Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
LA CASA EDITRICE DA’ RAGIONE ALLA RETE: VIA FACCIA DI CARMINATI E NUOVA PREFAZIONE
Un libro divenuto un punto di riferimento.
Un successo editoriale con nove ristampe in altrettanti anni. Poi la decima diventa un caso letterario. Di più: stabilisce un primato.
Perchè non era mai accaduto prima che i lettori convincessero la casa editrice a ritirare e ristampare un volume ormai in viaggio verso le librerie.
Con tutto quello che ne consegue a livello di costi.
E’ successo a Cuori Neri, il romanzo in cui Luca Telese racconta gli anni di piombo ripercorrendo le storie di 21 vittime, tutti giovani di destra, tutti morti nel conflitto di ideologia politica che insanguinò quel pezzo di storia d’Italia.
Il casus belli è l’edizione che celebra il decennale dall’uscita del libro. Nuova prefazione e nuovo capitolo, l’ultimo, in cui il conduttore di Matrix parla degli sviluppi del caso Moro, del filo che collega le stagioni del terrorismo, di Massimo Carminati. Non solo.
Nuovo sottotitolo (“Dal rogo di Primavalle a Mafia capitale, storie di vittime e carnefici“) e soprattutto nuova copertina: sullo sfondo il viso di ‘Er Cecato’, sopra il titolo, bianco, in trasparenza.
Un accostamento, quello tra Carminati e i ‘vecchi’ cuori neri, che fa indignare il popolo di destra. Sul web è una rivolta. Sulla pagina Facebook di Telese centinaia di insulti e accuse.
Poi la svolta. Mercoledì 20 maggio il sito Barbadillo.it chiede ai suoi lettori di inoltrare alla casa editrice Sperling& Kupfer una mail per chiedere di ritirare il libro.
Il motivo? “Non si può in alcun modo legare, con una copertina che genera rabbia e indignazione, la storia patriottica della famiglia e dei fratelli Mattei, di Mario Zicchieri, di Mikis Mantakas, dei ragazzi di Acca Larentia e degli altri figli d’Italia caduti con l’inchiesta della magistratura romana sul malaffare delle cooperative”. Punti di vista.
Fatto sta che in pochi giorni si crea un dibattito culturale molto forte.
All’appello aderiscono politici, semplici cittadini, intellettuali di destra e sinistra, parenti delle 21 vittime raccontate da Telese. Che interviene pubblicamente, ammette che la bozza di copertina non gli era piaciuta, chiede alla Sperling & Kupfer di fare uno sforzo e cambiarla.
Dopo neanche una settimana succede quello che mai era accaduto prima. La casa editrice non solo decide di ‘richiamare’ il libro, ma va ben oltre.
All’inizio pensa a un semplice ricopertinaggio, poi decide di ristampare integralmente Cuori Neri, di cestinare la ‘vecchia’ prefazione e di chiederne a Telese una nuova di zecca per raccontare la levata di scudi in Rete e la scelta della Sperling.
“L’ho finita di scrivere stamattina — dice a ilfattoquotidiano.it Telese, che ha dato la notizia su Twitter – Ora il libro è in stampa”.
Carminati c’è, ma non si vede, almeno in copertina. “Certo che c’è, c’era anche nella prima edizione. E nella mia prefazione ho spiegato perchè deve esserci — spiega l’autore — Di Mafia capitale non mi interessano le carte e i reati raccontati nell’inchiesta, bensì la figura di Carminati e il suo continuo citare i cuori neri con un obiettivo: usarli per sostenere l’aura del suo personaggio pubblico. I Mattei, Ramelli, Mantakas e i ragazzi di Acca Larentia sono vittime, lui è un carnefice: va raccontato, ma non poteva essere il simbolo del libro”.
Lo era diventato. “E infatti mi sono arrabbiato, ma alla decima ristampa l’autore ha un potere davvero relativo. Ora, però, devo fare i complimenti alla Sperling: è un’operazione davvero coraggiosa”.
Telese non è a conoscenza di quanto sia costato in termini economici questo coraggio (si parla di qualche migliaia di euro), ma non ha dubbi sul valore simbolico del cambio in corsa: “E’ la prova che il web può avere una funzione fondamentale, di autocorrezione — sottolinea il giornalista — In questo caso è riuscito a porre rimedio a un errore concepito in un mondo, quello dell’editoria, che va a velocità opposta rispetto alla sua”.
Carlo Musso, il responsabile editoriale Non Fiction di Sperling & Kupfer e Piemme, preferisce non soffermarsi sul caso in sè, quanto sul dibattito che ne è scaturito: “All’autore e all’editore interessano la riflessione culturale, storica, sociale, editoriale sugli anni di piombo, e sul legame tra la memoria di quella stagione e l’attualità — spiega a ilfattoquotidiano.it — La copertina dell’edizione 2015 può essere di ostacolo a questa riflessione, o ferire la sensibilità dei famigliari delle vittime? La cambiamo senza alcun problema, dal momento che non era ovviamente questo l’intento. Ci interessa invece dare spazio a questa riflessione — aggiunge — e su quella non si arretra per nulla, anzi si rilancia: tanto che il libro esce, tra un paio di settimane, non solo con una nuova copertina, ma con una corposa integrazione che dà conto delle diverse posizioni del dibattito che si è sviluppato in questi giorni”.
Più di ogni risposta, però, vale la nuova bandella.
Che dopo la prima parte (identica sin dalla prima edizione) recita testualmente: “Comparso nelle librerie nel 2006 e ristampato per un intero decennio, il volume ha suscitato polemiche quando — nell’edizione del 2015, integrata con gli accadimenti degli ultimi anni — viene pubblicato con una nuova copertina che riporta la foto di Massimo Carminati, ex militante dei Nar al fianco di Valerio Fioravanti: in un nuovo capitolo l’autore rifletteva sul rapporto tra passato e presente, e ripercorreva (anche) la sua vicenda e il suo passaggio da terrorismo al sodalizio con la banda della Magliana negli anni Ottanta.
Più di vent’anni dopo, uscito dal carcere, Carminati diventa capo di una gang che controlla gli appalti a Roma e viene di nuovo inquisito: le intercettazioni che lo riguardano rivelano quanto sia ancora stretto il suo legame con la memoria di quella stagione.
Ma la foto di Carminati, come un detonatore, fa anche esplodere un acceso dibattito sul rapporto tra la storia delle vittime e quella dei carnefici, tra chi vorrebbe ridurre questo racconto a una rappresentazione di soli angeli, e chi a un tripudio in cui tutti diventano demoni.
L’autore e l’editore decidono così di mandare in stampa una nuova edizione aggiornata (questa) che, rispondendo alle richieste di alcuni lettori, modifica l’immagine di copertina e soprattutto dà conto di questo dibattito sull’identità .
Luca Telese torna a riflettere sul periodo della lotta armata, sul modo in cui la storia italiana continui a svilupparsi nel perimetro della sua lunga ombra, spiegando perchè questo libro è più attuale oggi di quando è uscito per la prima volta. Ma anche perchè Cuori neri non può diventare una nuova apocalisse o un compendio di vite dei santi: deve restare un libro di storia”.
Che di storico, però, ha anche altro: è il primo libro in cui i lettori sono in qualche modo protagonisti.
Di un cambiamento in corsa, di un dibattito ancora in corso.
Pierluigi Giordano Cardone
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Libri | Commenta »
Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
SONO ITALIANE LE NUOVE SCHIAVE: PIU’ RICATTABILI PER I CAPORALI…NELLA SOLA PUGLIA SONO 40.000 CON PAGHE DI 30 EURO PER 10 ORE DI LAVORO
Alle tre di notte le donne del Brindisino e del Tarantino sono già in strada.
Indossano gli abiti da lavoro e hanno in mano un sacchetto di plastica con un panino. Nei punti di raccolta, agli angoli delle piazze, alle stazioni di benzina, aspettano il caporale che viene a prenderle con l’autobus gran turismo per portarle sui campi, dove lavorano sfruttate e ricattate, a volte anche con la richiesta di prestazioni sessuali. Sono soprattutto italiane, più affidabili, ma soprattutto più “mansuete” delle lavoratrici straniere, protagoniste in passato di proteste e denunce.
Per costringere le italiane al silenzio non servono violenze fisiche.
Basta la minaccia “domani resti a casa”.
“I proprietari dei pullman sono i caporali. È a loro che ci rivolgiamo per trovare lavoro in campagna o nei magazzini che confezionano la frutta”, racconta Maria, nome di fantasia, che ha 24 anni e lavora sotto i caporali da quando ne aveva 16.
Secondo le stime del sindacato Flai Cgil, sono 40mila le braccianti pugliesi vittime dei caporali italiani, che in molti casi hanno comprato licenze come agenzie di viaggio, riuscendo così ad aggirare i controlli.
Il reclutamento.
“Nei paesi ci sono delle persone, generalmente sono delle donne, che fanno da tramite tra chi vuole lavorare e il caporale. Raccolgono i nominativi per lui – racconta Antonietta di Grottaglie – Il caporale decide dove mandare a lavorare le braccianti e quello che deve essere dato come salario. Cercano di non avere uomini, anche per i lavori pesanti, perchè le donne si possono assoggettare più facilmente”.
Antonio, altro nome di fantasia, è ancora più esplicito: “Non vogliono stranieri, il motivo è che loro si ribellano e gli italiani no: ci sentiamo gli schiavi del terzo millennio, ci hanno tolto la dignità “.
Le italiane sfruttate per la fragola “top quality”.
“La donna si presta di più a un lavoro piegato di tante ore – spiega un produttore agricolo che assume circa 60 operaie nelle sue serre di Scanzano Jonico – Io ho quasi tutte italiane, andiamo a prendere la manodopera in Puglia, perchè quella locale non basta. In tutta Scanzano esistono 600 ettari di coltivazioni di fragole. A 6 donne a ettaro fanno 3600 braccianti donne”.
Ci sono rumeni che si propongono per la raccolta, ma non vengono quasi mai presi in considerazione.
“La fragola è molto delicata – dice Teresa – facilmente si macchia e diventa invendibile, per questo servono le donne a raccoglierla nelle serre, con la temperatura che raggiunge i 40 gradi”.
Tra Scanzano, Pisticci e Policoro si produce la fragola Candonga, brevettata in Spagna e diventata un’eccellenza molto apprezzata sul mercato perchè è più grande e ha una lunga durata. Spesso vengono “trattate” con ormoni come la gibberellina, come vediamo dalle scritte sui tendoni “campo avvelenato”.
Caporali tour operator.
Da aprile a settembre centinaia di grossi pullman si spostano carichi di lavoratrici tra le province di Brindisi, Taranto e Bari per la stagione delle fragole, delle ciliegie e dell’uva da tavola. Grottaglie, Francavilla Fontana, Villa Castelli, Monteiasi, Carosino, sono solo alcuni dei nomi della geografia del caporalato italiano che sfrutta le donne. Il nome del caporale è scritto in grande, stampato sulla fiancata dei bus, insieme al numero di cellulare. “È per questo che nessuno li ferma”, dice Teresa, altro nome di fantasia.
Donne e italiane, le nuove vittime del caporalato agricolo
Il potere del caporale si misura dal numero di pullman che possiede, perchè questo è indice anche della quantità di lavoratori che riesce a controllare. Si va dalle cinquanta alle oltre 200 persone.
Il caporale prende dall’azienda circa 10 euro a donna e sui grandi numeri guadagna migliaia di euro a giornata. “Nel magazzino per il confezionamento dell’uva da tavola dove lavoro ci sono mille operaie italiane, portate lì da più di dieci caporali diversi”, racconta Antonio, bracciante della provincia di Taranto. In questi giorni i pullman percorrono quasi cento chilometri, dalla Puglia fino alle aziende agricole che producono fragole nel Metapontino, tra Pisticci, Policoro e Scanzano Jonico, in provincia di Matera.
Questi proprietari conferiscono il prodotto a dei consorzi di commercianti con sede nel nord Italia che hanno magazzini in loco.
L’intermediario prende una percentuale variabile, almeno del 2%, poi si aggiungono i costi delle cassette e la tariffa del 12% pagata al “posteggiante”, il personaggio che la espone in vendita ai mercati generali. Alla fine si arriva a un prezzo al consumatore anche di 7 euro al chilo nei supermercati di Milano.
Sfruttate come lavoratori immigrati.
Gli orari di lavoro e la paga variano a seconda del tipo di raccolta. Ma la regola sono impieghi massacranti e sottosalario.
Alle fragole si lavora per sette ore, ma se sono mature e vanno raccolte subito si arriva anche a 10 ore. Nei magazzini di confezionamento si arriva anche a 15 ore.
Ogni donna deve raccogliere una pedana di uva pari a 8 quintali. Se ci mette più tempo la paga resta uguale, per cui alla fine il salario reale è meno di 4 euro l’ora.
“C’è il pregiudizio che le donne iscritte negli elenchi agricoli siano false braccianti – spiega Giuseppe Deleonardis, segretario della Flai Cgil Puglia – invece vivono una condizione di sfruttamento pari agli immigrati. Nel sottosalario, a parità di mansioni con gli uomini, c’è un’ulteriore differenza retributiva: se la paga provinciale sarebbe di 54 euro e all’uomo ne danno in realtà 35, la donna non va oltre 27 euro”.
Ricatti ed estorsioni.
Il salario ufficiale è di 50-60 euro. Ma vengono segnate la metà delle giornate di lavoro effettivamente lavorate. Le braccianti vengono costrette a firmare buste paga che rispettano i contratti, perchè le aziende hanno bisogno di dimostrare che sono in regola per poter accedere ai finanziamenti pubblici. Di fatto continuano a pagare un terzo o al massimo la metà del salario dovuto, richiedendo indietro i soldi conteggiati in busta paga.
“In provincia di Taranto, con inquadramento minimo, posso avere una busta paga ‘ufficiale’ di 47 euro lordi, però in realtà me ne arrivano 27, massimo 28 a giornata – racconta Antonietta – L’azienda ci dà il foglio di assunzione, noi dobbiamo portarlo con noi tutti i giorni nel caso ci dovesse essere un controllo. L’autista del pullman risulta essere un dipendente dell’agenzia di viaggio”.
I datori di lavoro mettono la paga del caporale sull’assegno che percepiscono le lavoratrici, le quali riscuotono e danno al caporale la sua parte in nero.
Sotto gli occhi della fattora.
Nei campi italiani succede di tutto, approfittando della disperazione e della crisi economica. C’è chi aspira a diventare una “fissa” della squadra del caporale come se fosse una specie di nota di merito in graduatoria.
Chi subisce molestie sessuali o la richiesta di prostituirsi per poter lavorare.
Ci sono donne caporali che sono anche proprietarie di pullman. Ma la figura più ambigua è quella che tutti chiamano “la fattora”, una sorta di kapò al femminile con una funzione di ricatto.
È lei la persona di fiducia del caporale che controlla le lavoratrici sul campo. “Il suo ruolo è di subordinare psicologicamente le braccianti, garantendo loro assunzioni se rinunciano ai diritti”, spiega Deleonardis. “Alla minima protesta, rimostranza o insubordinazione si resta a casa per punizione – dice Teresa – Anche se ti lamenti perchè non vuoi viaggiare nel cofano del pulmino”.
Nè denunce nè ispezioni. Emerge il quadro di un sistema di produzione basato su ricatti, soprusi, omertà e conoscenza personale.
“Non ho mai visto un pullman essere fermato da una pattuglia della polizia, anche se ne incontriamo molte”, continua Antonio.
Secondo Deleonardis questo è un sistema di caporalato legalizzato. “È una situazione conosciuta da tutti sul territorio. Qui c’è una tolleranza di un sistema di illegalità , non si vuole colpire il caporalato – dice il sindacalista – Abbiamo chiesto al prefetto di Taranto di fare dei controlli, ma possibile che non ci sia mai una verifica se i pullman hanno le autorizzazioni a trasportare persone e in quali aziende vanno?”.
I dati ufficiali del ministero del Lavoro dicono che ci sono state 1818 ispezioni in Puglia in tutto il 2014.
Quelle che hanno riscontrato irregolarità sono state 925, circa il 50%, per un totale di 1299 lavoratori coinvolti, pari a 1,4 lavoratori ad azienda.
Un numero davvero esiguo se paragonato ai datori di lavoro che assumono anche mille braccianti per volta servendosi dei caporali.
Raffaella Cosentino
(da “La Repubblica“)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
GLI HANNO RESPINTO LA RICHIESTA DI ASILO: “DICONO CHE IN NIGERIA NON C’E’ LA GUERRA, MA CHE COSA NE SANNO?”
Il suo nome è Balde Alassane, è uno schiavo ma non lo sa.
Ogni mattina alle 4.40 esce dal cancello del centro per richiedenti asilo di Foggia – sulla targa c’è scritto Centro Polifunzionale per immigrati – saluta le guardie in italiano, sorride, aspetta il suo uomo.
L’uomo arriva su una vecchia Hyunday grigia. Si chiama Hassan, tunisino, è un caporale, vuole 5 euro a viaggio per portarlo al lavoro nei campi.
Foggia, in realtà , dista 20 chilometri. Questa è la piana di Borgo Mezzanone: campagna, miseria, sole che picchia. Oggi ci sono 36 gradi alle 12. Balde Alassane sta finendo la giornata di lavoro. Otto ore.
Il lavoro
In questo periodo della stagione, lui deve interrare piantine di pomodori. Ogni cassetta di polistirolo ne contiene 240.
«Per ogni cassetta mi danno 1 euro», dice piegato sul campo. «Oggi, con questa, sono riuscito a fare 24 casse».
Ti pagano subito? «No – risponde Balde Alassane – dopo quindici giorni, magari venti. Hassan prende i soldi per me dal padrone italiano».
Ed ecco il conto economico della giornata di Balde Alassane: oggi ha messo nella terra 5760 piantine di pomodori, ha guadagnato 24 euro, meno i 5 dati ad Hassan.
Decide di tornare al centro per richiedenti asilo a piedi, per risparmiare almeno i 5 euro del ritorno.
E quindi, in una giornata in cui ha dato il massimo e bevuto soltanto una bottiglia d’acqua portata da lui, ha guadagnato 19 euro.
La sua paga sarà molto alta: 2 euro e 30 centesimi all’ora. Non sempre va così bene. Ora, con le mani tagliate e incrostate di terra secca e gialla, accende il telefono cellulare, un Alcatel comprato al supermercato, probabilmente il telefono più economico in commercio.
Ha i tasti con le lettere completamente cancellate, ma si può usare lo stesso. «Ho detto a un mio amico, che lavora in un’altra campagna, di dire ad Hassan di non passare a prendermi».
Il problema
Il problema di Balde Alassane è che la sua storia è nota. Già scritta. Già denunciata. Caporali, sfruttamento, lavoro nero.
E se continua a ripetersi ogni giorno nel 2015, per lui e moltissimi altri, persino davanti al centro di accoglienza presidiato dallo Stato italiano, sarà normale così. Lo pensa lui stesso.
«Ho appena compiuto 21 anni. Sono nato in un villaggio vicino a Conakry, in Guinea. Mio padre si è ammalato tre anni fa. Faceva il contadino, ma ha dovuto smettere. È finito su un pous-pous».
Cosa intendi, scusa? Balde Alassane, pieno di imbarazzo, fa il segno delle mani sulle ruote di una sedia a rotelle. «Devo aiutarlo io – dice – devo mandare dei soldi. Mi piace lavorare. È brutto non fare niente. È bello fare il contadino».
Il Cara di Foggia strabocca di ragazzi africani, pakistani e bengalesi.
La capienza massima di 856 posti è regolarmente superata. L’appalto di gestione – 20 milioni 892 mila euro per tre anni – è al centro di un lunghissimo contenzioso giudiziario, con ricorsi e controricorsi al Tar.
Ovviamente, è stato anche al centro degli interessi di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, i re di mafia Capitale.
E’ uno dei pochi business sicuri in un territorio ultra depresso. Alle 13, un carabiniere molto gentile ci viene incontro: «Non potete fare fotografie senza autorizzazione. Per entrare serve il permesso della Prefettura».
Decine di ragazzi stanno arrivando a piedi lungo la strada. Molti hanno lavorato nei campi come Balde Alassane, altri stringono in mano dei fogli.
«Ce l’hanno con noi, odiano i nigeriani» grida un ragazzo esasperato. «Siamo tutti negativi! Ci hanno respinto la richiesta di asilo politico. Dicono che in Nigeria non c’è la guerra. Cosa ne sanno? Ce l’hanno con noi… Tutti negativi, ti rendi conto?».
Questo, dei nigeriani che non riescono, in quanto tali, ad ottenere lo status di rifugiato politico, è un tema che ritorna ovunque. Presto diventerà un problema. «Dove andiamo? Cosa faremo quando ci sbatteranno fuori di qui?».
Balde Alassane si schiaccia il cappellino da baseball sulla fronte e si incammina verso il cancello del centro, lui si ritiene molto fortunato: «La commissione non mi ha ancora risposto — dice – non so se sono positivo o negativo. Intanto lavoro. Riesco a mandare a casa ogni mese 100 euro. Grazie Italia!».
Nicolò Zancan
(da “La Stampa”)
argomento: denuncia | Commenta »
Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
SI LUCRAVA SU “BUONI” GIORNALIERI DA 2,50 EURO A TESTA… COINVOLTI ANCHE FUNZIONARI DELLA PROTEZIONE CIVILE
A dicembre, a Salerno, padre Vincenzo Federico, direttore regionale della Caritas, era stato insignito dell’onorificenza di «Cavaliere della Repubblica», per il suo impegno nell’accoglienza dei migranti.
Sembra passato un secolo. Adesso si deve difendere dall’accusa di peculato, perchè avrebbe intascato fondi destinati proprio ai migranti.
Sostengono i pm napoletani: «È verosimile che la Caritas di Teggiano faceva pervenire a De Martino i pocket money destinati ai migranti da loro ospitati, ricevendo in cambio una percentuale degli enormi guadagni che ne ricavava il De Martino (pari al 20% del valore di ogni singolo buono oltre alle ricariche telefoniche acquistate)».
Il meccanismo
La situazione processuale del sacerdote si è aggravata in queste ore. La perquisizione alla Caritas di Teggiano, provincia di Salerno, si è conclusa a mezzanotte.
E il commento di investigatori della Finanza e degli inquirenti napoletani sull’esito della stessa è molto positivo.
Il sacerdote, dunque, non consegnava ai migranti i buoni per comprarsi schede telefoniche o sigarette ma li cedeva a De Martino.
Lo stesso De Martino, interrogato dagli inquirenti, mette a verbale: «I blocchetti di tickets venivano consegnati mensilmente dal responsabile Fiore Marotta, il quale, a sua volta, li raccoglieva presso le varie strutture della Caritas di Teggiano. Anche su questi buoni trattenevo una percentuale del 5% come avveniva con le altre strutture non convenzionate con “l’Ala di Riserva”».
Siamo solo agli inizi di questa inchiesta che ha portato in carcere il titolare dell’onlus «Un’ala di riserva», Alfonso De Martino, e la compagna, Rosa Carnevale, ai domiciliari. Gli inquirenti li accusano di truffa aggravata, peculato, appropriazione indebita e associazione a delinquere. Ma c’è anche la corruzione contestata ad altri indagati.
La moglie di De Martino gestisce anche una importante edicola sul lungomare di Pozzuoli, che ha firmato una convenzione «per il cambio dei buoni sociali per la vendita di ricariche telefoniche» (i nostri pocket Money).
Agli atti della inchiesta emerge che «nel periodo 2011-2013, Rosa Carnevale ha acquistato ricariche per quasi un milione e mezzo di euro, negoziando 582.248 pocket money emessi a favore dei migranti.
Di questi, solo 33.697 (pari a 84.242 euro) in favore dei migranti di “Un’ala di riserva”».
Per i pm Ida Frongillo e Raffaello Falcone c’è una struttura criminale che gestisce le risorse pubbliche destinate all’accoglienza.
Milioni di euro investiti per l’emergenza Nord Africa (2011-2013) finiti nelle tasche di affaristi criminali. In questa prima parte della inchiesta emergono anche altre onlus, come «Il Sentiero» e «Tertium Millennium» che fanno riferimento alla Caritas di Teggiano.
I prossimi sviluppi investigativi riguarderanno la Regione, le convenzioni con gli alberghi, le prefetture.
E i funzionari corrotti della Protezione civile, «Mattiello, che avrebbe procurato al De Martino la convenzione» con la Regione Campania, e «il Cincini, che non ha proceduto ai controlli sulla corretta esecuzione delle prestazioni previste dalla Convenzione cui erano tenuti».
«Decisi che al prossimo incontro che avrei avuto con il Cincini gli avrei elargito – mette a verbale De Martino – delle somme di denaro, siamo al febbraio del 2012. Fissammo un appuntamento fuori a un bar, in quella circostanza gli consegnai una busta gialla con all’interno 3.000 euro. La prese, la mise in tasca senza aggiungere nulla e senza aprirla».
Guido Ruotolo
(da “La Stampa“)
argomento: Giustizia | Commenta »
Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
IL MURO DEL PIANTO: AD APRILE STESSO NUMERO RISPETTO A UN ANNO FA
Nel mese di aprile di quest’anno è di circa 210 mila unità il saldo tra i nuovi contratti attivati e quelli cessati.
È quanto emerge dalla nota mensile sulle comunicazioni obbligatorie diffuso oggi dal ministero del Lavoro.
Dati che non mostrano sostanziali variazioni rispetto allo stesso saldo registrato nell’aprile dello scorso anno, quando la differenza si attestava intorno alle 203 mila unità , ma che evidenziano una nuova fiammata dei contratti a tempo indeterminato, spinta con ogni evidenza dagli incentivi a sostegno delle assunzioni stabili messi a disposizione dal governo.
Nel mese scorso il saldo tra contratti a tempo indeterminato attivati e cessati è stato di 48 mila, contro i 31 mila circa di marzo e un saldo persino negativo di 6000 unità nell’aprile del 2014.
A questi dati si aggiungono poi quelli sulle trasformazioni da tempo determinato a indeterminato, che vengono contabilizzate a parte, che si attestano appena sotto quota 39 mila, contro i 19.114 dello stesso periodo dell’anno prima.
Da un lato quindi il governo può festeggiare un sempre più frequente ricorso da parte dei datori di lavoro alla stipula di contratti a tempo indeterminati, oggi il 22,7% del totale contro il 15,7% di aprile 2014, dall’altro però nel primo mese in cui il Jobs Act è stato in vigore fin dall’inizio non si rilevano sostanziali scostamenti rispetto all’andamento registrato nell’anno precedente.
E’ evidente che un’azienda, potendo in ogni caso licenziare il nuovo assunto in ogni momento, preferisca usufruire dei contratti a tempo indeterminato con sgravi fiscali per ben tre anni, ma la sostanza non cambia.
argomento: Lavoro | Commenta »
Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
NELLA CAMPANIA DEGLI IMPRESENTABILI NON SERVE LA RASSEGNAZIONE, OCCORRE AVERE IL CORAGGIO DELLA RIBELLIONE E DELL’ESEMPIO… COSI’ SI RICONQUISTA IL DIRITTO ALLA LEGALITA’ E LA DIGNITA’ DI UN POPOLO
Terra di sole, di mare, di storia e di tradizioni. Pregna d’arte e di mestieri. Culla dell’antica civiltà , patrimonio dell’umanità .
Terra di infinite ricchezze e possibilità , ma anche terra di sottosviluppo culturale, industriale e di povertà , da quella sostanziale a quella etico-morale: dai senza tetto a quelli che hanno fatto dell’arte dell’arrangiarsi la pietra miliare di una specifica incapacità di darsi una visione e di avere un fine “superiore”.
Terra “fiera” ma anche di facile conquista con lo “straniero sempre pronto a passare”, affarismo politico-malavitoso e camorra compresi…
“Donna” calda, affascinante e bellissima, in buona parte confusa, però.
La politica l’ha continuamente vessata ed essa, inerme, arrendevole, solo in rari casi ha avuto slancio sincero e fierezza di contegno.
Corsi e ricorsi storici. Solite storie. Solita vita…
Qualche giorno fa, Renzi e Berlusconi sono venuti proprio in Campania per sostenere i rispettivi candidati a Governatore della Regione.
“Solo per un attimo” fingiamo che, nelle rispettive colazioni, gli “impresentabili” non “esistano”.
Berlusconi, tra le altre cose, ha rimarcato che Caldoro — ed è dato innegabile — dopo anni di governo locale, ha “realizzato” l’implementazione e la posa in opera della banda larga più diffusa di tutti i tempi e l’eliminazione del dissesto finanziario, passando dall’allora “meno 500 milioni” all’odierno “più 241 milioni” di attivo.
Renzi, invece, ha tra l’altro sostenuto che la lotta alla camorra sarebbe nel dna del PD. Sarà … Fa “solo specie” che quella dichiarazione di “guerra” sia stata resa dal Segretario di un partito che ha consumato la più grande depenalizzazione degli ultimi 10 anni – ivi compreso il “fu” reato di stalking – aumentando invece le sanzioni in tema di “illeciti finanziari” (della serie, «basta che sei un contribuente “virtuoso”, poi delinqui pure come vuoi…»).
Al di là delle altre assurdità che pure hanno profferito i relativi leader, i due schieramenti, quello di centro-destra e di centro-sinistra, sono totalmente imbarazzanti.
Sono garantista e sono anche consapevole dell’uso strumentale che può farsi della giustizia ma, almeno alle campagne elettorali, i candidati dovrebbero essere al di sopra di ogni sospetto.
Non si possono accettare candidature in odor di “illiceità ” da fatto penalmente, fiscalmente o civilmente rilevante.
Non si possono accettare i rischi di compromessi con la camorra o col sistema affaristico malavitoso proprio di certe realtà .
Non si può far finta che il problema non esista assumendo che, “almeno nella propria lista”, non ci sarebbero impresentabili perchè poi, una volta vinto, con gli stessi – e coi relativi “centri di interesse” – bisognerà pur governare insieme.
Davvero, la peggiore campagna elettorale “di tutti i tempi”.
Se si vuole aiutare questa terra, bisogna puntare dritto su Roma, diventare parlamentari e sostenere Governi e votare leggi capaci di rivoltare l’intero sistema.
Fare “politica sotto casa”, circondati da consistenti gruppi di “confusi”, sbandati e venduti, è il peggiore degli impegni possibili.
Comunque sia, pochi giorni ancora e l’indegno spettacolo sarà finito. Resteranno tutti gli altri problemi però, camorra compresa.
In ogni caso, non so voi, ma io, domenica prossima, annullerò la scheda e continuerò a guardare avanti perchè quello che davvero serve a questo Paese, non è un “Fonzie de noi altri”, un “nuovo Monarca calato dall’alto” o la reiterazione dei soliti “cerchi magici”.
A questo Paese serve un progetto serio e appassionante.
Un “antisistema di destra” che metta al centro della propria azione una sincera battaglia per la legalità (per riconquistare il territorio sottraendolo alla malavita ed al persistente sistema affaristico) e per l’uomo, coi suoi sogni, le sue aspirazioni ed il suo bisogno di libertà .
Il resto sono soltanto chiacchiere…
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra liberale
argomento: Napoli | Commenta »
Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
AL PRIMO PUNTO LA LOTTA ALLA CORRUZIONE: HANNO CACCIATO 600 IMPRESENTABILI DALLE LISTE
Albert Rivera, 35 anni, è il presidente di Ciudadanos e il nuovo astro nascente della politica spagnola: si rivolge a una «Spagna diversa», quella che ha smesso di dare un assegno in bianco ai ‘partiti della corruzione’.
Laureato in diritto costituzionale, entrato in politica a 27 anni come candidato anti-indipendentista alla presidenza dell’autonomia di Catalogna, a dicembre 2014 il giovane rampante ha lanciato Ciudadanos a livello nazionale.
Le ricerche di opinione lo danno tra il 15-20% delle preferenze a livello nazionale.
Una cifra che lo eleva a possibile alleato di governo per qualsiasi partito che dovesse uscire vincente dalle urne a fine anno.
La prima apparizione di Rivera sulla scena politica è difficile da dimenticare: campeggiava nudo sui manifesti elettorali. «Era la nostra prima campagna», ha spiegato al Guardian, «e per un nuovo partito è molto difficile farsi notare».
L’escamotage funzionò e il partito ottene tre seggi nel parlamento catalano e oggi non ha nessun bisogno di strategie mediatiche per guadagnare i riflettori.
Il leader dei Cittadini dice di ispirarsi a John Fitzgerald Kennedy e di essere pronto a dialogare con i socialisti di Pedro Sanchez.
Il programma ufficiale del partito si rifà alla tradizione del progressismo liberale.
Mette al primo posto le libertà individuali e le coniuga con il rafforzamento dei diritti sociali.
Il suo obiettivo dichiarato è conquistare, difendere e far crescere la classe media spagnola.
«Il problema della Spagna non è il suo prodotto interno lordo, ma lo stato della sua classe media, anche in Arabia Saudita cresce il Pil», ha dichiarato Rivera al Financial Times.
La proposta: reddito minimo, ma Iva più alta sui consumi di base.
A stendere il programma economico del movimento ha chiamato Luis Garcano, stimato professore della London School of Economics e fondatore del blog di economia più seguito della penisola iberica, un Tito Boeri spagnolo.
Le proposte che si leggono sul sito del partito vanno dall’introduzione del reddito minimo per lottare contro i nuovi working poors (i lavoratori che non raggiungono un livello sufficiente di entrate mensili), a misure per attirare o riportare in Spagna le imprese innovative.
Ma non mancano ricette scomode, come la riforma del sistema pensionistico in senso contributivo e la rimodulazione dell’Iva, cioè l’aumento dell’imposta sul consumo dei beni primari e il taglio su quelli culturali.
Sull’immigrazione: distribuzione dei flussi a livello europeo, facilitazione per i ricongiungimenti famigliari, accordi con i Paesi di origine in cambio dell’impegno a togliere dazi commerciali sull’export spagnolo.
E appaiano coerentemente liberali anche le ricette proposte in campo etico ed educativo.
Nella Spagna del centrodestra cattolicissimo, Ciudadanos prevede l’introduzione dell’insegnamento della storia delle religioni e dell’educazione sessuale nelle scuole e la depenalizzazione dell’aborto durante le prime 12 settimane.
E nel capitolo della rigenerazione democratica spunta l’introduzione delle primarie come strumento di selezione dell’intera classe politica.
I liberali iberici propongono un decalogo radicale: fuori dalla politica di tutti gli indagati per reati di corruzione e frode alla Pubblica amministrazione, responsabilità sussidiaria dei partiti nei casi di reati compiuti dai loro membri.
E ancora: divieto di finanziamento dei partiti da parte delle imprese, stretta sui prestiti bancari ai partiti, divieto di donazioni a tutti i dirigenti di enti pubblici, espulsione di funzionari e politici che abbiano mentito sui loro curricula, introduzione di organi di controllo sui candidati e i membri per tutti i partiti e trasparenza sui bilanci.
E infine pene triplicate per i reati di corruzione.
Con il successo di consensi, Ciudadanos si è ritrovato a dover ‘ripulire’ le liste per le Regionali da candidati impresentabili: falangisti di estrema destra e condannati hanno provato a infiltrarsi nel partito della capitale
«Ne abbiamo espulsi circa 600», hanno dichiarato i dirigenti.
(tratto da Lettera 43)
argomento: destra | Commenta »
Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
I CALCOLI DI MEDIOBANCA: TRA AUMENTI DI CAPITALE, CASSA INTEGRAZIONE E AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA UNA SPESA ENORME
Salvare Alitalia e consegnarla con i conti (quasi) a posto a Etihad è costato agli italiani 7,4 miliardi di euro.
A fare i conti per la prima volta con grande precisione, mettendo insieme tutte le uscite e le entrate per lo Stato dal 1974 fino al 2014, è Mbres, l’ufficio studi di Mediobanca che ha calcolato il totale degli oneri per il paese analizzando i bilanci della gestione pubblica fino al 2007 – quando l’azienda è finita in amministrazione controllata – quelli della liquidazione in capo al Commissario e gli aiuti indiretti garantiti dalle casse pubbliche alla cordata dei patrioti che ha rilevato la compagnia nel 2008.
I primi 33 anni di vita di Alitalia (1974-2007) finiti sotto la lente degli analisti di Piazzetta Cuccia – quelli della gestione statale – sono stati, per i contribuenti tricolori, i più felici. In questi tre decenni la società ha bruciato solo — si fa per dire — 3,2 miliardi dello Stato.
Il Tesoro, primo azionista del gruppo, ha pagato in quel periodo (a valori attuali, come tutte le cifre dello studio) 4,9 miliardi sotto forma di aumenti di capitale per coprire le perdite.
Roma ha poi versato nelle casse dell’azienda 245 milioni come contribuiti a valere sul fondo europeo per l’addestramento dei piloti mentre altri 210 milioni sono stati messi da Fintecna per puntellare Alitalia Servizi.
I soldi si sono mossi anche in direzione opposta: alla voce delle entrate, in quegli anni via XX settembre ha incassato 972 milioni grazie al collocamento di azioni dell’aerolinea in Borsa, 862 milioni di tasse e 242 come dividendi.
Il grosso del passivo si è accumulato invece dal 2007 a fine 2014 quando la compagnia in crisi è finita in amministrazione controllata e il governo Berlusconi, rifiutata l’offerta di Air France, ha deciso di venderla alla cordata coordinata da Banca Intesa. In questi sette anni dalle casse dello stato sono usciti altri 4,1 miliardi per salvare l’Alitalia.
Quasi un miliardo è andato in fumo rinunciando al rimborso del prestito ponte, ritirando le obbligazioni dal mercato e azzerando il valore di quelle già in portafoglio al Tesoro.
Più di un altro miliardo è il patrimonio negativo rimasto in capo al Commissario, vale a dire la differenza tra i soldi incassati vendendo le attività del gruppo e i debiti da rimborsare.
Circa 660 milioni sono stati stanziati per finanziare la cassa integrazione del gruppo (durata diversi anni) e 1,2 miliardi per il provvedimento che ha garantito il reintegro all’80% degli stipendi dei dipendenti rimasti a terra.
Quattro miliardi di uscite in tutto cui si aggiunge come ciliegina sulla torta i 75 milioni versati da Poste Italiane, controllata al 100% dallo Stato, per pilotare Alitalia verso Etihad.
Dal 1974 ad oggi, visti i calcoli di Mediobanca, ogni italiano – bambini e pensionati inclusi – ha pagato 125 euro di tasca propria per vedere volare in cielo la livrea tricolore di Alitalia.
La buona notizia, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, è che da oggi a saldare il conto, con l’arrivo di Etihad, saranno di tasca loro gli emiri di Abu Dhabi.
Ettore Livini
(da “La Repubblica”)
argomento: Alitalia | Commenta »
Maggio 25th, 2015 Riccardo Fucile
E, CON GLI 11 INDAGATI RIPRESENTATI, SIAMO A 14 SU 30…. SE VENISSERO TUTTI ELETTI POTREBBERO QUASI FORMARE UNA NUOVA MAGGIORANZA
In Liguria gli impresentabili sono tre e si aggiungono ai sei della Puglia e ai quattro della Campania.
A una settimana esatta dal voto per le Regionali, queste sono le conclusioni della verifica a campione sulle candidature effettuata dalla commissione parlamentare antimafia.
Lo screening è stato incentrato sui reati da cui i partiti, nel codice di autoregolamentazione, si erano impegnati a tenersi ben distanti nella scelta dei candidati: tangenti e mazzette, connivenze con la criminalità organizzata, estorsione e usura, droga e traffico di rifiuti.
I dati sono arrivati dai magistrati della direzione nazionale antimafia e dalle prefetture.
I nomi e l’intera relazione sono stati blindati dal presidente Rosy Bindi.
Solo martedì mattina, con una votazione, la commissione antimafia deciderà se renderli pubblici.
Il caso è deflagrato quando il premier Renzi ha dichiarato che nemmeno lui avrebbe votato alcuni candidati delle liste di sostegno a Vincenzo De Luca, Pd, in Campania.
Ora sappiamo che oltre a 11 indagati per peculato nell’inchiesta sui rimborsi regionali e che ritroviamo in lista, vanno aggiunti altri tre con pesanti sospetti di vicinanza ala criminalità organizzata.
Se fossero tutti eletti sarebbero 14 su 30 totali, un paio di nuovi acquisti e potrebbero formare una nuova maggioranza.
(da “il Secolo XIX”)
argomento: Genova, mafia | Commenta »