Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
IL FIGLIO DI DE LUCA COME IL FIGLIO DI LUPI?
Il figlio di De Luca come il figlio di Lupi?
Una consulenza come un Rolex, se la consulenza è data da un’azienda che beneficia di una variante urbanistica del comune di Salerno.
E allora, andiamo con ordine.
La vicenda è legata a una grande operazione che fece l’amministrazione di Salerno, un decennio fa: la variante urbanistica, approvata tra mille polemiche, nel 2003.
Un provvedimento che consentì il trasferimento delle Manifatture cotoniere meridionali, di proprietà dell’ex presidente di Confindustria Lettieri (poi candidato del Pdl a Napoli), da una area di Salerno (le Fratte) alla nuova zona industriale.
Opera discussa, costosa, per molti discutibile visto che se il vantaggio delle Manifatture è apparso evidente, meno lo è per la zona delle Fratte, dove i lavori di riqualificazione a Fratte non partono ancora e alcune palazzine restano abbandonate a se stessa.
Il caso fece molto clamore, e insieme ad un’altra variante, quella predisposta per l’ex Ideal Standard (processo ancora in corso), rappresentò per la Procura di Salerno l’esempio di un sistema clientelistico-affaristico che avrebbe inquinato la vita politico-amministrativa di Salerno, con De Luca ritenuto il ‘dominus’, anche quando ricopriva solo il ruolo di parlamentare Ds mentre a fare il sindaco c’era il suo ex capo della segreteria politica, Mario De Biase.
Vincenzo De Luca è stato assolto dall’accusa di truffa e di falso.
Ma se il capitolo del “penalmente rilevante” è chiuso, resta aperto quello del “politicamente opportuno”.
Come nel caso di Lupi (e del Rolex), il capitolo ha come protagonista il figlio di De Luca. Proprio l’avvocato Piero De Luca, nel 2004 ottiene una consulenza di sei mesi per un importo di 7.250 euro.
Chi gli dà la consulenza? Le manifatture Cotoniere meridionali di Gianni Lettieri.
Poco tempo dopo arriva la seconda consulenza di 7.818 euro, sempre dalle Manifatture cotoniere, come l’Huffington Post è entrato in possesso della posizione Inps del figlio del candidato governatore.
Contattato telefonicamente Piero De Luca, che ora lavora all’estero, taglia corto: “Si trattava del 2004, perchè mi fate queste domande?”.
Proprio il sindaco di Salerno più volte si è pronunciato in difesa del figlio.
Come quando Piero si candidò alle primarie del Pd. Allora il padre scandì, in modo roboante: “Nell’elenco di infamie e atti di barbarie possiamo aggiungere anche questo. Mio figlio fa l’emigrante da sette anni. È all’estero, in Lussemburgo. I miei figli si vanno a cercare il pane fuori da Salerno sol perchè io li ho condannati per il mio lavoro da sindaco. Lavorano fuori perchè in un paese di cialtroni, farisei e imbecilli qualunque cosa fanno verrebbero sempre additati come i figli di De Luca”.
Prima di emigrare, Piero, oltre alla consulenza ha Salerno, ha lavorato a Roma nello studio dell’amministrativista Clarizia, dove si occupava, come scrive nel suo sito internet, “in particolare di problematiche attinenti al diritto della concorrenza e alla regolazione dei mercati”. Guarda caso è proprio lo studio legale che difende il Comune di Salerno nel ricorso al Consiglio di Stato contro il Crescent, l’opera faraonica voluta da De Luca senior.
E fin qui siamo ai legami “gelatinosi” che legano le attività professionali del figlio del candidato governatore alle attività del comune di Salerno, governato da suo padre da diversi lustri.
I guai giudiziari del figlio di De Luca riguardano invece un’inchiesta relativa alle vicende della società Ifil C&D, della quale è stato chiesto il fallimento.
Nell’ambito di questa inchiesta è indagato per “concorso in bancarotta fraudolenta”.
Prima gli impresentabili, ora per De Luca sembra aprirsi un nuovo capitolo.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
“E’ UNA FREGATURA PER MANDARCI A CASA DOPO LE REGIONALI”: LA DENUNCIA DEI 30 IMPIEGATI AL SENATO CHE SI SONO VISTI TRASFORMARE I CONTRATTI DA PRECARI A TEMPO INDETERMINATO
Forza Italia fa dietrofront e dà il via libera al Jobs Act.
Ma non in Parlamento. Piuttosto per modificare il contratto dei suoi dipendenti al Senato per effetto della riforma del governo Renzi.
“Con la presente sono lieto di informarla che a partire dal 1° maggio 2015 il contratto ad essere con lo scrivente gruppo parlamentare sarà convertito in rapporto a tempo indeterminato“, si legge nella lettera inviata il 13 maggio e firmata dal capogruppo Paolo Romani.
I diretti interessati contestano la formula “senza alcuna soluzione di continuità rispetto all’originario rapporto”, perchè — dicono — nega i “benefici” del vecchio contratto ed è “una fregatura“.
I dipendenti sarebbero almeno una trentina e si tratta per lo più di persone che hanno già avuto contratti in passato, spesso rinnovati di legislatura in legislatura seppure con la recondita speranza di vederli trasformati, prima o poi, in indeterminati.
Ma del vecchio tipo.
Il timore — confessano — è che se le elezioni regionali dovessero andare male per Fi, il partito riduca ancora il personale e li mandi a casa da un giorno all’altro.
I precedenti non incoraggiano: gli 81 dipendenti della sede di Forza Italia in San Lorenzo in Lucina, a Roma, inaugurata in pompa magna a inizio legislatura, sono stati messi in cassa integrazione.
Alla Camera il capogruppo Renato Brunetta — ricordano — iniziò il suo mandato con un “repulisti generale“.
In realtà i dipendenti di Forza Italia non sono gli unici nel Palazzo ad aver visto il loro contratto trasformato con il Jobs Act ma sorprende che ad applicarlo stavolta sia stato un partito che si è opposto fortemente a quel provvedimento.
In fase di discussione della riforma del lavoro, i parlamentari del partito di Silvio Berlusconi protestarono vivacemente e votarono contro.
Ora il gruppo azzurro al Senato sembra aver cambiato idea, quantomeno nel merito della legge.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
LI AVEVA DEFINITI “FACCE DI CAZZO E LADRI”, ORA PER EVITARE LA CONDANNA DIVENTA UNA MAMMOLETTA… CADE UN ALTRO MITO PATACCA DELLA BECERODESTRA NOSTRANA: NEANCHE LE PALLE PER CONFERMARE QUELLO CHE PENSA
“Essendo pentito per la sgradevolezza di questo fatto non intendo limitarmi a un impegno risarcitorio. Ma mi rendo disponibile nella mia città a fare volontariato nei campi rom”: è l’impegno che Mario Borghezio, europarlamentare della Lega Nord, si è preso in aula, dove era stato chiamato a rispondere di discriminazione razziale e diffamazione aggravata dalla finalità di odio razziale ed etnico.
Lo ha fatto davanti al giudice che lo chiamava a rispondere di alcune affermazioni pronunciate l’8 aprile 2013 nel corso della trasmissione radiofonica La zanzara.
Successivamente Borghezio, con una nota, ha precisato, infatti, di avere dato la disponibilità “ad attività di volontariato presso un’associazione storica torinese di tutela e assistenza al popolo rom presso la sede stessa e non presso i campi”. L’europarlamentare, difeso dagli avvocati Mauro e Guido Anetrini, nell’intervista andata in onda l’8 aprile del 2013 si era scagliato contro la visita di otto giovani rom alla Camera, invitati dalla presidente Laura Boldrini in occasione della ‘Giornata internazionale dei rom e dei sinti’.
Dopo averli definiti “facce di c… che qualche presidente della Camera riceve” l’eurodeputato aveva aggiunto, tra l’altro, di sperare “che non portino via gli arredi della Camera”.
(da “la Repubblica”)
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
ED EMERGE LA VERITA’: “PER LA SICUREZZA DI SALVINI ABBIAMO GIA’ DOVUTO IMPIEGARE 8.465 UNITA’ DI POLIZIA E CARABINIERI”… PERCHE’ NON SI FA PROTEGGERE DALLA GUARDIA PADANA NELLE SUE PROVOCAZIONI INVECE CHE DALLA POLIZIA ITALIANA?
Salvini nel suo provocazione-tour è arrivato a Masciano, in provincia di Perugia: ad attenderlo una trentina di contestatori e altrettanti leghisti.
La polizia si è messa tra i due gruppi, ma in altri punti della piazza ci sono stati disordini sedati dalle forze dell’ordine presenti con un imponente servizio d’ordine.
Durante la contestazione Salvini avrebbe rimediato uno sputo in faccia e, come un viziato figlio di papà , invece che reagire, ha intimato alle forze dell’ordine: “identificate quel pezzo di merda”.
Poi è corso a casa, da mamma Alfano a lamentarsi: “Dove sono Renzi e Alfano?Stamani pure uno sputo in faccia ho preso! Mi viene il dubbio che a qualcuno impedire alla Lega i comizi faccia comodo”.
Ma mamma Alfano Alfano gli scodella in faccia i dati: “Dal 28 febbraio del 2015 a oggi, in relazione alle iniziative politiche dell’on. Matteo Salvini, che si sono svolte in 62 province, sono state impiegate 8.465 unità delle Forze dell’Ordine”.
Il comunicato ufficiale del Viminale vuol dire che le forze dell’ordine italiane, per proteggere il secessionista padagno, hanno sottratto ai normali servizi di ordine pubblico quasi 9.000 agenti.
Poi Alfano ci mette il carico: “Matteo Salvini, in mala fede, il solito bugiardo, è ormai irrecuperabile. Salvini forse non ricorda che quando il ministro dell’Interno era della Lega, il presidente del Consiglio in carica, Silvio Berlusconi, veniva raggiunto sistematicamente ovunque da contestatori di ogni genere, fino a essere colpito in faccia da una statuetta, nel pieno centro di Milano. C’entrava forse il ministro dell’Interno? Secondo me, no. Nè allora e neanche ora”.
In ogni caso è normale che chi istiga all’odio generi a sua volta una reazione analoga: se uno vuol fare il rivoluzionario e non il commediante basta che rinunci alla scorta e si faccia proteggere dalla sua guardia padana.
I missini negli anni di piombo non chiamavano la polizia quando andavano a volantinare davanti alle scuole e non si lamentavano con i ministri degli interni.
Forse perchè loro non avevano origini da “comunisti padani”.
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
PARTE L’ANATEMA: “FITTO E’ FUORI”…. LA REPLICA: “SEI TU ORMAI FUORI DALLA REALTA’, SEI DENTRO UN TRISTE BUNKER NEL QUALE TI SEI VOLUTO RINCHIUDERE”
Accolto dalle note dell’inno di Forza Italia, dalla musica dei Coldplay e dalle invocazioni “Silvio Silvio”, Berlusconi ha fatto il suo ingresso al Pala Fiera di Lecce dove, secondo gli organizzatori, avrebbero dovuto attenderlo almeno 4.000 fans.
Il bluff è è presto svelato: la sala è stata ristretta (in fondo c’è un vuoto impressionante) i posti a sedere sono 600 e in piedi non più di 400.
Considerando che era stata mobilitata per l’occasione tutta le regione e che la Poli Bortone giocava in casa e ha fatto l’impossibile per precettare i suoi concittadini, si è trattato di un flop notevole, rispetto alle aspettative.
Sul palco sono saliti diversi ragazzi con una maglietta azzurra con su scritto “benvenuto presidente”.
Dalla platea è partito il coro “chi non salta comunista è”, mentre parla la Poli Bortone e Berlusconi in platea si alza in piedi e si mette a saltare con i militanti del Palafiera.
A lui si unisce anche la sua compagna Francesca Pascale.
Tra le animatrici della serata Gegia: anche lei, mentre intratteneva il pubblico in attesa di Berlusconi, ha attaccato Fitto e ha ricevuto un applauso.
Poi i contenuti: per Berlusconi “il 31 maggio è stato scelto apposta dal governo perchè è dentro un ponte che porta i moderati alla vacanza”.
Il comizio è una miscellanea di tutti i classici degli ultimi vent’anni. A partire dal pericolo comunista.
Poi aggiunge: «Il mio più grande rammarico è quello di non aver potuto realizzare per colpa degli alleati il programma che avevo in mente”.
Poi parla di Fitto: «C’è chi ha fatto un operazione di disturbo, una piccola operazione senza alcun senso politico e senza speranza. Qualcuno voleva andare oltre, ma per me è andato fuori. Mettere in campo un piccolo partito significa sottrarre voti al centrodestra. Non funziona chiamarsi lealisti o ricostruttori, in Italia chi vota contro i candidati del suo partito è chiamato traditore»
Non fa in tempo a finire la manifestazione che arriva la replica di Fitto: “Al termine di 48 ore di flop in Puglia, tra eventi annullati e sale ristrette, Silvio Berlusconi dice che io sarei «fuori». Gli rispondo: sei tu fuori dalla realtà , fuori dalla rivoluzione liberale, fuori dalle speranze del 1994. Peccato. Sei dentro un triste bunker nel quale ti sei voluto rinchiudere».
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
NEL FILMATO DI APPENA UN ANNO FA DICEVA: “RAFFAELE E’ UNO PRESENTE CON NOI NEI MOMENTI PIU’ DIFFICILI”… ORA E’ GUERRA TOTALE, STASERA BERLUSCONI A LECCE
Botta e risposta tra Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto.
L’ex Cavaliere all’arrivo a Bari, per la due giorni elettorale in favore della candidata Adriana Poli Bortone, aveva risposto così alla domanda del Corriere del Mezzogiorno sul suo ex «cavallo di razza»: «Fitto? E chi è?».
Poco dopo era arrivata una nota dell’europarlamentare salentino: «Chi è Fitto?, dice Berlusconi. Vorrà dire, se non ha buona memoria, che domani glielo ricorderò».
E oggi su twitter Fitto non ha perso tempo e ha caricato un video, girato il 4 maggio 2014.
Il titolo? Berlusconi: «Fitto è un amico».
E poi scrive «La coerenza è un valore».
«Il padrone di casa è il nostro Raffaele Fitto – dice il leader di Forza Italia in collegamento con il parterre Azzurro in Puglia – voi sapete che nella vita ci sono gli amici dei momenti facili e quelli dei momenti difficili. Raffaele è un amico mio, del nostro partito anche nei momenti più difficili. Vi devo dire che io gli voglio bene».
Dopo poco più di un anno la situazione è cambiata e lo scontro è diventato totale.
Tanto che questa mattina Fitto, a «Coffee Break» (su La7), è stato categorico: «Non c’è più Forza Italia, questo mi sembra evidente. E dopo il 31 maggio questo sarà ancora più lampante. Da quando non sento Berlusconi? Da un paio di mesi forse. Da quando abbiamo avuto un lungo incontro di oltre un’ora nel quale abbiamo concordato un percorso e la mattina dopo tutto ciò è stato smentito. Tutto ciò fa parte del passato».
Vito Fatiguso
(da “il Corriere del Mezzogiorno”)
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
PUR DI VINCERE NON SI GUARDA PIU’ ALL’ETICA POLITICA
Mancano solo « Genny ‘a carogna » e « Giggino ‘o drink », dicono i nemici di Vincenzo De Luca guardando le liste elettorali messe insieme dal «mai rottamato» sindaco di Salerno che corre alla conquista della Campania.
E snocciolano un elenco sempre più lungo di figure più o meno impresentabili: dal fascista nostalgico che andava in pellegrinaggio sulla tomba del Duce e bollò tre gay «questi mi fanno schifo», ai riciclati dalla lunga carriera vissuta all’ombra di Nicola Cosentino, dalle mogli di potentissimi padroni delle tessere forzisti in perenne transumanza da un partito all’altro fino a personaggi ai confini tra la mala-politica e la mala-vita.
Presenze che, via via che si avvicinano le elezioni ed emergono nuovi nomi e nuovi curricula , alimentano a sinistra un imbarazzo crescente.
Al punto da spingere una giornalista nemica della camorra e in questa veste eletta in Parlamento dal Pd, Rosaria Capacchione, la quale solo due anni fa aveva detto all’ Unità «nel Pd non ci sarà mai un caso Cosentino», a riconoscere: «Su certi temi abbiamo abbassato un po’ la guardia».
Di più: «Troppo facile dire “aspetto la Procura”, non si può lasciare il giudizio politico sui candidati solo alla magistratura».
Roberto Saviano è andato più in là : «Nel Pd e nelle liste c’è tutto il sistema di Gomorra , indipendentemente se ci sono o meno le volontà dei boss. Il Pd nel Sud Italia non ha avuto alcuna intenzione di interrompere una tradizione consolidata».
L’ ex sindaco di Salerno, che non ama le critiche e in uno sketch televisivo invitava a lasciare i giornali in edicola per comprare piuttosto «una zeppola, una frolla, una riccia, una sfogliata…», ha risposto che lo scrittore «ha detto un’altra enorme sciocchezza: non accetto lezioni sul versante della lotta alla camorra».
Sarà … Ma certo non può essere liquidato con una battuta il tema che sta squarciando la sinistra campana e non solo, al punto che ieri Rosy Bindi ha fatto sapere che prima del voto esaminerà i nomi di tutti i candidati nelle liste regionali e farà sapere quali sono gli impresentabili, cioè quelli in qualche modo legati al voto di scambio.
Un avvertimento che non riguarda solo il Partito democratico, vista la presenza di altri nomi discussi anche in altri partiti, altre regioni, altre elezioni…
Ma che, dati i rapporti sempre più tesi dentro il Pd, pare l’avvisaglia di un altro scontro interno sulla questione morale.
Tanto più che lo stesso candidato democratico campano è un’«anatra zoppa» a causa della condanna in primo grado per abuso d’ufficio.
La legge Severino è lì: una tagliola. E il tema minaccia d’essere cavalcato anche dal sindacato, deciso ad aver la pelle di Renzi per non rischiare di cedere la propria.
«Ci sono candidati che mi imbarazzano e che non voterei neanche se costretto», ha riconosciuto l’altro giorno il premier e segretario, scaricando la colpa sugli alleati del suo aspirante governatore e rivendicando comunque che «le liste del Pd sono pulite». «Io non ne sapevo niente. Una lista l’hanno presentata alle due di notte del Primo Maggio», avrebbe confidato De Luca.
Ma il tema è: come è possibile che dopo tante accuse, denunce, inchieste e condanne che parevano aver messo a nudo certi mestieranti della partitocrazia; dopo tante promesse e assicurazioni di rottamatori più o meno improvvisati e sinceri; dopo tante campagne condotte all’insegna di una svolta virtuosa, un po’ tutti i partiti siano alle prese con cacicchi locali che anno dopo anno si sono arroccati ciascuno nel suo piccolo feudo, come se nulla fosse successo, ben decisi a far pesare le loro rendite di posizione?
E non vale solo per i baroni del voto clientelare in rapporti con i baroni della mala. Men che meno vale solo per la Campania.
Comunque le guardi, dalle Marche dove un decimo dei candidati è indagato per peculato e spese pazze fino alla Liguria, dove sono sotto inchiesta per reati vari esponenti dell’uno e dell’altro schieramento, le liste lasciano per lo meno perplessi.
I dubbi sui carichi penali di certi figuri che davvero non possono essere affidati solo ai giudici, però, sono solo un pezzo del problema.
Al di là dei destini giudiziari personali (auguri a tutti) la domanda, fastidiosa, è: ma davvero ogni prezzo può essere pagato, pur di vincere?
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
IL GOVERNO TUTELEREBBE SOLO GLI ASSEGNI TRE VOLTE SOPRA IL MINIMO
Il Signor Rossi, come circa 2 milioni di suoi colleghi, percepiva una pensione mensile di 1.639 euro lordi (circa 1.300 netti), un trattamento pari a tre volte e mezzo il minimo.
Arrivò la crisi degli spread e l’emergenza economica, e il governo Monti fu costretto a bloccargli per due anni, il 2012 e il 2013, l’indicizzazione al costo della vita.
Da allora il pensionato Rossi ha cominciato a perdere soldi: nell’intero 2012 ha ricevuto una pensione più bassa di 567 euro, nel 2013 ha perso ulteriori 630 euro per lo stesso meccanismo di mancata rivalutazione e ha cominciato a perdere altri 17 euro per effetto del “trascinamento” (se gli fosse stata corrisposta la perequazione che gli spettava l’anno successivo l’assegno sarebbe stato più alto perchè calcolato su una base maggiore).
In tutto i suoi arretrati, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 30 aprile scorso che ha bocciato la norma del 2011, e in caso di rimborso “pieno”, ammontano a 3.007 euro per i tre anni 2012-2014.
Alla somma dovuta dallo Stato al nostro pensionato per il pregresso si aggiunge, dal 2015, la maggiorazione che dovrebbe essere incorporata nella pensione come effetto dell’intero ricalcolo pari a 1.229 euro (compresi i 32 euro dei “trascinamenti”).
Il signor Rossi potrebbe presentarsi all’Inps e chiedere indietro 4.236 euro lordi
A fare chiarezza sulla complicata questione che da giorni rimbalza tra governo, Corte costituzionale e Bruxelles, è stato ieri l’Ufficio parlamentare di bilancio, guidato da Giuseppe Pisauro, che ha messo a disposizione i conteggi esatti su quanto hanno perso i pensionati sopra tre volte il minimo negli ultimi quattro anni per effetto del blocco delle indicizzazioni. Naturalmente la cifra è al lordo delle tasse: il Signor Rossi in questione dopo aver pagato l’Irpef, in caso di rimborso completo, si troverebbe in tasca circa 2.400 euro
Il rapporto dell’Upb non entra naturalmente nella strategia del governo, orientata a una restituzione parziale in omaggio all’indirizzo della Consulta volto a tutelare soprattutto i redditi più bassi, e si limita a considerare gli effetti di una ipotetica restituzione totale e integrale. Tuttavia, in base a quanto emerso dal dibattito e dalle indiscrezioni degli ultimi giorni, non è escluso che la scelta del governo possa tutelare in pieno i diritti dei pensionati con tre volte e mezzo il minimo tra i quali si colloca il Signor Rossi.
Il focus dell’Ups, contenuto nell’ampio “Rapporto sulla programmazione di bilancio 2015”, dà conto anche di quanto perso dai pensionati con redditi più alti: chi stava nel 2011 intorno ai 2.100 euro potrebbe aver diritto, in assenza di provvedimenti correttivi del governo, a circa 5.300 euro tra arretrati e maggiorazione nel 2015; chi si aggirava sui 2.500 euro avrebbe diritto in totale a circa 6.300 euro; chi aveva una pensione di oltre 4.000 euro potrebbe vantare circa 10 mila euro per i quattro anni in questione.
Se questi sono i diritti dei pensionati stabiliti dalla Corte, dall’altra parte ci sono le esigenze di rispettare le norme imposte dall’Unione europea e dalla nostra contabilità che rendono assai rischioso un rimborso complessivo che, per il solo quadriennio 2012-2015, sarebbe di 15 miliardi (secondo i dati emersi in questi giorni dalla vecchia relazione tecnica ai provvedimenti). Il primo problema al quale il Rapporto sulla programmazione di bilancio dà una risposta è quello della contabilizzazione degli arretrati e di quanto erogato nel 2015: Sec 2010 e Manuale attuativo Eurostat dicono che il momento in cui va imputata la spesa è quello in cui nasce un diritto «automatico e incontrovertibile» a ricevere l’importo, senza ricorsi di mezzo; dunque fa fede il giorno 30 aprile, data di pubblicazione della sentenza della Corte.
Così basterebbe un intervento di 8 miliardi (0,5 del Pil) per sfondare nel 2015 il 3% nominale, con conseguente procedura per disavanzo di Bruxelles.
E in questo caso si perderebbero anche i benefici della “clausola delle riforme” chiesta per il 2016.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
IL CANDIDATO DEL PONENTE LIGURE CON AMICIZIE PERICOLOSE SI RITIRA DALLE ELEZIONI
Daniele Comandini, candidato M5S al consiglio regionale in Liguria, si ritira dalle elezioni dopo lepolemiche dei giorni scorsi per la sua amicizia con il figlio di un presunto boss mafioso .
Lo annuncia lo stesso Comandini, respingendo le accuse anche di parte del M5S: «Delle mie amicizie strumentalizzate per screditarci, ne vado fiero e ne vado a testa alta, perchè è l’amicizia di chi ha morale, dignità , coraggio da vendere.
La Casa della Legalità , in una nota, ha commentato così le dimissioni:
Dopo l’esplodere, con ampia risonanza nazionale, del caso Mafodda-M5S-Comandini, e dopo che per settimane Alice Salvatore – candidata alla Presidenza della Regione Liguria del M5S – si ostinava a ignorare la questione, sono arrivate le dimissioni di Comandini Daniele, il capolista del M5S nell’imperiese che rivendica e sventola la sua fraterna amicizia con Mafodda Carmine esponente della nota famiglia di ‘ndrangheta dei Mafodda (che non ha mai ripudiato).
Ci domandiamo se dovevano aspettare che la Commissione Parlamentare Antimafia decidesse di affrontare il problema delle liste elettorali per le elezioni regionali nelle diverse Regioni, per risolvere il problema anzichè procedere prima della presentazione delle liste, visto che erano consapevoli della situazione ed evitando così difese surreali ed imbarazzanti da parte della Salvatore e degli altri esponenti del M5S.
Ora attendiamo una netta dichiarazione da parte dell’Alice Salvatore e dei candidati del M5S con cui evidenzino una netta presa di distanze dagli esponenti della famiglia di ‘ndrangheta dei Mafodda e collegate di cui è esponente – perchè mai l’ha ripudiata – quel Mafodda Carmine che è attivista del M5S, tra fondatori e responsabili del Meetup del M5S Arma di Taggia e dintorni, cioè quei territori dove – come abbiamo documentato – nelle elezioni politiche ed europee il M5S ha conquistato percentuali ben superiori a quelle ottenute altrove, sia imperiese che nelle altre province. Una dichiarazione di rigetto netto e totale dei voti da parte delle altre famiglie ‘ndranghetiste e mafiose dell’imperiese e delle altre province liguri, è opportuna da parte del M5S (ma non solo).
Ufficio di Presidenza della Casa della Legalità
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