CENTRO DELLE POLEMICHE PER LE SUE AMICIZIE PERICOLOSE CON FAMIGLIE DELLA ‘NDRANGHETA A IMPERIA
L’annuncio “Comandini si è dimesso” e “Comandini rinincia alla candidatura” al momento è stato solo un grande bluff.
L’Alice Salvatore, candidata del M5S alla Presidenza della Regione Liguria, lo aveva annunciato venerdì mattina dagli schermi de La7 alla trasmissione “L’aria che tira”.
Roberto Fico (che ha negato le evidenze palpabili, affermando falsità , sul caso Mafodda-M5S-Comandini, vuoi perchè male informato o perchè anche se consapevole ha ritenuto meglio negare comunque), sempre venerdì scorso, aveva ribadito il ritiro del candidato imperiese alla testata amica de “Il Fatto”.
Con questo annuncio bluff hanno stoppato l’attenzione mediatica sul caso dell’esponente della nota famiglia di ‘ndrangheta di Arma di Taggia (che non ha ripudiato tale famiglia e suo padre “esponente di spicco” della cosca) tra i fondatori e responsabili del Meetup del M5S di Arma di Taggia, nonchè supporter e “fraterno amico” del Comandini Daniele (che rivendica e sventola tale legame) candidato capolista del M5S nell’imperiese.
Gli annunci erano falsi, visto che nella realtà Comandini è ancora in corsa per essere eletto in consiglio regionale con il M5S.
Se al massimo domani verranno stampati i manifesti elettorali ufficiali con le liste dei candidati, Cpamandini comparirà su quei manifesti come il capolista del M5S nell’imperiese.
A seguito di verifiche effettuate direttamente, il Comandini Daniele, infatti, non ha presentato la “Rinuncia autenticata” alla candidatura.
Non risulta che abbia presentato, per la presa d’atto, la Rinuncia alla Commissione Elettorale Circondariale di Sanremo, così come non l’ha presentata alla Commissione Elettorale presso la Prefettura di Imperia… e non l’ha presentata nemmeno all’Ufficio Elettorale presso la Corte d’Appello di Genova e neppure a quello del Tribunale di Imperia.
Insomma un grande bluff a 5 stelle (alla faccia dello slogan “onestà ” e “noi siamo diversi”) per farsi belli e stroncare l’attenzione mediatica sul caso, mentre Comandini rimane candidato ed eleggibile e con una labile promessa di dimissioni post elezione.
Una balla colossale raccontata dal M5S per nascondere e quindi perpetuare (con anche una nuova pagina “Io sto con Daniele Comandini” “candidato consigliere” nata su fabebook, e la sua candidatura che campeggia sul sito ufficiale del M5S ligure — vedi foto) una candidatura imbarazzante che rappresenta l’ultimo tassello di una selezione di candidati M5S nell’imperiese viziata da un uso “mafioso” delle preferenze (come denunciato già a gennaio dagli stessi esponenti M5S di Imperia) e dopo aver raccolto nell’area di influenza della famiglia Mafodda, alle politiche ed alle euoropee, percentuali di voti largamente superiori a quelle raccolte negli altri territori dell’imperiese e delle altre province liguri.
Il M5S sapeva dall’interno di questa situazione già da lungo tempo.
La Casa della Legalità ha documentato tutto, sino alla virgola, dal 20 aprile.
La Salvatore, così come Grillo ed il suo staff, non hanno voluto affrontare la pesantissima questione.
Il M5S ha fatto scorrere il tempo e presentato ugualmente la candidatura di Comandini come capolista, come se nulla fosse, ed anzi prodigandosi nel negare fatti inconfutabili, con improbabili e imbarazzanti difese che sono arrivate a paragonare la figura di Mafodda a quella di Peppino Impastato.
Casa della Legalita’
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