Maggio 20th, 2015 Riccardo Fucile
MANIPOLAZIONE CAMBI E SCANDALO LIBOR: QUATTRO BANCHE AMMETTONO LE COLPE, LA UBS HA RICEVUTO L’IMMUNITA’
E’ stato uno dei più grandi scandali della finanza mondiale: un cartello di banche inglesi, americane e svizzere che, in genere di notte, modificavano a loro vantaggio il Libor (il tasso variabile di riferimento al quale le banche internazionali si scambiano prestiti tra loro) e i tassi di cambio.
Un “cartello” che ha danneggiato altre banche e milioni di clienti in tutto il mondo.
Una truffa andata avanti per anni, fino al 2009, quando venne alla luce su indagine della Fed, che già nel 2007 aveva ignorato le segnalazioni provenienti da un’anonima gola profonda della banca inglese Barclays.
Dopo anni di indagini e precedenti patteggiamenti, oggi è arrivato un nuovo patteggiamento da parte degli istituto che avevano cercato di tirare alle lunghe la disputa: cinque delle maggiori banche al mondo pagheranno 5,6 miliardi di dollari per risolvere la disputa con le autorità americane sulla manipolazione dei tassi di cambio.
Quattro – Citicorp, JPMorgan, Barclays, Royal Bank of Scotland – delle cinque banche si dichiarano anche colpevoli di aver cospirato per manipolare il prezzo del dollaro e dell’euro.
I miliardi in totale diventano quasi 6 aggiungendo i 205 milioni che la Bank of America pagherà alla Fed per risolvere l’indagine della banca centrale sui cambi. Bank of America non rientra nell’accordo con il Dipartimento di Giustizia.
Con l’accordo raggiunto le banche puntano a lasciarsi alle spalle un’indagine che va avanti da anni e chiudere un altro capitolo della crisi.
Quattro banche si dichiarano colpevoli di manipolazione dei cambi mentre la quinta, UBS, ha ricevuto l’immunità sul caso.
Il gruppo svizzero – riporta il Wall Street Journal – si dichiarerà però colpevole di manipolazione del Libor dopo che le autorità hanno stabilito che la banca ha violato un precedente accordo per risolvere le accuse di cattiva condotta.
Le indagini e i patteggiamenti per la presunta manipolazione dei tassi di cambio sono costati alle banche e ai loro clienti più di 10 miliardi di dollari finora, una cifra superiore rispetto ai 9 miliardi di dollari versati per risolvere quella sul Libor.
«L’atteggiamento delle banche è stato sfrontato, tantissimi consumatori ne hanno subito i danni», ha commentato la ministra della Giustizia americana, Loretta Lynch, annunciando l’accordo con cinque delle maggiori banche globali sulla manipolazione dei cambi e del Libor.
Nell’accordo annunciato oggi il Dipartimento di Giustizia americano afferma che fra il dicembre 2007 e il gennaio 2013 trader di euro-dollaro a Citigroup, JPMorgan, Barclays e RBS – che si descrivevano come il “Cartello” – «hanno usato una chat room esclusiva e un linguaggio di in codice per manipolare i cambi».
Nei dettagli, Barclays, Jp Morgan Chase, Citicorp e Rbs hanno ammesso il loro coinvolgimento nella manipolazione del mercato dei cambi, mentre Ubs si è riconosciuta colpevole della violazione di un precedente patteggiamento relativo allo scandalo della manipolazione del tasso interbancario Libor.
A un sesto istituto, Bank of America, è stata poi inflitta dalla Federal Reserve una multa da 205 milioni di dollari per operazioni di trading sui cambi giudicate irregolari.
La sanzione più pesante è stata invece inflitta a Barclays, che pagherà 2,4 miliardi di dollari non avendo partecipato a un precedente patteggiamento, anch’esso connesso alla manipolazione dei tassi di cambio.
Le operazioni illecite, su un mercato che ogni giorno muove 5.300 miliardi di dollari, avvenivano tramite una chat chiamata `Il cartello’ dai trader che vi partecipavano, concordando in anticipo alcune transazioni in maniera tale da ricavarne plusvalenze a scapito dei clienti.
«Per farla semplice, gli impiegati di Barclays contribuivano a manipolare il mercato dei cambi», ha spiegato Benjamin Lawsky, capo del Dipartimento Servizi Finanziari dello Stato di New York, «costoro si cimentavano in sfacciati giochi di `testa o croce’ per truffare i loro clienti».
(da “il Secolo XIX”)
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Maggio 20th, 2015 Riccardo Fucile
SALTA IL VOTO PER LA SEGRETERIA DELLA LOMBARDIA E VENGONO TAGLIATI FUORI I NUOVI ISCRITTI
Le acque in casa Lega tornano ad essere agitate. Mentre si prepara il raduno a Pontida per il 21 giugno, scintille sono legate alla scelta del nome che dovrà succedere a Matteo Salvini alla guida della segreteria nazionale (ovvero, regionale): un posto vacante dal dicembre 2013, quando il leader leghista si dimise dal ruolo in Lombardia dopo aver sconfitto Umberto Bossi alle primarie.
Più di un mugugno emerge ora tra i lumbard quando la scorsa settimana, con appena due settimane di anticipo, è stata fissata la data del congresso bresciano da dove sarebbe dovuto uscire il nome del nuovo segretario lombardo.
Nemmeno una settimana dopo la sua convocazione l’appuntamento è stato annullato.
Colpa della spaccatura interna sul nome da sostenere.
Una divisione anche bergamasca: la maggior parte dei 70 delegati orobici spingeva per Paolo Grimoldi, deputato, un’altra corrente per il capogruppo del Carroccio al Pirellone, Massimiliano Romeo.
Entrambi salviniani e brianzoli, ma che incrociano sensibilità diverse: Grimoldi è sostenuto da chi, parlamentari in primis, si pone tra Roberto Maroni e lo stesso Salvini. Romeo da chi gravita al Pirellone.
A partire dall’assessore all’Ambiente Claudia Terzi, ma c’è anche il parlamentare Nunziante Consiglio.
La divisione ricalca quella che in passato hanno segnato anche il congresso provinciale.
Il problema è che per candidarsi ufficialmente serviva almeno un centinaio di firme tra i 600 delegati convocati per domenica: Grimoldi ce l’ha fatta ampiamente, Romeo è arrivato alla metà del quorum.
Da qui la scelta da parte dei vertici – che viene riletta da alcuni con la volontà di evitare uno smacco alla colonna leghista in Regione – di rinviare il congresso a data da destinarsi, con Grimoldi che nell’attesa è stato eletto commissario.
Apriti cielo. La polemica viaggia anche in Rete.
Molti avrebbero preferito un confronto aperto.
L’ex sindaco di Ponteranica, Cristiano Aldegani, ancora prima della notizia del commissariamento, commenta su Facebook: «Se Romeo non è riuscito nemmeno ad avere le firme vuol dire che chi lo sosteneva non ha avuto abbastanza consenso sul territorio».
Molti propongono comunque di andare a Brescia per un’assemblea. «Spesso abbiamo fatto congressi con un unico candidato, era giusto il confronto».
Di fronte alla notizia del congresso cancellato, il capogruppo a Palafrizzoni, Alberto Ribolla, scrive: «Vergogna!».
Caustico il sindaco di Spirano, Giovanni Malanchini: «Abbiamo sospeso la democrazia interna».
Una situazione che si aggiunge ai malumori dei giorni scorsi per la modalità con cui era stato convocato l’election day: a votare sarebbero stati infatti solo i delegati eletti dalla base tre anni fa per partecipare al summit bergamasco di giugno 2012, che elesse proprio Salvini alla guida della Lega Lombarda appena due mesi dopo la «Notte delle scope». Praticamente un’epoca fa.
Una decisione che comunque ha di fatto tagliato fuori tutti i militanti, e che lascia perplesso soprattutto gli esponenti della «nuova Lega», impossibilitati a dire la loro. Escluso dal voto, per fare un esempio, Tony Iwobi, lo spiranese di origine nigeriana scelto da Salvini come responsabile dell’immigrazione del partito.
Fabio Spaterna
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 20th, 2015 Riccardo Fucile
TAGLIO DEL 30% DEI DIPENDENTI IN ITALIA… RENZI SI ERA DICHIARATO ENTUSIASTA DEL PIANO INDUSTRIALE
Quasi 500 nuovi esuberi sul groppone.
La vicenda Whirlpool ora assume connotati inquietanti. Perchè la multinazionale americana ha presentato il conto relativo ai colletti bianchi.
E la richiesta è di aumentare gli esuberi a 2.060, arrivando al taglio del 30% dei dipendenti in Italia.
Un piano ritenuto «irresponsabile» per il segretario generale della Fim, Marco Bentivogli che chiede al «governo una risposta chiara e forte».
Bentivogli sottolinea che «alla vigilia dello sciopero generale del settore industria di Caserta, ci aspettavamo un quadro diverso e la conferma di una missione produttiva per Carinaro e una prospettiva industriale per None. La retromarcia innestata dall’azienda è irresponsabile e nella direzione opposta a quella che serve ad arrivare ad un accordo e merita una risposta forte di tutto il governo, altrimenti la mobilitazione e lo scontro non potrà che aumentare».
Gianluca Ficco (Uilm) ribadisce invece la richiesta sindacale: «Il piano industriale deve essere modificato, in modo da escludere davvero chiusure e licenziamenti, rispettando gli impegni presi in passato non solo con i lavoratori ma anche con le istituzioni».
Whirlpool ha presentato il piano di ristrutturazione degli uffici amministrativi, che, dice Ficco, «aggiunge ulteriori 480 esuberi. Gli esuberi complessivi in Italia salgono a 2.060 su 6.700 dipendenti, di cui 1.430 nelle fabbriche, 150 nella ricerca e sviluppo e 480 nell’amministrazione».
«Un piano che taglia di un terzo la forza lavoro del gruppo in Italia – dice il ministro Federica Guidi – non può compensare gli aspetti positivi previsti pur presenti nel progetto come gli investimenti da mezzo miliardo di euro”
Eppure era stato Renzi a dichiararsi a suo tempo entusiasta del piano industriale del’azienda.
Ora invece il ministro esprime tutta la sua «delusione» e la sua «preoccupazione» per il tempo perso nell’ultimo mese di discussioni con l’azienda.
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Maggio 20th, 2015 Riccardo Fucile
“LA SCUOLA C’ENTRA POCO, QUESTO E’ RAZZISMO DA VIGLIACCHI”
Sono la ragazza di Pisa che ha ricevuto le lettere razziste.
Oggi sono tornata scuola dopo aver saltato un giorno perchè sono convinta che bisogna andare avanti.
Se rimanevo a casa avrei dato una soddisfazione a queste persone che mi hanno preso di mira e non voglio farlo. Così sono andata in classe normalmente e i miei compagni sono stati molto gentili.
Però mi sento molto offesa per quello che è successo. Quando tutto questo sarà finito e i responsabili individuati, li voglio guardare negli occhi per dirgli quanto mi dispiace che sia stato un mio compagno di classe a fare tutto questo.
Non me l’aspettavo, ma sono anche consapevole di essere una persona migliore di loro dentro.
Mi dispiace che non gli abbiano insegnato che l’importante sta proprio dentro di noi e non fuori. I professori li hanno più volte invitati a uscire allo scoperto ma chi ha scritto quelle lettere non si è fermato e io ora non li perdono.
Anche se venissero da me oggi ad ammettere tutto e chiedere scusa sarebbe troppo tardi.
Un conto è scrivere una lettera o due, un conto e farne 6 e strappare pure libri e quaderni a una tua compagna di classe.
Tra l’altro il giorno prima di un compito. Avrei potuto farlo male.
In classe mia ci sono degli ipocriti, tutti mi dicono di essere con me, dalla mia parte ma evidentemente qualcuno di loro mente.
Quando mio padre sabato scorso è venuto a scuola e ha parlato con gli altri ragazzi lo hanno applaudito tutti quanti, come se niente fosse.
Ha detto che io sono sorella loro, che siamo tutti uguali, che se fa un taglio al mio braccio e al loro esce comunque sangue.
Ha detto che nel 2015 queste cose non dovrebbero succedere e che li pregava di smettere. A me piace studiare, tutte le materie e in particolare il diritto.
L’ho scoperto solo a settembre e mi ha subito appassionata perchè parla delle regole fondamentali della vita e perchè è la materia più importante per raggiungere il mio obiettivo, fare l’avvocato.
Forse il merito è anche della professoressa che quando spiega ti coinvolge e così ti spinge a studiare. E infatti ci sono rimasta male perchè anche lei in alcune lettere è stata presa di mira, dubitavano della sua professionalità .
n generale mi trovo bene con tutte le materie a parte forse quelle scientifiche come la matematica.
Fin da piccola mi piaceva il mestiere dell’avvocato e ora che ho iniziato a studiate il diritto l’idea di quel lavoro mi appassiona ancora di più, grazie anche a quella docente. Lo so, è poco probabile che io diventi davvero avvocato ma adesso il mio sogno è questo.
I miei compagni lo sanno e ci aiutiamo spesso tra noi nello studio.
Io per un po’ ho fatto fare a tutti le fotocopie del quaderno degli appunti ma quando ho smesso perchè in pratica lavoravo per gli altri qualcuno evidentemente si è arrabbiato.
Ma quello che mi sta capitando non ha solo a che fare con la scuola.
Altrimenti anche altri compagni bravi sarebbero stati offesi per i loro voti. Sono in tanti ad avere dall’8 in su.
Qui c’è anche il razzismo nei miei confronti. Ho 14 anni, vivo a Pisa dal 2008 e non ero mai stata vittima di episodi del genere, nè io nè la mia famiglia.
Il razzismo c’è ed esiste anche in Italia. Di solito quando se ne parla nessuno è a favore ma alla fine saltano fuori delle persone che si comportano da razziste.
Qui a Pisa si vive bene, mi sono sempre trovata bene con le persone. È un bel posto, ed ormai è l’unico che conosco perchè in Senegal non sono più tornata e non mi ricordo i luoghi ma solo le persone, gli amici e i parenti.
Purtroppo ci sono sempre degli stupidi in mezzo al gruppo, e non bisogna condannare tutti, una scuola o addirittura un’intera città per colpa loro.
Però è giusto che queste persone si assumano le loro responsabilità e vengano punite. Devono essere meno vigliacche, se hanno qualcosa contro di me devono venirmelo a dire in faccia.
In tanti in questi giorni mi stanno esprimendo la loro solidarietà e li ringrazio perchè so che stanno tutti dalla mia parte.
L’unica solidarietà che non vorrei avere adesso è quella che mi stanno esprimendo, sperando di non essere scoperti, gli autori delle lettere.
Queste persone hanno rovinato l’atmosfera nella classe.
Ma non avranno quello che vogliono, non mi faranno nascondere a casa.
Andrò ancora a scuola e studierò ancora più di prima.
E continuerò a sentirmi sia senegalese che italiana.
Aida
(da “La Repubblica”)
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Maggio 20th, 2015 Riccardo Fucile
PER LE AUTORITA’ TUNISINE IL GIORNO DELL’ATTENTATO IL RAGAZZO SAREBBE STATO A TUNISI, MA HA UN ALIBI DI FERRO: ERA A SCUOLA IN ITALIA
In serata il governo tunisino corregge il quadro tratteggiato subito dopo l’arresto, dal quale emergeva che Touil Abdelmajid avrebbe pianificato e partecipato all’esecuzione dell’assalto.
La Tunisia ora sostiene che il ragazzo si trovava a Tunisi il giorno dell’attentato ma avrebbe avuto un coinvolgimento “indiretto“, fornendo sostegno logistico al gruppo armato responsabile dell’assalto.
E’ quanto ha specificato il portavoce del ministero dell’Interno tunisino, Mohamed Ali Laroui. Il 22enne ha “prestato sostegno al gruppo terroristico che ha condotto l’attacco”, ha detto Laroui, senza spiegare quale tipo di sostegno abbia fornito.
Ma gli inquirenti milanesi sono perplessi: dalle carte a disposizione, infatti, non è chiaro se all’uomo venga contestato, ad esempio, di essere stato uno degli esecutori della strage o di aver fornito un supporto e di quale tipo e da dove.
Per questo stanno effettuando approfondimenti e accertamenti e sono in contatto con la Procura di Roma dove è aperto un fascicolo d’indagine sulla strage avvenuta in Tunisia. Gli accertamenti dei pm milanesi, dunque, saranno poi trasmessi ai colleghi romani.
Da quanto risulta, però, al momento agli inquirenti non è stato messo a disposizione alcun elemento dalle autorità tunisine sul ruolo che avrebbe avuto il marocchino nell’attentato e l’arresto è stato effettuato solo perchè pendeva un mandato di cattura internazionale.
Tutte le ipotesi, dunque, sono al vaglio.
Approfondimenti, inoltre, potrebbero essere richiesti anche dalla Corte d’Appello di Milano, competente per il procedimento di estradizione.
Ma la ricostruzione degli investigatori tunisini viene smentita dai parenti e vicini di casa del 22enne.
A Gaggiano il ragazzo non è molto conosciuto, lo vedevano poco ma tutti sostengono che era in Italia nei giorni della strage. “Stava spesso a casa, a volte andava a mangiare alla Caritas — racconta un vicino — È un bravo ragazzo, cercava lavoro. Siamo increduli, sicuramente la polizia ha sbagliato persona“.
“Frequentava una scuola per imparare l’italiano a Trezzano — dice una signora del quartiere — ho sentito che una professoressa ricorda di averlo visto in classe il giorno dell’attentato. La madre si è impegnata molto per i figli. Mi sembra tutto assurdo — continua — un terrorista internazionale che vive a Gaggiano, in casa con madre, fratelli e nipotino, che va a scuola e mangia alla Caritas. Mi sembra strano”.
Le forze dell’ordine hanno verificato i registri della scuola e hanno trovato conferma che il ragazzo quel giorno era effettivamente presente alla lezione.
E a questo punto i conti non tornano più.
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Maggio 20th, 2015 Riccardo Fucile
CHIUDERE LE FRONTIERE? NO RINCHIUDERE SALVINI
Un marocchino di 22 anni è stato arrestato nel Milanese per la strage al museo Bardo di Tunisi.
Abdel Majid Touil, questo il nome della persona, nota anche con l’alias Abdallah, si trovava in Italia un mese prima della strage.
Il 17 febbraio, infatti, era sbarcato in Sicilia, a Porto Empedocle, da un barcone.
Qui era stato identificato insieme ad altre 97 persone e aveva ricevuto un provvedimento di espulsione dal questore di Agrigento .
Anche il foglio di via indica la stessa data: 17 febbraio.
Le autorità tunisine ritengono Touil tra i responsabili, sia a livello di pianificazione che di esecuzione materiale, dell’atto terroristico che il 18 marzo – quando il commando entrò in azione nel museo più antico del mondo arabo – provocò 24 morti, tra cui quattro vittime italiane, e 45 feriti.
Ma per essere un attentatore uno avrebbe anche dovuto esserci a Tunisi quel giorno.
E il caso vuole che sono in molti a Gaggiano, il paese del Milanese dove è stato arrestato, a non credere alle accuse.
Vicini di casa e alcuni parenti affermano con forza che nei giorni della strage il ragazzo era a casa, in Italia: “Non è un terrorista – dicono – Nei giorni della strage era qui. Per compiere l’attentato avrebbe dovuto prendere un aereo con andata e ritorno immediati”.
Non solo: il ragazzo frequentava un corso di italiano per cercare di trovare lavoro e ha due fratelli regolarmente residenti a Gaggiano.
Infatti il ricercato è stato catturato in strada vicino all’appartamento di Gaggiano (Milano) di via Pitagora 14 dove vivono la madre e i fratelli che vivono in Italia con regolare permesso di soggiorno.
“Non risultava che in Italia frequentasse moschee vicine al fondamentalismo – ha ammesso Megale in questura – e per noi, prima della segnalazione dell’intelligence e delle autorità tunisine, a parte il decreto di espulsione, era uno sconosciuto”.
A metà aprile (quindi un mese dopo la strage) la madre si era rivolta alla stazione dei carabinieri di Trezzano sul Naviglio per denunciare lo smarrimento del passaporto del figlio.
“Finora in 15 anni da Lampedusa non sono passati terroristi ma gente ustionata, con il blocco renale, bambini, donne…non credo che un terrorista serio possa rischiare la vita su un barcone per raggiungere l’Europa”: Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, ha commentato così la notizia dell’arresto a Milano di Touil Abdel Majid.
Uno dei due fratelli dell’arrestato è stato raggiunto dai giornalisti mentre tornava a casa, mercoledì mattina, e ha detto: «Mio fratello è innocente, non ha commesso nessun reato. È arrivato su un barcone come tanti altri e da quel momento non è più partito» ma è «rimasto sempre in Italia».
Il giovane rincasava in bicicletta nella palazzina dove vive con la madre.
«È un bravo ragazzo, state commettendo un grave errore, non ha fatto nulla», commenta una vicina di casa. «Nei giorni dell’attentato era qui. La madre ha fatto tanti sacrifici per lui. Sta cercando lavoro».
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Maggio 20th, 2015 Riccardo Fucile
NELLE LISTE L’EX FIDANZATO FASULLO
L’ombra del Noemigate avvolge il ritorno (venerdì e sabato) di Silvio Berlusconi a Napoli, la capitale meridionale del bunga bunga ai tempi d’oro.
Nelle liste a sostegno di Caldoro compare il nome di Domenico Cozzolino, il “finto fidanzato” – per sua stessa ammissione – di Noemi Letizia, nel 2009.
Mentre tra i grandi organizzatori della campagna elettorale di Forza Italia c’è l’attuale marito di Noemi, Vittorio Romano, responsabile delle politiche di promozione e sviluppo dei Club Forza Italia nel Sud.
È l’ombra di un passato che torna sempre, soprattutto da quando Francesca Pascale ha reintrodotto a corte Noemi Letizia, che più volte è stata immortalata in questi mesi accanto alla nuova first lady di Arcore e a Berlusconi: allo stesso tavolo nelle cene di finanziamento di Forza Italia, a palazzo Grazioli insieme ai parlamentari a festeggiare l’assoluzione di Berlusconi nel processo sul filone milanese degli scandali sessuali.
E soprattutto ad Arcore dove Berlusconi ha ospitato la coppia per celebrare il battesimo di Valerio, il secondo figlio di Noemi, di cui “Papi” è stato il padrino.
Una presenza vissuta come inquietante da parecchi parlamentari che ancora non si spiegano quale fardello di “segreti” giustifichi ancora questa presenza e un ruolo politico per l’attuale marito e l’ex finto fidanzato.
Già , il “finto” fidanzato.
Reclutato per coprire e gestire lo scandalo di un presidente del Consiglio che andò al compleanno a Casoria della minorenne di Portici.
Per coprire la successiva valanga di bugie sul padre “autista di Craxi”, “amico di famiglia”.
E per provare a gestire quelle parole di Veronica che fecero comprendere al mondo il lato oscuro dell’ex premier: “Non posso stare con un uomo che frequenta minorenni. Aiutatelo, mio marito è un uomo malato”.
Poi sarebbero uscite notizie di visite dell’allora minorenne Noemi (e non solo lei) a Villa Certosa e di quella organizzazione capillare per soddisfare la dipendenza dell’allora premier dalle “ragazze”.
Cozzolino, ex tronista di Uomini e donne, nei giorni caldi del Noemigate, fu reclutato per recitare la fiction della “casta coppia” quando i riflettori del mondo si accesero sullo scandalo delle minorenni.
Nel suo intenso e documentato libro La Bolgia, Conchita Sannino squarciò per prima il velo di ipocrisia che aveva costruito l’apparato mediatico berlusconiano per coprire lo scandalo: Noemi e Domenico che si baciano sul lungomare di via Caracciolo, accanto a Elio e Anna, i genitori di Noemi, che si baciano pure loro; Noemi e Domenico che passeggiano abbracciati per le vie di Riccione, dove lui fa il pr in discoteca; Noemi e Domenico che fanno shopping; Noemi e Domenico che mangiano un gelato e ridono, ridono, ridono.
Alla giornalista di Repubblica Cozzolino dichiarò: “È stato solo uno spot per Noemi. In quei giorni tutto veniva organizzato a favore di media. Io da solo potevo condurre un tale gioco? Potevo montare la fiction del fidanzamento? No, su questo terreno non avanzo, voglio una vita tranquilla. Ero in tempo quando ho detto: mi fermo qui, voglio uscire”.
Già , uscire, come da un ruolo in una fiction.
Successivamente l’ex tronista (e ora candidato) dichiarò: “Mi volevano allontanare perchè so troppe cose”.
Forse, sussurrano i maligni, sono sufficienti per avere un posto in lista.
Allora fu Nicola Cosentino, oggi in carcere con l’accusa di camorra, a trovare il sistema per mettere a tacere la famiglia di Noemi e quella della sua amica Roberta Oronzo, l’amica minorenne invitata a Villa Certosa.
Lo dichiarò proprio Nick ‘o merikano sempre a Conchita Sannino, in un’intervista a Repubblica.
Ecco, Berlusconi e Napoli, capitale meridionale del bunga bunga assieme a Bari, dove è ancora in corso il processo Tarantini.
Proprio a Bari la scorsa settimana è stato costruito una sorta di cordone sanitario attorno a Berlusconi, perchè nell’ora del tramonto il rischio è che arrivino più contestazioni che aspiranti veline, subrette, donnine alla ricerca di un posto di lavoro e pronte a tutto.
Lo stesso accadrà nei prossimi giorni a Napoli, in quell’hotel Vesuvio dove ai tempi, come scritto nella Bolgia, il piano dell’allora premier era dedicato alle feste “eleganti”. E dove, nel corso della campagna elettorale per le provinciali, si trasferì in pianta stabile Francesca Pascale, allora responsabile del club Silvio ci manchi.
Oggi Francesca è stata l’artefice del grande ritorno a corte di Noemi, sei anni dopo lo scandalo del Noemigate.
E proprio nel momento in cui le voci di crisi e di separazione tra Silvio e Francesca sono rimbalzate sui giornali, anche sul moderato Corriere, senza neanche essere smentite.
Una coincidenza? Chissà .
Con Noemi e Napoli tornano sospetti, veleni e misteri sullo scandalo che rappresentò l’inizio del tramonto di Berlusconi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 20th, 2015 Riccardo Fucile
I RE DELLE CLINICHE PRIVATE PUNTANO A RILEVARE IL QUOTIDIANO ROMANO DAL RE DEL MATTONE BONIFACI…SI PROFILA UNO SVUOTAMENTO DI “LIBERO”, TROPPO COSTOSO SENZA CONTRIBUTI PUBBLICI
Un nuovo editore per il quotidiano Il Tempo: la famiglia Angelucci.
Nella trattativa, agli sgoccioli, i proprietari di Libero mettono sul piatto una cifra che si aggira intorno ai 15 milioni di euro. Milione più, milione meno.
I “re delle cliniche private” — se ne contano 25 in Italia — puntano dritto sul quotidiano romano, rilevandolo dal “re del mattone” Domenico Bonifaci, che tra beghe e debiti tenta di venderlo.
Sono anni ormai che il giornale romano del centrodestra è in crisi: le edizioni locali sono chiuse e s’è avviata una forte ristrutturazione aziendale.
Si paventa anche l’ipotesi di una richiesta di concordato preventivo da parte di Bonifaci. Ipotesi che potrebbe far gola ad Angelucci perchè acquisirebbe il giornale a un valore stracciato.
Con l’arrivo degli imprenditori della sanità potrebbe profilarsi uno scenario che vede Libero soccombere, con un suo progressivo svuotamento (è costoso tenerlo in vita, soprattutto da quando il dipartimento dell’editoria ha chiuso i rubinetti dei contributi) in favore de Il Tempo, portando così a Piazza Colonna editorialisti di peso, sui cui nomi, al momento, c’è il massimo riserbo.
Certo è che per Angelucci, il cui core business è concentrato principalmente nella Capitale, scalare il diretto concorrente de Il Messaggero è un affare di grande impatto. Il Tempo — che fu diretto da Gianni Letta — passa di dinastia in dinastia.
È il 1996 quando Bonifaci lo compra per 70 miliardi di lire da un altro “re” di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore e proprietario del gruppo de Il Messaggero.
Primo direttore della testata romana della nuova era è Maurizio Belpietro. Ma viene licenziato dopo sei mesi.
Antonio Angelucci e Domenico Bonifaci hanno in comune molte cose. Entrambi abruzzesi, entrambi trapiantati a Roma da tempo incalcolabile, sono imprenditori di lungo corso — uno del mattone, l’altro della sanità — e hanno in comune anche la passione per l’editoria.
C’è anche un altro dettaglio in comune: i guai giudiziari.
Bonifaci, classe 1937, self made man con la licenza elementare, era l’uomo della “provvista” costituita per la maxi tangente Enimont: Sergio Cusani si rivolse a lui per ottenere 142 miliardi di fondi neri, utili a Raul Gardini per uscire da Enimont. Bonifaci patteggiò e pagò 50 miliardi di lire.
Angelucci padre, classe 1944, un po’ più istruito del suo collega — ha la licenza media — è il presidente di Tosinvest Spa, holding con indirizzo in Lussemburgo, che controlla tutte le attività di famiglia.
Il pallino per i giornali lo spinge a entrare nel mondo dell’editoria.
È il 1998: acquista il 24,5% delle quote de L’Unità , ma ne esce due anni dopo, durante la liquidazione del giornale.
La passione per i giornali è tale che, dopo l’avventura al quotidiano fondato da Gramsci, gli Angelucci fondano Il Riformista e rilevano Libero.
La famiglia Angelucci entra nel mirino dei magistrati di Bari per corruzione che ha condannato in primo grado Raffaele Fitto e Angelucci junior.
Secondo i giudici, l’ex governatore pugliese riceve un finanziamento di 500mila euro dall’imprenditore Giampaolo, ultimo figlio di Antonio, presidente di Tosinvest sanità che, in cambio, s’aggiudica un appalto, per sette anni, da 198 milioni di euro per la gestione di 11 residenze sanitarie.
I fatti contestati risalgono al periodo che va dal 1999-2005, quando Fitto era presidente della Regione Puglia. Ora il reato è prescritto.
E un’ultima indagine riguarda proprio l’attività editoriale di famiglia: è il 2013 quando Angelucci senior viene indagato per i contributi pubblici incassati da “Editoriale Libero” ed “Edizioni Riformiste”.
Contributi “doppi” e quindi illeciti, secondo l’accusa, che iscrive il parlamentare nel registro degli indagati con l’accusa di falso e truffa aggravata: per la Gdf, le due società avrebbero dichiarato di appartenere a editori diversi, aggirando così l’obbligo, per ciascun imprenditore, di chiedere finanziamenti per un solo giornale.
Dopo il fallimento del Riformista, però, gli Angelucci tornano alla carica: ora puntano a Il Tempo.
Loredana Di Cesare
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 20th, 2015 Riccardo Fucile
GIUGNO 2014, L’ASTA, PREPARATA PER IL SOLITO INCIUCIO, VA STORTA. L’AUSTRALIANO PRENDE TUTTO, IL BISCIONE STREPITA E IL MEDIATORE AGGIUSTA
Il patto sui diritti televisivi per un triennio di campionato di calcio siglato lo scorso giugno — un inciucio da professionisti che accontentava Mediasete non scontentava l’onnivora Sky — non l’hanno mai smentito.
Anzi, la Lega di A e il mediatore Infront se ne vantavano.
E il sensale Claudio Lotito, spedito a trattare su mandato di Adriano Galliani, pervaso da un inusuale imbarazzo (il conflitto d’interessi), ha celebrato se stesso e preparato lo scacchiere per imporre Carlo Tavecchio in Ferdercalcio.
Quel bando di gara, disegnato da In-front per perpetuare la convivenza dei monopolisti, diviene presto farsa perchè le buste, vidimate dai notai, contengono un responso che sfavorisce Mediaset.
Allora il calcio ha scelto il compromesso: uno sfacciato patto fra le televisioni, sotto la regia di Infront.
Adesso i sospetti li mette in ordine l’Autorità di garanzia che vigila sul mercato. Quell’asta da tre miliardi di euro in tre stagioni, fonte di salvezza per gli squattrinati presidenti di serie A disposti a ridurre gli introiti pur di non alterare l’equilibrio fra le famiglie Berlusconi e Murdoch, non è stata corretta.
L’Autorità s’è presa un anno di tempo per completare l’istruttoria e valutare le sanzioni pecuniarie; soltanto la Lega Calcio, più che condizionata da Infront, può cancellare l’assegnazione e ripristinare la concorrenza.
Ma col rischio di asfissiare le società che aspettano, entro l’estate per la campagna acquisti, la prima rata da 945 milioni di euro.
Giugno 2014, contese legali e trucchi: nasce l’accordo
Il patto viene sancito sul finire di giugno, epilogo di un mese di tensioni, timori di collasso di un sistema che Infront di Marco Bogarelli, un uomo d’affari con laurea in Bocconi e di relazioni internazionali, molto legato a Galliani e già consigliere di Milan Channel, forgia e tutela da sei anni. Dal 2008.
Quando In-front Italia, costola di una multinazionale con al vertice Philippe Blatter (nipote di Joseph, sovrano del pallone mondiale in Fifa), s’aggiudica la commessa per vendere le immagini del campionato a scapito di Rothschild e Mediobanca.
Il bando di gara, in origine, non permette imprevisti: il pacchetto A per il satellite (le otto squadre con più tifosi) è confezionato per Sky; il pacchetto B, l’equivalente sul digitale, per Mediaset Premium; il pacchetto D, i rimasugli, è l’unico destinato a una vera contesa. Quando i Murdoch stanno per decretare la somma da investire sul pallone italiano scoprono che Mediaset, con una spesa di quasi 700 milioni di euro, ha scippato la Champions League a Sky.
Lo squalo australiano conosce soltanto una vendetta: annientare l’avversario.
Così la multinazionale da 20 milioni di abbonati in Europa fa traballare il tavolo con un’offerta totale, satellite e digitale: 779 milioni, 2,6 miliardi nel triennio.
Murdoch non vuole noleggiare la serie A: la vuole comprare ballando sul cadavere di Mediaset.
Il Biscione, per cinque milioni, perde il pacchetto A: non riguarda il digitale, dove si posiziona terza dietro a Fox (ancora Murdoch), bensì il satellite.
L’invasione di campo avviene in simultanea. A Mediaset resta il misero pacchetto D, 132 partite di scarso interesse e un impegno da 306 milioni a stagione. Il verdetto è di facile lettura: a Sky va la polpa del campionato per la trasmissione sul satellite e sul digitale, territorio che Mediaset presidia in esclusiva; al Biscione va l’osso a prezzi gonfiati. Bogarelli rimedia con una proposta indecente
A Cologno Monzese non sono sprovveduti, iniziano a baccagliare, a invocare i regolamenti, la legge Melandri.
Strepitano: non potete consegnare il calcio italiano a Murdoch, l’operatore unico è illegittimo. Infront asseconda le richieste di Mediaset, Bogarelli innesca le trame. Oltre ai diritti tv, Infront gestisce il marchio di decine di società (Inter, Milan, Udinese, Genoa, Lazio) e grazie ai sodali Tavecchio&Lotito anche la Nazionale. In assemblea di Lega, il Milan — e dunque Mediaset — dispone di una maggioranza che non tollera la minoranza, ristretta a Roma e Juve.
A Bogarelli viene in mente una bizzarra soluzione, nient’altro che una finzione per richiamare i duellanti nei ranghi: dice ai Berlusconi e ai Murdoch, perchè non vi scambiate le piattaforme?
Il digitale va a Sky, che ha promesso più denaro; il satellite va a Mediaset, piazzatasi seconda con onore.
Ai presidenti, poi, Bogarelli fa annusare un assegno annuo di 1,1 miliardi, ben più ingente dei 954 stabiliti in partenza.
Perfetto, no? Sky intravede la trappola, e reagisce con una diffida legale e una richiesta di appuntamento a Matteo Renzi per fare pressioni.
Il Biscione e la sub-licenza in favore dei rivali Il 23 giugno, giorno di riunione in Lega, a palazzo Chigi sfilano l’amministratore delegato Andrea Zappia e il presidente James Murdoch.
Con le parti distanti e in assetto di guerra, per Infront è un giochetto proporre il patto: a ciascuno il suo, a Sky il satellite con un prezzo calmierato (572 milioni), a Mediaset il digitale per 373.
E il pacchetto meno ambito (D), che spetta al Biscione, viene girato a Sky in sub-licenza. I presidenti, gabbati, incassano 2,9 miliardi anzichè i 3,3 favoleggiati da Bogarelli. L’Agcom e l’Antitrust ratificano.
Tutti tacciono.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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