Maggio 14th, 2015 Riccardo Fucile
IL PERICOLO DI TROVARSI INVISCHIATI IN UNA GUERRA SUL MEDITERRANEO
Il piano antimigrazione approntato da Bruxelles e intercettato dal quotidiano Guardian è prettamente militare e quindi chiaro in ogni sua riga e intenzione dell’azione militare da avviare su mandato Onu.
Meno chiara è la smentita dell’Alto rappresentante Mogherini riguardo all’intervento militare europeo in territorio libico che pare un infelice connubio tra la titubanza, la superficialità e l’aggressività che oggi dominano a Bruxelles e Roma.
La pianificazione parla di operazioni aeronavali, d’intelligence, interdizione e attacco da condurre nel Mediterraneo, nelle acque, coste e terre libiche contro mezzi e flussi dei trafficanti di persone.
L’intervento contro i trafficanti e le imbarcazioni comporta sicuramente combattimenti con le milizie locali e “danni collaterali”, ossia migranti innocenti, magari usati come scudi umani, che ci rimettono la pelle.
L’ipocrisia di chiamarli danni collaterali può essere tradotta dal militarese (da un militare) in termini ancora più chiari: questi “danni” sono perdite previste e deliberate.
Nel momento in cui si fa saltare un barcone sulla spiaggia con il dubbio che sia occupato da innocenti si decide di sacrificarli.
Se si mandano truppe contro uomini armati qualcuno muore. Non è niente di casuale e non è collaterale, ma diretto.
Il piano è pura tattica, prevede l’intervento in un solo tratto del Mediterraneo e in Libia che, a torto, si considera terra di nessuno.
Non prevede di spingere l’intervento armato in profondità , nei luoghi di afflusso e smistamento tra i mercanti di schiavi.
Non è disegnato per disciplinare il flusso proteggendo i migranti, semmai per dirottarlo altrove.
Si pensa di punire chi si occupa dell’ultimo tratto del viaggio e non i governanti degli stati che alimentano la violenza, la corruzione e la guerra creando le condizioni dalle quali vogliono fuggire i migranti.
Eppure dall’Europa e dall’Onu ci si aspetterebbe qualcosa di veramente politico e risolutivo. Tant’è. Avanti coi carri!
Fabio Mini
(da “la Repubblica”)
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Maggio 14th, 2015 Riccardo Fucile
FINISCE L’EQUIVOCO CHE FORZA ITALIA RAPPRESENTASSE LA DESTRA MODERATA-CONSERVATRICE IN ITALIA
Il tramonto di Silvio Berlusconi mette fine ad un equivoco durato vent’anni: che Forza Italia e il Pdl rappresentassero la destra moderata-conservatrice in Italia.
Per molto tempo, grazie alle loro vittorie elettorali e alla narrazione compiacente e miope che ne veniva data, i partiti diretti da Berlusconi sono stati vestiti di fogge estranee alla loro vera anima: fogge moderne e moderate.
Niente di tutto questo ha connotato il berlusconismo.
Il suo asse politico-culturale poggiava su due cardini: l’appello anticomunista e la prefigurazione di un futuro fastoso e festoso, dove la ricchezza, e i benefit connessi, del leader fossero alla portata di tutti.
In un mondo come quello dei primi anni ’90, in cui tutto un sistema crollava, era sufficiente entrare in scena con un sorriso smagliante e calmierante per occuparne il centro.
Alla tetraggine di partiti novecenteschi arroccati in linguaggi e pratiche desueti bastava contrapporre un minimo di modernità per relegare quelle formazioni in un angolo.
Il successo delle creature politiche berlusconiane è connesso con quel tornante della storia italiana rappresentato da Tangentopoli ma anche con quanto di irrisolto, e carico di aspettative, era rimasto incagliato negli anni ’80.
Poggiando su quella doppia, contraddittoria, eredità – la Milano da bere e il novismo post-Tangentopoli – il Cavaliere offre una visione scintillante e postmoderna dei bassi continui della cultura politica italiana trasfigurando e mitigando, in un certo senso, qualunquismo e familismo, antistato e particulare.
Il miracolo politico berlusconiano sta tutto nella conquista dell’“osso duro” reazionario e qualunquista dell’Italia profonda, eliminando il suo volto cupo e il suo potenziale di violenza antisistemica.
A conferma che questa Italia non-moderna era il bacino di riferimento del Cavaliere valgano le ricerche sull’elettorato forzista che segnalavano come il bacino di voti più cospicuo fosse fornito dalle casalinghe: un gruppo sociale di cui catturava più della metà dei consensi.
Seguivano i pensionati e, più indietro, i liberi professionisti e i dirigenti, la componente elevata invece a icona della modernità del berlusconismo.
Questi gruppi sociali erano saldati dalla liberazione dagli impicci delle regole e dall’oppressione dello Stato, dalla minaccia comunista e dalla speranza- illusione di un nuovo miracolo economico.
Tutte pulsioni estranee alla cultura moderata di stampo europeo.
Nemmeno nel punto più alto dell’egemonia berlusconiana, dopo la vittoria alle elezioni del 2008, l’ipotesi di una destra moderata è diventata plausibile.
Perchè, appunto, quella destra non è mai stata coltivata.
Non per nulla, quando sono stati fatti tentativi in quella direzione – prima i “professori” reclutati nel 1996, e poi il gruppo di Fini tra 2008 e 2010 – sono falliti. Nemmeno la versione più solida e accreditata di una destra moderna e liberal, incarnata da Mario Monti (al quale Berlusconi aveva offerto la guida dello schieramento di centro-destra), ha avuto riscontro.
E la ragione è che sul terreno moderato-conservatore il Cavaliere ha sparso napalm per vent’anni.
I riferimenti tipici dei partiti conservatori europei – senso dello Stato, rigore, moralismo d’antan, toni bassi, ricerca del consenso – già fragili sul suolo italico, sono stati azzerati dal populismo del forzaleghismo imperante.
Prima la crisi economica e gli insuccessi nell’azione di governo hanno rotto l’incantesimo: quel nuovo mondo radioso ripetutamente promesso è crollato.
Poi Berlusconi ha perso l’asso nella manica, l’appello anticomunista: l’ascesa di Renzi ha tolto ogni plausibilità a quella carta.
Mentre la sinistra prospera senza l’anti-berlusconismo, il Cavaliere affonda senza l’anticomunismo.
Una volta esaurito il carisma rimane un campo desertificato da scelte politiche deleterie, promosse con una violenta torsione populista del conflitto politico.
In più, ora il campo della destra è ristretto dalla radicalità degli ex compagni di strada come la Lega di Salvini, dal richiamo anti-establishment a 360 gradi di Grillo e dalle incursioni renziane.
La destra è all’anno zero.
Piero Ignazi
(da “La Repubblica”)
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Maggio 14th, 2015 Riccardo Fucile
PER LA PROCURA MILITARE AVREBBE SOTTRATTO 34.000 EURO E 26.000 DOLLARI A DEI PROFUGHI SIRIANI APPENA POSTI IN SALVO
Un sergente della Marina Militare imputato di peculato con l’accusa di essersi appropriato di denaro e oggetti di valore di migranti siriani soccorsi in mare; altri 7 militari del suo equipaggio sotto inchiesta per violata consegna per averlo agevolato. È la conclusione dell’inchiesta, rivelata oggi dal Tg La7 Cronache, condotta dalla Procura Militare di Napoli su un episodio avvenuto tra il 25 e il 26 ottobre 2013 sulla nave Chimera nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum a circa 45 miglia Sud-est da Lampedusa.
Nell’operazione furono soccorsi un centinaio di profughi di nazionalità siriana, poi trasbordati a Porto Empedocle.
Per gli otto militari, tutti della Brigata San Marco secondo Reggimento Brindisi, il pubblico ministero Marina Mazzella, della Procura Militare di Napoli, ha chiesto il rinvio a giudizio.
L’accusa principale di peculato è contestata al sergente Massimo Metrangolo, 38 anni: si sarebbe fatto consegnare dai migranti soldi (almeno 34.850 euro e 26.354 dollari Usa) e oggetti preziosi, tra cui anche un anello nuziale, disattendendo tra l’altro le disposizioni secondo le quali si sarebbe dovuto limitare a ritirare soltanto eventuali armi e materiale pericoloso.
Denaro e oggetti furono inseriti «cumulativamente» in buste prive di numerazione o altri segni di riconoscimento.
Secondo l’accusa, avrebbe obbligato i migranti «man mano che venivano perquisiti a distogliere lo sguardo dalle successive operazioni e a restare inginocchiati, girati verso il mare».
Gli inquirenti hanno raccolto le testimonianze di numerosi immigrati, compresi donne e bambini. C’è chi ha riferito di aver visto alcuni militari, che non ha saputo indicare perchè indossavano le mascherine sanitarie, mentre con un coltello tagliavano i sacchetti e rovistavano all’interno intascando poi il contenuto.
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 14th, 2015 Riccardo Fucile
“CULTURA UMANISTA? FAI IL MAESTRINO E POI CONFONDI AGGETTIVO E SOSTANTIVO”
Gessetti in mano, scrive sulla lavagna – a colori diversi – elencando i punti salienti della riforma della scuola, partendo dall’alternanza scuola-lavoro e proseguendo con la “cultura umanista”.
Ma è per quell’ “umanista” che la rete non ha perdonato il presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Uno strafalcione che è diventato un facile bersaglio su twitter, dove in tanti si sono scagliati contro il premier: “Cultura Umanistica e non Umanista !!! Renzi torna a scuola e lascia stare la scuola”, scrive Enza Blundo, parlamentare del Movimento 5 Stelle.
Ma sono tanti i commenti di scherno nei confronti di Renzi: “Scrive sulla lavagna “cultura umanista”. Colpa di Civati che non gli ha spiegato che l’aggettivo da utilizzare è “umanistico””; “Voglio essere “umanista” con te; non ti prenderò in giro per lo strafalcione….”, scrive un utente.
E ancora: “Vedi Matteo Renzi , che succede con i tagli alla cultura? Che Umanistica diventa Umanista…. “; “Cosa me ne faccio della “cultura umanista” se uno come #Renzi è riuscito a essere primo ministro pur ignorando che si dica UMANISTICA?”; “Visto che ogni tanto risponde: può chi non sa l’italiano (si dice “cultura umanistica”, non “umanista”) parlare di scuola?”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 14th, 2015 Riccardo Fucile
SECONDO IL FONDATORE DEL FRONT NATIONAL: “FANNO GRUPPO COME GENTE CHE ODIA CHI NON E’ COME LORO”
È inarrestabile Jean-Marie Le Pen. Un nuovo giorno, un nuovo attacco al Front National guidato dalla figlia Marine.
Stavolta il fondatore del partito di estrema destra francese prende di mira gli omosessuali, che a suo avviso sono diventati una presenza troppo ingombrante nel partito.
“Bisogna riconoscere una cosa, che è uno dei dati della politica attuale […]: alla direzione del Front National ci sono molte persone omosessuali”, afferma il fondatore del movimento di estrema destra francese rispondendo alle domande di Bfmtv.
Alla giornalista, che contesta come le sue parole “sembrino condannare” queste persone “rinfacciandone l’identità sessuale”, Le Pen risponde di “non condannare gli omosessuali sul piano individuale, ma quando cacciano in branco si”.
Ossia, prosegue, “quando manovrano di concerto, in un certo modo e si comportano come eterofobi, come gente che odia chi non è come loro”.
“Si rende conto che la legge reprime questo tipo di affermazioni?”, chiede allora l’intervistatrice.
“No”, risponde lui. “Si può ancora parlare di omosessualità e omofobia senza andare in prigione in Francia”.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 14th, 2015 Riccardo Fucile
LA TELEVENDITA IN TV: AVANTI COSI’ E IL PD RITORNA AL 30%
La televendita sulla scuola del grande taroccatore non pare abbia prodotto gli effetti sperati: sindacati sempre più sul piede di guerra, anche per contenere l’incazzatura di centinaia di migliaia di docenti.
Cerchiamo di ristabilire qualche verità , rivolgendoci anche a chi a destra soffre di crisi di astinenza da capo carismatico ed è abituato a correre dietro al primo imbecille che si erge da decisionista.
Prima verità : le assunzioni
Renzi continua a dire “mai visto fare sciopero contro chi assume 100.000 precari”.
Palla indecente: lui non assume nessuno, è la corte di Giustizia europea che, dopo anni di sfruttamento e numerosi ricorsi, ha stabilito che l’Italia deve finirla con il taglieggiare i precari e deve assumerne 160.000.
A questo punto o li assumi o finisci nei guai.
Renzi prima ha infatti parlato di 160.000, poi di 130.000, adesso sono diventati 100.000. Farà bene ad assumerne 160.000 perchè gli altri 60.000 faranno ricorso e gli faranno un mazzo così (a spese del contribuente italiano).
Prima conclusione: Renzi deve solo dare seguito a una sentenza, non regala una mazza.
Questione presidi – manager
L’articolo 7 della riforma stabilisce che i dirigenti scolastici (i presidi) propongano gli incarichi ai docenti di ruolo. Un delirio da capetto complessato.
I docenti lavorano una vita per acquistare un punteggio, anche attraverso corsi di aggiornamento: esiste una graduatoria apposta per premiare chi ha più titoli.
E’ indecente che un preside possa scegliere la ventesima in graduatoria, penalizzando i primi diciannove, solo perchè è una sua amica, parente o amante.
Qui non c’entra una mazza il preside-manager, se vuole fare il manager si trovi un lavoro nel privato dove i dirigenti possono far fare carriera anche alla segretaria zelante, nel settore pubblico valgono i titoli non le marchette.
Bonus ai docenti meritevoli e 500 euro di buono spesa al supermercato della cultura
All’articolo 11 è stato inserito un Comitato di valutazione che dovrà deliberare il “bonus” al merito, formato oltre che dal preside, da due docenti, due genitori oppure un genitore e uno studente per le scuole di secondo grado.
Invece che portare gli stipendi dei docenti a livello europeo (almeno un terzo in più), invece che ripristinare gli scatti fermi da sette anni, Renzi stanzia una miseria (200 milioni) che si traduce in poche decine di euro per premiare chi pare a lui, neanche fossimo alla lotteria di capodanno.
Prima ti frega 300 euro al mese per anni, poi ne ridà 30 solo a chi risulterà simpatico.
Stesso discorso per il buono Esselunga di 500 euro da spendere per “andare a teatro, comprare libri e cazzate varie”.
Babbo Natale regala 40 euro al mese dopo che ti ha fregato lo scatto da 50 euro e bisognerebbe pure ringraziarlo.
Questione autonomia e scuola legata al territorio
L’autonomia può essere anche un’arma a doppio taglio che favorisce i territori più ricchi e strutturati. Il 5xmille ai singoli istituti privilegierà le scuole situate nei quartieri più ricchi aumentando il divario di dotazione rispetto a quelle più povere.
Finanziamento alle scuole private
E’ previsto il finanziamento per chi iscrive i propri figli alle scuole private per 400 euro ad alunno. E’ l’ora che anche a destra si riaffermi il principio costituzionale che non prevede che lo Stato finanzi le scuole private.
Libere di esistere, ci mancherebbe: ma se sono private si finanzino da sole, in base alle norme del libero mercato.
Se uno vuol mandare il figlio a una scuola privata è giusto che lo faccia, ma se la paghi, non che la faccia pagare agli altri.
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Maggio 14th, 2015 Riccardo Fucile
UFFICIALMENTE HA LA FEBBRE, MA LE REGIONALI PUGLIESI STANNO DIVENTANDO LA CAPORETTO DI FORZA ITALIA… SISTO SUONA AL PIANO COME SUL TITANIC PRIMA DELL’AFFONDAMENTO
Due istantanee per descrivere il declino (e l’effetto Fitto).
13 aprile 2013, Bari: 150mila persone in tripudio in Piazza della Libertà . Sotto il sole, solo per lui. Che è tornato in Puglia per una convention del partito.
Berlusconi arringa la folla, al suo fianco Fitto è di nuovo delfino dopo un periodo di navigazione in solitaria. Prima del comizio, invece, erano state necessarie le transenne per contenere l’entusiasmo dei sostenitori dell’ex Cavaliere all’esterno dell’Hotel Palace, sede scelta come base della tappa pugliese.
14 maggio 2015, campagna elettorale per le regionali: stesso posto ma scenario diametralmente e desolatamente opposto.
Fuori dal solito albergo tre bandiere di Forza Italia e una mezza dozzina di simpatizzanti. Con loro i parlamentari Iurlaro, Sisto ed Elvira Savino.
Immancabile il commissario pugliese di Fi Luigi Vitali.
I giornalisti, come spesso accade, sono molti di più.
Tutti aspettano il Godot di Arcore, che però ritarda. “Arriverà alle 11″. “Arriverà alle 12″.
E mentre il codazzo di peones attende, Francesco Paolo Sisto prova ad ingannare il tempo: entra nella hall dell’albergo, si siede al pianoforte e intona l’inno ufficiale di Forza Italia. L’effetto Titanic è immediato.
Nota ufficiale del partito azzurro: “Il presidente Berlusconi ha avuto in queste ore un rialzo febbrile ed è in terapia con antipiretici nel tentativo di abbassare la febbre e consentirgli di recarsi in Puglia come da programma”.
Appunto, il programma.
La defezione pesa: saltati il pranzo con gli imprenditori al circolo della vela, l’incontro pubblico pomeridiano a Foggia, la cena-fund raising di Villa Ciardi a Bisceglie (per cui, però, si nutrono ancora speranze).
A questo punto, sono fortemente a rischio le tappe previste per domani, vale a dire la passeggiata mattutina per le vie di Bari con il fido Sisto, le tappe intermedie e, soprattutto, l’appuntamento clou di Lecce.
Qui, nel palazzetto dello sport di Piazza Palio, l’ex Cavaliere dovrebbe incontrare alle 18.30 tutti i sostenitori con al fianco Adriana Poli Bortone, la sua candidata.
Che ci rimane male per il pericolo-defezione e non le manda a dire a Vitali.
Il commissario si mostra sereno in favore di telecamera e al telefono: prova a spiegare, a mediare.
Avvisa i candidati, di Foggia ma anche di Lecce.
In realtà il volto tradisce un certo nervosismo. Tra i cronisti la sensazione è univoca: Silvio non verrà , troppa poca gente.
Vitali smentisce categoricamente: “Berlusconi arriverà questa sera, statene certi — dice a ilfattoquotidiano.it — Poca gente? Siamo noi a non aver fatto venire nessuno perchè non sapevamo l’orario preciso del suo arrivo. Era inutile far venire i sostenitori, che magari sarebbero stati costretti ad aspettare per molto tempo”.
Nel 2013, però, la situazione era identica: nessun orario preciso d’arrivo, ma transenne e forze dell’ordine schierate.
“Anche oggi c’erano le stesse misure di sicurezza — spiega il commissario pugliese — Ripeto, è stata una nostra scelta, c’era solo chi si è trovato a passare di lì e si è fermato perchè ha visto la polizia”.
Arriva il presidente e il suo partito chiede agli elettori di non venire ad accoglierlo? Raffale Fitto, ospite negli studi dell’emittente Telerama, preferisce non commentare: “Non mi interessa”.
Il sorriso a mezza bocca, tuttavia, tradisce una certa soddisfazione, di quelli alla “io l’avevo detto”.
Dopo la rottura definitiva con Berlusconi (i due in Puglia puntano su due diversi candidati e Fitto nei giorni scorsi ha anche lanciato una sua associazione politica, l’ex governatore pugliese aveva preannunciato il flop del suo (ex?) partito in Puglia e, in generale, in tutte le regioni che andranno al voto.
Il segnale di oggi sembra confermare la sua tesi e i timori dei forzisti della prima ora: alle urne l’effetto Fitto peserà più per Forza Italia che per i candidati di centrosinitra. Di certo, al momento, c’è che Silvio Berlusconi a Bari non sfonda più.
Pierluigi Giordano Cardone e Mary Tota
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 14th, 2015 Riccardo Fucile
“IL GIORNALISTA E’ SOLO IL CAPRO ESPIATORIO DI AUTORI E CONDUTTORI CHE ALIMENTANO L’ODIO SOCIALE”
“Chi oggi licenzia Fulvio Benelli ne conosceva benissimo e incoraggiava il metodo di lavoro nella pseudo-tv-verità “.
È racchiuso in questa lapidaria frase il pensiero di Gad Lerner sulla vicenda del licenziamento del giornalista di Quinta Colonna per sospetta manipolazione di alcuni servizi.
Lerner non ci sta e sul suo blog si scaglia contro queste trasmissioni prototipo di un modello televisivo che alimenta “il rancore sociale per trarne audience e vantaggi elettorali”.
“Ogni giorno su quasi tutte le reti ci sono trasmissioni confezionate su misura per alimentare i pregiudizi e la guerra fra poveri”, scrive il giornalista. “Naturalmente bersagli privilegiati sono i rom, detestati e facili da coinvolgere nella telerissa, con o senza la presenza di un Salvini seduto in poltrona”.
“Ieri Mediaset ha licenziato il giornalista Fulvio Benelli di “Quinta Colonna”, la trasmissione-prototipo di questo modello televisivo, studiata nel minimo dettaglio dal raffinato intellettuale finto tonto Paolo Del Debbio.
Ora si è liberato con una firmetta (tanto sono tutti rapporti di lavoro precari) dell’inviato nei campi rom Fulvio Benelli, scoperto da Striscia la Notizia in una grossolana manipolazione. Basta sganciare qualche soldo a certi disgraziati, per fargli dire quel che si vuole. Era già accaduto a Mattino Cinque. La stessa Striscia la Notizia ha mandato via due suoi inviati che, a quanto pare, certe storie le architettavano salvo poi spacciarle per vere.”
La solidarietà di Lerner al giornalista Benelli deriva dalla convinzione che siano “gli autori e i conduttori e i direttori di rete a spingere in questa squallida direzione gli inviati (precari) come Fulvio Benelli: avrà provato di persona cosa significa essere usati come capro espiatorio”.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 14th, 2015 Riccardo Fucile
IL “FASCISTA DI SINISTRA” ENZO PALMESANO AVEVA DENUNCIATO GLI INTERESSI DEI LUBRANO SUL “CORRIERE DI CASERTA”… UNA SENTENZA HA DIMOSTRATO COME I CLAN CONDIZIONANO I GIORNALI
Accade che un giornale locale licenzi un giornalista su ordine di un boss.
Accade poi che una sentenza arrivi a confermare l’inchiesta su giornalismo e camorra. Ma com’è possibile che la storia finora sia rimasta nell’ombra?
La vicenda che sto per raccontare parte da un’inchiesta della Dda di Napoli, l’Operazione Caleno portata avanti da Giovanni Conzo ed Eliana Esposito, e da una sentenza le cui motivazioni sono state depositate a febbraio dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere: e dimostra per la prima volta come le organizzazioni criminali gestiscano le redazioni in alcuni quotidiani locali.
Un giornalista che racconta lo strapotere dei clan, un boss che pretende e ottiene il licenziamento del giornalista scomodo, un quotidiano che si piega al boss.
Il giornalista si chiama Enzo Palmesano, il boss è Vincenzo Lubrano, la testata è il Corriere di Caserta (oggi Cronache di Caserta) che, insieme a Cronache di Napoli, è un quotidiano dalla storia controversa.
Entrambi appartengono al gruppo Libra il cui editore, Maurizio Clemente, è stato condannato per estorsione a mezzo stampa: utilizzava le testate per scopi intimidatori, cioè «o paghi o scrivo contro di te».
Cronache di Napoli e Corriere di Caserta sono poi diventati famosi – loro malgrado – per aver infangato la memoria di Don Peppe Diana.
Tutti ricordano il titolo del Corriere di Caserta: “Don Peppe Diana era un camorrista”. Negli anni, questi due quotidiani hanno pubblicato messaggi dei clan.
Quando venne sequestrato il piccolo Tommaso Onofri, Cronache di Napoli titolò: “Tommaso, il dolore dei boss”.
I boss volevano mandare ai sequestratori il messaggio: «Provate a toccarlo e in carcere passerete l’inferno ».
Quando il corpo di Tommaso fu rinvenuto, il titolo sempre di Cronache di Napoli fu: “Tommaso è morto: l’ira dei padrini”.
Sono titoli dietro ai quali c’è una strategia assai fina: influenzare l’opinione locale per arrivare a determinare la narrazione nazionale.
Quando qui arriva un giornalista da fuori fa domande, raccoglie opinioni: e queste spesso sono determinate proprio dalla stampa locale.
È così che questi piccoli giornali riescono poi a far passare messaggi che indirizzano l’interpretazione dei fatti. Ed è in questo contesto che ha provato a fare informazione Enzo Palmesano – lui stesso personaggio non ordinario, autodefinitosi “fascista di sinistra” negli anni più duri della guerra di camorra, militante Msi poi promotore al congresso di Fiuggi dell’emendamento con cui An prendeva le distanze dall’antisemitismo.
Cerchiamo allora di conoscerlo più da vicino questo contesto.
Vincenzo Lubrano è stato uno dei boss più temuti della camorra campana, legato alla mafia corleonese attraverso il vincolo che univa la sua famiglia a quella dei Nuvoletta, mandatari di Cosa Nostra in Campania.
Lello Lubrano, primogenito di don Vincenzo, aveva sposato Rosa Nuvoletta, figlia del capomafia di Marano, Lorenzo. I Nuvoletta, benchè napoletani, non sono camorristi, sono l’unica famiglia esterna alla Sicilia che ha avuto un ruolo ai vertici di Cosa Nostra.
Vincenzo Lubrano fu condannato all’ergastolo come uno dei mandanti dell’omicidio del sindacalista di Maddaloni, Franco Imposimato, fratello del giudice Ferdinando Imposimato, l’11 ottobre 1983.
E Imposimato fu ucciso per due ragioni: per colpire il fratello del giudice che stava indagando sul riciclaggio di Cosa Nostra a Roma; e perchè si batteva sul territorio affinchè le colline maddalonesi non fossero divorate dalle cave che oggi le deturpano. L’omicidio Imposimato, avvenuto in terra di camorra, è considerato un delitto di mafia, perchè l’ordine ai campani arrivò direttamente dalla Sicilia.
Ma tutto lo ricorda solo chi l’ha vissuto sulla propria pelle, perchè la maggior parte delle cosche casertane, compresi i Lubrano, hanno sempre preferito mantenere un basso profilo, tenendosi ai margini della cronaca. Palmesano, invece, scrive e racconta.
Scrive del pellegrinaggio che Vincenzo Lubrano, assolto in appello per l’omicidio Imposimato, organizzò con diversi pullman a San Giovanni Rotondo per ringraziare Padre Pio.
Ricorda il restauro che Raffaele Lubrano fece della cosiddetta “Madonna della camorra”, poichè a lei si rivolgevano durante la latitanza a Pignataro Maggiore i boss di Cosa Nostra. Palmesano racconta la presenza di Liggio e Riina sul territorio. Inizia a scrivere tutti i giorni del clan Lubrano e si concentra su Raffaele “Lello” Lubrano, ucciso a Pignataro Maggiore nel corso di una faida che vede coinvolti pignataresi e casalesi
Il cronista sa che questa storia è nodale per comprendere gli equilibri politici che regolano il territorio. E proprio per questo Vincenzo Lubrano vuole a toglierlo di mezzo.
C’è un’intercettazione telefonica tra Lubrano e Francesco Cascella, il nipote acquisito del boss che medierà tra il clan e il direttore del quotidiano per l’allontanamento di Palmesano. Dice Lubrano: « Ma come si deve fare, non posso, non posso nemmeno andare a pisciare più… ho passato un guaio con questo giornalista. Mi sta rompendo il cazzo sai perchè, mette sempre in mezzo la morte di Lello, che hanno ucciso a Lello, nello stesso articolo. Ma se tu scrivi una cosa che nomini a fare quello che ormai è morto? Hai capito? E qualche giorno mi fa perdere la testa e mi fa passare un guaio grosso. Pure a Marano. A Marano uccisero Siani, ebbero 7 ergastoli. Quello pure lo stesso rompeva il cazzo a tutti quanti, vedeva a uno di quelli là magari a prendere il caffè, prendeva e scriveva, quello si è stufato e l’hanno ucciso. Hanno avuto 7 ergastoli. Adesso dico io perchè devo prendere l’ergastolo per un uomo di merda di quello? Magari, gli devi dire che non nomina più a Lello Lubrano, che lo lasciasse stare in grazia di Dio ».
Il riferimento all’omicidio di Giancarlo Siani è particolarmente inquietante perchè a farlo è una famiglia legata per sangue e affiliazione agli esecutori di quell’omicidio.
I Lubrano, come detto, sono imparentati con i Nuvoletta di Marano, che nel 1985 decretarono la morte del giornalista del Mattino.
Per evitare che parta l’ordine di morte, Cascella va a parlare con il direttore del Corriere di Caserta , Gianluigi Guarino, e gli chiede di ridimensionare Palmesano e di impedirgli di citare nei suoi articoli Lello Lubrano; poi riporta a don Vincenzo il contenuto di quella conversazione: « Comunque, l’importante, ho detto: Gianluigi (Guarino, ndr ), che almeno queste due cose qua, ho detto, tu me le fai, me lo devi, perchè se no io ti ho sempre fatto un sacco i favori, io a te, Gianlui’, ho detto, que-sto, ti ripeto, è mio zio, è il fratello di mia suocera, ti prego, almeno… gli ho detto, facciamo riposare in pace quest’anima che già ne ha passate abbastanza… dice: no, no, dice, digli a don Vincenzo che questo lo può ritenere fatto, per quanto riguarda il fatto di non scrivere dice, piano piano, anche questo Palmesano, dice, mi crea solo problemi ».
Poco prima, Cascella attribuisce a Guarino queste parole: « Questo Palmesano è un “ cacacazzo”, dice, piano piano se io ci riesco a ridimensionarlo ».
Accade dunque che un giornale locale licenzi un giornalista su ordine di un boss. Accade poi che una sentenza arrivi a confermare l’inchiesta su giornalismo e camorra. Ma com’è possibile che questa storia rimanga nell’ombra?
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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