Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
“SIAMO TROPPO DEBOLI PER ANDARE ALLE URNE”… I CONTATTI CON VERDINI
«Io non posso prendere schiaffi da Salvini e farmi trattare da pensionato. Così mi ride dietro mezza Italia. Dopo le Regionali torno al tavolo con Renzi, che ha bisogno dei nostri numeri. Oppure mando tutti a…».
In questo dilemma si consuma Silvio Berlusconi.
Assente dalla scena, costretto a ripararsi dietro a un antipiretico per ritardare la missione in Puglia.
Terrorizzato dalla disfatta, dopo l’umiliante 4% raccolto in Trentino Alto Adige che è però servito a prendere atto della realtà : «Se facciamo opposizione, la Lega e i grillini ci svuotano».
Meglio allora pianificare un clamoroso dietrofront, proponendo alla maggioranza un soccorso azzurro sulla riforma del Senato.
Uno stratagemma per uscire dall’isolamento e allontanare le urne fino al 2017. «Votare oggi sarebbe un disastro».
L’alternativa, così ripete sempre più spesso l’ex Cavaliere, è una ritiro dorato ad Antigua
Tra le quattro mura di Arcore va in scena il prologo di quanto potrebbe verificarsi il primo giugno, a urne chiuse.
L’allarme scatta a colazione. «Smettetela di insistere — si innervosisce Silvio Berlusconi, al telefono con i big del cerchio magico — io in Puglia non ci vado».
I fedelissimi sudano freddo.
La campagna elettorale è appena iniziata e la defezione somiglierebbe a una resa anticipata. A Bari, intanto, lo attendono solo poche decine di militanti. Un mezzo flop. Giovanni Toti e Deborah Bergamini, Maria Rosaria Rossi e Antonio Tajani si consultano.
Il summit improvvisato con iMessage partorisce una soluzione.
Meglio, una toppa: «Ha la febbre, tutto dipende dall’antipiretico». Serve a prendere tempo.
Nel frattempo gli avversari si scatenano e mettono in dubbio l’influenza fuori stagione: «Forse sono finiti i bei tempi in cui affollava le piazze?».
Inizia un pressing asfissiante. «Presidente, così si mostra debole», ripetono, «penseranno che ha già mollato».
Alla fine Berlusconi cede, ma è solo una tregua. Ormai ha capito di essersi infilato in un vicolo cieco
Il primo campanello d’allarme era suonato lo scorso week end, con il tonfo in Trentino. Il secondo poco dopo, quando Salvini ha invitato l’ex premier a godersi la pensione.
«E voi — chiede il leader — riuscite a immaginare cosa dirà dopo le Regionali? ». E in effetti se il centrodestra conquistasse solo il Veneto con Luca Zaia, i toni del segretario padano si farebbero ancora più aggressivi.
Il terzo indizio l’ex Cavaliere lo apprende dai giornali.
“Verdini tratta con Fitto”. Certo, il leader dei frondisti nega convergenze — «ho grande rispetto per Denis, ma lui punta a dialogare con l’area renziana», ma è ormai chiaro che i due ribelli, sia pure da posizioni politiche distanti, potrebbero colpire e affondare il capo, sfilandogli metà dei gruppi parlamentari.
E se anche alla fine fosse solo Verdini a sostenere il ddl Boschi, l’effetto per l’ex premier sarebbe devastante.
Non a caso, il piano vagliato in queste ore da Berlusconi è lo stesso dell’ex coordinatore: offrire a Renzi il bottino di voti di FI, garantire il via libera alla riforma costituzionale ed evitare la fine traumatica della legislatura.
Esiste un ostacolo di non poco conto, a ben guardare.
Non è detto che il premier sia disponibile a sedere di nuovo al tavolo con l’uomo di Arcore.
Luca Lotti, che da sempre tratta i dossier più spinosi, non offre sponda ai big del cerchio magico che cercano di rintracciarlo.
E Verdini spiega in privato il perchè: «Con Luca il rapporto è quotidiano. Se FI vuole trattare con Renzi, deve passare da me».
Se Berlusconi non dovesse accettare, si ritroverebbe con una scissione ordita dal garante azzurro del patto del Nazareno.
«Dovessi lasciare il partito — è la linea di Verdini — andrei nel Misto o in un gruppo autonomo». Difficile invece che ceda alla corte dell’ala meridionale di Ncd e ai centristi dell’Udc, che continuano a proporre all’azzurro un “matrimonio” filorenziano.
Nelle prossime settimane, comunque, il capo di FI non potrà mostrarsi interessato a ricucire con Palazzo Chigi.
Non prima, almeno, del voto regionale. Il vero scoglio, ora, è dribblare il nemico interno, quel Fitto che continua a metterne in discussione la leadership: «Berlusconi rappresenta oggi una politica vecchia e superata — si sgola il capo del frondisti — noi guardiamo a Cameron».
L’anziano leader controbatte colpo su colpo, bocciando il progetto del ribelle: «Fitto chi? Faccia come crede, comunque, perchè il centrodestra non è diviso — dice all’ Ansama esistono alcune frange eterogenee che si sono messe insieme per una piccola operazione legata a vecchie logiche notabilari, senza speranza e senza senso politico». «Gli faremo vedere chi siamo!», la replica.
Sullo sfondo, ma solo per adesso, resta la tentazione dell’addio.
Dal Milan alle aziende, non mancano i segnali di una exit strategy.
E anche i suoi ragionamenti non nascondono le crepe: «Chi sarà il leader? È presto per dirlo — ammette a sera, mettendo finalmente piede in Puglia — i leader creati a tavolino non hanno mai funzionato. L’ultima parola spetterà ai cittadini».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
DOMANI VA A NAPOLI, MA VUOLE METTERE LA FACCIA IL MENO POSSIBILE SUL VOTO CAMPANO… LE REGIONALI PREOCCUPANO LOTTI: “NON SONO UN TEST SUL GOVERNO”
“Ormai in Campania noi si vota tutti per Caldoro”. L’affermazione circola insistente tra i renziani.
Solo una battuta? Mica tanto.
Perchè la dialettica tra Matteo Renzi e Vincenzo De Luca, candidato Pd alla presidenza della Regione Campania assomiglia più a un braccio di ferro che a una corsa comune verso la vittoria.
La candidatura, ormai è noto, il segretario-premier l’ha subita. Ma a questo punto se De Luca perde, perde anche lui.
I sondaggi registrano un lieve vantaggio per il candidato Pd. E i dubbi rimangono: meglio metterci la faccia il meno possibile e non utilizzare il proprio effetto traino o fare davvero campagna elettorale, sfidare le critiche, e arrivare a una vittoria decisamente scomoda?
Renzi non ha deciso: domani sarà a Napoli, ma in veste di presidente del Consiglio.
E per ora, altre tappe elettorali in Campania non sono previste.
Il calendario è in via di definizione, spiegano al Nazareno. Il segretario-premier si riserva di valutare alla fine.
Le regionali fanno paura. Tanto che Luca Lotti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ieri ha messo le mani avanti: “Le elezioni regionali come test di leadership di Renzi e del governo? Non lo erano le europee e non lo sono le regionali”.
Ma come, e allora quel 41% dello scorso maggio che Renzi ha opposto a qualsiasi critica?
Il fatto è che il Veneto è dato per perso. E la Liguria in bilico è un mezzo incubo: anche ieri il sondaggio di Pagnoncelli sul Corriere registrava un testa a testa tra la candidata Pd, Raffaella Paita (alla quale erode consensi il civatiano Luca Pastorino) e Giovanni Toti che corre per Fi, appoggiato dall’Ncd.
È la Regione chiave e perderla farebbe considerare il risultato complessivo delle elezioni una mezza sconfitta .
Pastorino, infatti, ormai è diventato per Renzi il nemico pubblico numero uno, il simbolo della “sinistra masochista”.
Il premier andrà a Genova altre due volte. Una forse proprio per la chiusura della campagna.
In questo clima, si può permettere Renzi una sconfitta in Campania? A mettere il dito nella piaga, è arrivata l’intervista di Saviano giovedì all’Huffington Post: “Nelle liste del Pd c’è Gomorra”.
Il silenzio del premier è durato per 4 giorni. Poi la presa di posizione. Piuttosto astrusa: “Le liste del Pd sono pulite. In alcune liste collegate al Presidente ci sono candidati che non voterei neanche se costretto”.
E il mezzo endorsement a Caldoro: “Io non parlerò male dei candidati di Caldoro, che è una persona seria, che si presenta a tutti i tavoli con spirito di collaborazione”. Caldoro, colto l’assist, secondo il Mattino di martedì avrebbe immediatamente bloccato B., che domani a Napoli avrebbe dovuto fare un comizio.
Anche se dal cerchio magico del Caimano ci tengono a dire che non era stato fissato ufficialmente e che Silvio in Campania ci andrà per tre giorni.
Domani, viceversa, Renzi arriva a Napoli.
Un impegno istituzionale per inaugurare la fermata della metro a piazza del Municipio. Attese robuste contestazioni.
Sarà una visita il più lampo possibile. Alla presenza di De Luca. Che sembra più un imbucato che l’ospite d’onore.
Tanto Renzi non può prendere troppo le distanze da De Luca, tanto lui deve rimarcare l’armonia con il Capo.
Ecco l’intervista di ieri al Corriere della Sera: “Renzi accredita Caldoro” afferma l’intervistatore.
E De Luca: “Sarebbe bene non tirare per la giacca il Presidente del Consiglio. Le sue dichiarazioni sono un gesto di cortesia istituzionale”.
La tensione si sente, visto che il candidato ieri (uscendo dalla sede del Pd) è caduto e si è fratturato un dito.
La foto domani insieme i due la faranno. Non sarà la prima (erano stati insieme a Pompei). Potrebbe essere l’ultima.
Nel Pd in molti pensano che in Campania si dovrebbero prendere misure, come a Roma.
Un commissariamento per riprendere possesso del partito. In questi giorni, poi, girano varie interpretazioni giuridiche della Severino.
Secondo la prima, sarebbe sostanzialmente impossibile attribuire l’incarico all’ex sindaco di Salerno, perchè con la proclamazione verrebbe automaticamente sospeso, e scatterebbe il commissariamento.
Secondo la seconda tra la proclamazione e la sospensione passerebbe un certo lasso di tempo, nel quale il vincitore farebbe la Giunta.
Seguirebbe ricorso e sospensione della sentenza.
Questioni tecniche con incognita: quando c’è di mezzo l’interpretazione (e la politica) non si sa mai come va a finire.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
IL PREMIER IN CONFUSIONE E LA SETTIMANA ENIGMISTICA
Non per gufare contro il Caro Premier, ma ultimamente lo troviamo piuttosto provato, e anche un tantino confuso.
Non saremo certo noi, che abbiamo precorso i tempi, a sottolineare i primi capelli bianchi che deturpano la bella, anzi “bellissima” chioma già decantata dal parrucchiere Tony in un’imperdibile intervista al Corriere.
Ciò che ci preme segnalare è lo stato confusionale che emerge da due recentissime performance mediatiche di Matteo Renzi.
Martedì, pensando di far cosa gradita, Repubblica ha riprodotto su due pagine una lenzuolata a colori (bluette, azzurro, arancione, viola, grigio scuro, tortora, giallo, fucsia, rosso, verdone, grigio chiaro, verde pisello) dal titolo futuristico “Il cronoprogramma del Piano Nazionale Riforme”, bruuumwroaaam.
Molte le frecce che si intersecano come in un progetto di nuovo labirinto.
Ricordano i percorsi impazziti della metro C di Roma, quella che non si capisce mai se la stiano costruendo o la stiano cercando.
Ma anche i tracciati metallici a serpentina che si trovano aprendo le vecchie radioline a transistor, o certi rompicapo della Settimana Enigmistica.
Il prezioso incunabolo, rinvenuto probabilmente in una grotta di Qumran sul Mar Morto accanto ai rotoli della Bibbia sulle rovine dell’antico monastero esseno, rivela particolari tanto inediti quanto avvincenti sull’Azione Riformatrice prossima ventura. A luglio “legge elettorale” (strano, pensavamo fosse già passata ad aprile) e a dicembre “Nuovo Senato e Titolo V”.
In aprile invece, all’insaputa dei più, dev’essere passato un qualcosa (un decreto? una legge? un papiro? una tavoletta di terracotta intagliata a caratteri cuneiformi?) sul tema “Conciliazione vita-lavoro”, del cui significato non rispondiamo.
Seguiranno, nell’ordine: in maggio (quindi ci siamo quasi) “Semplificazione rapporto di lavoro e Agenzia attività ispettiva”; in giugno “Ammortizzatori sociali e Agenzia Naz. Lavoro”, poi più nulla sino a fine anno. E anche questa è fatta.
Quanto al Fisco, spalmata tra fine aprile e tutto luglio, si annuncia una fantomatica “Riforma tassazione locale”, seguita in settembre da un’altra raffica di supercazzole brematurate: “Catasto, Elusione fiscale, Riscossione enti locali, Imposiz. redditi d’impresa, Semplif. contribuenti int.” (nel senso di internati? Internauti? Internisti? Interisti? Intercontinentali? Interpreti? Interiora? Intubati? Non è dato sapere), ma soprattutto una sciarada denominata “Monitoraggio e tutraggio” (ricchi premi a chi la risolve).
In tema di Giustizia — color viola Quaresima — ecco l’immancabile Anticorruzione (che peraltro si credeva già cosa fatta), seguita da imprescindibili “Rafforzamento garanzie difensive e durata processi”, “Prevenzione e repressione della corruzione nella PA e Contrasto criminalità organiz.” (a cura, si presume, di De Luca e dei casalesi alleati in Campania).
Bisognerà invece attendere fino a settembre per “Tribunale delle imprese e della famiglia” (già annunciato da innumerevoli governi, compresi quelli di Rumor ed Emilio Colombo) e “Razionalizzazione processo civile” (idem come sopra).
Nulla all’orizzonte fino al 2016-2017 per il “Recupero efficienza della spesa pubblica e revisione delle tax expensitures: 15 miliardi” con scappellamento a destra, anche perchè stanno ancora cercando un interprete capace di tradurre il concetto in italiano corrente.
A giugno, se tutto va bene, “Misure per il credito deteriorato”: aspettando ancora, il credito rischia di deteriorarsi vieppiù.
Il “Piano banda ultra larga”, sempre a cura delle liste campane, scatterà tassativamente fra settembre 2015 e tutto il 2017, entro e non oltre, non un giorno di più.
La “Riforma della scuola”, nonchè il “Piano nazionale scuola digitale 2015-2018” saranno pronti per ottobre, resta solo da capire chi ci lascerà l’impronta digitale.
Sono anche in arrivo un “Patto per la salute 2014-2016”, mai più senza, e un Green Act riconoscibile dal colore verde dunque non abbisognevole di ulteriori spiegazioni: “E ho detto tutto”, direbbe Peppino De Filippo.
I soliti gufi domanderanno: quale sarebbe la fonte della rarissima pergamena?
Gente di poca fede, basta leggere su Repubblica la nota in basso a destra: la fonte del “Cronoprogramma del Piano Nazionale Riforme” è il “Piano Nazionale Riforme”.
Il più, insomma, è fatto.
Purtroppo però gli insegnanti, i genitori, gli studenti, i bidelli, i sindacalisti e i bibitari della scuola sono incontentabili e duri di comprendonio e, non riuscendo a districarsi tra le frecce, si permettono addirittura di dubitare e protestare. Non sia mai.
Ecco dunque il Caro Premier costretto alla lavagna armato di gessetti colorati per una lezione-televendita modello Cainano (manca solo Vespa).
I giornalisti al seguito, rapiti, turibolano: “Operazione assai raffinata” (Repubblica), “suggestioni kennediane” (Corriere), “ricorda il maestro Manzi” (Messaggero), “abilissimo” (La Stampa).
A vedere la lavagna a fine prestazione, e soprattutto a leggere le reazioni del mondo della scuola, si direbbe il contrario.
Più che il Maestro Manzi, è sempre il Conte Mascetti.
“Alternanza scuola-lavoro”, “Cultura umanista” (o umanistica?), “+ soldi agli insegnanti”, “Autonomia”, “Continuità ”, “No ferie studenti, presidi Rambo, licenziamenti”, “Asili nido, diritto studio, scuola digitale”.
Come foss’antani.
Mancano solo Pace, Pane e Gnocca per tutti. Libertà e perline colorate.
L’altroieri Repubblica.it  titolava marziale: “Renzi tira dritto”.
Ma solo perchè, come diceva Flaiano, in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 15th, 2015 Riccardo Fucile
L’ATMOSFERA DELLA GITA SCOLASTICA E’ SVANITA, NON HA PIU’ SENSO PROGRAMMARLE
Ma le gite scolastiche hanno ancora un senso?
La tragedia del liceale di Padova precipitato dal quinto piano di un albergo milanese in circostanze ancora nebulose riporta tristemente alla ribalta un interrogativo mormorato da anni.
Per i ragazzi del Novecento la gita di classe rappresentava un rito di iniziazione.
Era in quella terra di nessuno, sganciata dalle consuetudini quotidiane e dalla presenza castrante della famiglia, che si scambiavano i primi baci, si prendeva la prima sbornia e si imparava a cantare in coro una canzone (di solito «Azzurro»).
Si visitavano anche parecchi monumenti, a cui però solo una minoranza di esteti dedicava vera attenzione, gli altri essendo più interessati alle divagazioni goliardiche che l’atmosfera sospesa della trasferta poteva garantire.
Oggi quell’atmosfera non esiste più.
I ragazzi sono connessi di continuo col mondo e hanno meno urgenza di conoscerlo dai finestrini di un pullman.
Non hanno neppure il desiderio impellente di allontanarsi dalla famiglia, dove godono di ogni libertà .
I genitori poveri vivono la gita come un salasso o una potenziale umiliazione.
Tutti gli altri come un momento di ansia.
Quanto ai professori, sono oppressi dalle responsabilità , a cui non fa da contraltare neppure il riconoscimento di uno straordinario.
Molti di loro arrivano a sorteggiare il nome del malcapitato che dovrà offrirsi come accompagnatore. Proprio a scuola ci hanno insegnato che in natura ogni cosa esiste finchè soddisfa un bisogno.
Ma quale bisogno soddisfa oggi la gita scolastica, se non quello di restare ancorati a un’abitudine, a una nostalgia che nessuno prova più?
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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